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Lombardia: aumentate le risorse per la non autosufficienza

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Il provvedimento con cui il 30 dicembre scorso la Giunta Regionale della Lombardia ha approvato il programma operativo regionale del Fondo Nazionale Non Autosufficienza per il 2025 «ha accolto le richieste presentate dalle Associazioni di persone con disabilità nel corso del 2024», come commenta il presidente della Federazione LEDHA Alessandro Manfredi, che sottolinea ora la necessità di «concentrare l’impegno per favorire i percorsi di indipendenza delle persone con disabilità»

Come informa la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della Federazione FISH), «il 30 dicembre scorso la Giunta Regionale della Lombardia ha approvato il programma operativo regionale del Fondo Nazionale Non Autosufficienza per il 2025, tramite un’importante Delibera, arrivata al termine di un anno durante il quale la nostra organizzazione, la FAND Lombardia e tante Associazioni di persone con disabilità si sono battute per chiedere che venissero stanziate risorse adeguate per garantire il diritto all’assistenza e a scegliere come vivere».

Si parla, nello specifico, della Deliberazione di Giunta Regionale XII/3719, con cui si è stabilito di integrare le risorse stanziate dal Governo (pari a 145 milioni di euro) con ulteriori 47,2 milioni di euro (a fronte dei 25 milioni di euro stanziati complessivamente nel 2024). A questi si aggiungono i 14,6 milioni di euro del Fondo Sanitario Regionale (13 milioni lo scorso anno). «Il co-finanziamento della Regione Lombardia – sottolineano dalla LEDHA – rende possibile il mantenimento delle misure del 2024 a fronte di un costante aumento del numero dei beneficiari della Misura B1 [destinata ai caregiver familiari che assistono persone con grave e gravissima disabilitò, N.d.R.], scongiurando così la formazione di liste d’attesa. Per le persone con disabilità che beneficiano della Misura B1 non vi saranno quindi cambiamenti rispetto alla situazione che si era venuta a creare a inizio agosto 2024: restano infatti invariati sia i contributi per il sostegno ai caregiver familiari e agli assistenti personali, sia la quota di “servizi diretti” che i Comuni dovranno garantire ai beneficiari».

Tra le altre novità contenute nel provvedimento del 30 dicembre, da segnalare anche, oltre a una semplificazione delle procedure di rinnovo delle domande di prosecuzione della presa in carico, l’incremento del fondo destinato ai Voucher autismo che arriva a 8 milioni e mezzo di euro.

«La Delibera – commenta Alessandro Manfredi, presidente delle LEDHA – ha accolto le richieste presentate dalle Associazioni di persone con disabilità nel corso del 2024, il che ci permette di guardare all’anno che è appena iniziato concentrando il nostro impegno per favorire i percorsi di indipendenza delle persone con disabilità, in linea con quanto previsto dalla Legge Regionale 25/22 sulla vita indipendente, sulla cui attuazione ci aspettiamo passi avanti importanti». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@ledha.it.

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Pregiudizi e violenza nei confronti delle donne con disabilità: gli ultimi dati della Polizia Criminale

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Nel periodo ottobre 2023-settembre 2024 sono stati rilevati 540 reati commessi nei confronti di donne con disabilità, con un incremento del 66% rispetto alla rilevazione precedente dell’analogo periodo. È questo uno dei dati contenuti nell’ultimo rapporto pubblicato dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale, intitolato Il Punto – Il pregiudizio e la violenza contro le donne all’interno del quale vi è anche uno specifico capitolo dedicato alla violenza nei confronti delle donne con disabilità L’immagine di copertina del rapporto prodotto dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale

Come da prassi ormai collaudata, il 25 novembre scorso, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, la Direzione Centrale della Polizia Criminale, un ufficio interforze del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ha pubblicato il proprio rapporto in tema di violenza di genere. Il Punto – Il pregiudizio e la violenza contro le donne, questa la denominazione del documento, liberamente fruibile a questo link. All’interno di esso è possibile trovare anche un capitolo dedicato alla violenza nei confronti delle donne con disabilità (pagine 47-53), curato dall’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori), organo specializzato nei crimini d’odio e in tutte le forme di violenza di genere.

Il rapporto contiene e analizza i dati provenienti da tutte le Forze di Polizia, confrontati e integrati attraverso le fonti aperte e con le informazioni provenienti dai presìdi territoriali della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri. Esso inoltre presta particolare attenzione ai cosiddetti “reati spia”, evidenziando come, nei primi sei mesi del 2024, vi sia stato un aumento del 6% degli atti persecutori, il cosiddetto stalking, reato che colpisce le donne nel 74% dei casi; vi è stato inoltre un aumento del 15% anche per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, che interessano le donne nell’81% dei casi; infine, è segnalato un incremento dell’8% dei casi di violenza sessuale, che nel 91% dei casi ha come vittime delle donne (di cui il 28% minorenni).
Per ulteriori dettagli rimandiamo al rapporto stesso, in questa sede ci focalizzeremo sui dati relativi alla violenza nei confronti delle donne con disabilità.

Il capitolo dedicato a quest’ultimo tema mette subito in evidenza che le «donne e appartenenti a categorie vulnerabili, vivono una doppia discriminazione che le rende esposte a forme ulteriori e peculiari di sopraffazione» (pagina 48, la formattazione differisce da quella originale in questa e nelle successive citazioni testuali). Sono quindi richiamate alcune diposizioni inerenti alle donne con disabilità contenute nella Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica approvata dal Parlamento Europeo il 24 aprile dello scorso anno (su questo tema si veda anche a questo link).

«Per quanto riguarda i crimini nei confronti delle donne con disabilità, l’OSCAD ha potuto verificare, nel tempo, alcune peculiarità ricorrenti nelle condotte illecite (affiancate a quelle tipiche dei crimini d’odio) che caratterizzano questi reati – si legge ancora nel rapporto –. Una di queste è la consapevolezza, da parte dell’autore dell’abuso, di rivolgere la sua violenza nei confronti di una persona che può opporre soltanto una limitata difesa rispetto all’offesa subita, vuoi per ragioni cognitive, vuoi per ragioni fisiche. Quindi assistiamo, ad esempio, a casi di abuso e approfittamento su donne con disabilità ricoverate in strutture sanitarie. In questi casi, le vittime rappresentano un bersaglio facile per alcune condotte tipiche della violenza di genere, come i maltrattamenti in famiglia e le violenze sessuali. Un’altra caratteristica che si rileva molto spesso in questa tipologia di reati è lo stato di isolamento. Molte vittime con disabilità, infatti, non denunciano quanto loro accaduto e, cosa ancora più grave, non riescono neanche a chiedere aiuto. Molte vittime non hanno gli strumenti per rappresentare ad altri le violenze subite o, talvolta, lo stato di abbandono in cui versano, dovuto alla negligenza di chi è deputato ad occuparsi di loro. Non di rado, le due caratteristiche coesistono nei casi di violenza domestica nei confronti di donne con disabilità, violenza spesso usata dalle persone deputate alla loro cura e protezione» (pagine 48-49).

Anche in relazione ai reati nei confronti delle donne con disabilità sono stati prodotti i dati relativi ai “reati spia” della violenza di genere – Maltrattamenti contro familiari o conviventi, Violenza sessuale e Atti persecutori – con riferimento al periodo 1° ottobre 2023-30 settembre 2024. Ebbene, dall’analisi effettuata risulta un totale di 540 reati commessi nei confronti di donne con disabilità, con un conseguente incremento del 66% rispetto al monitoraggio realizzato nell’analogo periodo precedente (quando vennero rilevati 324 reati). Nel testo non sono riportati i dati relativi alle annualità precedenti perché prodotti utilizzando un metodo di raccolta differente.
Entrando nel dettaglio, «si evidenziano, in particolare, 319 casi (di cui 15 nei confronti di minori) di maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.) commessi nei confronti di donne con disabilità. Per quanto riguarda la violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), sono stati riscontrati 94 episodi (di cui 11 nei confronti di minori), mentre, riguardo agli episodi in cui è stato contestato il reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) si contano 127 casi (di cui 32 nei confronti di minori)» (pagina 49).

In merito al significativo incremento dei reati rispetto alle annualità precedenti è specificato che esso «è dovuto al miglioramento/consolidamento della qualità del dato in virtù dell’innovazione introdotta, a partire dal 1° ottobre 2022, dal Servizio per il Sistema Informativo Interforze della Direzione Centrale della Polizia Criminale, che ha inserito nel Sistema d’Indagine (SDI), per la categoria “persona offesa”, un campo specifico denominato “disabile/invalido/portatore di handicap”. Tale innovazione ha permesso di ottenere una più puntuale categorizzazione dei dati e, conseguentemente, una maggiore propensione al monitoraggio del fenomeno. Il dato in aumento può essere letto anche come un effetto dell’emersione del fenomeno dovuto alla continua attività di sensibilizzazione realizzata dall’Osservatorio attraverso una serie di eventi territoriali dedicati alle vittime dell’odio. La tematica è, altresì, affrontata dall’OSCAD nel corso delle attività di formazione destinate alle Forze di Polizia, finalizzate a scongiurare il cosiddetto fenomeno dell’“under-recording” [letteralmente: “sotto-registrazione”, N.d.R.] ovvero, in questo caso, il mancato riconoscimento da parte degli operatori delle Forze dell’Ordine delle condotte di abuso o approfittamento della condizione di disabilità della vittima poste in essere dall’autore del reato» (pagine 49-50).

Oltre ad una descrizione puntuale relativa ai “reati spia” e al loro andamento, viene preso in esame un caso specifico che presenta caratteristiche emblematiche. Quello che il 17 aprile 2024, a conclusione di un’articolata attività investigativa, ha portato la Squadra Mobile della Questura di Ancona a sottoporre alla misura degli arresti domiciliari una coppia di coniugi, titolari di un appartamento adibito a struttura per ospitare donne con problematiche psichiatriche.
L’uomo, già precedentemente arrestato in flagranza di reato per violenza sessuale ai danni di una delle pazienti, è stato accusato di violenza sessuale aggravata e continuata nei confronti di altre quattro donne ospiti della struttura, mentre la moglie è stata arrestata per maltrattamenti e lesioni aggravate ai danni di cinque ospiti della struttura, tutte interessate da gravi problemi psichiatrici.
In merito al caso in questione, nel rapporto viene segnalato come le condotte maltrattanti realizzate dai responsabili della struttura, oltre alle responsabilità per le violenze sessuali e le lesioni aggravate, richiamino le varie forme di violenza a cui possono essere sottoposte le donne con disabilità. «In particolare, è possibile evidenziare la condotta dell’isolamento a cui erano costrette le pazienti alle quali veniva sottratto il telefono ed erano costrette a vivere in stanze con le finestre chiuse da lucchetti. Inoltre, è possibile evidenziare le condotte della coercizione e della minaccia procurate attraverso la sottrazione del cibo alle donne ricoverate e le lesioni conseguenti alle punizioni fisiche» (pagina 52).

Il capitolo si conclude con un box dedicato ai pregiudizi, agli stereotipi e all’uso del linguaggio. In particolare sono riportati i pregiudizi e gli stereotipi più diffusi riferiti alla donna con disabilità: asessuata; indifesa; dipendente; infantile; non intelligente e non in grado di comprendere quanto le accade intorno; non credibile e non meritevole di rispetto; incapace di comprendere l’abuso; incapace di gestire la propria vita, prendere decisioni o contribuire alla società; rappresentare un peso per gli altri; essere priva di freni inibitori sul piano sessuale.

In conclusione, il rapporto promuove un uso consapevole e corretto del linguaggio, facendo presente come il Decreto Legislativo 62/24 abbia abolito e sostituito le precedenti definizioni relative alla condizione di disabilità ancora presenti nella normativa, introducendo quelle di “persona con disabilità” e, appunto, di “condizione di disabilità”. Ciò che ha permesso di superare una terminologia, ancora diffusamente utilizzata, ma che risulta obsoleta e potenzialmente discriminatoria. Tale innovazione è stata prontamente recepita dal «Dipartimento della Pubblica Sicurezza e dall’Arma dei Carabinieri che, con specifiche circolari hanno sensibilizzato le articolazioni, fino ai minori livelli ordinativi, sulla necessità di recepire con immediatezza la nuova terminologia negli atti redatti e, in generale, nell’attività comunicativa istituzionale» (pagina 53).

Come già in precedenti occasioni, su queste stesse pagine, esprimiamo apprezzamento per l’attenzione della Direzione Centrale della Polizia Criminale e dell’OSCAD per la rilevazione dei dati disaggregati per la disabilità della vittima riguardo ai reati commessi nei confronti delle donne. Quindi torniamo ancora una volta ad auspicare che questa metodologia venga applicata anche in tutte le altre rilevazioni in materia di violenza di genere, sia perché lo stesso rapporto preso in esame ha evidenziato come le innovazioni introdotte nella raccolta dei dati abbiano permesso rilevazioni più accurate del fenomeno, sia perché queste rilevazioni si riferiscono solo ai casi che sono giunti all’attenzione delle Forze dell’Ordine, ossia a un’esigua minoranza del complesso dei casi di violenza ai danni delle donne con disabilità.

*Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo di approfondimento è già apparso. Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Marina Apollonio oltre lo sguardo

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Nell’àmbito della mostra Marina Apollonio. Oltre il cerchio, in corso a Venezia presso la Collezione Peggy Guggenheim, quest’ultima proporrà l’11 e il 12 gennaio un appuntamento straordinario del proprio programma di accessibilità alle persone con disabilità visiva Doppio Senso, vale a dire l’iniziativa Doppio Senso Masterclass. Oltre lo sguardo, laboratorio dedicato alla pratica artistica di Marina Apollonio, una tra le maggiori esponenti dell’arte optical e cinetica internazionale “Oltre il cerchio” di Marina Apollonio alla Collezione Guggenheim di Venezia (foto di Arianna Ferraretto)

Nell’àmbito della mostra Marina Apollonio. Oltre il cerchio, in corso a Venezia presso la Collezione Peggy Guggenheim, quest’ultima proporrà un appuntamento straordinario del proprio programma di accessibilità Doppio Senso: percorsi tattili alla Collezione Peggy Guggenheim, con il quale il noto museo di Palazzo Venier dei Leoni ha aperto ormai da anni il proprio patrimonio artistico – come abbiamo raccontato in diverse occasioni sulle nostre pagine – anche al pubblico con disabilità visive, iniziando un processo di sensibilizzazione alla conoscenza dell’arte attraverso il tatto, grazie a una serie di visite guidate e laboratori per non vedenti, ipovedenti e vedenti.
Si tratta dell’iniziativa Doppio Senso Masterclass. Oltre lo sguardo, ovvero un laboratorio di due giorni, dedicato appunto alla pratica artistica di Marina Apollonio, una tra le maggiori esponenti dell’arte optical e cinetica internazionale, in programma per sabato 11 e domenica 12 gennaio.

«Come si può fruire dell’arte optical andando oltre lo sguardo? – si legge nella presentazione dell’iniziativa -; si possono percepire il movimento o le illusioni ottiche anche senza vedere? Partendo da un’introduzione teorica su ottica e percezione visiva, il workshop permetterà di sperimentare diverse tecniche scultoree nonché pratiche artistiche basate sull’uso del corpo, con il fine di indagare e sfidare le consolidate regole del vedere».
A guidare l’esplorazione tattile sarà Valeria Bottalico, ideatrice e curatrice del programma Doppio Senso, mentre il workshop di scultura sarà curato e condotto da Felice Tagliaferri, scultore con disabilità visiva. (S.B.)

La partecipazione sarà gratuita (previa iscrizione tramite questo link), fino a esaurimento posti. Per ulteriori informazioni: doppiosenso@guggenheim-venice.it.

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Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità: servono azioni più forti e concrete

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La Commissione Europea conferma l’aggiornamento della Strategia sui Diritti delle Persone con Disabilità «con azioni incisive»: garantire l’accessibilità degli spazi pubblici e dei trasporti, assicurare la vita indipendente ed eliminare gradualmente le strutture segreganti (come le istituzioni residenziali) sono state le ulteriori richieste al centro del dibattito al Parlamento Europeo Hadja Lahbib, commissaria europea per la Preparazione, la Gestione delle Crisi e l’Uguaglianza

La Strategia Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 sarà aggiornata «con azioni incisive»: la conferma è arrivata dalla Commissione Europea, durante un dibattito all’Europarlamento il 19 dicembre scorso. Per l’occasione, infatti, la commissaria europea per la Preparazione, la Gestione delle Crisi e l’Uguaglianza Hadja Lahbib, ha dichiarato: «Durante il primo anno del mio mandato, intendo comunicare al Parlamento Europeo e al Consiglio le nuove azioni e iniziative di punta che aiuteranno a colmare le lacune rimanenti». In particolare ha voluto aprire il dibattito con queste parole: «Sarò una forte sostenitrice delle persone con disabilità, potete contarci!».

Lahbib ha poi voluto sottolineare i risultati della precedente Legislatura Europea e in particolare le Direttiva sulla Carta Europea della Disabilità (European Disability Card) e sul Contrassegno Europeo di Parcheggio (European Parking Card for persons with disabilities), le Linee Guida sulla Vita Indipendente e l’Inclusione nella Comunità, il monitoraggio dell’attuazione della Direttiva Europea sull’Accessibilità (European Accessibility Act) e della Direttiva sull’Accessibilità del Web (Web Accessibility Directive), nonché l’istituzione di AccessibleEU, il Centro sull’Accessibilità dell’Unione Europea.
Dal canto loro, i membri del Parlamento Europeo hanno preso la parola per chiedere una seconda fase della Strategia con azioni più forti e concrete, azioni che dovrebbero essere pianificate in stretta collaborazione con le organizzazioni delle persone con disabilità. La stragrande maggioranza dei membri di tutti i gruppi politici si è focalizzata anche sulla necessità di garantire un’occupazione equa e inclusiva per le persone con disabilità, anche attraverso obiettivi nazionali.
Garantire l’accessibilità degli spazi pubblici e dei trasporti, assicurare la vita indipendente ed eliminare gradualmente le strutture segreganti (come le istituzioni residenziali) sono state le ulteriori richieste al centro del dibattito.
Tra le altre sfide sollevate, quella specifica a favore delle donne e delle ragazze con disabilità e la necessità di sollevare le persone con disabilità dalla povertà.
Il dibattito si è concluso con l’impegno a lavorare in stretta collaborazione con le organizzazioni delle persone con disabilità per colmare le “grandi lacune” nei diritti delle persone con disabilità. (C.C. e S.B.)

Ringraziamo per la collaborazione l’EDF (European Disability Forum).

È possibile rivedere il dibattito del 19 dicembre scorso al Parlamento Europeo a questo link.

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Fondamentale la collaborazione del Garante con le organizzazioni di persone con disabilità

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«Accogliamo con fiducia la formalizzazione della figura del Garante Nazionale. Sarà però fondamentale e indispensabile che il Garante stesso lavori in stretta collaborazione con le Federazioni, con le Associazioni e con gli Osservatori dedicati, come indicato dal Decreto istitutivo»: così la Federazione FISH commenta l’avvio dell’attività del Garante Nazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità, presieduto da Maurizio Borgo Maurizio Borgo, avvocato, è stato nominato Garante Nazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità

«Assicuro che profonderò, insieme ai componenti dell’Autorità, ogni sforzo perché le azioni del Garante possano contribuire – in sinergia con le due Federazioni FAND e FISH e le innumerevoli Associazioni che operano, quotidianamente, per la promozione e la tutela dei diritti delle persone con disabilità – a migliorare la qualità di vita di ogni persona e delle famiglie»: lo ha dichiarato l’avvocato Maurizio Borgo, subito dopo essere stato nominato quale Garante Nazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità, figura istituita, com’è noto, dal Decreto Legislativo 20/24 (in applicazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità) e attiva dal 1° gennaio di quest’anno. Ad affiancare Maurizio Borgo nel Collegio del Garante saranno Antonio Pelagatti e Francesco Vaia.

«Accogliamo con fiducia la formalizzazione della figura del Garante Nazionale – si legge in una nota diffusa dalla FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) – ritenendo che l’ufficio di esso possa rappresentare un presidio importante per rendere effettivi i diritti delle persone con disabilità e contrastare ogni forma di discriminazione. E tuttavia, perché ciò avvenga, sarà fondamentale e indispensabile che il Garante lavori in stretta collaborazione con le Federazioni, con le Associazioni e con gli Osservatori dedicati, come indicato dal Decreto istitutivo».

«Dal canto nostro – concludono dalla Federazione – continueremo a impegnarci, in uno spirito di collaborazione costruttiva, per garantire che le istanze delle persone con disabilità e delle loro famiglie trovino sempre più ascolto e risposte concrete. I diritti umani e la loro tutela sono infatti per noi un’esigenza irrinunciabile». (S.B.)

Sulla figura del Garante suggeriamo la lettura, sempre sulle nostre pagine, del contributo di Giampiero Griffo intitolato Un organismo indipendente per i diritti umani delle persone con disabilità (a questo link). Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Il percorso compiuto e le sfide future della FISH Friuli Venezia Giulia

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FISH Friuli Venezia Giulia protagonista agli Stati Generali della Disabilità e anche ai 30 anni della FISH nazionale. «Ora – dice il presidente della Federazione Giampiero Licinio – è necessario lavorare su caregiver familiare, formazione per gli assistenti personali, accesso alla cure, accessibilità nei trasporti e nel turismo, anche come leva strategica per lo sviluppo economico e sociale della Regione. E penso a Gorizia che in questo 2025 è Capitale Europea della Cultura insieme a Nova Gorica» Giampiero Licinio, presidente della FISH Friuli Venezia Giulia

L’attivazione nel Friuli Venezia Giulia dell’Osservatorio Regionale sulle persone con disabilità, in linea con i princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e il lavoro di 20 Sportelli FVG di supporto e orientamento alle Associazioni, portati avanti in collaborazione con la Federazione del Volontariato del Friuli Veenezia Giulia (Federvol FVG), sono stati i principali temi emersi dagli Stati Generali Disabilità in Friuli Venezia Giulia, organizzati in dicembre dalla FISH Regionale. La stessa FISH Friuli Venezia Giulia è stata infatti protagonista sia agli Stati Generali della Disabilità e anche all’evento di Roma per i 30 anni della FISH Nazionale, che ha coinciso con il cambio di nome di tale organizzazione, divenuta Federazione italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie.
«Questi due appuntamenti – dichiara Giampiero Licinio, presidente della FISH Friuli Venezia Giulia – sono stati fondamentali nel percorso di crescita che la nostra Federazione sta portando avanti, per questo ringrazio il presidente nazionale della FISH Falabella per l’opportunità. Così come è stato importante il confronto con altre esperienze territoriali. Su tutte quella della LEDHA e dell’AVI Umbria. Si conferma dunque la centralità della rete associativa, indispensabile per rafforzare il ruolo del Terzo Settore e migliorare il dialogo con le Istituzioni. Ora è necessario lavorare su caregiver familiare, formazione per gli assistenti personali, accesso alla cure, accessibilità nei trasporti e nel turismo, anche come leva strategica per lo sviluppo economico e sociale della Regione. E penso a Gorizia, che in questo 2025 è Capitale Europea della Cultura insieme a Nova Gorica. Dal canto nostro confermiamo l’impegno per costruire una società inclusiva e rispettosa dei diritti di tutte le persone con disabilità. La strada da percorrere passa dalla collaborazione tra reti locali e nazionali, dal dialogo costruttivo con le Istituzioni e da un costante impegno per garantire alle persone con disabilità e alle loro famiglie un ruolo da protagonisti nella vita sociale ed economica della Regione».

Per quanto riguarda il citato appuntamento di Roma, esso ha rappresentato per la FISH Friuli Venezia Giulia un momento di riflessione sul percorso compiuto e sulle sfide future. Il presidente Licinio vi è intervenuto sottolineando il lavoro che la propria Federazione regionale sta conducdendo sul proprio territorio, sia con il supporto della FISH Nazionale che dell’ANFFAS Friuli Venezia Giulia. «La dimostrazione del nostro ruolo centrale sul territorio – si legge in una nota della FISH Regionale – è data, in particolare, dalle istanze accolte nella Legge Regionale 16/22 sugli interventi a favore delle persone con disabilità e sul riordino dei servizi sociosanitari in materia». (C.C. e S.B.)

Per ulteriori informazioni: segreteria@fishfvg.it.

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Esperienze tattili: un corso di formazione

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Vedere oltre: Educare all’Arte, alle tecniche e alle espressioni creative: è questo il nome del corso (edizione 2025), organizzato dall’IRIFOR di Roma (Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI), in collaborazione con l’Associazione Museum e con l’UICI della Capitale (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), iniziativa rivolta a tutti gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, a docenti universitari, operatori turistici, curatori museali e genitori di bambini-bambine/ragazzi-ragazze con disabilità visiva

Ti chiameranno per nome
Ti chiameranno per nome / Non sarai più quello cieco, / quella sorda,
quello matto, /
quella obesa, / quello malato / o quella drogata.
Ti chiameranno per nome / Non sarai più una disabilità,
una categoria, / né un gruppo, / né una tipologia.
Ti chiameranno per nome / Non sarai più quello che non hai,
né solo ciò che superficie sporge.
Ti chiameranno per nome / Non sarai più l’etichetta
che umana dignità muore.
Ti chiameranno per nome / Sarai Persona / sarai ciò che sei
sarai l’unicità / che vita nasce.
Ti chiameranno per nome / Sarai dentro e fuori / sarai anche oltre.
Finalmente ti chiameranno per nome.
Laura Anfuso

Esplorazione tattile di un’opera d’arte

Vedere oltre: Educare all’Arte, alle tecniche e alle espressioni creative: è questo il nome del corso (edizione 2025), organizzato dall’IRIFOR di Roma (Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI), in collaborazione con l’Associazione Museum e con l’UICI della Capitale (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), iniziativa rivolta a tutti gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, a docenti universitari, operatori turistici, curatori museali e genitori di bambini-bambine/ragazzi-ragazze con disabilità visiva.

Accreditato sul portale S.O.F.I.A. del Ministero dell’Istruzione e del Merito e strutturato in lezioni ed esperienze di laboratorio, il corso, che prenderà il via nel prossimo mese di febbraio presso la sede dell’UICI di Roma (Via Mentana, 2/b) e al quale ci si può ancora iscrivere fino al 17 gennaio, sarà coordinato dalla professoressa Lucilla D’Antilio del Gruppo Mano Sapiens, in collaborazione con l’architetto Maria Poscolieri dell’Associazione Museum. Potrà inoltre contare, quale relatrice, anche su Laura Anfuso, esperta di letteratura per l’infanzia e di libri tattili, oltreché poetessa, autrice tra l’altro del componimento con cui abbiamo voluto aprire questo nostro contributo.

«Il corso – spiegano i promotori – sarà impostato in modo da impiegare, per ogni esperienza pratica, materiale semplice, economico e facilmente reperibile per incoraggiare la creazione di sussidi didattici da parte dei docenti che vogliano cimentarsi nella loro produzione. A tal proposito, gli incontri saranno articolati in modo che gli utenti prendano sempre più coscienza degli elementi che compongono sia le opere d’arte che il mondo circostante. Tramite l’esperienza tattile ripetuta, infatti, gli aspetti della realtà crescono tra le mani, prendendo corpo e trasformandosi via via in figure e forme sempre più complesse. In altre parole, da forma nasce forma e questo crea una relazione con la vita circostante che spesso viene negata alla persona con disabilità visiva. Il percorso formativo si comporrà quindi di apprendimenti ed esperienze diverse, per arricchire l’approccio a questa specifica programmazione didattica».

«L’obiettivo principale – si aggiunge – sarà dunque quello di fornire le conoscenze sia di base per l’educazione, di solito definita, visiva, sia le strategie e la metodologia per tradurre, tramite approccio tattile, queste norme prestabilite da criteri visivi, tramite mezzi accessibili atti alla loro acquisizione cognitiva da parte degli allievi per i diversi campi dell’educazione artistica. Dimostrando così fattivamente come ausili tattili possano economicamente ed efficacemente colmare il divario culturale delle persone con minorazione visiva, ma essere utilissimi per rendere più comprensibili concetti complessi anche agli allievi “normodotati” che possono utilizzare sia l’esperienza tattile che quella visiva». (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del corso. Per ulteriori informazioni: assmuseum@gmail.com.

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Monitorare le strutture dove vivono persone con disabilità

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La Federazione FISH rilancia l’invito e l’appello di Giampiero Griffo, pubblicato in dicembre sulle nostre pagine e rivolto al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, presieduto da Riccardo Turrini Vita, per far sì che esso continui a garantire che le condizioni di vita e la tutela delle persone con disabilità nelle strutture sanitarie e sociali siano centrali nell’azione di monitoraggio del Garante stesso

Lo aveva scritto con estrema chiarezza sulle nostre pagine, poco prima di Natale, Giampiero Griffo: «Risulta del tutto chiaro che il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, presieduto da Riccardo Turrini Vita, dovrà riprendere il monitoraggio dei luoghi sanitari e sociali che ospitano persone con disabilità, anziani e minori, inserendoli nella propria Relazione annuale al Parlamento». In tal senso, Griffo aveva anche ricordato «il contributo importante fornito da Mauro Palma, precedente presidente dell’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale», che aveva appunto «allargato il campo del rispetto dei diritti umani, non solo alle carceri, tradizionale campo di azione, ma anche a istituti a carattere sociale e sanitario, come quello dell’accoglienza delle persone con disabilità e degli anziani, oltre a quello dei migranti ospitati in luoghi in attesa di accettazione delle loro richieste di asilo».

Ebbene, l’invito e l’appello di Griffo sono ora stati rilanciati dalla FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), che nell’esprimere in una nota «preoccupazione per le condizioni in cui versano molte strutture sanitarie e sociali che accolgono persone con disabilità in Italia», si rifà a propria volta al recente Commento Generale n.1 del Sottocomitato ONU sulla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT), e in particolare sull’articolo 4 del Protocollo Opzionale (Posti di privazione della libertà), ratificato dall’Italia il 3 aprile 2013, che fornisce indicazioni cruciali sugli ambienti di privazione della libertà, sottolineando come il collocamento in istituti che non garantiscono soluzioni di sostegno adeguate costituisca «una privazione della libertà, spesso accompagnata da trattamenti crudeli e degradanti».

«I numeri parlano chiaro – si legge nella nota diffusa dalla FISH -: oltre 284.000 persone con disabilità in Italia sono istituzionalizzate e spesso in luoghi che non riproducono l’ambiente familiare, risultando, nel 98,3% dei casi, potenzialmente segreganti. Frequenti episodi di violenza e maltrattamenti dimostrano pertanto quanto sia urgente e necessario un monitoraggio efficace e sistematico di queste strutture. Invitiamo dunque il nuovo ufficio del Garante, presieduto da Riccardo Turrini Vita, a proseguire sulla strada avviata dal precedente ufficio, preceduto da Mauro Palma, garantendo che le condizioni di vita e la tutela delle persone con disabilità siano centrali nell’azione di monitoraggio. La pandemia da Covid ha del resto reso ancora più evidenti le criticità del sistema istituzionale, se è vero che i dati relativi ai primi tre mesi dell’emergenza sanitaria parlano di un drammatico tasso di mortalità nelle strutture di lunga degenza, dati che sarebbero stati ancora più gravi senza l’apporto del Terzo Settore. E tuttavia, ancora oggi mancano informazioni precise sull’impatto della pandemia nelle strutture per persone con disabilità, una lacuna che deve essere colmata».

«Non possiamo accettare – dichiara Vincenzo Falabella, presidente della FISH – che il rispetto dei diritti umani delle persone con disabilità sia subordinato a logiche istituzionali che perpetuano modelli segreganti e violano la dignità individuale. Chiediamo quindi un impegno concreto per investire in soluzioni alternative, come il sostegno alla vita indipendente, e nel rafforzamento del monitoraggio dei luoghi di accoglienza. Il nostro Paese deve dimostrare che i princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, così come quelli della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, non sono solo parole, ma una guida per garantire una società realmente inclusiva». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Laura Capaccioli: se sorridi, è tutto più bello!

Superando -

«Già da qualche tempo – scrive Anna Maria Gioria – desidero comparare il differente approccio della vita tra le persone con disabilità fin dalla nascita, come la sottoscritta, e quelle che hanno acquisito la disabilità nel corso della propria esistenza, in seguito a un incidente o a una malattia. In prospettiva di questa importante, e allo stesso tempo poco trattata, comparazione, ho voluto iniziare intervistando Laura Capaccioli, donna con disabilità acquisita in seguito a un incidente stradale che ha avuto a 31 anni» Laura Capaccioli

La segnalazione della storia di Laura Capaccioli, da parte del caro amico Luigi Caricato, giornalista e editore di «Olio Officina Magazine», è stata inconsapevolmente un bellissimo regalo; e in particolare l’ennesimo esempio che nulla accade per caso.
Laura è una donna con disabilità acquisita in seguito a un incidente stradale che ha avuto a 31 anni; di recente ha pubblicato la sua autobiografia Gli occhi addosso.
Già da qualche tempo desidero comparare il differente approccio della vita tra le persone con disabilità fin dalla nascita, come la sottoscritta, e quelle che hanno acquisito la disabilità nel corso della propria esistenza, in seguito a un incidente o a una malattia; perché sono fermamente convinta che per le prime sia più facile accettare la propria condizione, in quanto non sottoposte al costante e gravoso confronto tra il “prima” e il “dopo”.
Per questo l’anno scorso ho voluto iniziare a “misurarmi” con i due differenti punti di vista, realizzando con un’équipe multidisciplinare il cortometraggio Oltre il Buio [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.], finalizzato a contribuire al cambio di paradigma della disabilità riportando la persona al centro. La pellicola parla delle vicissitudini di una ragazza rimasta in sedia a rotelle in seguito a un incidente automobilistico.
Le principali problematiche sottese alla narrazione di quel corto, come l’autoaccettazione e il superamento delle barriere psicologiche, verranno riprese quest’anno dal medesimo team di lavoro, con lo scopo di approfondirle; uno dei cavalli di battaglia sarà proprio il confronto di visione tra chi è nato con una disabilità e chi l’ha acquisita diventato nel corso della vita.
In prospettiva di questa importante, e allo stesso tempo poco trattata, comparazione, ho voluto iniziare intervistando proprio Laura Capaccioli.

Laura, all’età di 31 anni la tua vita è stata stravolta da un incidente stradale, puoi raccontarci come vivi, quotidianamente, il confronto tra il prima e il dopo?
«Sì, a 31 anni ho avuto un incidente automobilistico che ha fermato la mia vita. Punto. Il confronto fra il prima e il dopo c’è necessariamente: sono passata da un’esistenza briosa, brillante, piena di progetti, sogni, idee, aspettative, a sperare di riuscire a ritornare a vivere. I primi mesi li ho passati distesa su un letto, incapace di fare nulla da sola, né mangiare né camminare e nemmeno chiedere aiuto. Mi ci è voluto parecchio tempo per capire cos’era successo, per accettare e metabolizzare tutte le parti del fisico che erano fuori uso.
Quel mercoledì mattina stavo andando al lavoro, guidando a 50 chilometri all’ora, con la cintura di sicurezza ed ero partita da poco da casa. Ad un certo punto la mia macchina è finita sotto un camion. La parte sinistra del corpo è rimasta incastrata sotto la pedana con cui il camionista sale in cabina. Per fortuna non ho nessun ricordo dell’incidente: la mia memoria si ferma alla domenica precedente, ma i danni fisici ci sono, e sono tanti. Ho pochissima sensibilità su tutta la parte sinistra del corpo, la caviglia è bloccata, per cui zoppico, il gomito si era rotto e me l’hanno riattaccato con 2 placche e 11 viti, quindi sì, riesco ad usare il braccio, ma non si piega completamente, perciò ho difficoltà a lavarmi, vestirmi, truccarmi, né si estende del tutto, quindi devo trovare il modo di alzare il piede per riuscire ad allacciarmi le scarpe. Impossibile, poi, raccogliere qualcosa da terra perché la caviglia bloccata non mi permette la genuflessione e il braccio non si estende e non arriva fino a terra. Sono costretta a portare la borsa sempre e solo a tracolla perché la mano sinistra è malmessa, non ce la fa a sostenere il peso di una borsa, e la mano destra dev’essere libera per avere un eventuale sostegno mentre cammino, perché non posso permettermi di inciampare o perdere l’equilibrio. Per lo stesso motivo, quando cammino devo guardare dove metto i piedi.
La cosa fisica che forse è stata la più difficile da accettare è stata la perdita di un occhio, del mio occhietto sinistro, quello che vedeva 11 decimi. Ho dovuto imparare a fare tutto con un occhio solo: ormai mi ci sono abituata, ma all’inizio mezzo mondo mi mancava. La principale difficoltà è stata proprio quella di capire che la mia visuale si ferma al naso: non c’è più l’altra parte. Così come è stato difficile rimparare a leggere, cioè andare a capo e riprendere il rigo giusto. Poi, piano piano, mi ci sono abituata e adesso riesco a leggere tutte le pagine che voglio, mentre all’inizio ero stanchissima dopo pochissimo e dovevo fermarmi. A volte mi capita ancora di versare l’acqua e non centrare il bicchiere: con un occhio solo si perde la profondità.
Un’altra cosa che mi fa venire tanta rabbia, quando penso al prima e al dopo, è questa: fino al 30 agosto 2006 i camion potevano transitare nella strada in cui ho fatto l’incidente, mentre dal giorno dopo i camion possono transitarci solo se segnalati, perché la strada è larga 4,20 metri e il camion sotto il quale la mia Peugeot 206 è finita era largo 2 metri e mezzo.
Ho tuttora l’agenda piena di visite, controlli, dottori, ospedali e la mia giornata è scandita dalle medicine che devo prendere. Ho imparato a rincorrere nuovi sogni, a mettermi dei nuovi obiettivi, ma dal 2006 convivo con un livello di difficoltà e di dolore che non riesco ad ignorare. Certo, non sono arrabbiata, anche perché non ho niente e nessuno contro cui arrabbiarmi, ma non ce la faccio a sposare la filosofia del “sono felice perché sarebbe potuta andare peggio…”».

Spesso affermi che «la vita ha cercato di fermarmi, ma non ce l’ha fatta»: che cosa intendi con questa dichiarazione?
«Beh, ho capito che l’autoironia mi aiuta, mi aiuta tanto. Quando vedo qualcosa di difficile da fare, da superare, mi dico: non mi ha fermato un camion, chi o cosa può fermarmi? E poi prendo tutti i modi di dire, i proverbi, che solitamente si usano ingenuamente e li ripeto facendoci una battuta. Ad esempio, quando sono in giro con la mia amica Meri, questo scambio di battute è ormai diventato un nostro rituale: “Meri: ‘Mi fai dare un occhio a quella vetrina?’”. “Io: ‘Daglielo te: io il mio me lo tengo!’”».

Questo è sicuramente un approccio positivo alla vita che presuppone l’accettazione della realtà, per me è il punto di partenza indispensabile per poter migliorare la propria condizione. Mi piacerebbe sapere se sei d’accordo e qual è la tua esperienza di accettazione, un percorso sicuramente non facile…
«Beh, non posso dirti che è stato facile accettare il tutto. Posso dirti che l’accettazione è un percorso iniziato 18 anni fa dal risveglio dal coma che non è ancora finito. Tuttora dico che sto imparando a conoscere e ad usare la nuova Laura. Usare non è, né vuole essere, un verbo negativo, né tantomeno dispregiativo. Usare lo intendo proprio nel suo significato base, perché devo imparare ad usare quello che il fisico di adesso mi permette di fare. Come dicevo prima, ho imparato che devo portare le borse a tracolla per avere tutte e due le mani libere, ho iniziato a portare la riga dei capelli dalla parte opposta a prima, perché il campo visivo dell’unico occhio che vede non deve essere limitato nemmeno da un filo di capelli, ho imparato a farmi piacere le scarpette da ginnastica, indipendentemente da come sono vestita, perché la mia caviglia bloccata non mi permette di camminare con scarpe diverse. Devo regolarmente fare fisioterapia, che non significa soltanto esercizi in palestra: significa imparare ad usare con sempre più scioltezza, semplicità e familiarità le parti del corpo che hanno menomazioni. Adesso, se non faccio notare le mie limitazioni al braccio sinistro, nessuno se ne accorge, perché ho imparato come tenerlo, e non ne sono né contenta né fiera, ma mi permette di muovermi con una certa “normalità” nel mondo, fra gli occhi del mondo».

Un mio rammarico è di non essere una persona dolce: non ho quella dolcezza tipicamente femminile, a causa del fatto che fin dalla nascita mi porto dietro la rabbia di fondo della mia condizione di disabilità come un fardello. Tu come la vivi? In questo particolare tratto caratteriale, c’è una differenza tra la “Laura del prima” e la “Laura del dopo”?
«No, non c’è una grossa differenza e, se c’è, è in negativo. Sono sempre stata una persona molto sicura di me, determinata, espansiva, solare, sorridente, ma poco tollerante. Una cosa o mi piace o non mi piace. Una persona è o sì o no. Le mezze misure non sono mai riuscita a farmele andare giù. Non lo facevo prima, ora poi per me non è possibile accettare compromessi, oltre a quelli imposti dalla vita, proprio perché sono la prova vivente che ogni minuto di vita vissuta non torna e va vissuto al meglio».

Di recente, è stata pubblicata la tua autobiografia Gli occhi addosso; perché e con quale finalità l’hai scritta?
«Erano ormai anni che mia mamma mi chiedeva di scrivere la mia storia. Secondo lei avrebbe potuto aiutare tanto chi si trovava in situazioni simili. Ecco, fare un percorso che immaginavo che mi avrebbe fatto tanto male per aiutare chi non conoscevo non mi aiutava a convincermi. Egoisticamente sapevo che avrei sofferto per aiutare un qualcuno che chissà se ci fosse stato… Io sono sempre stata, e sono tornata ad essere, una persona molto attiva, con mille cose in mezzo e, anche se con tutte le mie difficoltà, sono riuscita a ricrearmi una vita piena di mille iniziative. Io la sera a cena a casa? Anche mai. Una sera con un’amica, una sera con un’altra, una sera al corso di teatro, una sera un’altra cosa ancora. I miei genitori un po’ mi brontolano e io rispondo che devo recuperare il tempo chiusa negli ospedali. Poi però, ad inizio 2020, io, così come tutti voi, mi sono ritrovata chiusa in casa per il lockdown del Covid. Io ci sto bene con me stessa, ma non ci sono abituata a stare troppo sola perché adoro parlare, confrontarmi, relazionarmi. Oltre ad aver fatto tutte le cose più assurde che ci siamo ritrovati a fare tutti, la settimana prima dell’inizio del lockdown avevo comprato un megapuzzle che avrei poi regalato a mio cugino: un puzzle da 13.200 pezzi, che ho iniziato a fare subito. Ma fare un puzzle è un lavoro manuale, non di testa, e quindi il mio cervelletto si è trovato a fluttuare intorno all’idea di scrivere il libro. Il tutto veniva dalla voglia di conoscere una parte della mia vita che tutti conoscevano meno che me. Tante sono infatti le parti che ho scritto raccogliendo i ricordi di chi mi è stato vicino. Così ho raccolto le testimonianze e messo nero su bianco quei tre-quattro anni di vita che io non ricordo».

Il titolo Gli occhi addosso è molto esplicativo: tutti noi persone con disabilità ci sentiamo gli occhi degli altri puntati. Anch’io me li sono sentiti da sempre “addosso” e sono arrivata al punto di ignorarli, ma in un caso come il tuo, come li vivi? Immagino che prima li avevi in quanto bella ragazza e adesso come donna con disabilità, è così?
«Ecco, prima di rispondere alla domanda esterno una rabbia che ho, o meglio… una delle rabbie che ho. Tu hai parlato di persone con disabilità. Stamattina ho letto in Internet che ci deve essere inclusione delle persone come noi e che alcuni termini non vanno più usati. Ecco, siamo un popolo di persone ipocrite. Provo disagio nel sentirmi definire diversamente abile. Sono disabile. Usare un aggettivo positivo mi fa solo rabbia, mi fa sentire chiusa in un cofanetto da bacheca, da guardare. Sono disabile, ma sono una persona “normale”, se per “normale” intendiamo lo stereotipo di una persona che riesce a vivere ed a ragionare. Usare l’espressione diversamente abile è un voler forzare la realtà, perché prima dell’incidente nessuno mi chiamava parimenti abile, quindi perché voler usare un aggettivo positivo quando la situazione è difficile? Mi si deve accettare con tutti i miei problemi, con tutte le mie difficoltà, con tutte le mie limitazioni. Scusami, ma questa cosa la dico ogni volta che posso.
Da persona con difficoltà gli occhi addosso ne ho avuti tanti, tantissimi e ce ne ho tanti ancora. Questi occhi fanno male semplicemente perché sono gli occhi di persone ipocrite, di chi vorrebbe sapere ma non sa, di chi vorrebbe domandare ma non ha il coraggio o la confidenza per farlo, di chi è curioso di sapere cosa è successo ma non osa.
Fino al momento dell’incidente, dicevo “Sono Laura, ho 31 anni ed abito a Subbiano”. Adesso dico “Sono Laura, ho 49 anni, abito a Subbiano e per hobby faccio gli incidenti”. Così ci scappa una risata e cerco di far capire che non ho né remore né vergogna a parlarne: preferisco parlarne che vedere occhi incuriositi a guardarmi come uno spettacolo della natura venuto male.
E dunque sì, è come hai detto te: la gente che mi guarda è passata dal vedere una bella ragazza a vedere una donna con disabilità.
Un’altra cosa che mi permetto di puntualizzare è questa: dire che si è disabili è una cosa di cui non andiamo fieri e non ci guadagnamo niente. Gli occhi di chi ti guarda come quello “fortunato” che ha il diritto di passare avanti nelle file sono occhi di persone che capiscono proprio poco: vorrei tanto essere io al loro posto. Vorrei essere io a lasciar passare altri: significherebbe che i problemi non ce li avrei.
Un’altra questione scottante sono i parcheggi dove, normalmente, i posti disabili sono occupati da macchine senza tesserino. Purtroppo non succede una tantum, ma questa è la regola. Io divento un mastino inferocito e mi metto lì ed aspetto. Quando il proprietario della macchina arriva, ha sempre la pretesa di avere ragione, perché tanto aveva da fare una cosa veloce. Io, fino a 31 anni, non avevo mai parcheggiato in un posto disabile, ma non perché ero brava: semplicemente perché non era un posto per me. Se, invece che una classica multa, si portassero via la macchina e si dovesse pagare un bel po’ di soldi per riaverla, forse i casi diminuirebbero: lo so, sarebbe scendere ad un livello basso, ma, visto che altrimenti non si capisce, sarebbe semplicemente usare lo stesso livello di ragionamento di chi fa queste bassezze.
Oltre a tutto questo, ho poi dovuto accettare che la persona con cui convivevo da sette anni e mezzo se n’è andata e la colpa era la mia: ero io a non essere più uguale a prima. Lo so, è stato sicuramente meglio averlo perso che tenuto, e infatti ho parlato di persona e non di uomo, ma se metti tutto insieme è stato veramente troppo».

Molte persone con disabilità scrivono libri, poesie, racconti; tu lo facevi già prima dell’incidente. Come è, cambiata, se lo è, la tua scrittura?
«Questo è il quarto libro che ho scritto e sono libri completamente diversi l’uno dall’altro, sia nella forma che nel contenuto che nella motivazione. Il primo libro l’ho scritto e pubblicato nel lontano 2004, quando ancora esistevano solo i cellulari con i tasti e non avevamo nemmeno idea di cosa fosse una app. A seguito di tantissime ore di ripetizioni per preparare le persone prima di un viaggio, ho scritto Ingiroparlando, un frasario e dizionario in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo con tutte le frasi tipiche nelle varie fasi di un viaggio e le parole che solitamente servono. Io sono una traduttrice e il libro l’ho scritto in tutte e quattro le lingue che conosco e con cui lavoro.
Nel 2010 ho preso la mia seconda laurea. La prima in Lingue Commerciali, la seconda in Scienze dell’Amministrazione. La tesi sullo stesso argomento, analizzato da due materie diverse (Sociologia delle Comunicazioni di Massa e Storia delle Comunicazioni), tutte e due con lode. Quindi, mi sono detta, deve essere scritta bene e la pubblico. Il titolo della tesi è Corporeità, motricità, simbolico e linguaggio mimo-gestuale nelle comunicazioni cinesica e prossemica. Sembra una cosa difficile, ma è semplicemente lo studio di come le persone con cui ti relazioni si comportano, di come tengono le braccia, di come ti guardano, di quanto si avvicinano a te e di quanto tu permetti loro di avvicinarsi. Se già analizzi tutto questo, senza dire nemmeno una parola, hai già un quadro abbastanza chiaro della relazione che c’è.
Nel 2017 ho pubblicato un libro di racconti, Il viaggio della maturità ed altri racconti. È semplicemente un libro dove ci sono tre racconti che parlano della nostra società. Sono uno spaccato della nostra era: parlano di storie che ognuno di noi potrebbe ritrovarsi a vivere e intendono essere uno stimolo a riflettere per migliorare e per crescere. Il primo racconto (Il viaggio della maturità) parla dell’amore e dell’abbandono: come un sentimento bellissimo possa portare a tristi accettazioni. Il secondo si intitola Rincorrendo i sogni, perché anche se non siamo quasi mai contenti della vita, non dobbiamo mai smettere di sognare, avere desideri e prefiggersi aspettative. Il terzo, infine, si chiama Giochiamo insieme? È strano come possa aver inventato una storia così pochi anni prima della comparsa del Covid. Nel mio racconto non parlo di virus, ma giudico in modo negativo come la tecnologia ci porta a vivere in un mondo sempre più distaccato dalla realtà. Parlare accanto ad un amico o giocare a nascondino sarebbero diventati difficili, così come è stato difficile imparare a giocare da soli chiusi in casa… e meno male che c’era la wi-fi.
In un mio momento no, con le lacrime agli occhi per la stanchezza di dover comunque vivere una vita che non mi piace poi così tanto, dove il dolore e antipatici rituali quotidiani scandiscono il mio vivere, la mia mamma ha avuto una parolaccia come risposta, quando mi ha guardata, mi ha battuto la spalla con la mano e mi ha detto: “Su su, che devi scrivere un altro libro”.
Ovviamente io voglio e devo ringraziare la mia mamma, che per anni ha lasciato tutto e tutti per seguirmi nei vari ospedali per ricoveri che sono durati mesi, mesi e mesi, lasciando comunque a casa una situazione molto precaria, data la salute molto birichina anche del mio papà, che adesso mi segue dal cielo. Grazie alla mamma Anna, così come grazie a mia sorella, grazie alla quale ho momenti di sorriso durante ogni ricovero, grazie a mio fratello, a mio cognato, ai miei nipoti, che mi hanno sempre aiutato, seguito, supportato e sopportato. Grazie a tutte le mie amiche, ai miei amici, a tutte le persone che mi sono vicine e, ancor più, a chi c’è ancora dall’ormai lontano 30 agosto 2006.
Se volessi riassumere quello che tutta questa storia mi ha insegnato, lo farei con queste parole: se sorridi, è tutto più bello!».

*Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “A colloquio con Laura, che un camion non è riuscito a fermare”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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ADHD dall’età evolutiva all’età adulta: diagnosi, presa in carico e terapia

Superando -

Fare il punto sui percorsi di valutazione/diagnosi e di presa in carico terapeutica per l’ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) a Modena e Provincia: è l’obiettivo dell’incontro ADHD, Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività. Dall’età evolutiva all’età adulta: diagnosi, presa in carico e terapia, promosso per l’11 gennaio a Carpi (Modena) dall’Associazione AIFA, in collaborazione con il Comune di Carpi, l’AUSL di Modena e l’Università di Modena e Reggio Emilia

ADHD, Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività. Dall’età evolutiva all’età adulta: diagnosi, presa in carico e terapia: è questo il titolo dell’incontro che si terrà nel pomeriggio di sabato 11 gennaio a Carpi, in provincia di Modena (Biblioteca Loria, Via Rodolfo Pio, 4, ore 15-18), organizzato dall’AIFA (Associazione Italiana Famiglie ADHD), in collaborazione con il Comune di Carpi, l’AUSL di Modena e l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Obiettivo dell’iniziativa (ad ingresso gratuito, previa prenotazione tramite questo link), sarà quello «di fare il punto sui percorsi di valutazione/diagnosi e di presa in carico terapeutica per l’ADHD a Modena e Provincia – come spiegano i promotori -, rivolgendosi a familiari e adulti con ADHD, studenti, insegnanti di ogni ordine e grado, psicologi/psicoterapeuti, pediatri, psichiatri/neuropsichiatri, figure educative e del mondo dell’assistenza sociale e a chiunque altro sia interessato all’argomento».

Dopo i saluti istituzionali di Anna Maria Cava, referente per l’Emilia Romagna dell’AIFA, Tamara Calzolari, assessora al Comune di Carpi, Giacomo Cabri, delegato del rettore alla Didattica nell’Università di Modena e Reggio Emilia e Graziella Pirani, che dirige la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza nell’AUSL di Modena, interverranno Annalisa Barbieri, direttrice dell’Unità Operativa Semplice di Neuropsichiatria dell’Infanzia dell’Adolescenza a Vignola-Pavullo (Modena); Nellia Arciuolo e Azzurra Signore di Salutepsy, Centro di Psicologia e Psicoterapia Cognitivo Comportamentale; Patrizia Rebuzzi, docente e referente per l’inclusione nella Direzione Didattica di Mirandola (Modena); Antonio Persico, professore di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza all’Università di Modena e Reggio Emilia, direttore della Neuropsichiatria Infantile nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena; Luca Cimino, psichiatra e psicoterapeuta; Chiara Tonasso, psicologa del Gruppo Clinico e di Ricerca sull’ADHD; Giacomo Guaraldi, delegato del Rettore alla Disabilità e ai DSA nell’Università di Modena e Reggio Emilia; Rappresentanti di Associazioni.

L’ADHD, ossia Attention Deficit Hyperactivity Disorder, acronimo inglese del disturbo da deficit di attenzione e iperattività, è inserito tra i disturbi del neurosviluppo nel DSM5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione del 2013), ove se ne indica una prevalenza di circa il 5% nei bambini e di circa il 2,5% negli adulti.
Nello specifico del territorio di riferimento per l’incontro dell’11 gennaio, si stima, su elaborazioni dell’AIFA, che i casi attesi in Emilia Romagna siano di circa 95.400 persone ADHD (circa 24.000 minori tra i 6 ed i 17 anni e circa 71.400 adulti tra i 18 ed i 67 anni, maggiorenni in età lavorativa). Nell’AUSL di Modena, invece, i casi attesi sono circa 15.300 e nel Distretto di Carpi (Comuni di Campogalliano, Carpi, Novi di Modena e Soliera) circa 2.300. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficio.stampa@associazioneaifa.it (Francesca Mezzelani).

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