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Avviato il 27 febbraio scorso, come avevamo segnalato sulle nostre pagine, proseguirà il 10 aprile (ore 17), il ciclo di tre incontri dedicati alla disfagia (deglutizione difficoltosa), promosso dalla UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), in collaborazione con MedicAir.
Coordinato da Anna Mannara, consigliera nazionale della UILDM e nutrizionista, questo appuntamento, anch’esso online, sarà dedicato al tema della Gestione del pasto nel paziente con disfagia e vi interverrà l’infermiera di MedicAir Alice Cescutti (per partecipare, fare riferimento a questo link). (S.B.)
L'articolo La gestione del pasto nelle persone con disfagia proviene da Superando.
Il termine Inspiration Porn è stato coniato dall’attivista e scrittrice australiana Stella Young e descrive un fenomeno tanto diffuso quanto invisibile: la tendenza a rappresentare le persone con disabilità come “eroi” o “fonti di ispirazione” per il solo fatto di vivere la loro quotidianità.
Non si tratta di pornografia nel senso classico del termine, ma di una forma di oggettificazione emotiva. Le persone con disabilità vengono mostrate in spot, articoli o meme come “esempi” da ammirare, spesso accompagnati da frasi come «Se ce l’ha fatta lui, che è in carrozzina, allora puoi farcela anche tu». Oppure: «Non si è arreso nonostante la sua condizione» ecc.
L’obiettivo di questi messaggi non è migliorare le vite delle persone con disabilità, ma far sentire meglio chi non le vive. È uno sguardo paternalista, che gratifica lo spettatore “normodotato” e trasforma la disabilità in uno strumento di motivazione altrui.
L’Inspiration Porn è dannoso ed è un problema perché disumanizza, nel senso che riduce la persona a un simbolo, ignorando la sua complessità, i suoi diritti, i suoi bisogni. Sdrammatizza le discriminazioni, facendo sembrare cioè, che con la sola forza di volontà, si possano superare barriere che in realtà sono sistemiche e sociali. Inoltre, non fa altro che rinforzare gli stereotipi, cosicché l’“eroe disabile” o l’“angelo speciale” diventano l’unica narrazione possibile, escludendo chi non corrisponde a questo modello. Lo scopo non è includere davvero, ma commuovere, rassicurare chi guarda da fuori o raggiungere altri fini.
La lotta contro l’abilismo, ovvero la discriminazione basata sulla disabilità, passa anche da un cambio radicale di narrazione. Non si tratta di evitare di raccontare le storie delle persone con disabilità — con i loro limiti, talenti, pregi e difetti — ma di farlo con rispetto, ascoltando le loro voci, senza semplificazioni, senza romanticizzare e senza trasformare la disabilità in una “lezione di vita” per gli altri. È un aspetto su cui tutti — anche noi stessi, persone con disabilità — dovremmo imparare a prestare più attenzione.
Come disse Stella Young: «Io non sono la vostra ispirazione, grazie. Non per il semplice fatto di essere andata a scuola o di vivere la mia vita».
L’inclusione non si fa con slogan motivazionali, ma con diritti, accessibilità, rappresentazioni realistiche e rispetto. E le persone con disabilità non devono essere un “motivo di ispirazione” per gli altri, ma protagoniste della propria storia, come chiunque altro.
*Attiva-Mente è un’Associazione della Repubblica di San Marino (contatto@attiva-mente.info).
L'articolo Né “eroi”, né “fonti di ispirazione”: solo persone protagoniste della propria storia come chiunque altro proviene da Superando.
«Le Unità Spinali costituiscono per noi, persone mielolese, l’unico punto di riferimento, in àmbito sanitario, per tutta la durata della vita, dopo la fase acuta»: lo ha detto Filippo Preziosi, presidente del Comitato Consultivo Misto all’Istituto Riabilitativo Montecatone – la nota struttura di Imola (Bologna) impegnata nella riabilitazione di persone mielolese o con grave cerebrolesione acquisita – durante il collegamento con Palazzo Chigi, promosso il 4 aprile, in occasione della Giornata Nazionale della Persona con Lesione Midollare, evento di cui abbiamo ampiamente riferito in altra parte del giornale, che ha potuto contare sulla presenza, tra gli altri della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli e dei presidenti della FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Persone con Lesione al Midollo Spinale) e della SIMS (Società Italiana Midollo Spinale), Vincenzo Falabella e Adriana Cassinis, organizzazioni promotrici dell’evento stesso, patrocinato dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico) e sostenuto anche dalla Fondazione Serena Olivi.
Intervenuto dunque in rappresentanza degli utenti e delle loro famiglie, Preziosi ha evidenziato «l’importanza dell’individuazione precoce e degli interventi tempestivi per trattare le numerose complicanze conseguenti alla mielolesione» e ha sottolineato «la necessità di creare una rete tra le Unità Spinali con il supporto del Ministero, oltreché di istituire un Registro Nazionale dei Mielolesi», elementi ritenuti essenziali per definire politiche adeguate ai bisogni delle persone con tali problemi.
Montecatone, come avevamo riferito nei giorni scorsi, ha voluto articolare la Giornata in due momenti principali: il collegamento mattutino dall’Istituto con Palazzo Chigi, di cui si è detto, e l’iniziativa pomeridiana Scendi in pista con Montecatone, presso l’Autodromo di Imola.
Presente per l’occasione, Massimo Fabi, assessore della Regione Emilia Romagna alle Politiche per la Salute, ha ricordato che «ogni anno in Italia circa 2.500 persone subiscono una lesione al midollo spinale e in larga parte hanno meno di 40 anni. L’istituto di Montecatone è uno dei più avanzati a livello nazionale per la cura di questi pazienti, cui offre percorsi terapeutici e di riabilitazione straordinari. La Regione Emilia Romagna farà di tutto per sostenerlo, ma è fondamentale che anche a livello nazionale non venga ridotto, ma aumentato il numero di posti letto dedicati alle Unità Spinali, strutture che richiedono un’altissima e indispensabile specializzazione. È necessario infatti investire su queste realtà, perché oggi, grazie a tecnologie e materiali sempre più avanzati e innovativi, e a professionisti di grande competenza, è possibile dare nuove speranze e prospettive di vita alle persone con paraplegia o tetraplegia».
Dal canto suo, il commissario straordinario di Montecatone, Mario Tubertini, ha evidenziato a propria volta «l’importanza cruciale delle Unità Spinali in Italia per la gestione di pazienti fragili, dalla fase acuta fino alla dimissione. Ritengo inoltre, come anticipato da Filippo Preziosi e come più volte da noi sottolineato, che l’istituzione di una rete nazionale di Unità Spinali favorirebbe una ricerca più approfondita e mirata e, inoltre, promuoverebbe la condivisione di pratiche efficaci in questo specifico ambito medico».
Le ottime condizioni meteorologiche hanno poi favorito nel pomeriggio la bella riuscita dell’iniziativa Scendi in pista con Montecatone, incontro non competitivo aperto a tutti – cittadini a piedi, persone in carrozzina e in handbike – arricchito da attività complementari come il tennis tavolo e la pet therapy.
«Siamo orgogliosi – ha affermato Giancarlo Minardi, Presidente di Formula Imola – di ospitare questo evento all’Autodromo di Imola, in occasione della Giornata Nazionale della Persona con Lesione Midollare, un’iniziativa che incarna perfettamente i valori di inclusione e solidarietà. Il nostro circuito non è solo un luogo di competizione, ma anche un punto di incontro per la comunità, dove lo sport diventa un veicolo di unione e condivisione. La partecipazione delle persone con lesione midollare e l’impegno delle Associazioni coinvolte dimostrano quanto sia importante garantire a tutti l’accesso allo sport e al movimento. Formula Imola è fiera di poter contribuire a questa causa e di mettere a disposizione il proprio spazio per un evento che ha un profondo significato sociale. Ringraziamo dunque tutti gli organizzatori e i partecipanti per il loro impegno e per aver reso possibile questa giornata speciale».
Da ricordare in conclusione che oltre al supporto delle già citate organizzazioni FAIP, SIMS, CIP e Fondazione Serena-Olivi, Montecatone si è avvalsa per il 4 aprile anche del sostegno del Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia Romagna. (S.B.)
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L’autodeterminazione della persona con disabilità e la sua partecipazione alla vita della società: intorno a questi due diritti fondamentali nasce Prima Persona Plurale, Festival della Vita Indipendente, manifestazione che si terrà dal 5 al 7 maggio 2025 a Torino, presso Open, lo spazio della Fondazione Time2, creata da Antonella e Manuela Lavazza.
Il Festival vuole essere l’occasione per celebrare la Giornata Europea della Vita Indipendente, che ricorre appunto il 5 maggio, focalizzando l’attenzione sul tema e rivendicando così questa Giornata in un anno, il 2025, in cui in Italia è iniziata la sperimentazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità.
La conquista dei diritti delle persone con disabilità è il risultato di una storia e di un impegno collettivi: così, con un programma fatto di panel, talk e attività, si toccheranno il passato, il presente e il futuro di questa storia. Tre giornate di divulgazione, riflessione e confronto per promuovere l’autodeterminazione e la piena partecipazione nella società e nella collettività delle persone con disabilità.
Tanti gli ospiti presenti a Torino per questa prima occasione: tra loro Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), sin dagli anni Settanta attivo nel campo della difesa e tutela dei diritti umani e civili delle persone con disabilità; a raccontare la sua storia plurale, dando vita a una performance teatrale, sarà Jozef Gjura, attore tra le altre della recentissima serie TV Il gattopardo.
Parteciperanno a Prima Persona Plurale anche Valentina Perniciaro, autrice e attivista che con la sua Fondazione Tetrabondi ha avviato una rivoluzione nell’approccio della disabilità; ed Elisa Costantino attivista con disabilità e ricercatrice di Disability Studies e Vita indipendente. Queste e molte altre le persone e le storie che animeranno le tre giornate del Festival.
«Diventare adulti significa poter esercitare pienamente la propria cittadinanza: muoversi liberamente negli spazi pubblici, accedere al lavoro, scegliere dove e con chi vivere. Prima Persona Plurale nasce per offrire un’occasione di confronto su questi temi e per valorizzare il diritto alla Vita Indipendente», afferma Antonella Lavazza, vicepresidente della Fondazione Time2.
«Prima Persona Plurale significa riconoscerci nell’esperienza ordinaria di persone all’interno di uno spazio democratico. Non si tratta di un’eccezione o di un privilegio, ma della realizzazione concreta di ciò che è possibile e necessario: il diritto di ciascuna persona ad avere voce, a scegliere, a partecipare pienamente alla vita sociale», a dirlo è Lavinia D’Errico, filosofa e ricercatrice presso l’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa e componente del Comitato Scientifico del Festival, insieme a Samuele Pigoni, segretario generale della Fondazione Time2, Cecilia Marchisio, docente di Pedagogia Speciale e dell’Inclusione all’Università di Torino e allo stesso Giampiero Griffo.
Tutti gli eventi di Prima Persona Plurale saranno gratuiti e garantiranno la partecipazione a persone con e senza disabilità: gli spazi di Open, infatti, sono accessibili a persone con ridotta mobilità, con disabilità sensoriali e intellettive. Tutti gli incontri, inoltre, saranno sottotitolati dal vivo, disponibili in LIS e trasmessi in streaming. (C.C.)
Per maggiori informazioni: Ufficio Stampa Fondazione Time2 (Silvia Bellucci), silviabelluccicomunicazione@gmail.com.L'articolo Nasce “Prima Persona Plurale”, Festival della Vita Indipendente proviene da Superando.
Dal bullismo subìto alla condizione di disabilità fin dalla nascita, Jerry Hasani ha fatto delle proprie esperienze un potente messaggio musicale. Con la canzone Quicksand, l’artista albanese trapiantato in Italia racconta un percorso di resilienza e inclusività che ha già ispirato molti ragazzi e ragazze. Collaborando con Ilenia Tosto e Promo L’inverso, Jerry ha unito visioni e sonorità per creare un progetto unico. La musica, per lui, non è solo arte: è un ponte che collega esperienze e speranze.
La tua storia è ancora poco conosciuta: raccontaci innanzitutto di te e raccontaci quali aspetti del tuo percorso sono fondamentali per capire chi sei.
«Sono un rapper albanese e da quando sono nato vivo con la paralisi cerebrale. All’inizio i medici non avevano compreso la natura del mio problema. Nel 2006, io e mia madre decidemmo di trasferirci in Italia, dove finalmente trovammo delle risposte. Crescendo, ho affrontato la vita con il sorriso, cercando di non farmi sopraffare dalla mia disabilità. Tuttavia, quando arrivò il momento di iniziare le scuole medie, il mio mondo cambiò. I compagni mi parlavano sempre meno, fino a quando non rimasi completamente solo. Non capivo il motivo di questo comportamento, mi chiedevo cosa avessi fatto di sbagliato, finché non capii che la ragione era la mia disabilità. Fu un momento difficile, ma decisi di non abbattermi. Cominciai a rifugiarmi nella musica, in particolare nella trap. Col passare del tempo, la mia passione per la musica crebbe e così decisi di provare a scrivere le mie canzoni».
La canzone Quicksand prende ispirazione dalle sfide personali che hai vissuto, incluso il bullismo subito durante l’infanzia. Quando hai capito che quelle cicatrici potevano trasformarsi in un messaggio musicale?
«La canzone è un viaggio attraverso le esperienze difficili che ho vissuto, soprattutto il bullismo. Ho capito che quelle cicatrici potevano diventare un messaggio musicale quando ho trovato forza nelle mie esperienze e ho visto come la musica potesse essere un canale potente per esprimere emozioni e sensibilizzare gli altri. Scrivere Quicksand è stato un modo per dare un significato alle difficoltà passate, trasformando il dolore in qualcosa di positivo».
Come è nata la collaborazione con Ilenia Tosto e Promo L’inverso, e come siete riusciti a fondere le vostre visioni nel progetto?
«Entrambi eravamo interessati a usare la musica come mezzo per raccontare storie autentiche, con un impatto sociale. Abbiamo combinato le nostre esperienze e competenze, trovando un equilibrio tra i suoni e i temi. Ilenia ha portato un’energia unica al progetto, e Promo L’inverso ha dato una struttura al beat che ha permesso alla nostra visione di prendere vita. L’unione delle nostre visioni ha dato a Quicksand quella profondità emotiva e quella spinta creativa che la rende unica».
In che modo la tua disabilità ha influenzato il tuo percorso artistico e la tua capacità di connetterti con il pubblico attraverso la musica?
«La disabilità ha sicuramente influito sul mio percorso artistico. Fin da quando sono nato, ho dovuto affrontare sfide extra che altri non vivevano, ma queste esperienze mi hanno reso più sensibile e più determinato. La musica è diventata la mia voce, il mio modo di comunicare e di entrare in contatto con gli altri, soprattutto con chi può sentirsi escluso o diverso. Questo mi permette di connettermi con il pubblico a un livello molto profondo, perché attraverso le mie canzoni, sento che posso trasmettere un messaggio di speranza e di resilienza».
Usi la musica come strumento per sensibilizzare i giovani sul bullismo e sulla discriminazione. Come hanno reagito i ragazzi e le ragazze?
«Abbiamo ricevuto feedback molto positivi da parte di giovani che si sono riconosciuti nei temi trattati in Quicksand e di scuole che sono pronte ad affrontare il tema. Molti ci hanno raccontato che la canzone li ha aiutati a sentirsi meno soli e a comprendere che anche le difficoltà possono essere superate. Il bullismo e la discriminazione sono temi difficili da affrontare, ma la musica può davvero fare la differenza nel creare consapevolezza e innescare il cambiamento».
Quali sono i tuoi progetti futuri per continuare a promuovere il messaggio di inclusività e solidarietà che Quicksand rappresenta?
«Il mio progetto futuro è quello di continuare a portare avanti questo messaggio non solo attraverso la musica, ma anche con iniziative concrete. Io e Ilenia stiamo pianificando di lavorare con scuole e organizzazioni che combattono il bullismo, creando momenti di sensibilizzazione attraverso eventi e performance live. Vorremmo anche esplorare collaborazioni con altri artisti che abbiano la stessa missione, per amplificare il messaggio e raggiungere ancora più persone». (Carmela Cioffi)
L'articolo Jerry Hasani: il coraggio di trasformare il dolore in musica proviene da Superando.
La vita indipendente per le persone con disabilità è un diritto fondamentale, ma non si tratta di un’affermazione scontata: quando infatti parliamo delle esigenze più importanti delle persone con disabilità, ancora oggi il discorso scivola subito sul diritto all’assistenza, alla cura e, forse, alla scuola e al lavoro. La questione del diritto delle persone con disabilità di essere libere, fatica ancora ad imporsi nel discorso pubblico, anche e soprattutto di quello degli addetti ai lavori.
La vita indipendente per le persone con disabilità. Un diritto fondamentale (Ledizioni, 2024) è il titolo di un saggio scritto dal professor Massimiliano Verga (Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca) e con la dottoressa Alessia Lovece, testo che ripercorre la storia recente dell’affermazione del diritto alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità: o forse sarebbe meglio dire del tentativo, ancora in corso, di affermare e riconoscere questo diritto fondamentale per tutte le persone, comprese tutte le persone con disabilità.
Si tratta di una pubblicazione opportuna, nel momento in cui stiamo sperimentando la fatica di mettere in atto tutti quei cambiamenti che sarebbero necessari per riconoscere e rispettare effettivamente la libertà di tutte le persone con disabilità di poter scegliere dove e con chi vivere e di partecipare alla vita sociale in condizione di uguaglianza (o anche solo simili) con gli altri.
Il punto di riferimento di questa riflessione non poteva che essere l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità che ha definitivamente sancito «il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone».
Il libro prende dunque le mosse dai fondamenti culturali e giuridici della Convenzione ONU, per poi immergersi nella realtà italiana e, in particolare, sulla natura della Legge 112/16 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare) e sulle difficoltà applicative di essa.
Seguendo un ordine cronologico, ampio spazio viene dato alle diverse affermazioni su questo tema del Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ovvero di quell’organismo deputato ad offrire l’interpretazione autentica della Convenzione. Documenti ancora spesso poco conosciuti e le cui affermazioni, quando sgradite, vengono facilmente sottovalutate.
Quasi metà della pubblicazione si occupa poi di quanto sta avvenendo in Italia, a seguito delle disposizioni normative che hanno tradotto in legge quanto previsto dall’articolo 19 della Convenzione, analizzando opportunità, difficoltà e questioni aperte.
Una lettura utile – forse necessaria – almeno per tutte quelle persone, a partire dagli operatori sociali, oggi impegnate nel difficile compito di rendere concreto e reale un diritto fondamentale, ancora troppo spesso non rispettato.
*Direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
L'articolo Vita indipendente: rendere concreto e reale un diritto fondamentale delle persone con disabilità proviene da Superando.
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Come avevamo anticipato in altra parte del giornale, nel presentare il concorso Come vedi la disabilità?, promosso a Tivoli (Roma) dall’Associazione di Promozione Sociale Lega Arcobaleno, la cerimonia conclusiva di premiazione dello stesso coinciderà, nel pomeriggio del 9 aprile, con l’importante convegno scientifico divulgativo, denominato Malattie ossee comuni e rare; meccanismi biologici, speranze terapeutiche (Sala Convegni del Convitto Nazionale, ore 16), incontro durante il quale si toccheranno varie problematiche legate alla struttura scheletrica portante del corpo, «una preziosa occasione – spiegano dalla Lega Arcobaleno – per i cittadini e le cittadine giovani e meno giovani, per conoscere da vicino lo stato dell’arte della ricerca scientifica in questo specifico àmbito di cui parleranno direttamente due scienziati di livello internazionale che da anni lavorano intensamente in tale settore, vale a dire Maurizio Pacifici e Anna Maria Teti, che con un linguaggio accessibile a tutti e tutte, condurranno i presenti in un mondo poco esplorato dai non addetti ai lavori».
«Sappiamo – spiegano dall’Associazione promotrice dell’incontro – che spesso e volentieri si fanno alcuni errori di valutazione che a volte comprometteranno la nostra salute: la mancata attenzione ai primi sintomi e il non saper riconoscere i segnali possono infatti metterci in condizione di sottovalutare alcuni campanelli d’allarme che ci invia direttamente il nostro corpo. A tal proposito, tutti sanno ormai bene che la prevenzione è fondamentale, ma spesso non si ha né la voglia né l’occasione di informarsi per tempo su alcuni importanti argomenti, ignorando così informazioni utili per la nostra salute. Entrando nello specifico dell’incontro del 9 aprile, quando pensiamo alla nostra struttura scheletrica, abbiamo convinzioni non sempre corrette, credendo, ad esempio, che sia preferibile un osso molto ricco di calcio, ritenuto più forte e resistente. E invece non è affatto vero! Ma anche nella condizione opposta, quando ci troviamo di fronte all’impoverimento della calcificazione ossea, apparentemente solida, si ha una forma patologica che può portare a situazioni di dolore e fratture. La densità dell’osso dev’essere infatti equilibrata, la calcificazione di essa ottimale e da mantenere assolutamente, se è vero che un osso con il corretto apporto di calcio sarà più flessibile e quindi meno soggetto a traumi. Limitazioni funzionali, patologie nascoste, patologie deformanti, patologie tumorali spesso non visibili sono tutti termini che ormai abbiamo imparato a conoscere e infatti oggi definiscono malattie comuni. Ne parlerà il 9 aprile la professoressa Anna Maria Teti, già docente e ricercatrice all’Università dell’Aquila, oltreché ricercatrice associata senior presso l’Istituto di Biomedica e Biologia al CNR di Monterotondo (Roma)».
«Per quanto poi riguarda le malattie rare – proseguono dalla Lega Arcobaleno -, le cose si complicano perché le conoscenze sono ancora molto limitate. Fortunatamente la scienza non si ferma e con i suoi professionisti, scienziati noti o meno conosciuti che conducono ricerche e sperimentazioni, ci offre speranze di significativi miglioramenti. Esiste ad esempio una rara malattia pediatrica che causa la formazione di escrescenze ossee. Si tratta della severa patologia degli osteocondromi multipli, argomento su cui il 9 aprile si soffermerà il professor Maurizio Pacifici, direttore del Dipartimento di Ricerca del Children’s Hospital di Philadelphia (Stati Uniti), che con il proprio team sta studiando e sperimentando per cercare di trovare una terapia idonea. Si tratta di una malattia consistente in tumefazioni ossee che si manifestano in una parte specifica delle ossa lunghe (omero, tibia, femore) a volte anche nella scapola, caratterizzata appunto dallo sviluppo di escrescenze ossee che se non trattate continuano a crescere, distruggendo l’osso e l’articolazione».
Il convegno, ricordiamo in conclusione, è aperto a tutte le persone interessate. (S.B.)
Per ulteriori informazioni: Anna Benedetti (presidente Associazione Lega Arcobaleno), annabenedetti40@gmail.com.L'articolo Malattie ossee comuni e rare: i meccanismi biologici e le speranze terapeutiche proviene da Superando.
La mattina del 6 aprile ho partecipato, come negli anni scorsi, all’Abbracciata collettiva, la maratona natatoria a supporto delle persone con autismo e dei loro familiari, organizzata in relazione alla Giornata mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo del 2 aprile [dell’“Abbracciata collettiva” si legga già anche sulle nostre pagine a questo e a questo link, N.d.R.].
Io personalmente mi sono recato presso il CassiAntica Sporting Fitness di Roma (ma il 5 e il 6 aprile piscine in tutta Italia hanno ospitato l’evento) e mentre nuotavo ho fatto mente locale sulla recente istituzione del Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità.
Il Garante è regolato dal Decreto Legislativo 20/24, che ha individuato nel 1° gennaio 2025 la data di effettiva istituzione dell’Autorità «Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità» (articolo 1, comma 1) e, invero, si preoccupa altresì del fatto che in questa data realmente si dia «immediato avvio» alle attività in «piena operatività» (articolo 3, commi 6 e 7).
Si tratta di un organo collegiale, «composto dal presidente e da due componenti» (articolo 2, comma 1 del citato Decreto 20/24), alla cui nomina hanno provveduto i Presidenti di Camera e Senato, con «determinazione adottata d’intesa», ai sensi dell’articolo 2, comma 6 del Decreto istitutivo. Sempre il Decreto 20/2024, inoltre, disciplina puntualmente le funzioni affidate al Garante e anche la struttura organizzativa di esso.
Quel che emerge dal tessuto normativo è che questa nuova Autorità non dovrà operare in solitudine: già dall’articolo 1 del Decreto, del resto, viene definita come «articolazione del sistema nazionale per la promozione e la protezione dei diritti delle persone con disabilità» ed è chiamata a collaborare con l’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e col Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
Non è certo un compito semplice quello che attende il Collegio da poco nominato. Mentre nuotavo (e ogni tanto mi scontravo con gli altri “maratoneti”), avvertivo intorno a me l’energia, la forza degli operatori, dei volontari, delle persone con autismo e dei loro familiari, che tutti insieme animavano l’evento: tutte persone che conoscono bene i problemi da risolvere, visto che li affrontano quotidianamente.
Anche di queste esperienze, di queste competenze il Garante dovrà fare tesoro, per assolvere al meglio il suo importante ruolo in vista del bene delle persone con disabilità.
I migliori auguri di buon lavoro.
*Professore di Diritto Costituzionale all’Università Niccolò Cusano di Roma (www.siblings.it).
L'articolo L’autismo, il nuoto e il Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità proviene da Superando.
Oggi, 7 aprile, è la Giornata Mondiale della Salute (World Health Day), evento che vede impegnata anche la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con una specifica attenzione alla situazione delle persone che convivono con malattie rare quali le distrofie e le altre malattie neuromuscolari. «Emerge quindi la necessità – dicono da tale Associazione – di una presa in carico della persona che comprenda non solo gli aspetti legati alla patologia in sé, ma anche il benessere psicologico, perché, come dimostrano gli studi, esso è intimamente legato a una dimensione di salute globale».
A tal proposito, dunque, la UILDM ha sempre prestato il massimo dell’attenzione agli aspetti psicologici, approfittando, negli ultimi anni, delle nuove opportunità tecnologiche per strutturare anche percorsi riabilitativi con l’utilizzo di visori per la realtà virtuale, strumenti che possono essere appunto un valido supporto per attività di riabilitazione e, nei casi più gravi, per consentire un’“evasione” molto realistica in luoghi e situazioni che la malattia o la disabilità non consente più di accedere o sperimentare.
Uno di questi percorsi è stato promosso dalla UILDM di Gorizia, presso la quale ha preso recentemente il via il progetto denominato Virtualmente, grazie anche al sostegno della Fondazione Carigo e avvalendosi della collaborazione del Centro Riabilitativo Ospizio Marino di Grado, che ospita le attività all’interno della propria struttura e coinvolge i propri pazienti come principali fruitori e protagonisti del progetto.
«Partiamo dalla constatazione – spiega Chiara Crognaletti, psicologa clinica che collabora con la UILDM di Gorizia – che nel 2025, in una società dove tutto corre più veloce, la salute fisica ne risente molto. Per questo è necessario prendersi cura anche della salute mentale, come base per un benessere più generale della persona».
Virtualmente, dunque, si sviluppa in tre percorsi, ciascuno dei quali strutturato in tre appuntamenti, per un totale di nove incontri. Ad ogni percorso partecipano 6 persone ospiti del Centro Riabilitativo di Grado, coinvolgendo in totale 18 persone dai 60 anni in su nel periodo compreso tra marzo e maggio. «Il primo appuntamento del ciclo – prosegue Crognaletti – è un incontro di conoscenza tra i partecipanti: il visore di realtà virtuale serve infatti ad avviare un lavoro sulla storia personale di ciascuno dei partecipanti stessi. Il secondo, invece, è pensato come un’esperienza trasformativa in cui la persona riflette sulla propria capacità di affrontare le esperienze e le difficoltà e si pone degli obiettivi piccoli o grandi su cui lavorare. Infine, il terzo incontro è di chiusura, di riflessione sugli obiettivi raggiunti, con un’esperienza di rilassamento finale».
Le attività con i visori di realtà virtuale, facendo vivere esperienze trasformative, riducono il livello di ansia e stress legato alla condizione di disabilità, temporanea o permanente, che si vive, permettendo un’immersione totale multisensoriale che facilita l’interiorizzazione delle esperienze di vita, perché l’elaborazione emotiva avviene a un livello più profondo.
I laboratori finora proposti hanno avuto un esito senz’altro positivo e all’interno dei gruppi si è creata una rete di relazioni tra i partecipanti che ha favorito la nascita di un senso di comunità. «È stata la mia prima partecipazione a un’esperienza del genere – racconta una delle persone coinvolte – e se devo usare un aggettivo per descriverla, direi “travolgente”. Mi sono totalmente immersa nella situazione e mi sono lasciata coinvolgere. Ancora adesso mi rilasso ricordando quei momenti e mi immergo nuovamente. La consiglierei a tutti».
«Virtualmente – afferma Alessandra Ferletti, presidente della UILDM di Gorizia – intende lavorare sulla necessità di prendersi cura del benessere psicologico attraverso l’aggregazione e la condivisione di vissuti. La collaborazione con l’Ospizio Marino di Grado è un valore aggiunto perché ci ha permesso di intercettare la fascia delle persone anziane, spesso più sole, creando momenti di gruppo e di confronto. L’utilizzo dei visori di realtà virtuale è un metodo innovativo che può essere applicato a svariati contesti e situazioni: proprio grazie alla replicabilità e all’adattabilità di esso intendiamo proporlo anche in futuro per lavorare sull’inclusione sociale e sull’abbattimento delle barriere fisiche e culturali».
Nata nel 1970, la UILDM di Gorizia, attraverso le proprie attività, intende migliorare la condizione di vita delle persone con patologie neuromuscolari. Si occupa di consulenza e servizi alle persone con disabilità, di lotta alle barriere, di promozione dell’inclusione sociale e di difesa dei diritti delle persone con disabilità. (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: uildmcomunicazione@uildm.it; uildmgo@hotmail.it.L'articolo Percorsi riabilitativi che utilizzano visori per la realtà virtuale proviene da Superando.
Peculato, rifiuto di atti d’ufficio, falso in atto pubblico e autoriciclaggio: è questo il “curriculum” di reati contestato ad un commercialista della provincia di Brescia che, oltre ad essere curatore fallimentare, svolgeva anche il ruolo di amministratore di sostegno, ovvero avrebbe dovuto curare gli interessi di persone fragili in base alla Legge 6 del 2004 che ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo istituto giuridico di tutela, l’amministrazione di sostegno appunto, al quale può ricorrere chi, per effetto di una disabilità fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di prendersi cura dei propri interessi.
Quello del “professionista” bresciano non è che l’ultimo caso di cui ha parlato la cronaca giudiziaria, molti altri l’hanno preceduto, temiamo altri lo seguiranno, moltissimi sono nell’ombra.
Questa testata da tempo si occupa di amministrazione di sostegno e della normativa che lo regolamenta, recante opacità che inducono i malintenzionati ad approfittare di chi dovrebbero proteggere, avvolgendoli in una sorta di ragnatela da cui non riescono a uscire per la mancanza di forza e possibilità, ritrovandosi soli, privati della libertà di scelta, addirittura privati della possibilità di incontrare e parlare con le persone care, le uniche che potrebbero aiutarle, le uniche che vogliono davvero il loro bene.
Gli esperti della Legislazione si occuperanno dell’analisi degli articoli di questa norma e delle modifiche necessarie, lo scopo di questo approfondimento è riflettere sull’aspetto umano della questione, sui risvolti che toccano la vita delle persone coinvolte, della loro volontà negata e inascoltata, dei diritti elementari calpestati grazie all’arbitrarietà concessa da una legge che, anziché tutelare, finisce per annientare la dignità umana.
Perché ho deciso di scriverlo? Semplice, perché anch’io, persona con disabilità, potrei un giorno trovarmi in una situazione simile a quelle che sto per raccontare. Adesso mi sembra impossibile, posso decidere di me stessa, ho la capacità per farlo e sono circondata da persone che prima di qualunque azione che mi riguarda domandano il mio parere e il mio consenso, ritenendoli giustamente fondamentali. Non so, tuttavia, se potrà sempre essere così. Nessuno di noi può dire «a me non succederà mai», è un’ingenuità, un sogno ad occhi aperti che potrebbe essere interrotto dalla dura realtà.
Carlo
Finita la premessa personale (che tuttavia non riguarda soltanto me, ma migliaia di persone), inizio parlando di Carlo Gilardi, professore novantaduenne della Provincia di Lecco scomparso nell’ottobre 2023, dopo avere trascorso i suoi ultimi tre anni di vita rinchiuso contro la sua volontà in una struttura per anziani dietro disposizione della sua amministratrice di sostegno.
Comincio da lui perché il suo nome e la sua vicenda sono diventati popolari grazie ad alcuni servizi della trasmissione televisiva Le iene, trasmissione censurata dal Consiglio Superiore della Magistratura su segnalazione del sistema giudici tutelari-amministratori di sostegno, infastiditi dal chiasso mediatico intorno al caso di quest’uomo titolare di un ingente patrimonio, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, che aveva il diritto di disporre dei propri averi come meglio riteneva.
Finito sotto amministrazione di sostegno nel 2017, per volontà della sorella che non vedeva di buon occhio la sua prodigalità nei confronti di persone ed enti, è stato prelevato con la forza dalla sua abitazione, convinto a salire su un’ambulanza soltanto quando ha capito che se non l’avesse fatto spontaneamente lo avrebbero sedato e caricato sul mezzo, destinazione RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale).
In quasi tre anni di ricovero coatto, Carlo ha sempre asserito di fronte a testimoni di non volerci stare in quel luogo, nel 2020 si è sottoposto ad una perizia psichiatrica nella quale si legge che «non emergono anomalie o segni di patologia. Il pensiero è privo di alterazioni […] nessun segno di deterioramento mentale o cognitivo».
Avevano promesso a Carlo che sarebbe tornato a casa sua, hanno mantenuto la promessa quand’era ormai moribondo. Per tutto il tempo della sua detenzione, perché di questo si è trattato, di una vera e propria detenzione, non è mai stato attuato alcun percorso di revisione, se non in extremis, come dicevamo, quando ormai si sapeva che il professore sarebbe presto venuto a mancare; sono stati inoltre limitati i suoi contatti con l’esterno, in una spirale che punta all’isolamento totale, come vedremo purtroppo una costante in fatti come questo.
Provate a mettervi nei panni di Carlo Gilardi, un uomo anziano strappato alla sua quotidianità, alla sua casa, ai ricordi di una vita, consapevole di quanto gli stava accadendo senza la possibilità di porvi rimedio; parlava ma non veniva ascoltato, trattato come se fosse stato “incapace”. Per il suo caso, nel luglio 2023, l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, un pronunciamento, questo, il quale è la prova che qualcosa (più di qualcosa) non funziona. Ricordiamo inoltre che già nel 2016 il Comitato preposto dall’ONU per il monitoraggio dell’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità aveva chiesto all’Italia di rivedere la norma sull’amministrazione di sostegno, attuando la transizione verso i regimi decisionali supportati che non si sostituiscono alla persona, ma la accompagnano, ponendo come vincolo invalicabile le sue esigenze e preferenze.
Marta
Quanto subìto dal professor Gilardi lo devono patire anche le persone più giovani, fino alle estreme conseguenze. È accaduto a Marta Garofalo Spagnolo, una donna della Provincia di Lecce, morta nel 2022 ad appena 31 anni dopo avere assunto una massiccia dose di psicofarmaci come ultimo disperato atto dimostrativo, per sottrarsi alla reclusione contro la sua volontà in diverse cosiddette “case famiglia”, in realtà veri e propri istituti dai quali ha cercato di fuggire per 11 anni, 11 dei suoi 31 anni di vita, fate un po’ voi i conti.
Per Marta la vita non è mai stata facile, in un contesto familiare degradato, senza un padre e con un difficile rapporto con la madre. Gli unici punti di riferimento stabili erano i nonni e la morte del nonno Ercole è stata la ferita che ha fatto precipitare la situazione. Marta si rendeva conto di avere bisogno di aiuto e lo ha chiesto al servizio sociale territoriale che non ha saputo far di meglio che offrirle degli psicofarmaci. Era il 2010, Marta si stava diplomando al liceo, era lucida, quelle medicine non voleva prenderle, sapeva di avere bisogno di un sostegno di altro tipo. Di fronte al rifiuto della terapia farmacologica, i servizi sociali si sono arrogati il diritto di avviare la procedura per assegnarle un amministratore di sostegno, individuato in un’avvocata che ne ha disposto il trasferimento in una “casa famiglia”, la prima di una lunga serie da cui Marta ha cercato di fuggire per esservi ricondotta, ogni volta privata di un pezzetto di libertà e invitata ad assumere dosi di psicofarmaci sempre più alte.
In quei luoghi la costringevano a vivere isolata dal mondo, non poteva avere neppure contatti telefonici con persone di sua conoscenza; non mi pare di esagerare, definendo questo trattamento una violenza. È riuscita a bussare alla porta di due amici, l’avvocata Gabriella Cassano e il suo compagno Fabio Degli Angeli, loro l’hanno accolta e per questo sono stati condannati per sequestro, circonvenzione, abbandono e sottrazione. La loro unica colpa essere amici di Marta, non averle voltato le spalle. I reati sopra elencati non dovrebbero essere contestati a coloro che hanno rinchiuso Marta per 11 anni in strutture non idonee, senza il suo consenso e senza mai ascoltare la sua voce? Ecco un’altra assurdità, effetto di una legge che urla per essere modificata, perché alla fine chi è dalla parte della persona con disabilità viene condannato, se si oppone all’“effetto terra bruciata” che si vuole fare intorno alla persona stessa.
Marta Garofalo Spagnolo non c’è più, dopo averle devastato l’esistenza, dubito che i veri colpevoli abbiano un moto di coscienza, un minimo di rimorso nel sapere che una ragazza è morta chiedendo una mano perché voleva vivere. I “colpevoli” di fronte alla giustizia, i suoi amici Gabriella e Fabio, sono stati condannati in via definitiva.
Al loro fianco, l’Associazione Diritti alla Follia che da diverso tempo segue questa e altre vicende e sta promuovendo due Proposte di Legge di iniziativa popolare, una per l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione, gli altri due istituti di tutela previsti dal nostro ordinamento, e per la riforma dell’amministrazione di sostegno, l’altra per l’adeguamento del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) alla Costituzione italiana e agli obblighi internazionali sottoscritti dal nostro Paese (di TSO parleremo tra poco).
Barbara e C.
Un’altra storia di affetti spezzati con la forza è quella della giornalista Barbara Pavarotti e del suo compagno C., scomparso nell’agosto dello scorso anno, rinchiuso nella struttura dove ha vissuto per due anni e mezzo, due anni e mezzo nei quali Barbara non ha mai potuto vederlo, scoprendo per caso perfino del suo decesso; non crediamo nemmeno sappia dove è sepolto. Costringere alla lontananza dalla famiglia e dagli amici è un risvolto drammatico, nasce da una cattiveria gratuita, l’unica ragione per cui si perpetua è l’esercizio del potere sulla vita altrui che alcuni ritengono scontato quando si tratta di vite di persone vulnerabili.
La storia di C. ne è la dimostrazione emblematica. Quando sono iniziati i primi segni della demenza, all’uomo è stato affiancato un amministratore di sostegno che, oltre ad obbligarlo al ricovero in una struttura per anziani, ha impedito ogni contatto con Barbara, malgrado lei risultasse ufficialmente la sua compagna secondo la norma sulle unioni civili e sulle convivenze. «Voglio morire a casa mia», ripeteva C., mentre Barbara dava la propria disponibilità ad occuparsi di lui come del resto aveva sempre fatto. Appelli caduti nel vuoto, il giudice tutelare ha sentenziato che l’amministratore di sostegno aveva pieno potere decisionale, anche per quanto riguardava i rapporti con il suo amministrato e gli incontri con persone esterne alla RSA, compresa Barbara.
Giovanna
L’abuso va a braccetto con la menzogna nel caso di Giovanna, donna con disabilità acquisita alla nascita, e della madre ormai anziana. Il tribunale, in seguito alla segnalazione dei servizi sociali, ha deciso che non possono più vivere sole, come avevano sempre fatto in maniera dignitosa e mantenendosi con le rispettive pensioni, e ha stabilito la nomina di un amministratore di sostegno per ciascuna. Quello della mamma ha deciso in maniera arbitraria di ricoverarla in una RSA, facendole credere che sia stata la figlia a non volerla più a casa, una violenza psicologica che lascia senza parole. Perché dopo avere separato una famiglia che ha sempre vissuto unita, tentare di sgretolare il rapporto madre-figlia con questa tremenda bugia? Perché far credere ad una donna che la figlia non la vuole più? Perché far sentire la mamma abbandonata e la figlia impotente? Non è forse questa, cattiveria gratuita, come dicevo prima?
E i problemi non finiscono qui, Giovanna avrebbe bisogno di cure odontoiatriche che potrebbe permettersi con la sua pensione, un giudice ha stabilito che può gestire gran parte del suo denaro in autonomia. La pensa diversamente l’amministratore di sostegno che le passa 500 euro al mese e per gli 850 che occorrono per pagare il dentista, la donna deve presentare richiesta al giudice tutelare.
Sono sempre le ragioni economiche scaturite dalla gestione dell’amministratore a tenere lontane mamma e figlia, la prima in una casa di riposo a chilometri di distanza dalla seconda che, non avendo la patente e i soldi per pagare un taxi, non può raggiungerla. Si è riusciti anche questa volta a spezzare un legame affettivo, a distruggere la sacralità dei rapporti umani con il benestare della legge.
Un giovane uomo fiorentino
Quanto detto non accade soltanto quando l’amministratore è un soggetto estraneo, nominato dal tribunale, infatti, nei casi in cui nelle famiglie ci sono divergenze, queste si accaniscono sulle persone più vulnerabili, usate come “strumento” di vendetta. È il caso di un giovane uomo fiorentino che nel 2021 è stato affiancato dalla madre come amministratrice di sostegno, dopo che lui, in seguito ad un’emorragia cerebrale, ha iniziato ad avere difficoltà di orientamento e problemi di memoria a breve termine. La madre gli impedisce di vedere la fidanzata e il fratello, malgrado il giudice tutelare l’abbia invitata al buon senso. Spaesato, il ragazzo non può difendersi, chi lo tiene lontano dagli affetti più cari conta sul velo di dimenticanza che lentamente copre i suoi ricordi e la sua volontà.
Sara e Simone
La legge sull’amministrazione di sostegno non è un foglio liscio, steso, senza pieghe. Nasconde invece risvolti, “tranelli” nei quali è facile cadere, come è facile usarli a discapito di coloro che hanno bisogno di aiuto. Non è raro che, ad esempio, questa normativa venga usata come arma di ricatto a danno delle famiglie, un’arma finalizzata all’istituzionalizzazione, in palese contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità la quale vieta che ci si possa sostituire alla volontà delle medesime, anche quando in presenza di disabilità psicosociali è d’obbligo il rispetto delle preferenze delle persone.
Sara Bonanno è mamma caregiver e amministratrice di sostegno di Simone, giovane uomo con disabilità. Negli anni Sara ha costruito intorno al figlio una fitta rete di relazioni che sostengono il ragazzo al proprio domicilio, a scuola, al lavoro; ogni euro che entra in casa viene speso per l’assistenza e il benessere di Simone, da dieci anni è tutto documentato in maniera scrupolosa.
Sara ha chiesto all’ASL una maggiore continuità infermieristica, poiché il cambio di operatori destabilizza il figlio che non riesce ad instaurare un rapporto con chi lo assiste. Per ritorsione, senza informarla, l’ASL ha interpellato un giudice tutelare, portando illazioni inventate sull’inadeguatezza di Sara e chiedendo la nomina di un amministratore di sostegno esterno, allo scopo di ricoverare Simone in una residenza sanitaria assistita nella quale perderebbe tutte le relazioni affettive così duramente allacciate negli anni. La denuncia di mamma Sara ha dato coraggio ad altre mamme nella stessa situazione, perché a volte è il coraggio che manca, unito al timore non infondato che ad alzare la voce gli abusi diventino ancora più pesanti, che dalle minacce si passi ai fatti.
Ma si può vivere con la paura che il proprio figlio o la propria figlia, che un familiare o una persona cara vengano strappati da casa e rinchiusi in una struttura, in seguito ad atti intimidatori perpetrati sotto l’ombrello di una legge dello Stato? No, ovviamente, eppure sono oltre 20.000 i contenziosi aperti per inadempienze sull’amministrazione di sostegno soltanto presso il Tribunale di Roma, città nella quale risiedono Sara, Simone e le tante mamme con figli con disabilità che hanno reso pubblici gli episodi di vessazioni che hanno subito.
Oriana
Non ha nessun valore neppure la salute. Oriana Granatelli è morta da sola in ospedale, senza poter rivedere nessuno dei suoi familiari, cosciente di ciò che le stava accadendo, il 29 dicembre 2020 all’età di 56 anni. È morta di Covid contratto nell’RSA in cui era stata obbligata a trasferirsi dal giudice tutelare, incurante del pericolo della pandemia e sordo alle suppliche della sorella Tamara, sua amministratrice di sostegno, e della stessa Oriana.
Per la sua personalità borderline avrebbe avuto bisogno di vivere in una struttura riabilitativa residenziale, in passato vi era stata e aveva instaurato dei veri rapporti, si teneva impegnata con diverse attività, anche se non era mai stato avviato il progetto di vita previsto dalla Legge 328 del 2000. La casa di riposo è stata la decisione finale per ragioni di costo, più economica di una struttura riabilitativa residenziale. Quel costo in più il Dipartimento di Salute Mentale non era disposto a sostenerlo, con buona pace anche delle disposizioni del Ministero della Salute che per le persone con la patologia di Oriana prevede una presa in carico mirata, non certo il parcheggio coatto in una RSA.
Alla fine avevano ceduto, Oriana con grande dignità, e la sorella Tamara, minacciata dal giudice tutelare che le voleva togliere l’amministrazione di sostegno se si fosse ulteriormente opposta al trasferimento. Oriana aveva il diabete, nella struttura non le misuravano la glicemia e alle rimostranze della sorella che non si è mai stancata di lottare per lei, rispondevano che andava bene così. Quando nella casa di riposo è scoppiato un focolaio di Covid, nessuno ha informato Tamara della positività della sorella, si sono sempre fatti negare, infine l’ha saputo per vie traverse. Oriana l’ha chiamata dall’ospedale un’ultima volta dicendole che voleva salutarla prima di morire e le ha parlato del nipote in arrivo, quel bambino che è nato prematuro, dicono i medici, a causa dello stress provocato a mamma Tamara.
Qui l’amministratrice di sostegno era quella giusta, ma si è messo di traverso il giudice tutelare, insieme al Dipartimento di Salute Mentale che non voleva pagare una struttura riabilitativa psichiatrica e in combutta hanno optato per una residenza sanitaria assistita la cui retta era a carico di Oriana e della famiglia. In un carteggio emerso in seguito tra giudice tutelare e Dipartimento, Tamara viene definita un «soggetto disturbante», ma “disturbava” perché chiedeva per la sorella Oriana dignità e cure adeguate.
Maria Antonietta
Quante volte ho letto «beneficiare dell’amministrazione di sostegno», ho sentito definire “beneficiario” chi usufruisce di questo istituto di tutela. Sarebbero però termini da rivedere, poiché in alcune occasioni sono gli amministratori e le amministratrici a trarre vantaggio.
Maria Antonietta Atzori è stata affidata dal Tribunale di Nuoro ad un’amministratrice di sostegno la quale vive in libertà malgrado una condanna a sette anni e otto mesi di reclusione per avere usato per fini impropri e personali i soldi dei suoi amministrati. Dal 2017 la donna ha truffato circa cinquanta persone, non esiste infatti un limite al numero delle persone che un amministratore di sostegno può “gestire” e questo è un altro buco della legge che fa il gioco degli impostori.
Tornando alla vicenda della signora Atzori, le regole di riservatezza impediscono di ricostruire l’intero quadro accusatorio, il processo è frammentato, il sistema giudiziario mette impedimenti e questo non aiuta la ricerca della verità, facendo supporre che vi sia una sorta di legittimazione pubblica alla non tutela delle persone fragili. Maria Antonietta era una dirigente medico ospedaliera, non stiamo parlando di una persona proveniente da un contesto difficile o degradato e questo riporta al discorso iniziale: non dobbiamo pensare che tali situazioni riguardino gli altri, gli altri e le altre siamo noi, non dobbiamo dimenticarlo, le nostre condizioni di partenza non sono un “vaccino” al peggio che può accadere.
Oggi la signora Atzori convive con una grave afasia progressiva che le ha tolto completamente la parola insieme alla possibilità di difendersi in questa vicenda che la vede vittima. A parlare per lei è il fratello Piero Michele che in una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella scrive: «Il recupero del maltolto è un’impresa ardua che richiede salute e disponibilità economiche, condizioni entrambe mancanti alle persone fragili vittime di peculato e quasi sempre anche alle loro famiglie. […] Nella mia inguaribile utopia, immagino che lo Stato potrebbe comportarsi da galantuomo riconoscendo sua sponte le proprie molteplici, personali responsabilità nell’aver scelto di mettere mia sorella nelle mani di una senza garanzie e, in generale, nel non aver prevenuto il peculato e immagino anche che potrebbe porre argine al business immondo delle amministrazioni di sostegno a discapito dell’assistenza». Il Presidente ha risposto, manifestando vicinanza e solidarietà per quest’altra ennesima storia che non lascia indifferenti coloro che hanno a cuore la dignità delle persone. In base al dettato costituzionale, però, il Capo dello Stato non può fare nulla di concreto; la lettera di Piero Michele Atzori è stata quindi trasmessa alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ci auguriamo pertanto che Governo e Parlamento si attivino.
Gigi
I dati di inizio 2024 pubblicati su «Vita» parlano di 40-80.000 storie di vessazioni, negligenze, truffe, ricatti, arbìtri, umiliazioni, violenze e ognuna di queste meriterebbe una citazione, ognuna di queste meriterebbe un lieto fine, come quella di Gigi Monello, un lieto fine costruito su un carico emotivo di rabbia e tristezza.
Ex insegnante di filosofia cagliaritano, lo scorso 20 febbraio il professor Monello, dopo tre anni e otto udienze, è stato assolto con formula piena dal Tribunale della sua città dall’accusa di maltrattamenti e stalking ai danni dell’anziana madre Concetta Meli. Ad accusarlo con fatti inventati era stata l’amministratrice di sostegno della donna e come conseguenza della denuncia gli organi giudiziari avevano disposto l’allontanamento di mamma e figlio che avevano sempre vissuto insieme.
Concetta, scomparsa il 1° agosto 2021, ha passato il suo ultimo anno con due estranee e ha potuto vedere Gigi soltanto per tre ore sotto vigilanza, tre ore in un anno. La misura cautelare applicata al professor Monello è la stessa che si infligge quando un marito violento raggiunge il terzo episodio di percosse alla moglie. Niente di paragonabile neppure lontanamente a questa vicenda, definita con ragione dallo stesso protagonista «una memorabile brutalità», mortificato da un processo che in teoria (ci auguriamo di no) potrebbe non essere finito, mancando ancora due gradi di giudizio, e con il pensiero alla mamma privata della sua presenza nella parte terminale della vita.
Alcuni punti fermi
Ho “selezionato” in questo excursus una piccola parte di vicende a titolo esemplificativo; mi sono soffermata sulle istituzionalizzazioni, sull’allontanamento forzato dagli affetti, sulla sostituzione sistematica su ogni aspetto della vita delle persone sottoposte ad amministrazione di sostegno, ma non sono gli unici abusi. Ci sono infatti contraccezioni e aborti forzati, proposte approvate dai giudici tutelari senza nessun tipo di verifica, trattamenti sanitari autorizzati da terzi e spacciati come volontari delle persone con disabilità. Qui l’amministrazione di sostegno si interseca con la disciplina del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) sul quale la Corte Suprema di Cassazione ha posto la questione della costituzionalità con un’Ordinanza prodotta nel mese di settembre dello scorso anno. Chi vi è sottoposto, infatti, non riceve adeguata informazione, non ha diritto al contraddittorio e non viene coinvolto nel processo decisionale che lo riguarda, questo in deroga ai princìpi sulla libertà personale che sono il cuore della nostra Carta Costituzionale.
Mettiamo alcuni punti fermi. La maggior parte degli amministratori e delle amministratrici di sostegno lavorano secondo coscienza, non sostituendosi alle persone, ma fornendo quel supporto all’autonomia per cui la Legge 6/04 è nata. Ci viene detto, quindi, che i 40-80.000 casi di abuso su oltre 400.000 “amministrati” sono una “minoranza”. Non è comunque accettabile e non ci si può nascondere dietro la giustificazione che nessuna normativa è perfetta. Qui stiamo parlando di gravissime violazioni dei diritti umani che riguardano sia le persone con disabilità coinvolte che i loro familiari. Se fossimo noi uno di quei 40.000 risolveremmo con una scrollata di spalle? Potremmo essere noi, l’ho già detto, non è un’ipotesi peregrina. Le timide reazioni alle singole vicende sono il sintomo di una diffusa sconcertante rassegnazione da parte di un sistema da riformare nel quale l’indifferenza è uno degli elementi chiave su cui contano i malfattori.
Se non basta la realtà dei fatti drammatici che abbiamo raccontato – una piccola parte dei tanti, come detto -, va ribadito che l’Italia, con questo comportamento, vìola i trattati internazionali sui diritti dell’uomo. L’articolo 12 della citata Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità afferma il diritto all’autodeterminazione e all’uguaglianza davanti alla legge in ogni àmbito della vita. Il nostro Paese ha ratificato la Convenzione nel 2009 con la Legge 18/09, quindi quel principio è diventato una norma dello Stato che lo Stato per primo deve rispettare, non per fare un favore a una minoranza di cittadini e cittadine, ma perché ha l’obbligo di eliminare ogni ostacolo che limita il diritto delle persone con disabilità a prendere decisioni sulla propria vita. Un Paese moderno e civile quale l’Italia si vanta di essere deve combattere ogni forma di segregazione, discriminazione, sopraffazione e istituzionalizzazione, a maggior ragione se queste vengono compiute attraverso una legge.
L’amministrazione di sostegno non è “cattiva” in se stessa, anzi, è stata voluta per superare la rigida riduzione o soppressione della capacità di agire che caratterizzano l’interdizione e l’inabilitazione, istituti di tutela vecchi che tuttavia continuano a far parte del Codice Civile e ad essere disposti dai giudici tutelari, malgrado siano in palese contrasto con la Convenzione ONU e all’Italia sia stato raccomandato di abrogarli.
Il meccanismo è inceppato, occorre ripartire, rivedere le modalità applicative, mettersi intorno a un tavolo e invitare a quel tavolo le persone che sono state trascinate in situazioni inverosimili insieme ai loro amici e familiari, vittime quanto loro di amministratori e amministratrici di sostegno che hanno trasformato il loro lavoro in un esercizio di potere abusante. Infatti, finché leggiamo la normativa in astratto non arriveremo ad una seria soluzione e non serviranno neppure le sollecitazioni delle Nazioni Unite. Occorre rimettere al centro la persona, è la prima responsabilità a cui siamo chiamati tutti e tutte. Lo dobbiamo alle persone di cui abbiamo raccontato in questo articolo, a chi ancora è sotto il giogo di situazioni simili e chiede giustizia, a volte chiedendolo con il silenzio di chi non ha la forza di ribellarsi. Lo dobbiamo a noi stessi, uomini e donne con o senza disabilità, giovani o anziani. È dannoso e incivile continuare a fingere che in fin dei conti “va tutto bene”, “cosa vuoi che siano 40-80.000 persone” senza il diritto di disporre della propria vita e di viverla in maniera dignitosa…
*Direttrice responsabile di Superando.
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Tra la fine del 2024 e i primi mesi del 2025 sono stati approvati dalle ATS lombarde (Agenzie per la Tutela della Salute) i progetti redatti dagli Ambiti Territoriali per l’attivazione dei Centri per la Vita Indipendente istituiti dalla Legge Regionale della Lombardia 25/22 (Politiche di welfare sociale per il diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità). La nostra Federazione [LEDHA], che nel 2019 aveva avviato il percorso che aveva portato all’approvazione della normativa regionale, ha analizzato tutti i progetti presentati e redatto un primo report di monitoraggio (disponibile integralmente a questo link), il quale vuole essere una fotografia d’insieme delle nuove realtà che stanno prendendo forma nel territorio lombardo, cercando di fare emergere le linee di continuità, le differenze e anche di individuare i punti consolidati e quelli, eventualmente, critici.
Come previsto dalle Linee guida per il funzionamento e la gestione dei Centri per la Vita Indipendente, approvate nel 2023, la proposta di attivare i Centri è stata indirizzata in via preferenziale ai 30 Ambiti Territoriali che gestiscono i fondi Pro.Vi (su un totale di 91 Ambiti attivi in Lombardia), coinvolgendo, nel percorso di progettazione, almeno due Associazioni rappresentative e altri due Ambiti Territoriali. Complessivamente, gli Ambiti coinvolti sono stati 61.
Come previsto dalla normativa regionale, verranno attivati 33 Centri per la Vita Indipendente, di cui due nella città di Brescia e tre in quella di Milano. In altri casi è prevista l’apertura di più sedi che facciano capo allo stesso Centro per la Vita Indipendente, per un totale di 41 sportelli.
I diversi partenariati hanno coinvolto complessivamente 234 enti, di cui 66 pubblici (22 aziende sociali, 25 ambiti, otto Comuni, dieci di altra natura, tra cui alcune ASST-Aziende Socio Sanitarie Territoriali) e 168 enti di Terzo Settore (tra cui 74 Associazioni e 86 Cooperative Sociali).
Tutti i progetti indicano tra le attività quelle previste dalle Linee guida regionali, ovvero le attività di front e back office e di sensibilizzazione della comunità. Inoltre, spesso vengono indicate anche altre attività opzionali previste dalla Linee guida, tra cui, ad esempio, l’orientamento all’accesso a diritti esigibili (16), l’affiancamento nella ricerca dell’assistente personale (17), l’orientamento alle opportunità abitative e alle forme diverse di sostegno all’abitare (15), l’informazione sull’accessibilità di spazi e luoghi di interesse per la persona con disabilità (17), la promozione di gruppi di auto mutuo aiuto (13).
Quasi tutti i progetti (eccetto quattro) indicano in modo esplicito di volersi impegnare in attività di comunicazione, ad esempio con l’attivazione di pagine web, attività sui social e produzione di volantini. In alcuni casi si pensa anche alla realizzazione di newsletter, campagne di sensibilizzazione e all’attivazione della funzione di ufficio stampa.
La lettura e una prima analisi dei progetti ha permesso dunque di tracciare un primo bilancio – con luci e ombre – sull’implementazione dei Centri per la Vita Indipendente in Lombardia.
° La risposta dei Comuni e quella massiccia delle Associazioni, delle Cooperative Sociali e degli altri Enti di Terzo settore è da considerare un’adesione e un sostegno alla proposta riformatrice della Legge Regionale 25/22.
° Forte è l’attenzione a creare le condizioni per fare emergere i desideri, le aspettative, le preferenze e i progetti delle persone con disabilità: l’ambizione di costituire un “luogo nuovo” per sostenere le persone con disabilità (coinvolgendo familiari e operatori) nell’espressione della loro volontà, che è la premessa indispensabile per l’esercizio della libertà di scelta e quindi della vita indipendente.
° La diffusione dei Centri non è omogenea: a tal proposito, una situazione rappresentata in modo plastico è quella del contrasto tra la Provincia di Brescia (con nove Centri per la Vita Indipendente e la quasi totalità degli Ambiti coinvolti) e quella di Sondrio, rimasta completamente esclusa da questo percorso.
° La difficoltà di molti progetti nell’inquadrare e valorizzare il ruolo del “Consulente alla pari” che, in alcuni casi, non viene neanche inserito nell’équipe del Centro, ma viene equiparato alle figure di supporto, che vengono utilizzate a chiamata. Una difficoltà prevedibile e comprensibile, anche perché in Lombardia è difficile trovare oggi persone con disabilità disponibili a svolgere questo compito.
° A fronte di un numero importante di Associazioni di persone con disabilità coinvolte, si nota una spaccatura rispetto al ruolo loro assegnato. In alcuni casi, infatti – tendenzialmente corrispondenti a esperienze pregresse di Agenzie/Centri per la vita indipendente – il loro ruolo è centrale fino ad assumere il ruolo di capofila; in altri sono confinate al ruolo di sostenitori o membri di una cabina di regia.
*La LEDHA è la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
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