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Un Giubileo carico di significato, ma c’è un’ombra

«Includere – scrive Vincenzo Falabella – significa riconoscere, non solo accogliere. Significa costruire spazi dove le persone con disabilità non siano ospiti, ma protagoniste. Per questo suscita delusione e perplessità l’esclusione delle due principali Federazioni italiane che rappresentano le persone con disabilità dal convegno del 28 aprile “NOI: pellegrini di speranza”, evento centrale del “Giubileo delle Persone con Disabilità”»

Il 28 aprile si aprirà ufficialmente il Giubileo delle Persone con Disabilità, evento che si preannuncia solenne e carico di significati simbolici [se ne legga già anche su queste pagine, N.d.R.].
Il Giubileo del 2025 è stato indetto da Papa Francesco con la Bolla Spes non Confundit. L’organizzazione dell’evento è stata affidata al Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, è un momento di grazia per la Chiesa Cattolica, con la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria e rappresenta un’occasione di riflessione e inclusione che travalica i confini religiosi, toccando la sfera civile e sociale. Un momento che avrebbe potuto – e dovuto – essere un punto di svolta nel modo in cui le persone con disabilità vengono coinvolte e ascoltate nei processi decisionali che le riguardano.
Tuttavia, a poche ore dall’inizio delle celebrazioni, emerge una criticità profonda che suscita delusione e perplessità: le due principali Federazioni italiane che rappresentano le persone con disabilità, FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), sono state escluse dal convegno NOI: pellegrini di speranza, evento centrale del Giubileo delle Persone con Disabilità, organizzato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e coordinato da suor Veronica Donatello, che nella stessa CEI è responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità.
Un’assenza che non può passare inosservata, e che solleva interrogativi importanti: come si può parlare di disabilità, di speranza, di futuro, senza coinvolgere direttamente chi quella realtà la vive quotidianamente? Com’è possibile che in un evento pensato per l’inclusione vengano escluse proprio le voci che rappresentano centinaia di migliaia di persone e famiglie in Italia?
Il principio del Nulla su di Noi senza di Noi (Nothing about Us without Us), divenuto uno slogan internazionale delle persone con disabilità già dagli Anni Novanta e ispirato ai movimenti dei diritti civili, sembra essere stato dimenticato. La partecipazione attiva delle persone con disabilità alla definizione delle politiche che le riguardano non è un atto di gentilezza, ma un diritto.
E questo diritto è riconosciuto anche dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che afferma chiaramente, all’articolo 4 (Obblighi generali), che «nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, gli Stati Parte devono coinvolgere attivamente le persone con disabilità […] attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
FISH e FAND non sono sigle astratte, ma realtà vive, articolate, radicate nei territori, che quotidianamente si confrontano con problemi reali: l’accessibilità, l’inclusione scolastica, il diritto al lavoro, il supporto alle famiglie, l’autonomia, la vita indipendente. Avrebbero potuto portare sul tavolo del convegno una prospettiva preziosa, concreta, fatta di esperienze dirette e di conoscenza profonda delle esigenze della comunità.
L’evento NOI: pellegrini di speranza si presenta dunque monco, privo di un elemento fondamentale: l’ascolto autentico. Non basta parlare di accoglienza e fraternità se poi, nei fatti, si escludono proprio i protagonisti di quel cambiamento che la Chiesa e la società intera dichiarano di voler sostenere.
Papa Francesco, in diverse occasioni, ha ricordato che «nessuno dev’essere escluso dalla misericordia di Dio», e nel Messaggio per la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità del 2020 affermava: «La peggiore discriminazione di cui soffrono le persone con disabilità è la mancanza di attenzione spirituale, che a volte abbiamo nei loro confronti». Parole forti, che oggi risuonano come un monito non ascoltato.
Anche Giovanni Paolo II, nel 1981, dichiarava: «Ogni uomo, anche il più debole e segnato da limitazioni fisiche o psichiche, è un valore in se stesso, e va rispettato e amato». Eppure, non si può parlare di rispetto se si nega il confronto, se si ignora la rappresentanza collettiva di chi da decenni lavora per affermare questi stessi valori.
In un momento storico in cui la disabilità è finalmente entrata nel dibattito pubblico, grazie anche alle battaglie di chi lotta da anni per i diritti e la dignità delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ci si sarebbe aspettati un segnale diverso. Più forte, più inclusivo, più coraggioso. Un segnale che dicesse chiaramente: «Vi vediamo, vi ascoltiamo, siete parte di noi». E invece, ancora una volta, chi dovrebbe essere al centro è rimasto ai margini.
Ma il tempo del silenzio è finito. Le persone con disabilità continueranno a farsi sentire, a rivendicare il loro spazio, a chiedere non solo parole, ma scelte concrete, responsabilità condivise, e soprattutto, rispetto.
Il Giubileo delle Persone con Disabilità avrebbe potuto essere – e può ancora diventare – un segno profetico, un momento in cui la Chiesa dimostra concretamente che l’inclusione non è solo una parola, ma un gesto, una scelta, una strada da percorrere insieme.
Includere significa riconoscere, non solo accogliere. Significa costruire spazi dove le persone con disabilità non siano ospiti, ma protagoniste. Dove le loro competenze, le loro storie, le loro fatiche e le loro speranze siano parte integrante del cammino collettivo. Finché questo non accade, ogni dichiarazione rischia di restare solo una bella intenzione. E la speranza, anziché germogliare, resta soffocata.
Il tempo del Giubileo invita alla conversione: è il momento perfetto per correggere un passo falso, per riaprire il dialogo, per fare spazio a chi è stato lasciato fuori. Perché solo così il Giubileo parlerà davvero a tutti. Solo così sarà pienamente credibile. Solo così, sarà giusto.

*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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L’impegno per una libertà davvero inclusiva

«La Resistenza – scrive Vincenzo Falabella – è stata una straordinaria esperienza di partecipazione e solidarietà, in cui donne e uomini, provenienti da contesti diversi, hanno unito le forze per conquistare la libertà e la giustizia. Oggi, quell’eredità ci chiede di proseguire la lotta per i diritti civili e sociali, in nome di quella stessa libertà che fu conquistata allora con il sacrificio e il coraggio. E nello specifico delle persone con disabilità, ci chiede di abbattere ogni ostacolo che impedisce a molte di loro di autodeterminarsi e di vivere con dignità»

Il 25 Aprile è una delle ricorrenze più significative del nostro Paese: la Festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Non è soltanto una celebrazione del passato, ma un momento per interrogarsi sul presente e per rilanciare un’idea di libertà che sia davvero piena, concreta e condivisa.
Come ricordava il padre costituente Piero Calamandrei, «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».
Questa frase, semplice e potente, ci invita a riflettere sul fatto che la libertà non è mai scontata, e che non può dirsi compiuta finché resta esclusa una parte della società.
Nel nostro Paese, infatti, sono ancora numerose le persone che ogni giorno si scontrano con barriere che limitano l’accesso ai diritti fondamentali. Le persone con disabilità, in particolare, vivono una condizione di libertà parziale, ostacolata da discriminazioni strutturali e culturali.
Secondo quanto evidenziato dal XXVI Rapporto del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, permangono gravi criticità nell’accesso all’occupazione, nella formazione professionale e nella partecipazione piena alla vita sociale. I numeri parlano chiaro: nonostante le normative e le dichiarazioni di principio, la realtà è fatta ancora troppo spesso di esclusione.
La libertà di una società si misura dalla sua capacità di includere e una democrazia autentica è tale solo se riesce ad abbattere ogni ostacolo che impedisce ai cittadini e alle cittadine – tutti e tutte – di contribuire al bene comune, di autodeterminarsi, di vivere con dignità.
Il significato profondo del 25 Aprile va oltre la ricorrenza storica. La Resistenza è stata una straordinaria esperienza di partecipazione e solidarietà, in cui donne e uomini, provenienti da contesti diversi, hanno unito le forze per conquistare la libertà e la giustizia. Oggi, quell’eredità ci chiede di proseguire la lotta per i diritti civili e sociali, in nome di quella stessa libertà che fu conquistata allora con il sacrificio e il coraggio.
Liberiamoci dai pregiudizi. Liberiamoci dalle barriere. Liberiamoci dai silenzi. Questo è il senso attuale del 25 Aprile: un invito a rimuovere ogni ostacolo che impedisce a una parte della cittadinanza – come le persone con disabilità – di accedere pienamente alla vita democratica e sociale del Paese.
Celebrare oggi la Festa della Liberazione significa dunque anche rilanciare un progetto di società aperta, solidale, inclusiva. Significa riconoscere che il cammino della democrazia è ancora in corso, e che non possiamo dirci davvero liberi finché qualcuno resta ai margini.
Il 25 Aprile è memoria, ma è anche impegno quotidiano. È una chiamata alla responsabilità collettiva, affinché la libertà non sia solo un valore scritto nella Costituzione, ma una realtà vissuta da ogni persona, senza distinzioni, senza esclusioni, senza eccezioni.

*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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Poll 1

Tecnologia, rete territoriale e, naturalmente, generosità: c’è stato tutto questo nella cerimonia di consegna della donazione per l’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), svoltasi nei giorni scorsi presso il Centro Clinico NeMO di Trento (NeuroMuscular Omnicentre) Note: There is a poll embedded within this post, please visit the site to participate in this post's poll.

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Cura e impegno: il Trentino risponde alle sfide delle persone con la SLA

Tecnologia, rete territoriale e, naturalmente, generosità: c’è stato tutto questo nella cerimonia di consegna della donazione per l’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), svoltasi nei giorni scorsi presso il Centro Clinico NeMO di Trento (NeuroMuscular Omnicentre) La presidente nazionale dell’AISLA Fulvia Massimelli, con il direttore clinico del Centro NeMO Trento Riccardo Zuccarino

Tecnologia, rete territoriale e, naturalmente, generosità: c’è stato tutto questo nella cerimonia di consegna della donazione per l’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), che si è svolta presso il Centro Clinico NeMO di Trento (NeuroMUscular Omnicentre), all’interno dell’Ospedale Riabilitativo Villa Rosa di Pergine Valsugana, lo scorso 8 aprile.
La donazione complessiva è ammontata a 17.690 euro, di cui 8.900 euro raccolti agli sportelli Bancomat e il resto integrato da Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano. Grazie alla campagna Ci muoviamo per chi non può muoversi, sono stati raccolti i fondi necessari per l’acquisto di un dispositivo innovativo che supporta la riabilitazione motoria di persone con la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e malattie neuromuscolari.

«Questa donazione – ha dichiarato Fulvia Massimelli, presidente nazionale dell’AISLA – è frutto della generosità di una comunità che ha scelto di esserci. È la risposta concreta a un bisogno reale e quotidiano, che riguarda non solo chi vive con la SLA, ma tutte le persone che condividono con noi un’idea di società inclusiva e giusta».
Operativa in Trentino Alto Adige dal 2009, l’AISLA si conferma come un punto di riferimento per le esigenze dei malati e delle loro famiglie: con 54 casi stimati solo nella Provincia di Trento e 104 in tutta la Regione, coinvolgendo 40 soci, 7 volontari attivi e supportando 21 famiglie nel 2024 con interventi di sollievo – che includono supporto psicologico, fisioterapia domiciliare e trasporti sanitari – l’Associazione ha realizzato una media di 16 interventi per persona, totalizzando 328 assistenze.

Dal canto suo, il Centro NeMO Trento, attivo dal febbraio 2021, vanta una struttura all’avanguardia di 1.500 metri quadri; con oltre 1.700 pazienti presi in carico – tra cui 30 pediatrici – e il 46% proveniente da fuori Provincia, il Centro ha registrato, nel 2024, 240 ricoveri e 1.678 prestazioni ambulatoriali multispecialistiche e day hospital, oltre ad attivare 8 studi clinici e offrire nuovi trattamenti farmacologici a 23 pazienti.

L’evento dell’8 aprile ha rappresentato un esempio virtuoso di alleanza tra istituzioni politiche, sistema sanitario, società civile, comunità scientifica e pazienti, rafforzando un modello integrato di cura, ricerca e innovazione terapeutica. Un modello capace di rispondere in modo concreto ed efficace alle sfide della fragilità, garantendo assistenza d’eccellenza e una migliore qualità della vita a chi ne ha più bisogno. (C.C.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: Ufficio Stampa AISLA (Elisa Longo), ufficiostampa@aisla.it.

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L’amministrazione di sostegno e la questione della sostituzione

«Ci sono decine di migliaia di casi – scrive tra l’altro Simona Lancioni, commentando l’intervista al professor Paolo Cendon sull’amministrazione di sostegno, pubblicata sulle nostre pagine – a documentare che in sede applicativa della Legge sull’amministrazione di sostegno le cose non stanno funzionando come dovrebbero e che le modalità sostitutive vengono tranquillamente impiegate per attuare abusi e violenze di ogni tipo ai danni di persone in situazioni di vulnerabilità. E questo non è un effetto collaterale accettabile»

Ringrazio a mia volta il professor Paolo Cendon per avere risposto all’intervista [la si legga a questo link, N.d.R.] curata dall’avvocato Salvatore Nocera, figura di riferimento dell’associazionismo delle persone con disabilità, soprattutto, ma non solo, in àmbito scolastico, e da chi scrive, Simona Lancioni, responsabile di un servizio informativo in materia di disabilità, Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, nonché curatrice, per il medesimo servizio, di una sezione tematica in materia di tutela giuridica (fruibile online al seguente link).

Sin dalla risposta alla prima domanda della nostra intervista il professor Cendon sembra discostarsi dal paradigma delineato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09. Egli, infatti, trova che sia sostanzialmente mal posta la nostra domanda «com’è stato possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si concretizzi, in decine di migliaia di casi, in una violazione dei loro diritti umani?». Ritiene che sia mal posta perché, argomenta, non è corretto affermare che lo scopo della Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, «fosse solamente quello di favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone» sottoposte a questo istituto giuridico. Infatti il professore, pur ritenendo questo aspetto importantissimo, considera che anche l’elemento della «protezione» rivesta un’importanza fondamentale. Dunque Cendon osserva che la Legge 6/04 per metà sia indirizzata all’«emancipazione e alla “fioritura” delle persone, ma per un’altra metà miri «a salvaguardare, a impedire che le persone precipitino in condizioni peggiori o pericolose».
Posto che l’amministrazione di sostegno si applichi ad una molteplicità di situazioni nelle quali l’aspetto della protezione può assumere una specifica valenza (penso, ad esempio, alle persone con dipendenze da sostanze e ludopatie, richiamate dallo stesso professore), trovo invece problematico che l’approccio della protezione continui ad essere applicato nei confronti delle persone con disabilità, perché in contrasto con l’articolo 12* (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della citata Convenzione ONU, nonché con le indicazioni esposte dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel Commento generale n. 1 del 2014, un testo elaborato proprio allo scopo di supportare gli Stati nella corretta applicazione dell’articolo menzionato. Infatti, l’articolo 12 della Convenzione ha istituito la capacità legale universale, vietando che ci si possa sostituire alla persona con disabilità. Esso prescrive quindi che i regimi decisionali sostitutivi siano aboliti e vengano disposti sistemi di supporto alle decisioni.

Le affermazioni di Cendon meritano un’attenta riflessione, perché se possiamo considerare plausibile che la Legge 6/04 – essendo stata promulgata prima della Convenzione ONU (che è del 2006), e dunque ovviamente prima che quest’ultima venisse recepita dal nostro Paese (nel 2009) – possa contenere un elemento paternalistico (la protezione) in contrasto con la capacità legale universale, non dovrebbe invece essere ammissibile che la medesima Legge 6/04 possa continuare ad essere intesa e applicata con modalità sostitutive, anche dopo l’entrata in vigore della Convenzione ONU.
Affermo ciò anche alla luce della raccomandazione rivolta al nostro Paese dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ossia quella «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare a attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale» (punto 28 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU del 31 agosto 2016, grassetti miei).

Ma il professor Cendon non vuole intervenire sulla Legge 6/04 che ha contribuito ad elaborare, insiste sul tasto della protezione, non applicando dunque l’articolo 12 ed eludendo deliberatamente le indicazioni espresse in merito dal Comitato ONU. Nei fatti egli perpetua il paradigma che tratta le persone con disabilità come “oggetti da proteggere”, usando come argomentazione i “casi limite” – cita, ad esempio, quello della persona che non vuole pagare le bollette e si espone al rischio che le vengano sospese le utenze –, mentre in concreto la sostituzione nell’àmbito dell’amministrazione di sostegno non è applicata solo nei “casi limite”, né solo a scopo di protezione, ma viene frequentemente utilizzata con modalità coercitive, ad esempio, per istituzionalizzare le persone con disabilità contro la loro volontà; per spacciare Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) come volontari, sebbene siano autorizzati da terzi, e protrarli anche per anni o addirittura decenni (quando la disciplina del TSO li ammette per soli sette giorni); per praticare sulle donne con disabilità psicosociale contraccezioni e aborti forzati; per derubare le persone con disabilità dei loro averi; per rompere forzatamente legami affettivi significativi per le persone amministrate e isolarle dal mondo ecc. ecc. Di tutte queste situazioni Cendon non si occupa e non sembra avere risposte per loro, sebbene non si tratti di casi marginali: infatti, come accennato, riguardano decine di migliaia di persone.
Chi protegge queste persone dall’istituto che dovrebbe supportarle, ma ne viola di diritti? Nessuno! La norma non prevede tutele per queste situazioni, non è vero che sostituzione equivale sempre a protezione, in molti casi sostituzione equivale a coercizione e negazione del diritto all’autodeterminazione. La sostituzione è stata, e continua ad essere, lo strumento principe del paternalismo, dell’infantilizzazione, della prepotenza, dell’ingiustizia epistemica e, in definitiva, dell’abilismo che le persone con disabilità hanno sempre subìto e continuano a subire.
L’implicito disconoscimento dell’autorevolezza del Comitato ONU da parte di Cendon, a parere di chi scrive, esprime in modo plastico la fallacia della posizione assunta dal professore: egli si comporta come chi crede di sapere meglio delle persone con disabilità cosa sia meglio per le stesse persone con disabilità, e continua proporre lo stesso approccio di protezione anche quando un gruppo di esperti/e con disabilità perfettamente in grado di definire le politiche che le riguardano – il Comitato ONU – insiste nell’affermare e rivendicare con forza il proprio diritto all’autodeterminazione.

La mia impressione è che tutte le risposte fornite dal professore alle domande dell’intervista siano in qualche modo condizionate dalla sua convinzione che l’articolo 12 della Convezione ONU sia inapplicabile perché incapace di affrontare in modo adeguato i “casi limite”, e che sia proprio questa convinzione a portarlo a credere che tutte le iniziative volte a chiederne l’applicazione siano «illusorie o utopistiche».
Eppure anche la dottrina giuridica si sta sforzando di trovare soluzioni teoriche/applicative compatibili col dettato convenzionale. Ad esempio, ho trovato davvero interessante e ben argomentato il saggio La capacità legale universale come requisito indefettibile della libertà. Notazioni teoriche in un’ottica di riforma di Maria Giulia Bernardini, docente di Teorie dei Diritti Umani e Diritto e Genere all’Università di Ferrara (il saggio si trova alle pagine 343-369 del volume collettivo a cura di Ciro Tarantino, Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, Bologna, il Mulino, 2024. Il volume è liberamente fruibile a questo link).

Per questa ragione, e anche in considerazione del fatto che il professor Cendon è il coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili e che proprio in virtù di questo ruolo, la sua opinione ha verosimilmente un peso nella definizione delle politiche nazionali in materia di istituti di tutela, auspico caldamente che egli inizi ad interrogarsi sulla fondatezza della sua convinzione. Ci sono decine di migliaia di casi a documentare che in sede applicativa le cose non stanno funzionando come dovrebbero e che le modalità sostitutive vengono tranquillamente impiegate per attuare abusi e violenze di ogni tipo ai danni di persone in situazioni di vulnerabilità. Non si tratta di un effetto collaterale accettabile. Una modalità che permette questo semplicemente non può essere considerata una buona modalità né sotto il profilo giuridico, né sotto quello umano.
A ciò si aggiunga, ma non è un particolare secondario, che la Convenzione ONU è stata recepita dal nostro ordinamento giuridico e che dunque tutti i cittadini e le cittadine sono obbligati/e a conoscerla e ad impegnarsi per applicarla, anche quando, come in questo caso, trovare le soluzioni applicative si rivela un compito complesso.
Credo che la grande esperienza e le competenze del professore – che io stessa, pur avendo una posizione molto diversa dalla sua, non fatico a riconoscere –, sarebbero veramente preziose e importanti se utilizzate per dare applicazione all’articolo 12 della Convenzione ONU.

*Articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (“Uguale riconoscimento dinanzi alla legge”):
1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica.
2. Gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita.
3. Gli Stati Parti adottano misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica.
4. Gli Stati Parti assicurano che tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. Queste garanzie devono essere proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle persone.
5. Sulla base di quanto disposto nel presente articolo, gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate ed efficaci per garantire l’uguale diritto delle persone con disabilità alla proprietà o ad ereditarla, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario, e assicurano che le persone con disabilità non vengano arbitrariamente private della loro proprietà.

Sulla medesima intervista al professor Paolo Cendon si è pronunciato sulle nostre pagine anche Salvatore Nocera, con le riflessioni contenute nel testo intitolato Amministrazione di sostegno: come evitare che le cose vadano “così e cosi” o decisamente male? (disponibile a questo link).

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Sono il 15% della popolazione mondiale e sono i più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico

Cosa rende le persone con disabilità, il 15% della popolazione mondiale, così esposte ai rischi legati al cambiamento climatico? «In questi millenni – dice Giampiero Griffo – non abbiamo avuto accesso agli stessi diritti, alle stesse opportunità e servizi. Appare quindi evidente che nel momento in cui dobbiamo rispondere a eventi estremi che richiedono evacuazioni rapide, infrastrutture e informazioni accessibili, la cosa diventa estremamente complicata» La sede dell’ANFFAS di Faenza allagata in seguito all’alluvione del maggio 2023

«Arriva un’ondata e ti porta via tutto: tutto quello che avevi in casa, i tuoi ricordi, la tua intimità, la tua vita. Dentro la tua mente che cosa resta: come esprimeresti quel pensiero, quel sentimento? Se sei una persona con disabilità cognitiva fai davvero fatica a raccontarlo o, nel caso in cui il tuo linguaggio è compromesso, non sei in grado neppure di parlare, mentre dentro di te hai un mondo di angoscia, di paura, di rabbia»: Nives Baldoni, presidente dell’ANFFAS di Faenza (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), ci racconta l’impatto delle ultime alluvioni che hanno colpito la città romagnola sulle famiglie con persone con disabilità.
Negli ultimi tre anni, Faenza, in provincia di Ravenna, è stata colpita da tre alluvioni. La prima si è verificata il 2 e 3 maggio 2023, seguita da un evento ancora più devastante il 16 e 17 maggio dello stesso anno. L’ultima è avvenuta tra il 18 e il 19 settembre 2024: secondo uno studio condotto dalla Commissione Tecnico-Scientifica istituita dalla Regione Emilia Romagna dopo le inondazioni del maggio 2023 c’era l’1 per cento di probabilità che un nuovo episodio delle medesime proporzioni potesse verificarsi nell’arco di un anno. È accaduto dopo 16 mesi, con un’intensità ancora maggiore. È la crisi climatica, che spiazza ogni previsione, che mette a dura prova le infrastrutture esistenti (non basta certo aggiungere blocchi di cemento lungo gli argini più fragili, come a Faenza, per impedire un’inondazione) e la capacità di adattamento delle comunità locali.

Durante la seconda alluvione del 2023, andò completamente distrutta la sede dell’ANFFAS Faenza, dove si svolgevano tutti i giorni i laboratori per le persone con disabilità e ancora adesso queste attività – sollievo per le persone con disabilità e per le loro famiglie – vengono portate avanti in un locale provvisorio; ma più che l’elenco dei danni è una storia, raccontata da Nives Baldoni, a rendere visibile ai nostri occhi l’impatto di questi eventi estremi sulle persone con disabilità e a farci percepire perché se sei una persona con disabilità si “riacutizza ogni cosa”, come dice la presidente dell’Associazione.
Luca (nome di fantasia), 34 anni, con un disturbo dello spettro autistico, insieme alla madre ha dovuto abbandonare il proprio appartamento, dichiarato inagibile, subito dopo le alluvioni del 2023. «Questo ragazzo, dopo 20 giorni trascorsi presso amici a cui la mamma aveva chiesto ospitalità, è fuggito», racconta Baldoni, «continuava a dire: non è casa mia». Stando alla Presidente dell’Associazione, la madre di Luca è riuscita a rientrare nel vecchio appartamento dopo una trattativa con il Comune, ma hanno vissuto per mesi senza corrente, riscaldamento e acqua calda. «Oggi, tutte le volte che piove, questo ragazzo dice: mamma noi stiamo in questa casa, non andiamo via».

Se la storia di Luca ci permette di accendere una luce per vedere l’impatto della crisi climatica sulla vita quotidiana di chi è più vulnerabile, i dati confermano quanto siamo di fronte a una questione globale, che richiede risposte strutturali per non lasciare indietro nessuno.
I report dell’ONU, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli studi scientifici, tutti sono concordi nell’affermare che le persone con disabilità sono sproporzionatamente colpite dal cambiamento climatico. «Il cambiamento climatico sta minacciando direttamente e in modo sproporzionato il diritto alla salute delle persone con disabilità a causa delle temperature sempre più elevate, degli elevati inquinanti atmosferici e della crescente esposizione a eventi meteorologici estremi, che includono ondate di calore, inondazioni, uragani e incendi»: è un passaggio chiave dell’articolo Climate change and the right to health of people with disabilities, pubblicato dalla rivista scientifica «Lancet» nel dicembre 2021: «Sorprendentemente, il tasso di mortalità globale delle persone con disabilità in caso di calamità naturali è fino a quattro volte superiore a quello delle persone senza disabilità, a causa della scarsità di pianificazione inclusiva, di informazioni accessibili, di sistemi di allerta precoce e di trasporti, oltreché per la perdurante presenza di atteggiamenti discriminatori all’interno delle istituzioni e tra gli individui».

Ma cosa rende queste persone così esposte ai rischi legati al cambiamento climatico? «Essendo le persone con disabilità quelle che sono state rese vulnerabili – nel senso che la nostra vulnerabilità è una costruzione sociale: noi non siamo vulnerabili, siamo resi vulnerabili, perché in questi millenni non abbiamo avuto accesso agli stessi diritti, alle stesse opportunità e servizi –, appare evidente che nel momento in cui dobbiamo rispondere a eventi estremi che richiedono evacuazioni rapide, infrastrutture e informazioni accessibili, la cosa diventa estremamente complicata», spiega Giampiero Griffo, componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), organizzazione per i diritti umani impegnata nella tutela dei diritti delle persone con disabilità.
«Ci ritroviamo a essere meno protetti perché nell’emergenza di un evento estremo e in generale nelle situazioni di rischio si è lontani dall’avere compreso come trattare le persone con disabilità», aggiunge Griffo. In questo senso, l’esperto cita l’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, «anche se alla fine nessuno si attrezza».
L’accordo internazionale Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, adottato nel 2015 dai membri delle Nazioni Unite, sottolinea che le persone con disabilità dovrebbero essere in tutti i cluster dell’emergenza, «quindi il primo problema è coinvolgere le persone con disabilità e le loro organizzazioni all’interno delle pratiche di intervento immediato, ma non c’è ancora un’adeguata consapevolezza», conclude Griffo.

Una persona con disabilità in una città sommersa dalle acque

L’“adeguata consapevolezza” richiamata da Griffo risulta assente persino all’interno delle Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici: durante l’ultima COP29, a Baku, in Azerbaigian, infatti, otto organizzazioni internazionali di persone con disabilità hanno protestato con forza per l’esclusione del movimento delle persone con disabilità dai negoziati sul clima delle Nazioni Unite, mentre invece esistono “costituenti” per le politiche di genere, le comunità indigene e i giovani.
«La rivoluzione climatica deve essere inclusiva», rimarca Gordon Rattray, uno degli autori del rapporto Mappare l’inclusione della disabilità nell’azione climatica in Europa, pubblicato nello scorso mese di dicembre dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, che analizza le politiche climatiche di 13 Paesi europei e dell’Asia centrale, evidenziando l’assenza di fondi specifici e la scarsa considerazione delle esigenze delle persone con disabilità nelle strategie climatiche. «Le persone con disabilità incontrano barriere praticamente in tutti gli aspetti della vita quotidiana. La crisi climatica sta aumentando queste barriere. Ad esempio, inondazioni e ondate di calore più frequenti in Europa mettono a dura prova l’assistenza sanitaria, il che significa che le persone che sono già emarginate sono più a rischio. Laddove le popolazioni devono migrare per trovare acqua, cibo e mezzi di sostentamento, le persone con disabilità sono tra quelle lasciate indietro».

Perché è così difficile tenere conto anche delle persone con disabilità nelle politiche di mitigazione e adattamento? «Perché siamo tutti nati e cresciuti in una società abilista che appunto è pensata da e per persone abili», è la risposta chiara di Erika Moranduzzo, esperta di diritti umani nel contesto del cambiamento climatico e attualmente ricercatrice presso l’Università di Leeds nel Regno Unito. «Le persone con disabilità – aggiunge l’esperta – sono circa il 15 per cento della popolazione mondiale, dunque la più ampia minoranza esistente. Ci ricordano quanto siamo vulnerabili. La disabilità non è, infatti, qualcosa di unico, ma è una parte intrinseca della vita umana. Ciò significa che siamo tutti esposti a disabilità e questo vale soprattutto nel contesto del cambiamento climatico. Inoltre, come per altri gruppi sociali, le persone con disabilità non sono solo vittime sproporzionalmente impattate dal cambiamento climatico, ma sono agenti di cambiamento». In poche parole, «accendono la luce su modi di immaginare il mondo che portano beneficio a tutti, non solo alle persone con disabilità», conclude Moranduzzo.

E “agente di cambiamento” è esattamente ciò che prova a essere ogni giorno Daniele Sicherhof, in carrozzina dall’età di 18 anni a causa di un incidente sul lavoro, che in Val di Non (Trento) alleva mucche della razza Grigio Alpina, completamente scomparse dopo gli Anni Sessanta e oggi Presidio Slow Food. Sogna anche di ripiantare, accanto all’attuale ettaro e mezzo di classiche mele Golden, la cosiddetta mela renetta del Canada, anch’essa a rischio di scomparire perché invisa alla grande distribuzione.
Insieme al fratello, Daniele conduce una piccola azienda biologica. «Lavorare in agricoltura vuol dire seguire la natura». Il cambiamento climatico qui si fa sentire, con inverni più miti rispetto al passato e danni alle colture causati dalle gelate primaverili. Quando parte la stagione, Sicherhof vive “con il cellulare in mano” per seguire le previsioni meteo e organizzare il lavoro di conseguenza, perché «è il tempo che comanda», dice.
Nel 2008, riprendendo l’attività del nonno, Daniele ha progettato un caseificio accessibile, una stalla senza barriere architettoniche e ha adattato anche il trattore, così da poterlo guidare. Convinto sostenitore del biologico, racconta di dare alle mucche solo erba, fieno, e un po’ di cereali a mezzogiorno, perché «crediamo in un’agricoltura che dia reddito, prodotti buoni e salutari con il minor impatto ambientale possibile». Daniele critica il modello dell’allenamento intensivo, dove «devi fare quintali di latte e poi come lo fai e la qualità del latte vengono dopo» e, attraverso visite guidate nella sua azienda, cerca di sensibilizzare le persone.
Perché essere un “agente del cambiamento” è una bella responsabilità e dare il buon esempio è un gran bel modo per iniziare a cambiare qualcosa.

*Il presente servizio è già apparso in “A Fuoco”, newsletter su clima e disinformazione e viene qui ripreso, con mi nimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Volontariato e competenze per una nuova cittadinanza

«I volontari percepiscono di essere agenti di cambiamento e ritengono che la loro attività abbia un impatto rilevante sia sulla realtà circostante che su se stessi»: è uno dei principali aspetti che emerge dall’indagine “NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dalla Caritas Italiana, in collaborazione con l’Università di Roma Tre, presso la quale lo studio verrà illustrato il 28 aprile, nel corso dell’incontro “Volontariato e competenze per una nuova cittadinanza”

«Il volontariato è innanzitutto una pratica di solidarietà, ma, per chi ne fa esperienza, è anche un luogo di formazione, crescita personale e apprendimento costante. I volontari percepiscono di essere agenti di cambiamento e ritengono che la loro attività abbia un impatto rilevante sia sulla realtà circostante che su se stessi»: sono questi alcuni degli aspetti che emergono dall’indagine denominata NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato, promossa dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dalla Caritas Italiana, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre.
Lo studio verrà illustrato e discusso nella mattinata del 28 aprile (ore 9.30), presso l’Aula Volpi dell’Università di Roma Tre (Via del Castro Pretorio, 20, Roma), evento che potrà essere seguito in diretta streaming nel canale YouTube del Forum del Terzo Settore.

Dopo i saluti istituzionali, a presentare la ricerca saranno i curatori di essa Paolo di Rienzo e Giovanni Serra dell’Università Roma Tre, con un intervento della ricercatrice Sabrina Stoppiello dell’ISTAT.
Seguirà una sessione dedicata all’approfondimento di alcune delle competenze chiave per il volontariato, con interventi di Franco Lorenzoni, maestro e scrittore, Donatella Turri di Caritas Italiana e Maruan Oussaifi, vicepresidente dell’ANOLF (Associazione Nazionale Oltre le Frontiere).
Concluderà l’incontro una riflessione sulle prospettive per il Paese, con la partecipazione, tra gli altri, di Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore e don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana.
A moderare l’evento sarà Luca Liverani, giornalista di «Avvenire». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: stampa@forumterzosettore.it.
A questo link vi è l’elenco completo di tutti i soci e degli aderenti al Forum Nazionale del Terzo Settore, tra cui anche la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Amministrazione di sostegno: come evitare che le cose vadano “così e cosi” o decisamente male?

«Il professor Paolo Cendon – scrive Salvatore Nocera, a proposito dell’intervista con lo stesso, dedicata all’amministrazione di sostegno e pubblicata sulle nostre pagine – giudica illusoria e sostanzialmente “fuori dal mondo reale” la Proposta di Legge dell’Associazione Diritti alla Follia, per modificare la norma sull’amministrazione di sostegno. Personalmente, pur ritenendola troppo drastica per alcuni aspetti, condivido però i princìpi ispiratori di talune soluzioni proposte»

Ringrazio, insieme alla dottoressa Lancioni, il professor Paolo Cendon per avere accettato di rilasciare un’ampia intervista a Superando, nonostante i suoi numerosi impegni [la si legga a questo link, N.d.R.].
Prendo atto delle sue risposte, a partire dalla prima, che egli reputa riportare dati non corretti. Invero, si potrebbe forse dire che essa era incompleta, perché, come giustamente fa osservare, l’introduzione dell’amministratore di sostegno nel Codice Civile è stata attuata come mezzo di tutela delle persone in situazione di fragilità, ovviamente, però, cercando di ridurre al minimo la loro libertà di compiere atti giuridici. Il professore riconosce tuttavia, in modo quasi didattico, che i casi in cui opera l’amministrazione di sostegno possono dividersi in tre gruppi: un terzo dei casi in cui le cose vanno bene, un terzo in cui vanno così e così, e un terzo in cui vanno male. Ora, trattandosi di circa 400.000 persone attualmente sottoposte ad amministrazione di sostegno, ci troviamo in presenza di oltre 100.000 persone cui l’amministrazione di sostegno va male e altrettante in cui va così e così.

Ecco, la nostra richiesta al professor Cendon era di valutare la Proposta di Legge dell’Associazione Diritti alla Follia, per cercare di evitare questi più di 200.000 casi in cui le cose vanno in parte così e così e in parte male. Personalmente mi rendo conto che la formulazione delle norme della Proposta di Legge è troppo drastica, quando propone ad esempio che in nessun caso l’amministratore di sostegno possa agire contro la volontà dell’interessato o che un amministratore non possa seguire più di due o tre casi, o ancora che in nessun caso la nomina dell’amministratore stesso avvenga da parte di un giudice singolo, ma da un collegio di almeno tre magistrati.
Data questa formulazione, il professore osserva giustamente che non sempre si può rispettare la volontà dell’interessato, quando questa va contro il suo interesse, e propone degli esempi presi dalla realtà, come i casi in cui l’amministrato non voglia pagare le bollette della luce o del gas, fatto che porterebbe al taglio di tali servizi per insolvenza, o quelli di persone anoressiche che non vogliano assumere cibi, fatto che li porterebbe alla morte. In queste situazioni, a mio avviso, non c’è dubbio che la volontà dell’interessato non possa essere rispettata.

Però, di fronte a numerosi casi di cronaca anche giudiziaria, in cui la magistratura ha riconosciuto che l’amministratore di sostegno doveva essere condannato o per comportamento colposo o doloso, e comunque per quel terzo di casi in cui lo stesso professor Cendon riconosce che le cose vanno assai male, quale soluzione proporre egli non lo dice, mentre era proprio ciò che speravamo di sentire da lui, data la sua grande competenza ed esperienza. Così, egli ha opportunamente risposto al problema delle troppe nomine attribuite allo stesso amministratore, che rendono la cura degli amministrati di qualità scadente o negativa, e quindi, vista la carenza di persone disponibili, alla luce della complessità, dell’onerosità psicologica e della quantità di tempo che l’amministrazione comporta per chi accetta di assumerla, egli propone un ricorso al volontariato. E tuttavia, ripeto, per il problema dei casi che «vanno così e così» e soprattutto per quelli che vanno male, io mi auguro che egli voglia in seguito fornire dei suggerimenti non solo utili ma necessari.
Mi chiedo, ad esempio, se non sarebbe possibile la nomina di un “pro-amministratore di sostegno”, come il Codice prevede già per la nomina del “protutore” il quale controlla l’attività dell’amministratore di sostegno, osserva gli effetti prodotti non solo e non tanto sulla situazione patrimoniale dell’amministrato, ma soprattutto su quella esistenziale della serenità di vita dello stesso. Mi rendo conto che anche qui si pone il problema della scarsità di persone disponibili già come amministratori di sostegno, ma se è vero che il Codice non ha avuto difficoltà a recepire l’istituto del protutore, non dovrebbe rifiutare l’introduzione della figura del “pro-amministratore di sostegno”.

In conclusione, il professor Cendon giudica illusoria e sostanzialmente “fuori dal mondo reale” la Proposta di Legge di Diritti alla Follia. Io personalmente, pur ritenendola troppo drastica, come detto, ne condivido però i princìpi ispiratori di talune soluzioni proposte. Pertanto, non solo l’ho già sottoscritta, ma invito tutti a sottoscriverla anche online sul sito di Diritti alla Follia. E ciò perché, in sede di dibattito parlamentare, molte “rigidità” assolute potrebbero essere smussate, e probabilmente potrebbe essere introdotta anche qualche risposta alla domanda di tutela dell’amministrato da parte di certi comportamenti scorretti dell’amministratore.

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Tirocini retribuiti per persone con disabilità all’Organizzazione Internazionale del Lavoro

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) mette a disposizione 8 tirocini esclusivamente riservati a candidati o candidate con disabilità. L’agenzia specializzata dell’ONU, impegnata a promuovere il lavoro dignitoso, offre opportunità in diversi àmbiti, in sede e sul campo. La scadenza per fare domanda è fissata al 30 aprile prossimo

Un’iniziativa dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sull’inclusione delle persone con disabilità prevede 8 tirocini esclusivamente riservati a candidati o candidate con disabilità. Questi tirocini, retribuiti e della durata di 3-6 mesi, offrono anche la copertura delle spese di viaggio per i candidati/candidate provenienti da Paesi non rappresentati o sottorappresentati.

Per proporre la propria candidatura ci si deve dichiarare come persone con disabilità e soddisfare i criteri specificati in ciascun profilo. È possibile richiedere accomodamenti ragionevoli al momento della candidatura. Per prendere visione dei profili richiesti c’è una sezione dedicata sul sito dell’ILO.
La scadenza per fare domanda è il 30 aprile 2025.

L’ILO, agenzia specializzata delle Nazioni Unite, promuove la giustizia sociale attraverso il lavoro dignitoso in tutto il mondo. (C.C.)

Una scheda di approfondimento sull’iniziativa in inglese. Per ulteriori informazioni, inviare un’e-mail a internship@ilo.org.

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La presa in carico sanitaria: «Non possiamo permetterci che le famiglie restino scoperte»

L’azienda attiva nel settore sanitario MedicAir è stata di recente al centro di critiche per l’assenza di assistenza tecnica nei weekend e festivi, anche in situazioni di emergenza. Ne abbiamo parlato con Marco Rasconi, presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che dichiara tra l’altro: «Non possiamo permetterci che le famiglie restino scoperte»

L’azienda attiva nel settore sanitario MedicAir è stata di recente al centro di critiche per l’assenza di assistenza tecnica nei weekend e festivi, anche in situazioni di emergenza. Un episodio riguardante un bottone PEG errato (l’acronimo PEG sta per Gastrostomia Endoscopica Percutanea) ha causato ad esempio gravi disagi a una bimba con patologia ultra-rara, spingendo il padre caregiver a denunciare la vicenda. Ne abbiamo parlato con Marco Rasconi, presidente nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Associazione che ha promosso un ciclo di incontri sulla disfagia proprio in collaborazione con MedicAir (ne abbiamo parlato in questo pezzo).

Marco Rasconi, presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare)

«Ci dispiace molto per quanto è accaduto alla famiglia di quella bimba – ci dice Rasconi -. La situazione delle famiglie, dell’assistenza e l’approvvigionamento degli ausili e prodotti medicali è un tema sempre presente nell’azione della nostra Associazione e pertanto desideriamo manifestare la nostra vicinanza alla bimba e alla sua famiglia. La questione dev’essere chiarita a livello istituzionale, prevedendo un organo di vigilanza che assicuri che questi servizi vengano svolti mettendo davanti a tutto i bisogni delle persone. La frammentazione dei servizi dati in gestione a enti o aziende diverse non aiuta a rispondere alle necessità concrete delle famiglie e rende più pesante il lavoro di cura».

La UILDM collabora con diverse aziende per iniziative di formazione, tra cui MedicAir. In che modo – chiediamo a Rasconi – intendete gestire il dialogo con l’azienda per affrontare le criticità segnalate, senza compromettere le attività positive già avviate? «Da Statuto – ci risponde il Presidente della UILDM – la nostra Associazione è apolitica e apartitica. Nelle nostre attività collaboriamo con aziende ma non abbiamo rapporti esclusivi e privilegiati con nessuna. È una modalità che ci permette di erogare formazione ai nostri soci su determinati aspetti e sostenere alcuni dei servizi che offriamo. La nostra missione è prima di tutto supportare le persone con distrofie e le altre patologie neuromuscolari, quindi nelle situazioni di criticità la nostra priorità è il benessere delle persone. In questo caso io vedo due temi separati. Da una parte noi portiamo avanti iniziative di informazione e formazione per le persone con disabilità, avvalendoci della collaborazione di varie aziende e continueremo a farlo, anche appunto sul “fronte alimentare”. Quegli incontri sulla disfagia cui fate riferimento sono andati molto bene: siamo riusciti infatti a dare tante indicazioni anche a professionisti che incontrano le nostre persone. Poi è chiaro che, avendo questo contatto con l’azienda in questione, chiederemo spiegazioni su tutto il resto. Le cose, cioè, non si escludono a vicenda».

«In realtà – aggiunge Rasconi – credo che non si tratti solo di MedicAir, ma che il tema sia più in generale quello della presa in carico sanitaria. Non possiamo permetterci, infatti, che le famiglie restino scoperte. Tuttavia anche la normativa di accreditamento e quello che viene chiesto alle aziende deve essere più puntuale sul bisogno del paziente. Quindi anche da questo punto di vista c’è da intervenire».
«È chiaro – conclude – che i livelli sono molteplici. C’è quello dell’informazione e della formazione alle famiglie, alle aziende e, poi c’è quello delle capacità di influire sulle politiche: questo lo facciamo ovviamente con la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità), cui aderiamo sin dagli inizi, ma lo facciamo anche da soli quando possiamo. Il tema per noi resta quello di essere in grado di collaborare a trecentosessanta gradi, ma naturalmente, come detto, parleremo con l’azienda su questo tema, su come si possa migliorare la qualità del servizio». (C.C.)

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Ripartono i corsi di guida in moto dell’Associazione Di.Di.

Ripartiranno il 28 aprile dall’Autodromo di Magione in Umbria i corsi di guida in moto in pista promossi dall’Associazione Di.Di. Diversamente Disabili, rivolti principalmente a chi ha una disabilità fisica e vuole tornare in moto, per passione, per necessità o per superare i propri limiti

Stanno per ripartire i corsi di guida in moto in pista promossi dall’Associazione Di.Di. Diversamente Disabili, rivolti principalmente a chi ha una disabilità fisica e vuole tornare in moto, per passione, per necessità o per superare i propri limiti. La prima data prevista, infatti, è quella del 28 aprile all’Autodromo di Magione (Perugia).

Attiva dal 2013, la Scuola Guida Di.Di. – che fa capo, va ricordato, all’Associazione promotrice dal 2014 del Campionato Italiano di motociclismo paralimpico – in undici anni ha rimesso in sella più di 460 persone. Lo staff è composto da tecnici e istruttori federali, anche con la stessa disabilità dell’allievo, per spiegare al meglio le tecniche di guida in base alle proprie esigenze fisiche. Ed è impegnato anche un gruppo di volontari a disposizione delle persone, per aiutarle nella vestizione, nel salire in moto o negli spostamenti nel paddock.
Grazie alle donazioni del 5 per mille, nonché al supporto di una serie di aziende, Di.Di. dispone di un parco mezzi composto da moto e pit-bike adattate per ogni tipo di disabilità (arti inferiori, arti superiori e paraplegia), oltre a fornire ai corsisti anche l’abbigliamento tecnico necessario a guidare in tutta sicurezza.

«Quando sei in moto – dicono da Di.Di. – sei uguale a tutti gli altri, sei libero dalla tua disabilità. Perché si affrontano le proprie paure, si chiude un cerchio che, spesso, è iniziato proprio il giorno dell’incidente che ha causato la disabilità. Ed è importante l’autostima che consente di tornare a coltivare la propria passione e a dimostrare a se stessi che si possono fare ancora moltissime cose, solo in modo diverso». (S.B.)

Per ogni informazione: info@paralympicriders.it.

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L’Associazione Italiana Dislessia e MyEdu: una partnership a favore delle persone con DSA

Casa editrice digitale specializzata nella realizzazione di strumenti e risorse per la didattica, MyEdu ha intrapreso un percorso biennale a fianco dell’AID, l’Associazione Italiana Dislessia che promuove l’inclusione delle persone con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento). Nello specifico, MyEdu sosterrà il lavoro quotidiano che la rete di volontari e dei formatori dell’AID svolge per informare, sensibilizzare e supportare le bambine, i bambini e gli adulti con queste neurodivergenze

Casa editrice digitale specializzata nella realizzazione di strumenti e risorse per la didattica e partner del Ministero dell’Istruzione e del Merito, MyEdu ha recentemente intrapreso un percorso biennale a fianco dell’AID, l’Associazione Italiana Dislessia che dal 1997 promuove in Italia l’inclusione delle persone con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento: se ne legga anche in calce). Nello specifico, l’impegno di MyEdu sarà a sostegno del lavoro quotidiano che la rete di volontari e dei formatori dell’AID svolge sul territorio per informare, sensibilizzare e supportare le persone, le bambine e i bambini e gli adulti che hanno queste neurodivergenze.

La partnership prevede vari progetti, a partire dalla realizzazione della prima guida per i genitori in formato digitale e cartaceo, facilmente fruibile e divulgabile, con strategie e buone prassi validate dai formatori dell’AID sulla gestione dei DSA. Questi ultimi, infatti, si manifestano quasi sempre nelle aule scolastiche, ma spesso i genitori sono impreparati nel riconoscere i segnali predittivi e non sanno orientarsi tra le soluzioni che possono aiutare le proprie figlie e figli a superare le difficoltà quotidiane. Strumenti digitali realizzati sfruttando le potenzialità della tecnologia, indirizzate da specialisti della didattica e dell’educazione, possono dunque consentire di costruire percorsi di apprendimento su misura, adattabili ad ogni specificità, psicologica e neurologica. E in particolare la fruizione multimediale dei contenuti scolastici, l’utilizzo delle mappe concettuali e di giochi e lezioni interattive, tramite l’uso di devices, possono permettere alle bambine e ai bambini con DSA o altri BES (bisogni educativi speciali) di ridurre le proprie difficoltà, restando al passo dei propri coetanei.
Oltre poi all’attività informativa e divulgativa, MyEdu concretizzerà il proprio impegno al fianco di AID offrendo l’accesso gratuito alla piattaforma digitale alle bambine e ai bambini con DSA che usufruiscono del fondo di solidarietà AID, rivolto alle famiglie in difficoltà.

«L’accesso a strumenti didattici innovativi e inclusivi – sottolinea Silvia Lanzafame, presidente dell’AID – rappresenta un elemento fondamentale per il successo formativo e l’autonomia nell’apprendimento degli studenti e delle studentesse con DSA. Grazie al sostegno e all’esperienza di MyEdu, potremo offrire alle famiglie risorse concrete per affrontare con maggiore serenità il percorso scolastico dei propri figli e figlie. Questa partnership rappresenta un passo importante verso una scuola sempre più inclusiva e attenta alle esigenze di ogni studente, per non lasciare indietro nessuna e nessuno».
«Siamo felici – afferma dal canto suo Laura Fumagalli, presidente di MyEdu – di avere cominciato un percorso al fianco dell’Associazione di riferimento in Italia per un problema che riguarda sempre più famiglie e di conseguenza chiunque si occupi di didattica e siamo convinti, grazie alla loro autorevolezza e competenza sul tema, di poter realizzare progetti concreti per contribuire ad aiutare, nella quotidianità, chi deve affrontare queste difficoltà. Il nostro impegno, infatti, è favorire un’educazione inclusiva grazie alla realizzazione di contenuti e risorse progettati dai nostri esperti a “misura di tutti” e, nello specifico, fruibili anche da studentesse e studenti con disturbi specifici dell’apprendimento». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa AID (Gabriele Brinchilin), comunicazione@aiditalia.org; Ufficio Stampa MyEdu (Stefania Nebuloni), info.nebuloni@gmail.com. La dislessia e gli altri DSA (disturbi specifici dell’apprendimento)
Il più diffuso DSA (disturbo specifico di apprendimento) è la dislessia, cioè il disturbo specifico della lettura, che si manifesta e si evolve in concomitanza dell’inizio dell’attività scolastica, quando emergono le prime difficoltà nell’attivare in maniera fluente e senza affaticamento tutte quelle operazioni mentali necessarie per leggere, quali riconoscere le lettere singole, le sillabe e quindi le parole, associandole ai suoni corrispondenti. Frequenza degli errori e lentezza nella decodifica ne sono i tipici aspetti: il bambino può, per esempio, presentare difficoltà nel riconoscere, scambiandoli tra loro, grafemi che differiscono visivamente per piccoli particolari quali: “m” con “n”, “c” con “e”, “f” con “t”, “a” con “e”.
La persona con disortografia, invece, evidenzia la difficoltà a tradurre correttamente le parole in simboli grafici e a confondere il suono delle lettere (per esempio “f/v”, “t/d”, “p/b”, “c/g”, “l/r”).
Un terzo disturbo che impedisce alla persona di esprimersi nella scrittura in modo fluido è la disgrafia, caratterizzata da una grafia spesso illeggibile, da una pressione eccessiva sul foglio e dallo scarso rispetto degli spazi sul foglio.
C’è infine la difficoltà a comprendere simboli numerici e a svolgere calcoli matematici, conosciuta con il nome di discalculia. Stando ai dati, circa il 3% della popolazione studentesca è affetta da tale disturbo, che complica la lettura e la scrittura dei numeri e soprattutto l’elaborazione delle quantità. Gli errori collegati a questa problematica molto spesso non vengono riconosciuti nell’immediato. Diversi, infatti, sono i casi di discalculia erroneamente diagnosticati come dislessia.

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Amministrazione di sostegno: quel 30 per cento di gravi criticità

Perché la Legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno, pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà, si è concretizzata in tantissimi casi in una violazione dei loro diritti umani? Salvatore Nocera e Simona Lancioni lo hanno chiesto a Paolo Cendon, considerato il “padre” di quella norma, oltre a parlare con lui della Proposta di Legge dell’Associazione Diritti alla Follia, volta a modificare la norma stessa Jina Wallwork, “Support” (©Jina Wallwork)

Com’è possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si sia concretizzata in tantissimi casi in una violazione dei loro diritti umani? La norma di cui parliamo è la Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, che lo scorso anno ha compiuto vent’anni, e quella domanda abbiamo voluta porla, nell’intervista che presentiamo oggi, curata da Salvatore Nocera e Simona Lancioni, a colui che è considerato il “padre” della norma in questione, ossia Paolo Cendon, professore ordinario dell’Università di Trieste, nonché coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili, riattivato presso il Ministero della Giustizia nel novembre 2023. Con lui abbiamo parlato delle tante criticità che già da tempo denunciamo su queste pagine, dalle nomine di un amministratore di sostegno senza interpellare la persona che vi viene sottoposta, al mancato rispetto della volontà di quest’ultima; dai trattamenti sanitari autorizzati da terzi, ma spacciati come “scelti” dalla persona amministrata, alla contraccezione e a interruzioni di gravidanza eseguite senza il consenso delle donne con disabilità psicosociale sottoposte a “tutela giuridica”; e ancora, dall’impossibilità per la persona amministrata di stare in contatto con parenti/amici per volontà dell’amministratore di sostegno, ai numerosi furti ai danni delle persone amministrate, fino al trasferimento della persona amministrata in una struttura residenziale senza il suo consenso, come nell’eclatante “caso Gilardi”, costato all’Italia una condanna da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (se ne legga a questo link).
Per ovviare a tali criticità, l’Associazione Diritti alla Follia ha recentemente elaborato una Proposta di Legge di iniziativa popolare, attualmente aperta alla sottoscrizione online, che prevede modifiche e integrazioni alla Legge 6/04. Anche di questa Proposta di Legge, e in particolare di alcuni aspetti di essa, si è parlato con il professor Cendon.

Professor Cendon, lo scorso anno lei segnalava che le persone soggette ad amministrazione di sostegno hanno superato abbondantemente le 400.000, che questo numero è in costante aumento e che l’istituto funziona nell’80-90% dei casi. Noi vorremmo qui focalizzare la nostra attenzione su quel 10-20% dei casi – che corrispondono a 40/80mila persone – nei quali sono state riscontrate delle criticità anche particolarmente pesanti in una serie di situazioni. Com’è stato dunque possibile che una norma pensata per favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione di persone con qualche tipo di difficoltà si concretizzi, in decine di migliaia di casi, in una violazione dei loro diritti umani?
«Vorrei innanzitutto precisare che i numeri da voi citati vanno leggermente corretti in basso, direi tra le 350.000 e le 400.000 persone soggette ad amministrazione di sostegno, anche se potrebbero esserci dati più recenti che confermino le 400.000. Non credo poi nemmeno che le cose vadano bene nell’80/90% dei casi, come da voi detto, credo infatti che vadano bene per il 30% dei casi, così così per un altro 30% e male per un ulteriore 30%.
Rispetto allo scopo della Legge 6/04, è certamente stato fondamentale l’obiettivo di favorire l’emancipazione e l’autodeterminazione delle persone ed è bene sottolinearlo. Ma vi è stata anche l’esigenza di protezione. Direi dunque che per metà si tratta di favorire l’emancipazione all’insegna della maggiore libertà possibile, per l’altra metà, invece, di proteggere e tutelare. Quando ad esempio c’è una persona che non è in grado, per varie ragioni, di fare quello che dovrebbe fare (pagare le bollette), allora il problema è quello di tutelarla.
Quindi, ribadisco, il trend voluto dalla Legge 6/04 è stato per metà quello dell’emancipazione e della “fioritura” delle persone, potremmo dire, per metà, invece, quello di salvaguardare, di impedire che le persone stesse precipitino in condizioni peggiori o pericolose».

Dopo la Sentenza del 6 luglio 2023, con cui la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per il cosiddetto “caso Gilardi”, quali garanzie ha oggi una persona sottoposta ad amministrazione di sostegno di non essere rinchiusa da qualche parte contro la propria volontà?
«In realtà è necessario precisare che nel caso di Carlo Gilardi la Corte Europea, che ha prodotto la Sentenza del 6 luglio 2023, non aveva sotto mano tutti gli elementi utili a potersi esprimere sul punto, in quanto non ha mai richiesto – e comunque non le sono mai stati forniti – i dati completi, e quindi ha giudicato ignorando una serie di importanti dettagli. In altre parole, non voglio dire che Carlo Gilardi “desiderasse spasmodicamente” andare nella casa di riposo, però, in certi frangenti non era così contrario. Soprattutto la Corte ha completamente dimenticato o ignorato – ignorando appunto il relativo fascicolo –, che Gilardi era un uomo che soffriva delle microvessazioni quotidiane che gli imponevano i suoi badanti, in modo molto insistente. E lui, che pure era buono e ispirato da sacri sentimenti, non se ne lamentava pubblicamente, ma in certe occasioni lo faceva. Le forze dell’ordine, a quanto mi risulta anche per esperienza diretta, lo invitavano ad esternare in qualche modo queste sue lagnanze con parole specifiche, per far sì che potessero intervenire.
Credo dunque che la realtà dei fatti sia stata abbastanza diversa da quella che si racconta. Potremmo dire che Carlo Gilardi fosse una persona “spezzata in due”, ossia che metà di lui, o forse anche più, odiasse andare in casa di riposo e stesse bene, tutto sommato, là dove stava, ma una parte di lui stesso, anche molto consistente, si rendeva conto di essere oggetto da qualche anno di quelle vessazioni da parte dei badanti che gli chiedevano denaro, gli imponevano azioni, arrivando fino al ricatto e a fargli addirittura commettere qualche piccolo reato.
Se dunque si ignorano queste parti della storia, si corre il rischio di produrre una Sentenza, come ha fatto la Corte Europea, enormemente sbilanciata. Un altro dato da ricordare, ad esempio, è che quando Carlo Gilardi era in casa di riposo, non è vero che ogni giorno chiedesse di vedere i cugini o altre persone che avrebbero fatto continuamente richiesta di essere presentati e di poter parlare con lui. Era infatti una persona di indole solitaria, contento, tutto sommato, che gli venissero risparmiate visite e richieste a cui diceva quasi sempre di no. Anche il Giudice ha probabilmente sbagliato quando ha negato dialogo e conversazioni con persone che l’avevano chiesto, ma questo è successo poche volte, mentre in ogni altro caso era lo stesso Gilardi a supplicare il giudice, e in particolare l’amministratore di sostegno, di essere tenuto al riparo da richieste di conversazioni con persone che lui praticamente non conosceva o che in ogni caso non stimava molto.
Quindi ci sono tanti “buchi” che in quel caso occorre certamente tenere presenti».

L’Associazione Diritti alla Follia ha elaborato una Proposta di Legge di iniziativa popolare, attualmente aperta alla sottoscrizione online, che prevede modifiche e integrazioni alla norma in questione. Nel chiederle qui di seguito un’opinione sugli interventi più caratterizzanti della Proposta, ci soffermiamo innanzitutto sulla necessità di specificare nei Decreti di nomina dell’amministratore di sostegno – come recita quella Proposta – che né quest’ultimo, né il Giudice Tutelare o il Collegio possano sostituirsi al beneficiario nell’assunzione di qualunque decisione, e che il loro compito è di «supportare il processo decisionale autonomo della persona».
«Non è così semplice rispondere a questa domanda, perché essa contiene una premessa in cui si vede il mondo della fragilità come se fosse fatto e costruito in un certo modo, mentre purtroppo è molto più complicato. Si diceva in precedenza che per la metà e oltre dei casi tutto va benissimo, è corretto e quindi è opportuno dire che l’autonomia vada salvaguardata e potenziata, che la libertà è sacrosanta… Nell’altra metà dei casi, purtroppo, non è così, il mondo non è come vorremmo. Non vorremmo che ci fosse la sofferenza, il dolore, le guerre e tante altre brutte cose che purtroppo esistono. Proviamo a far finta che non esistano? È così che vogliamo ragionare? Non credo sia giusto farlo. Si pensi ad esempio a quella che a mio parere è una questione riguardante tutti i beneficiari di amministrazione di sostegno, ovvero il pagamento delle bollette (luce, acqua, gas, telefono, tasse, condominio ecc.). Tutti quelli che possono non le pagano, ma è necessario farlo e quindi, cosa deve fare un amministratore di sostegno che si trova davanti a un beneficiario che dice “no, non le ho pagate, non voglio pagarle, non voglio pagare nemmeno le tasse…”? Se non paghi, ti tagliano la luce, se non paghi, corri dei rischi enormi. Ecco, questo è un esempio minimo, in fondo, un esempio molto semplice, ma sin troppo frequente. Che senso ha ignorarlo, fingendo quindi che il mondo sia diverso da quello che è? Il mondo, purtroppo, è fatto anche di beneficiari che certe volte non fanno cose indispensabili, come appunto pagare le bollette o le spese condominiali.
Sono cinque i casi difficili, o meglio, i gruppi di casi (circa 3 milioni di persone in Italia), nei quali purtroppo l’amministratore di sostegno e il giudice si trovano di fronte alla necessità di, non dico calpestare la volontà, ma di persuadere in ogni modo possibile il beneficiario a fare cose indispensabili e se il beneficiario si oppone, devono farlo lo stesso, come del resto ammette anche il Codice in alcuni passaggi in cui si parla di “rappresentanza esclusiva”. Si tratta dei casi di disagi psichici molto gravi, di anoressia, di alcolismo, di dipendenza da sostanze stupefacenti, di ludodipendenza. Qui ho esemplificato cinque categorie in cui ci si trova purtroppo di fronte a dei veri e propri muri e certe volte è necessario anche andare avanti. Si pensi all’anoressia, forse il caso più esemplare, perché qui è in gioco la vita di una persona.
All’inizio i giudici facevano come vorrebbe la Proposta di Legge dell’Associazione Diritti alla Follia, ossia “vabbè, se non vuoi mangiare, non importa, facciamo quello che vuoi, pazienza se muori!”. Questo è andato avanti così per qualche anno, poi i giudici hanno cambiato idea, sia pure senza mai venir meno alla persuasione, al dialogo, fin quando possibile, senza mai venir meno a questo codice fondamentale; quando però in certi casi si ha a che fare con la fragilità, quando una ragazza arriva a pesare 25 chili, occorre che il giudice dia all’amministratore di sostegno il potere di farla mangiare con la forza. E questo è successo in alcuni Decreti che abbiamo anche pubblicato recentemente, per testimoniare che non è un’invenzione del sottoscritto o di chissà chi, ma è quello che i giudici fanno quando devono farlo, perché c’è in gioco la vita delle persone. E sono le madri stesse [delle ragazze, N.d.R.], tra l’altro, che spesso li supplicano di non far morire a nessun costo la propria figlia».

Paolo Cendon

Sempre in riferimento alla citata Proposta di Legge, qual è il suo parere sull’introduzione del vincolo che l’individuazione (e l’eventuale sostituzione) dell’amministratore di sostegno sia ineludibilmente legata alla scelta del beneficiario?
«Come ho già detto in precedenza, credo sia un’illusione postulare un beneficiario che sia sempre perfettamente in grado di decidere. Diciamo che da qualche tempo in qua è approdata con evidenza e forza sempre maggiori, anche presso i giudici, la consapevolezza che l’essere umano è più complicato di come sembrerebbe e che spesso è “spezzato” in parti diverse tra loro, potremmo dire tra parti che “vogliono essere salvate” e parti che “non vogliono essere salvate”. Dal canto suo, il giudice tutelare opera una sorta di contratto con quella parte della persona che chiede di “essere salvata”.
Mi rendo conto che questa è una grande semplificazione della questione, ma credo sia fondamentale partire dalla presa d’atto che l’essere umano è molto complicato, e ignorare questo vuol dire semplificare troppo le cose».

Rispetto poi al fatto che uno stesso amministratore di sostegno possa avere un solo beneficiario, o al massimo tre, quando i beneficiari sono legati tra loro da rapporti di coniugio, o di parentela fino al secondo grado, che cosa ne pensa?
«Qui mi permetto di dire che si sfiora veramente il ridicolo, in quanto si immagina che fuori dei tribunali vi siano code di gente che dice: “voglio farlo io l’amministratore di sostegno, ci tengo moltissimo”! L’amministratore di sostegno è un mestiere nobilissimo, che però è pagato pochissimo, esige sforzi indicibili, tant’è che proprio nessuno vuole farlo. Forse nel 2004 il Legislatore non immaginava che i “fragili” fossero così numerosi e che quindi altrettanto numerosi avrebbero dovuto essere gli amministratori di sostegno. Ma, ripeto, nessuno vuole fare l’amministratore di sostegno, in molti casi nemmeno in famiglia, figuriamoci fuori della famiglia. Per ottenere quattro soldi, con fatica, spesso insultati, sbeffeggiati dal proprio beneficiario, magari incompresi anche dal giudice tutelare… chi vorrebbe fare un lavoro del genere? Quindi il vero problema del giudice tutelare oggi, forse il più grosso, è trovare gli amministratori di sostegno, figuriamoci se uno può permettersi il lusso di più di due o tre beneficiari, magari fosse così…
Bisogna organizzarsi con il volontariato, bisognerebbe cominciare a fare un lavoro robusto, ma vi è una disparità tendenziale, una forbice destinata a crescere tra i beneficiari, cioè coloro che hanno bisogno di aiuto, che oggi sono circa 400.000, ma che con il tempo fatalmente cresceranno, perché questa è l’Italia. Non so quale sia il tetto possibile, almeno il triplo, il quadruplo, forse dieci volte tanto, forse sono 4 milioni in potenza le persone con difficoltà. E 4 milioni di amministratori di sostegno dove li cerchiamo? Ci vorrebbe un ministro, un’organizzazione che cercasse delle strade per incentivare queste soluzioni, vie economiche, vie organizzative, vie di vario tipo, valorizzando soprattutto il volontariato, che mi sembra il grande bacino cui attingere. Certo, è un grosso problema, non lo nego, ma figuriamoci se si può ridurre addirittura per legge a due beneficiari, quando ci sono avvocati – e non va bene, sono il primo a non essere d’accordo – che arrivano ad avere venti, trenta, beneficiari perché il giudice non ha trovato altre persone. E si tenga anche conto che il Legislatore aveva stabilito che gli assistenti sociali non dovessero fare gli amministratori di sostegno, per evitare il conflitto di interessi. Il bacino, quindi, si restringe ulteriormente.
Il problema è enorme, ma non si può certo risolverlo pensando di vivere tra le nuvole!».

Per quanto poi riguarda il fatto che la nomina dell’amministratore di sostegno divenga competenza di un Tribunale in composizione collegiale e che l’obbligo di nomina veda il beneficiario in tutta la procedura sempre supportato da un avvocato di fiducia, qual è la sua opinione?
«Anche qui credo sia necessario fare i conti con la realtà. Già oggi, infatti, i giudici di ruolo che si occupano di amministrazione di sostegno sono pochi, pochissimi, solo in parte aiutati dai giudici di supporto. Questo è un grave problema che non so se in prospettiva sarà risolvibile. Immaginare dunque di poter contare addirittura su un collegio di giudici, mi sembra francamente una pura e semplice utopia».

E rispetto alla previsione della suddetta Proposta di Legge che in nessun caso il provvedimento di amministrazione di sostegno possa incidere sulla continuità dei rapporti familiari, cosa ne pensa?
«Come ho già detto in precedenza, i rapporti tra beneficiario e famiglia si possono dividere in tre gruppi, un 30% in cui le cose vanno benissimo, un altro 30% in cui la situazione è abbastanza traballante e un ulteriore 30% in cui invece le cose vanno veramente male, e addirittura può essere il familiare stesso all’origine di dissesti psichici, fisici ed esistenziali in cui si trova il beneficiario. In questi ultimi casi la prima azione del giudice, quando se ne rende conto, è di staccare subito, con ogni mezzo, il beneficiario dal suo contesto familiare, che è appunto all’origine di situazioni disastrose. Quindi la continuità dei rapporti familiari, quando c’è ed è buona, è provvidenziale, e bene ha fatto il Legislatore a mettere in primo piano i familiari come bacino nel quale attingere agli amministratori di sostegno. Ma purtroppo molto spesso le cose non vanno così, come accade almeno per il 30% dei casi, talora anche arrivati alle cronache, perché riguardanti personaggi noti del mondo dello spettacolo o della cultura. Situazioni assolutamente gravi, rispetto alle quali il primo compito dei giudici dev’essere non di favorire la continuità familiare, ma di spezzarla, staccando subito il beneficiario dalla sua famiglia».

In conclusione, dunque, come valuta nel complesso la Proposta di Legge di cui si tratta?
«Illusoria, perché per molti aspetti prescinde dalla realtà. Rispetto ad alcuni casi può essere una proposta corretta, che sarebbe bellissima se il mondo fosse come vorremmo, ma per ogni tre, quattro casi di quel tipo, ce ne sono purtroppo almeno dieci volte tanti che con quella proposta vanno in disaccordo. E quindi, da questo punto di vista, ritengo che essa sia a dir poco utopistica».

*Paolo Cendon è professore ordinario dell’Università di Trieste, nonché coordinatore scientifico del Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili riattivato presso il Ministero della Giustizia nel novembre 2023. Salvatore Nocera, avvocato, è impegnato da sempre sul fronte dei diritti delle persone con disabilità ed è esperto, in particolare, di questioni legate all’inclusione scolastica. Simona Lancioni è sociologa, responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa).

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Il “Premio Muñoz” e il “Premio Brugnani” del Movimento Apostolico Ciechi

Dopo la conclusione per il 2024 del “Premio Antonio Muñoz”, rivolto a studenti e studentesse con disabilità visiva e del “Premio Don Giovanni Brugnani – Parrocchie inclusive”, rivolto alle comunità parrocchiali che si attivano per coinvolgere nella loro vita e nelle loro attività persone con disabilità di ogni età, il MAC (Movimento Apostolico Ciechi) ha aperto fino al 31 maggio prossimo le iscrizioni alla nuova edizione del “Premio Brugnani” stesso Don Giovanni Brugnani, cui è intitolato il premio promosso dal MAC

Tradizionale iniziativa promossa dal MAC (Movimento Apostolico Ciechi) e dedicata a un professore cieco di Latina, Il Premio Antonio Muñoz, rivolto a studenti e studentesse con disabilità visiva, è stato attribuito, per il 2024, a due alunni di San Giovanni in Persiceto (Bologna) e di Lerici (la Spezia), per la scuola primaria; a un’alunna di Carbonia (Sud Sardegna) e a un alunno di Vicoforte (Cuneo) per la scuola secondaria di primo grado; a due allievi rispettivamente di Abbiategrasso (Milano) e di Roma, per la scuola secondaria di secondo grado.

Altra iniziativa del MAC è il Premio Don Giovanni Brugnani – Parrocchie inclusive, rivolto alle comunità parrocchiali che si attivano per coinvolgere nella loro vita e nelle loro attività persone con disabilità di ogni età. La dedica è a un sacerdote della Diocesi di Lodi – don Giovanni Brugnani, appunto, prematuramente scomparso nel 1968, che diede un impulso decisivo per far sì che il MAC stesso divenisse un’Associazione a carattere nazionale.
Per il 2024 ad aggiudicarsi il riconoscimento sono state la Parrocchia Santo Stefano di Segrate (Milano) e la Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Ceccano (Frosinone).

Ora è già tempo della nuova edizione del Premio Brugnani, per la quale le iscrizioni sono aperte fino al prossimo 31 maggio. A questo link è disponibile il regolamento del premio, a questo e a quest’altro i relativi moduli per partecipare. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: mac@movimentoapostolicociechi.it.

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Distrofia muscolare di Duchenne: Confronto e Condivisione per la Crescita della Comunità

Quattro “C” (Confronto e Condivisione per la Crescita della Comunità), per sintetizzare gli esiti del prezioso momento di aggiornamento promosso a Roma dall’Associazione Parent Project, in collaborazione con l’organizzazione statunitense PPMD, cui hanno partecipato circa 50 clinici provenienti da Stati Uniti, Italia e Francia, impegnati nella gestione cardiaca e respiratoria delle persone con la distrofia muscolare di Duchenne Persone dell’organizzazione statunitense PPMD (Parent Project Muscular Dystrophy)

Evento aperto ai soli clinici, promosso dall’Associazione Parent Project, in collaborazione con l’organizzazione statunitense PPMD (Parent Project Muscular Dystrophy), si è tenuto nei giorni scorsi a Roma il meeting Cardiopulmonary Consensus in Duchenne (letteralmente “Consenso cardiopolmonare nella distrofia muscolare di Duchenne”), prezioso momento di aggiornamento per la comunità scientifica legata a questa patologia, cui hanno partecipato circa 50 clinici provenienti da Stati Uniti, Italia e Francia, impegnati appunto nella gestione cardiaca e respiratoria delle persone con la distrofia di Duchenne.

«L’incontro – dicono da Parent Project – ha offerto un’opportunità unica per confrontarsi sulle pratiche in uso nei vari Paesi, evidenziando punti di forza e approcci diversi sulla gestione clinica dei pazienti, con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione internazionale e contribuire a definire linee guida più chiare e condivise».
«Grazie agli sforzi congiunti di cardiologi e pneumologi internazionali – sottolinea in tal senso Ezio Magnano, presidente dell’Associazione – il meeting ha raggiunto il proprio obiettivo di aggiornare gli standard clinici, con lo scopo di migliorare la gestione clinica dei nostri figli, generando un impatto concreto positivo sulla loro qualità di vita».
«L’incontro di Roma – commenta dal canto suo Fabrizio Racca, direttore della Struttura di Anestesia e Rianimazione Generale dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino – ha rappresentato un’importante occasione di confronto tra gli specialisti, che ha permesso di discutere gli argomenti più controversi circa la gestione delle complicanze cardiache e respiratorie, gettando le basi per un aggiornamento delle linee guida attualmente in uso».

La prima giornata dei lavori si è aperta con una restituzione di alcuni workshop svoltisi lo scorso anno, uno dei quali a Roma, organizzato da Parent Project, sugli aspetti respiratori nella Duchenne e altri negli Stati Uniti, organizzati da PPMD, sugli aspetti cardiaci. A completare il quadro complessivo, che ha rappresentato il punto di partenza per l’avvio dei lavori stessi, anche un intervento sull’impatto delle nuove terapie per la Duchenne.
Nella seconda giornata, quindi, gli specialisti sono stati divisi in due gruppi, per affrontare separatamente le tematiche respiratorie e quelle cardiache. Il tutto seguito da una discussione aperta, gettando le basi per la stesura di una pubblicazione che sintetizzerà le migliori pratiche emerse.
Nella terza giornata, infine, i gruppi di lavoro hanno presentato gli aspetti salienti e le principali raccomandazioni emerse dalla giornata precedente.

«Nel corso del meeting – ricorda Rachele Adorisio, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Terapie Cardiovascolari avanzate all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – è stata posta attenzione sui temi della prevenzione e del trattamento precoce delle cardiomiopatie. Per la prima volta si è anche discusso delle terapie cardiovascolari avanzate: VAD [“dispositivo di assistenza ventricolare”, N.d.R.], trapianto e defibrillatore, con un focus sull’obiettivo di razionalizzare le modalità di selezione del paziente che possa beneficiare di questi trattamenti».
«Possiamo definire il lavoro svolto in queste giornate – conclude Claudio Bruno, responsabile del Centro di Miologia dell’Istituto Gaslini di Genova – attraverso quattro “C”: Confronto e Condivisione per la Crescita della Comunità. Sono stati infatti giorni preziosi di incontro e scambio tra colleghi uniti dalla determinazione a migliorare sempre più la presa in carico dei pazienti e ad avere un impatto positivo sulla comunità Duchenne». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Elena Poletti (e.poletti@parentproject.it).

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A livello internazionale i siti web più inaccessibili sono quelli delle compagnie di viaggio

Due indagini a livello internazionale, in tema di accessibilità digitale, hanno indicato numerose compagnie di viaggio tra i peggiori trasgressori delle disposizioni per l’accessibilità dei siti web alle persone con disabilità, rendendo letteralmente impossibile, a queste ultime, accedere ai servizi online (©Mikhail Nilov via Pexels)

Due recenti indagini a livello internazionale, in tema di accessibilità digitale, hanno indicato numerose compagnie di viaggio tra i peggiori trasgressori delle disposizioni per l’accessibilità dei siti web alle persone con disabilità, rendendo impossibile, a queste ultime, accedere ai servizi online.
Ne dà notizia un articolo a firma di Joanna Bailey, pubblicato il 13 aprile dalla testata «Euronews Travel», riportando gli esiti di due distinte verifiche dell’accessibilità digitale effettuate da due operatori impegnati in questo settore: WebAim, Associazione senza scopo di lucro che si occupa di migliorare l’esperienza web per gli/le utenti con disabilità e AudioEye, società specializzata nell’accessibilità digitale.

Entrambi i rapporti di ricerca, dunque, segnalano i siti web delle compagnie di viaggio tra i peggiori in termini di accessibilità. In particolare il rapporto Million, prodotto da WebAim, ha valutato l’accessibilità di un milione di siti web e ha rilevato che, nel complesso, quasi il 60 % dei siti inerenti ai viaggi presentano errori nella loro homepage, con un aumento del 17 % rispetto all’anno precedente.
Anche l’Indice di Accessibilità Digitale 2025 di AudioEye ha individuato molteplici problemi e indicato lo scarso contrasto dei colori, i link vaghi e i moduli inaccessibili come quelli più comuni.
Una situazione preoccupante, questa, se si considera che, stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona su sei della popolazione mondiale vive con una qualche forma di disabilità. Risulta poi che almeno 2 miliardi e 200 milioni di persone abbiano una disabilità visiva, e si stima che quasi 400 milioni di persone abbiano una grave difficoltà visiva. Si valuta ancora che 43 milioni di persone siano registrate come “non vedenti”. In sostanza, le persone con disabilità visiva sono tra le più penalizzate dall’inaccessibilità del web.

«Con circa il 20 % della popolazione che dichiara di avere una disabilità, ignorare le barriere di accessibilità può avere un impatto negativo su una vasta popolazione di potenziali clienti e visitatori del sito», ha dichiarato a «Euronews Travel» Jared Smith, direttore esecutivo di WebAim. In tal senso, molte ricerche sul valore della ristorazione per i viaggiatori e le viaggiatrici con disabilità sono state condotte, stimando ad esempio che nel Regno Unito il potere di spesa delle persone con disabilità, noto come Purple Pound” (“sterlina viola”), supererà in questo 2025 i 50 miliardi di sterline (circa 58 miliardi euro).
«L’accessibilità del web non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche richiesta dalla legge – ha osservato ancora Smith –. Poiché la maggior parte dei siti web di viaggio presenta notevoli barriere di accessibilità, gli utenti con disabilità dedicheranno segnatamente tempo e denaro ai siti che hanno affrontato i problemi di accessibilità». (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Nessuno si salva da solo

«“Nessuno si salva da solo”, ovvero una delle sue frasi più amate e fatte proprie dalla nostra Associazione, continua a risuonare come monito e guida, ricordandoci che è nella comunità e nella solidarietà che si trova la vera forza, soprattutto in un tempo attraversato da fratture profonde e disuguaglianze»: lo scrivono dall’ANFFAS Nazionale, ricordando Papa Francesco «con profondo dolore e un senso di gratitudine» Papa Francesco insieme a un giovane dell’ANFFAS

Con profondo dolore e un senso di gratitudine, ricordiamo Papa Francesco, il cui spirito innovativo e la costante dedizione alla giustizia sociale hanno lasciato un’impronta indelebile, contribuendo in modo determinante alla costruzione di un mondo più giusto, inclusivo e attento agli ultimi.
Nello scegliere di indossare il nome del Santo di Assisi, simbolo per eccellenza di povertà e umiltà, Papa Francesco ha voluto indicare con chiarezza la direzione del suo pontificato, fondato su valori profondamente evangelici e incarnati in azioni concrete a favore dei più vulnerati – spesso dimenticati – ai quali ha saputo restituire voce e dignità.
Particolarmente significativa è stata la sua attenzione verso le persone con disabilità, una sensibilità che si è ulteriormente intensificata nell’ultima fase della sua vita, quando ha vissuto in prima persona la condizione della disabilità con grande forza e dignità.
La sua testimonianza resta per la nostra Associazione un esempio limpido di coerenza, umanità e vicinanza, capace di ispirare profondamente l’impegno quotidiano di tutta la nostra rete.
Con un linguaggio universale fatto di ascolto, compassione e dialogo, Papa Francesco è riuscito a toccare il cuore di milioni di persone, incoraggiando l’umanità intera a superare barriere e divisioni, a costruire ponti e a riconoscere nella fraternità il fondamento per affrontare con coraggio le sfide del nostro tempo. «Nessuno si salva da solo», una delle sue frasi più amate e fatte proprie dalla nostra Associazione, continua a risuonare come monito e guida, ricordandoci che è nella comunità e nella solidarietà che si trova la vera forza, soprattutto in un tempo attraversato da fratture profonde e disuguaglianze.
Facendoci custodi della sua eredità morale e spirituale, rinnoviamo il nostro impegno a proseguirne con determinazione il cammino, nella costruzione di una società davvero più giusta, inclusiva e umana.
Riposa in pace, Papa Francesco. La tua luce continuerà a brillare tra di noi!

*L’ANFFAS è l’Associazione Nazionale Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo.

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La Dichiarazione di Berlino sull’inclusione globale della disabilità

Che almeno il 15% dei programmi di sviluppo internazionale abbia come obiettivo l’inclusione delle persone con disabilità, le quali rappresentano appunto il 15% circa della popolazione mondiale: è una delle novità più importanti contenute nel documento conclusivo “Dichiarazione sull’inclusione globale della disabilità”, prodotto a Berlino, in occasione del recente Global Disability Summit Uno dei tanti incontri svoltisi durante il recente Global Disability Summmit di Berlino

Durante il recente terzo Global Disability Summit di Berlino, di cui il nostro “inviato speciale” Giampiero Griffo ha raccontato giorno dopo giorno le varie fasi (si vedano in calce i link ai vari contributi), è stato adottato il documento conclusivo Dichiarazione sull’inclusione globale della disabilità (disponibile in italiano a questo link), che secondo l’Associazione sammarinese Attiva-Mente, sempre molto attenta a questi appuntamenti internazionali sulla disabilità e consapevole della grande importanza di essi, «segna un vero cambio di passo, poiché non contiene solo princìpi ideali, ma obiettivi misurabili e condivisi per garantire che nessuno venga lasciato indietro nei processi di sviluppo e nelle emergenze umanitarie».

Tra le novità più importanti del documento, dunque, spicca l’obiettivo 15 percent for the 15 percent, ovvero che almeno il 15% dei programmi di sviluppo internazionale debba avere come obiettivo l’inclusione delle persone con disabilità, che rappresentano appunto il 15% circa della popolazione mondiale. «Si tratta – viene sottolineato da Attiva-Mente – del primo target numerico globale sull’inclusione della disabilità. Tutti i programmi, inoltre, dovranno essere accessibili e inclusivi, evitando di creare o mantenere barriere: è questo il senso del principio del Do no Harm, che significa non limitarsi a non escludere, ma agire per non arrecare danni né perpetuare disuguaglianze».

L’iniziativa ha già raccolto oltre 90 adesioni tra governi e organizzazioni multilaterali, e il processo resta aperto. L’evento stesso svoltosi in Germania ha registrato di per sé una partecipazione realmente eccezionale, con oltre 4.500 persone provenienti da quasi 100 Paesi, tra cui persone con disabilità, rappresentanti istituzionali, esponenti di organizzazioni non governative, agenzie internazionali e attori dello sviluppo. E dal canto loro, le organizzazioni di persone con disabilità hanno avuto un ruolo centrale anche nella redazione del documento finale.

Il prossimo appuntamento con il Global Disability Summmit sarà fra tre anni, vale a dire nel 2028 in Qatar. «Si riuscirà – si chiedono da Attiva-Mente e noi insieme all’Associazione sammarinese – a raggiungere per allora l’obiettivo del “15 percent for the 15 percent”? La direzione è tracciata. Sta a noi percorrerla!». (S.B.)

Sulle nostre pagine abbiamo pubblicato i seguenti contributi di Giampiero Griffo da Berlino: Oltre 2.000 persone con disabilità al Forum della Società Civile di Berlino (a questo link), L’inclusione è un investimento per tutti e i diritti delle persone con disabilità non sono negoziabili! (a questo link) e Un primo bilancio del Summit Globale sulla Disabilità di Berlino (a questo link).

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La preziosa eredità di Max Negretti nel baskin, tutta all’insegna dell’inclusione

Giovane promessa del basket, Max Negretti ha visto la sua carriera agonistica interrotta dalla sclerosi multipla, ma con l’avanzare della malattia, la sua grande passione per questo sport non è venuta meno: ha fondato infatti il “Baskin Ciuff” di Borgomanero (Novara), una delle prime squadre del Nord Italia di baskin, il basket inclusivo giocato insieme da persone con e senza disabilità. Scomparso lo scorso anno, la sua preziosa eredità è stata pienamente raccolta da chi gli è succeduto Max Negretti, scomparso nell’agosto 2024 a 65 anni

Chi è Max Negretti, e soprattutto perché desidero condividere con Lettori e Lettrici il bellissimo ricordo che ho di lui, comune a tutti coloro che l’hanno incontrato nella loro vita?
Negretti, di origine novarese, è stato una giovane promessa del basket, ma la sua carriera agonistica, purtroppo è stata interrotta a trent’anni dalla sclerosi multipla. Con l’avanzare della malattia, la sua grande passione per questa disciplina sportiva non è venuta meno: costretto a lasciare le competizioni, ha fondato il Baskin Ciuff, a Borgomanero (Novara), una delle prime squadre di baskin – il basket inclusivo giocato insieme da persone con e senza disabilità – nata nel Nord Italia. Ma, prima di tutto, Max è stato un padre straordinario per il suo Nicolò, ragazzo con la sindrome di Down.

Non mi ricordo esattamente in quale occasione lo conobbi, ma negli ultimi quindici anni l’ho incontrato diverse volte, instaurando un rapporto di stima e di confronti interessanti, accomunati dal forte desiderio di “andare sempre oltre”. In particolare, non potrò mai scordare l’ultima volta che lo vidi, era l’autunno 2023, periodo in cui con un’équipe multidisciplinare stavo ultimando il cortometraggio Oltre il buio, e con l’amico e collaboratore Pietro Fortis, andammo a casa sua per parlargli del progetto e di una possibile collaborazione nella promozione della pellicola stessa.
Alla chiacchierata partecipò anche Magda, la sua seconda moglie, donna straordinaria, del resto, come dico sempre io, “accanto a un grande uomo, c’è sempre una grande donna”.
Entrambi mostrarono subito grande interesse, Magda, come una “scolara diligente” prese appunti tutto il tempo; Max, sempre sul pezzo, escogitò immediatamente una serie di iniziative per promuovere il cortometraggio, senza neanche averlo visto, perché non era ancora pronto. L’amico non ha fatto in tempo a vederlo e a darci la sua “preziosa mano”, né ad essere presente alla prima del corto stesso, tenutasi a Borgomanero, proprio dove lui viveva, poiché poche settimane prima le sue condizioni di salute avevano iniziato a peggiorare sempre più, fino alla fine di agosto dello scorso anno, quando ci ha lasciati.

Un vuoto molto difficile da colmare per l’uomo che è stato e per tutto quello che ha fatto. Per ricordarlo, qualche settimana fa abbiamo organizzato una serata in sua memoria, presentando Oltre il buio. Un evento alquanto emozionante, forse al pari della prima presentazione; Max era certamente lì con noi, lo si percepiva.
La serata ha avuto luogo a Briga Novarese, piccolo centro alle porte di Borgomanero, presso la biblioteca del centro polifunzionale, gestito dal Baskin Ciuff. Un complesso moderno, completamente accessibile, che oltre alla biblioteca, è costituito dal bar e dalla palestra dove la stessa squadra si allena.
Durante la presentazione è intervenuto Pietro Pironi, attuale presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica, a cui Max aveva già passato il timone qualche anno fa, quando la sua condizione di salute non gli aveva più permesso di impegnarsi come avrebbe voluto.
Sono rimasta veramente colpita da come la dedizione e l’amore di Pietro Pironi per il Baskin Ciuff siano emersi da ogni parola del suo racconto e dal modo con cui si è approcciato ai ragazzi della società sportiva che erano presenti. Non è così scontato, infatti, che una persona che ha “costruito così tanto”, come Max, trovi qualcuno, all’altezza della situazione, a cui lasciare le redini. Credo dunque che l’amico Max, da una parte sia stato lungimirante e bravo, dall’altra anche fortunato, a individuare Pietro Pironi come “successore”.
L’impressione che ho avuto quella sera – non avevo mai conosciuto prima Pironi – è che abbia saputo, e continui a farlo giorno dopo giorno, l’approccio adottato da Max: quello cioè dell’inclusione.

In questi anni, il Baskin Ciuff, così come nei precedenti, ha sempre aumentato sia il numero degli iscritti, sia dei giocatori; attualmente la società è composta da cinque squadre, ma si ipotizza già che nei prossimi anni ne venga formata una nuova. Nello stesso tempo, oltre a ottenere buoni risultati sportivi, la squadra ha attivato parallelamente una serie di attività extra sportive, proprio in nome dell’inclusione. In questa direzione, ad esempio, sta progressivamente facendo aumentare un movimento di baskin a livello scolastico, coinvolgendo sempre più istituti, con la finalità, in un prossimo futuro, di creare un vero e proprio campionato.
Ma il vero fiore all’occhiello dell’intera progettualità è il Bar-In, considerato il progetto più ambizioso della società. Il Baskin Ciuff, infatti, ha preso in gestione il bar del centro polifunzionale, con l’intento di far lavorare e collaborare i propri ragazzi, allo scopo, quindi, di un’inclusione anche lavorativa.
Max, da lassù, penso sia stato contento non solo della serata di Briga Novarese, ma soprattutto che i “suoi ragazzi”, e in particolare il figlio Nicolò, continuino ad andare “oltre il buio”.

*Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Max Negretti e la sua preziosa eredità che brilla nel baskin”, e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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I biscotti etici e solidali di “Scur di Luna”

“Scur di Luna” è un progetto di pasticceria etica e sociale promosso in Friuli Venezia Giulia dall’Impresa Sociale LaLuna di Casarsa della Delizia (Pordenone), che dal 24 aprile al 5 maggio consentirà di coniugare inclusione, dolcezza e solidarietà alla “Sagra del Vino” di Casarsa, ove appunto saranno presenti i biscotti prodotti nell’àmbito di tale iniziativa Produzione di biscotti nell’àmbito del progetto “Scur di Luna”

Si chiama Scur di Luna il progetto di pasticceria etica e sociale, con una forte attenzione alla sostenibilità, promosso dall’Impresa Sociale LaLuna di Casarsa della Delizia (Pordenone), che dal 24 aprile al 5 maggio consentirà di coniugare inclusione, dolcezza e solidarietà alla Sagra del Vino di Casarsa, ove appunto saranno presenti i biscotti prodotti nell’àmbito di tale iniziativa.

Scur di Luna, che ha inaugurato i suoi nuovi spazi nel mese di maggio dello scorso anno, grazie al sostegno della Fondazione Friuli e di donazioni di privati cittadini, promuove attivamente l’inclusione sociale, offrendo opportunità di inserimento lavorativo a persone con disabilità provenienti dall’Unità Educativa Territoriale della Cooperativa Sociale Itaca e dai progetti abitativi di LaLuna, con la partecipazione anche di una persona in borsa lavoro. Si tratta di una filosofia “a misura di persona” che si riflette in ogni fase della produzione, dalla selezione delle materie prime al confezionamento. (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: michela.sovrano@gmail.com.

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