Nei mesi scorsi la nostra organizzazione [Gruppo Solidarietà] e l’Istituto Comprensivo Federico II di Jesi (Ancona), capofila della Rete Esina, hanno avviato una collaborazione al fine di conoscere in maniera dettagliata la situazione degli alunni frequentanti gli Istituti della CTI- Rete Esina [CTI è acronimo per Centri Territoriali per l’Inclusione Scolastica, N.d.R.], in attesa di valutazione da parte del Servizio UMEE (Unità Multidisciplinare Età Evolutiva) del Distretto di Jesi. Una scelta maturata a seguito delle fortissime criticità presenti da molti anni in tale territorio (se ne vedano i dati a questo e a questo link).
Alla rilevazione hanno partecipato tutti gli Istituti della Rete e la consegna dei dati è avvenuta alla dello scorso mese di gennaio. La rilevazione stessa riguardava: il numero di alunni in attesa (per i quali la scuola ha segnalato la richiesta di valutazione) e il tempo di attesa dalla richiesta per grado di scuola, con ipotesi di numero di alunni in condizione di disabilità.
Ebbene, il numero totale di alunni in lista di attesa è risultato essere di 190. Di questi si stima: scuola dell’infanzia, 25-30%; scuola primaria, 60-65%; scuola secondaria, 10% circa.
Gli alunni con sospetta condizione di disabilità possono essere ricompresi in una forbice tra il 30 e il 45%. Alla primaria sarebbero quasi il 50%; il 30% alla scuola dell’infanzia.
I dati indicano poi che il 40% attende la valutazione da 3 anni, il 20% da 2 anni, il 30% da un anno, mentre il 10% si riferisce a richieste per l’anno corrente. Si possono anche ipotizzare, in alcuni casi, tempi ancora maggiori (segnalazione avvenuta in un ordine di scuola e valutazione effettuata nell’ordine successivo). I dati della Regione Marche, che risalgono al mese di agosto dello scorso anno, indicavano nel medesimo territorio del Distretto di Jesi un tempo di attesa fino a 4 anni.
Tempi di attesa e numero dei potenziali alunni con disabilità indicano in maniera inequivocabile una situazione di fortissima criticità, che necessita di essere affrontata senza indugi, a partire dall’esigenza di potenziamento dei Servizi UMEE, tenuto conto che l’attesa della valutazione ritarda sia un adeguato percorso di inclusione scolastica, sia gli interventi educativi e riabilitativi.
Per questo motivo, in maniera congiunta con l’Istituto Comprensivo Federico II, ci siamo rivolti con una lettera (disponibile a questo link) ai Servizi Territoriali Sanitari, cui compete la valutazione, e ai Comuni, perché si attivi in via immediata un confronto permanente con le scuole al fine di affrontare problemi che non possono sopportare ulteriori ritardi.
*Il Gruppo Solidarietà ha sede a Moie di Maiolati Spontini (Ancona).
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In corrispondenza con la ventottesima Giornata Nazionale del Braille del 21 febbraio e nel 200° anniversario dell’ideazione del sistema Braille (1825), le Biblioteche Civiche Torinesi e il Servizio Disabilità Sensoriali della Città di Torino promuovono in questi giorni la seconda edizione del programma denominato Toccare per Leggere, ossia una settimana di attività e iniziative organizzate insieme all’UICI di Torino (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e all’APRI (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti), in collaborazione con l’Associazione ConTatto.
Già dal 17, dunque, e fino al 22 febbraio le Biblioteche Civiche torinesi e la sede della Biblioteca Braille (Via Nizza 151, Torino) ospiteranno punti informativi, letture, laboratori e incontri con le scuole, per promuovere e far conoscere il sistema Braille.
L’appuntamento principale si avrà proprio il 21 febbraio, presso la Biblioteca Civica Centrale (Via della Cittadella, 5, ore 16-18, ingresso libero), con un pomeriggio dedicato alla storia e all’attualità del Braille e una particolare attenzione alla notazione musicale. «Il sistema ideato da Louis Braille, musicista egli stesso, consente infatti – sottolineano dall’APRI – l’accesso alla notazione musicale da parte delle persone con disabilità visiva, permettendo di leggere con il tatto tutti gli elementi di uno spartito».
Dopo i saluti istituzionali, sarà Marco Bongi dell’APRI a illustrare il percorso dall’alfabeto allo spartito musicale di Louis Braille, mentre Angelo Panzarea dell’UICI (U.I.C.I.) presenterà il Braille musicale oggi e il fondo della Biblioteca Braille della Città di Torino. I loro interventi saranno intervallati dalle esecuzioni dal vivo per violoncello e chitarra dei musicisti Lorenzo Montanaro e Roberto Turolla.
Una settimana realmente propizia, quindi, per scoprire come il sistema Braille possa superare ogni barriera e per confermare il ruolo delle biblioteche come luoghi di cultura inclusiva e accessibile. (S.B.)
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L’obiettivo è realizzare un corto «per dare voce a chi, ogni giorno, si prende cura degli altri, senza che nessuno si prenda cura di lui/lei»: è stata lanciata pochi giorni fa una campagna di crowdfunding (raccolta foni nel web) su Produzioni dal Basso, per il cortometraggio L’Accuditrice, che affronta una delle più gravi lacune del sistema di welfare italiano, più volte denunciata su queste pagine, ossia l’assenza di riconoscimento per i caregiver familiari.
Diretto da Martina Monaco e prodotto da BeDi Produzioni, il film ha già ottenuto il sostegno della Calabria Film Commission e il patrocinio dell’Associazione CARER.
L’Accuditrice racconta una realtà che coinvolge milioni di persone in Italia, persone che, spesso senza avere avuto la possibilità di scegliere, si trovano a prendersi cura di un familiare non autosufficiente, senza supporto istituzionale né garanzie di tutela lavorativa e previdenziale.
Carmela ha sessant’anni e si prende cura dell’anziana madre Virginia, non più autosufficiente. La quotidianità di Carmela è scandita da responsabilità sempre più gravose, che ne minano l’identità e la salute. Virginia, non accettando la sua condizione, riversa sulla figlia rabbia e frustrazione, trasformando ogni gesto di cura in un peso insopportabile. Quando un incidente la mette di fronte a una verità impossibile da ignorare, Carmela si trova costretta a prendere una decisione dolorosa che la lascerà con interrogativi irrisolti sulla natura dell’amore e dell’accudimento.
«In meno di una settimana, quasi d’istinto, avevo buttato giù una prima, caotica versione della sceneggiatura. Non era perfetta, ma sentivo l’urgenza bruciante di mettere su carta alcune immagini strazianti che non riuscivo a togliermi dalla mente. Era come se avessi bisogno di liberarmene, di dar loro un senso», racconta Martina Monaco.
«Dopo avere scritto, mi sono fermata a riflettere su ciò che avevo visto e vissuto. Quelle immagini non rappresentavano solo un dolore personale: erano la testimonianza di una realtà più grande, più complessa. Ho capito che avevo raccontato uno spaccato di società dimenticata, una realtà inerme e invisibile che gridava di essere riconosciuta. Quello che mia zia aveva vissuto con mia nonna per anni, nel silenzio e nella solitudine, aveva finalmente un nome, un volto, una voce», continua la regista.
Secondo stime attendibili, in Italia oltre 8 milioni e mezzo di individui si prendono cura di un familiare malato o con disabilità, di cui la maggioranza sono donne che spesso sacrificano carriera, vita sociale e salute mentale senza alcuna tutela. L’Italia resta uno dei pochi Paesi in Europa a non avere una legislazione dedicata a questa figura indispensabile, che ha un carico di lavoro invisibile enorme, spesso ignorato anche dai sistemi istituzionali, e che porta molti a soffrire di stress cronico, ansia e depressione senza che ci siano tutele o aiuti adeguati. (C.C.)
Per ulteriori informazioni: accuditrice@gmail.com.L'articolo “L’Accuditrice”: un corto per dare voce a chi vive per prendersi cura degli altri proviene da Superando.
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In occasione della Giornata Nazionale del Braille del 21 febbraio e nel segno della nota campagna M’illumino di meno, promossa ormai da molti anni dal programma radiofonico Caterpillar, il Museo Tattile Statale Omero di Ancona organizza un evento per vivere totalmente l’esperienza multisensoriale connessa alla mostra L’ombra vede di Enzo Cucchi (ne abbiamo raccontato l’apertura in questo pezzo).
«Per comprendere appieno un’opera – racconta lo stesso Enzo Cucchi – bisogna vederla solo al buio; perché le cose si conservano all’ombra e al buio» e per guardare il mondo, aggiunge, «si dovrebbe mettere la testa per terra, come le zucche, e le mani sulle cose».
Nel pomeriggio del 21 febbraio, dunque, dalle 17.30, «attraverseremo al buio una grotta, per esplorare tre sculture solo con le mani, e poi ci soffermeremo nell’aia per ascoltare il brano Il grano», raccontano gli organizzatori dell’evento. A leggere il brano, trascritto in Braille, saranno due persone cieche.
Si tratta, ricordiamo, di una breve testimonianza del padre dell’artista, Giuseppe Cucchi, raccolta da Brunella Antomarini. Il padre narra la propria vita di contadino nelle campagne di Morro D’Alba (Ancona), con la sua ritualità, fatica e sensorialità. Si potranno al contempo vivere in semi oscurità tutte le altre opere esposte: 4 disegni inediti e 38 sculture realizzate con materiali diversi: bronzo, marmo, ceramica, legno. (C.C.)
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Non cessano purtroppo di arrivare notizie quanto meno inquietanti dagli Stati Uniti, sul piano dei diritti. Abbiamo infatti già ampiamente riferito, in queste settimane, dello smantellamento, da parte dell’Amministrazione Trump, del Programma DEI (Diversity, Equity and Inclusion), che da decenni rappresenta un pilastro della sicurezza sociale americana, sia a livello nazionale che internazionale. Si tratta, lo ricordiamo, di un insieme di strumenti concreti per garantire pari opportunità e abbattere le barriere che limitano milioni di cittadini negli Stati Uniti e, attraverso l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), per sostenere le comunità più vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo.
Abbiamo inoltre registrato un altro provvedimento che congela i fondi federali a favore dell’inclusione delle persone statunitensi con disabilità, si spera momentaneamente, come sottolineato su queste pagine dall’Associazione sammarinese Attiva-Mente.
Da un lancio di agenzia prodotto nella notte scorsa dall’AGI, apprendiamo ora, come si può leggere testualmente, che «l’Amministrazione Trump ha dato due settimane di tempo a scuole e college americani, per eliminare i programmi di inclusione verso afroamericani, latinos, disabili, gay e transgender, altrimenti perderanno i contributi federali».
Tale comunicazione è arrivata tramite una nota inviata dal Dipartimento dell’Istruzione, costringendo dunque le scuole e i college del proprio Paese «a decidere entro 14 giorni se difendere princìpi in cui credono o rinunciare per non perdere i fondi».
«Il Programma DEI – conclude la nota dell’Agenzia AGI -, acronimo che sta per “Diversità, Equità e Inclusione”, è servito a dare sostegno alle minoranze e alle fasce deboli nell’accettazione nei college, per riequilibrare la partecipazione dominante degli studenti bianchi. L’Amministrazione USA vuole che dai programmi scolastici spariscano lezioni e corsi che parlano dello schiavismo, della ghettizzazione dei neri e delle discriminazioni razziali e per genere». (S.B.)
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Nel novembre del 1943, sul Monte San Martino, nei pressi di Varese, viene combattuta una delle prime battaglie della Resistenza. A battersi contro i nazifascisti è un gruppo di partigiani che va oltre le differenti ideologie: ci sono soldati, studenti, operai. Ma sul Monte San Martino c’è anche Villa San Giuseppe, una casa di soggiorno estivo per giovani donne, le allieve dell’“Istituto Sordomute Povere di Milano” il cui destino si incrocia con quello della battaglia.
A raccontare questa storia, attraverso la prospettiva unica delle “sordomute povere”, ospitate in quella casa di villeggiatura, ci pensa uno spettacolo teatrale, Il silenzio del vento, che andrà in scena nella serata di venerdì 21 febbraio al Centro Culturale Asteria di Milano (Piazza Francesco Carrara, 17, ore 21).
Proposto nell’anno in cui ricorre l’ottantesimo anniversario della Liberazione, Il silenzio del vento è un affresco di quei giorni drammatici e tocca tre argomenti diversi tra loro: la Resistenza, cercando di dare la giusta importanza a un episodio che non ha ancora avuto la doverosa visibilità; la condizione della donna in quei giorni; e naturalmente la disabilità uditiva.
Scritto con i moderni canoni del teatro narrazione, lo spettacolo racconta dunque molte storie: quella di una battaglia, quella di ideali che in quei giorni oscuri sembravano perduti, quella della rassegnazione e della forzata emarginazione sociale di giovani donne cui il destino aveva riservato una vita senza suoni. E poi la storia di un’educatrice, di una donna messa dal destino di fronte a scelte drammatiche.
Alla fine della battaglia, quando ogni rumore sarà svanito, resterà solo il vento, il cui soffio cercherà di portare via tutto quanto, lasciando uno spiraglio di luce dove sembrano esserci soltanto ombre e buio. La speranza che non tutto, alla fine, sia davvero perduto.
Il progetto è stato realizzato con il contributo del Pio Istituto dei Sordi di Milano in occasione delle celebrazioni per il suo 170° anniversario e con la collaborazione del Centro Culturale Asteria. I testi sono di Antonio Zamberletti, l’interprete è Elisa Baio, le musiche originali e la regia sono di Daniele Cortese. (C.C.)
Lo spettacolo sarà accessibile alle persone con disabilità uditiva mediante servizio di sovratitolazione in italiano. La presentazione dello spettacolo stesso sarà accessibile mediante sottotitolazione in diretta e interpretariato LIS. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Per ulteriori informazioni: attivita@pioistitutodeisordi.org.L'articolo In scena “Il silenzio del vento”: la Resistenza, la condizione della donna e la disabilità uditiva proviene da Superando.
Anche quest’anno ci siamo lasciati alle spalle il Festival di Sanremo. La più importante vetrina della musica italiana è un evento totalizzante: oltre alla diretta su RaiUno, i quotidiani e i loro siti internet, le radio e i social fanno a gara per pubblicare quanti più contenuti possibile (interviste, retroscena, meme e gossip) su cantanti, ospiti e conduttori. Nel bene e nel male, dunque, ignorare Sanremo è impossibile.
Anche quest’anno sul palco dell’Ariston si è parlato di disabilità. Purtroppo, come spesso è già accaduto in passato, lo si è fatto male. Prima con un ricordo di Sammy Basso, presentato come «essere umano meraviglioso» che «nonostante tutto amava la vita» e poi con uno spettacolo del Teatro Patologico i cui attori sono stati presentati come «persone affette da disabilità» da Carlo Conti. Ed è stato detto che «senza di loro la vita sarebbe una noia mortale».
Già durante la serata tante persone con disabilità attente ai temi del linguaggio hanno stigmatizzato questi episodi, soprattutto sui loro profili social. Per Lisa Noja, avvocato e consigliera regionale in Lombardia, il modo in cui Conti ha presentato il Teatro Patologico «è un concentrato da manuale di abilismo indecente».
Iacopo Melio, consigliere regionale in Toscana, ha stigmatizzato sia l’uso della storia di Sammy Basso come «inspiration porn» sia l’infantilizzazione degli attori del Teatro Patologico.
E ancora, la giornalista Marina Cuollo ha sottolineato come il «purché se ne parli» non possa più essere «un alibi per comunicare la disabilità senza una reale competenza».
Le persone con disabilità e le loro storie meritano rispetto, meritano di essere raccontate con dignità, senza paternalismo e senza pietismo. Soprattutto, le loro storie non devono essere ridotte a “modelli” di coraggio, di sopportazione, di “capacità di superare le barriere”. Le persone con disabilità non devono “ispirare” nessuno. Non sono modelli di determinazione per il semplice fatto di alzarsi al mattino, andare a scuola o all’università, lavorare, fare sport e così via.
Per questo la nostra Federazione [LEDHA] lancia una raccolta firme su Change.org, per fare una richiesta al direttore generale della Rai, Roberto Sergio, all’amministratore delegato Rai, Giampaolo Rossi, e al direttore artistico di Sanremo, Carlo Conti: nell’edizione 2026 del Festival di Sanremo non occupatevi di disabilità. Non invitate persone con disabilità sul palco, a meno che in gara non ci sia un cantante con disabilità, ovviamente. Niente monologhi, niente celebrazioni, niente testimonianze. Niente.
Chiediamo che il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità. E che, approfittando di questa pausa, gli autori del Festival si prendano il tempo per studiare e informarsi meglio su questo tema, ascoltando – ad esempio – le parole di Franco Bomprezzi e il Ted Talk della giornalista inglese Stella Young (I’m not your inspiration, thank you very much).
Li invitiamo a parlare con i giornalisti che si occupano da anni di questi argomenti e lo fanno con grande attenzione alle parole e alla rappresentazione delle persone con disabilità. Li invitiamo a confrontarsi con le Associazioni di persone con disabilità, siamo qui anche per questo.
*Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
Sul medesimo tema qui trattato, segnaliamo anche, sulle nostre pagine, il testo Teatro Patologico: attori e attrici, non persone che “soffrono di disabilità”! (a questo link).L'articolo Il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità! proviene da Superando.
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