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Linee Guida per Reti Antiviolenza accessibili

Prodotte nell’àmbito del progetto “Artemisia”, sono state presentate alla Regione Lombardia le “Linee Guida per Reti Antiviolenza accessibili”, documento che ha come obiettivo quello di fornire alle operatrici gli strumenti necessari per semplificare l’accesso di donne e ragazze con disabilità ai Centri Antiviolenza (CAV) e rendere maggiormente fruibili gli spazi per la loro presa in carico, comprese le Case Rifugio Artemisia Gentileschi, “Autoritratto come allegoria della Pittura” (particolare), (1638-39), Royal Collection Trust, Londra (Foto: Bridgeman/Aci). Alla pittrice secentesca si ispira il nome del progetto promosso in Lombardia

Prodotte nell’àmbito del progetto Artemisia (Attraverso reti territoriali emersione di situazioni di violenza), iniziativa di cui Superando si è già occupato in varie occasioni, sono state presentate alla Regione Lombardia le Linee Guida per Reti Antiviolenza accessibili.
Si tratta di «un documento che ha come obiettivo quello di fornire alle operatrici gli strumenti necessari per semplificare l’accesso di donne e ragazze con disabilità ai Centri Antiviolenza (CAV) e rendere maggiormente fruibili gli spazi per la loro presa in carico, comprese le case rifugio. L’obiettivo è quello di realizzare luoghi accessibili e inclusivi, che siano in grado di prendersi cura di tutte le donne, comprese quelle con disabilità», spiegano le Associazioni aderenti al progetto.

Avviato il 3 dicembre 2022 e tuttora in corso, il progetto Artemisia – così nominato in onore di Artemisia Gentileschi (nata nel 1593 e deceduta tra il 1652 e il 1656), la nota pittrice che subì una violenza sessuale a cui reagì facendo processare e condannare il colpevole – è promosso dalle Fondazioni Somaschi, ASPHI (Tecnologie Digitali per migliorare la Qualità di Vita delle Persone con Disabilità) e Centro per la famiglia card. Carlo Maria Martini, insieme alla LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e al CEAS (Centro Ambrosiano di Solidarietà).
Ideata per favorire l’emersione e la presa in carico delle donne e delle ragazze vittime di violenza, l’iniziativa ha portato al coinvolgimento delle reti territoriali antiviolenza di Milano, Melzo, Rho, Rozzano, San Donato Milanese, Legnano e Cinisello Balsamo.

È Chiara Sainaghi, responsabile del Centro Antiviolenza della Fondazione Somaschi, a indicare le motivazioni che hanno portato alla realizzazione delle Linee Guida: «Poter estendere il sistema di supporto a tutte le donne che subiscono violenza, a prescindere dalle loro condizioni o dalle loro abilità, è uno scenario che da oggi inizia a potersi concretizzare. E questo per noi è un primo motivo di soddisfazione».

Le Linee Guida rappresentano una prima risposta a un problema concreto e molto pressante: sul territorio nazionale e regionale, infatti, i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio sono spesso inaccessibili alle persone con disabilità motoria e sensoriale. «Il nostro auspicio è che la Regione Lombardia possa sostenere, rafforzare e ampliare le azioni di supporto alle vittime di violenza attraverso la diffusione delle Linee Guida a tutte le Reti antiviolenza presenti nel territorio regionale – commenta Laura Abet, responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA -. Crediamo che un intervento coordinato e strutturato a livello regionale possa migliorare l’efficacia degli interventi di supporto, garantendo una maggiore uniformità e qualità dei servizi offerti. La collaborazione della Regione, attraverso la diffusione di queste linee di indirizzo, sarà determinante per l’attuazione di un sistema di protezione e aiuto ancora più capillare e accessibile per tutte le vittime di violenza».

Le Linee Guida sono rivolte alle Associazioni e agli Enti che gestiscono Centri Antiviolenza e Case Rifugio. Contengono molte indicazioni utili per rendere accessibili e fruibili alle donne e alle ragazze con disabilità le loro strutture. Ad esempio, sugli accorgimenti da adottare per superare le barriere architettoniche per chi si sposta in sedia a rotelle e che deve accedere ai locali di un Centro Antiviolenza per una consulenza.
Ma l’accessibilità non riguarda solo il superamento dei gradini. Significa anche garantire l’accesso alle informazioni (realizzando, ad esempio, testi in formato Easy to Read, “facile da leggere e da comprendere”), ai siti internet e ai canali di comunicazione tra le potenziali vittime e le operatrici del Centro Antiviolenza, permettendo così alle persone con disabilità sensoriale di utilizzarli in autonomia.
Per questo motivo le Linee Guida illustrano gli strumenti digitali attualmente disponibili per favorire la comunicazione con le donne con disabilità cognitiva. Nell’esperienza del progetto Artemisia, ad esempio, sono state costruite delle tabelle di comunicazione semplificata analogica (attraverso disegni e immagini), che sono poi state inserite in tabelle di comunicazione digitali presenti su tablet che le operatrici hanno iniziato a utilizzare.
Infine, all’interno delle Linee Guida è stato inserito anche un questionario di autovalutazione che può essere utilizzato dalle operatrici del singolo Centro Antiviolenza per verificare l’accessibilità della struttura, registrando la presenza o meno di barriere architettoniche, di segnaletica interna e di bagni accessibili. Uno strumento utile da cui partire per valutare quali interventi mettere in atto.
Le Linee Guida diventeranno liberamente fruibili alla fine del progetto Artemisia, prevista per il prossimo mese di maggio. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione. Suggeriamo anche, nel medesimo sito di Informare un’h, la consultazione di Linee guida per accogliere donne con disabilità vittime di violenza (repertorio – 2024), nonché delle Sezioni dedicate alla Violenza nei confronti delle donne con disabilità e a Donne con disabilità.

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Umbria: all’inizio di una nuova Legislatura Regionale, alla vigilia di una grande sfida di civiltà

«Siamo all’inizio della nuova Legislatura Regionale dell’Umbria e contemporaneamente alla vigilia di una grande sfida di civiltà per garantire e promuovere un nuovo modello sociale di sviluppo inclusivo, basato sui diritti umani e proiettato verso un nuovo periodo di sviluppo solidale e di pace»: lo scrive Raffaele Goretti, indirizzando un appello alla Presidente della propria Regione in cui si ribadisce l’importanza di «garantire i diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie» La Regione Umbria

Scrivo in merito alle dichiarazioni di Stefania Proietti, presidente della Regione Umbria, recentemente apparse sulla stampa, circa la necessità di consolidare le politiche per le persone con disabilità e le loro famiglie, ribadendo appunto l’importanza di «garantire i diritti delle persone con disabilità».
Considerando tale premessa, la Regione dell’Umbria, sottoscrivendo la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e istituendo l’Osservatorio Regionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, si è impegnata non solo a recepirne i princìpi nel proprio ordinamento, ma anche a monitorarne l’attuazione e a programmare le proprie politiche in funzione della più ampia realizzazione di essa. La Convenzione rappresenta infatti il primo strumento vincolante per gli Stati che vi aderiscono e che la comunità internazionale si è data in materia di politiche inclusive per le persone con disabilità e loro famiglie.
La Convenzione, inoltre, sancisce il passaggio ad un nuovo approccio culturale alla disabilità che si concretizza nella formulazione di azioni politiche realmente inclusive, riconoscendo e valorizzando le diversità e promuovendo la tutela di tutti i diritti umani attraverso i principi contenuti nell’articolo 3 della Convenzione stessa.
E ancora, la nuova Carta di Solfagnano, elaborata e diffusa in occasione del G7 Inclusione e Disabilità, tenutosi in Umbria ad Assisi nell’ottobre dello scorso anno, rafforza ancora di più la necessità di tramutare in atti concreti i princìpi sanciti nei 50 articoli della Convenzione ONU. A sostegno di ciò, con i Decreti Attuativi della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, approvati dal Parlamento, si traccia la strada per dare concretezza ad una vera e propria rivoluzione culturale e amministrativa che dovrà vedere il coinvolgimento attivo degli apparati amministrativi regionali, delle Aziende USL e degli Uffici Comunali, per dare corso alle indicazioni legislative, in stretta collaborazione con le rappresentanze delle persone con disabilità e loro famiglie.

In una logica di futuro sviluppo basato sui diritti sanciti dalla Convenzione, è fondamentale superare logiche discriminatorie che non aiutano l’intera organizzazione sociale a superare le differenze, ma anzi le acuiscono, generando conflitti ed esclusione.
Le persone con disabilità e le loro famiglie si scontrano ogni giorno con i molti ostacoli originati da politiche e interventi inesistenti o inadeguati a garantire loro gli stessi diritti di tutti i cittadine/i. Gli ostacoli si configurano come discriminazioni nei confronti dei cittadini con disabilità impedendone, di fatto, l’istruzione, l’occupazione, la piena inclusione nella comunità e la libertà di essere e di fare, come chiunque altro.
In capo a chi governa, dunque, sia a livello nazionale che territoriale, è posta la responsabilità di intraprendere, in maniera trasparente e partecipata, la strada dell’innovazione, in mancanza della quale assisteremmo al progressivo smantellamento del welfare. Tutto ciò, per le persone con disabilità e le loro famiglie, significherebbe dover contare, laddove possibile, ancor più solo sulle proprie risorse, con crescente rischio di impoverimento e di emarginazione dalla società e con l’inevitabile ritorno della minaccia dell’istituzionalizzazione.

Pertanto, consapevoli delle difficoltà in cui versa al momento il nostro Paese, ma coscienti delle potenzialità umane e sociali della nostra comunità, facciamo appello alla presidente della Regione Umbria Proietti affinché:
° sia garantito il diritto delle persone con disabilità e delle loro famiglie di autodeterminarsi e di scegliere del proprio percorso di vita al pari di qualunque altro cittadino;
° siano rese evidenti e affrontate le cause per cui, ancor oggi, le persone con disabilità vivono una non tollerabile condizione di discriminazione e di mancanza di eguali opportunità;
° sia realizzato un sistema di interventi finalizzati all’empowerment delle persone con disabilità e delle loro famiglie;
° la progettazione e l’organizzazione dei servizi e degli interventi siano predisposti nel pieno rispetto delle volontà e delle aspirazioni della persone cui sono destinati, riconoscendo che le persone con disabilità sono esperte di se stesse e, nel caso di persone con disabilità con menomazioni alle funzioni intellettive, lo sono le loro famiglie;
° sia perseguito il mainstreaming della disabilità rispetto a tutte le politiche, ad iniziare da un’azione costante di raccordo tra i diversi àmbiti e livelli delle Amministrazioni;
° le politiche che incidono sulla vita delle persone con disabilità siano pianificate con le organizzazioni che le rappresentano, garantendo concreta opportunità di partecipazione alle decisioni che riguardano la loro condizione e al controllo della loro pratica attuazione quotidiana.

Parlare delle questioni che interessano le persone con disabilità risulta sempre essere un esercizio di notevole impegno, per la frammentazione delle diverse componenti che riguardano la vita stessa di queste persone e delle loro famiglie.
Un aspetto da chiarire riguarda il numero delle persone con disabilità presenti sul territorio regionale, che da uno studio svolto dall’Osservatorio Regionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, nei tre diversi Piani d’Azione Regionali elaborati, evidenzia in circa 60.000 le persone con disabilità in Umbria (a questo link i dati per fasce d’età) e la condizione di disabilità aumenta soprattutto con l’aumentare dell’età.
Le politiche per la piena inclusione delle persone con disabilità devono quindi essere uno strumento che tenga conto della necessità per queste persone di poter svolgere con dignità e autonomia la loro vita nei contesti in cui vivono. Ciò comporta l’attuazione di politiche che riguardino l’accessibilità, il diritto allo studio, la possibilità di usufruire di trasporti accessibili, di poter disporre di luoghi e ambienti inclusivi, dando piena attuazione, come detto, ai 50 articoli della Convenzione ONU.
Le tematiche che interessano le persone con disabilità non possono ridursi ad azioni estemporanee e legate alle necessità emergenziali, ma come armonico progetto del “prendersi cura” inteso come complessità delle azioni da garantire. Si tratta quindi di programmare e costruire piani operativi che possano dare, in attuazione delle norme vigenti, risposte sicure, in questo caso, dal punto di vista assistenziale di sostegno anche alle famiglie.

In tale contesto, quanto argomentato nel terzo Programma d’Azione Regionale, elaborato dall’Osservatorio Regionale per i Diritti delle Persone con Disabilità, dovrà trovare concreta attuazione, per dare reale sostegno alle persone con disabilità e alle loro famiglie: «Il nuovo Piano Regionale Integrato per la Non Autosufficienza (PRINA) […] è espressione di una transizione che, seppur graduale, dovrà condurre alla modifica sostanziale del Welfare di protezione in favore di un Welfare dei diritti, ispirandosi a garantire continuità dei sostegni con le risorse a disposizione e indica una transizione verso un Welfare che – da una presa in carico della persona fondata sulla produzione di interventi ed erogazione di prestazioni centrate sulla gravità patologica o sull’intensità del bisogno assistenziale – diventerà sempre più sistema che promuove e si prende cura della qualità di vita delle persone con disabilità, in particolare di quelle in condizione di maggior necessità di sostegni assistenziali, garantendo loro più parità, opportunità di livelli di salute e benessere.
È necessario iniziare a parlare di PDTAS cioè Percorsi Diagnostici Terapeutici sia Assistenziali che Sociali con la garanzia di una presa in carico “totale” (utilizzati da tempo soprattutto per patologie complesse come la sclerosi laterale amiotrofica) cioè i percorsi diagnostici terapeutici sia assistenziali che sociali che consentiranno di garantire chiarezza e trasparenza del funzionamento dei servizi e della consistenza delle prestazioni. Il PDTAS è quindi lo strumento di governo complessivo per la definizione della migliore sequenza di azioni da effettuare all’interno di un determinato contesto e ne permette la valutazione con indicatori specifici.
Per tradurre in pratica tutto ciò serve ricorrere in maniera convinta e strutturata ad una progettazione personalizzata e partecipata dalle persone o da chi le rappresenta per garantirne in maniera equa ed appropriata, diritti e desideri. Un nuovo approccio progettuale quindi in grado di attivare la rete dei servizi e la comunità e di garantire la combinazione di “sostegni” che meglio corrispondono alle specifiche condizioni, opportunità, capacità e preferenze della singola persona. Il progetto personalizzato e partecipato inteso come progetto “ombrello” sotto il quale andare a collocare ogni misura, progetto e piano specifico già attivato o da attivare, compreso il Piano Assistenziale Individualizzato (PAI)».

A sostegno di tale impostazione, viene utile ricordare le indicazioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) riguardanti il sostegno alle politiche per le persone con disabilità e che anche in questo caso dovrà trovare concreta attuazione a partire dal Decreto Legge 77/21.

In conclusione, le persone con disabilità e le loro famiglie aspettano anche l’attuazione concreta della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, già inizialmente citata, che con i suoi Decreti Attuativi dovrà riorganizzare complessivamente il sistema, equiparando e garantendo quei livelli essenziali di rivalutazione delle condizioni di disabilità sia per gli àmbiti sanitari che per quelli sociali.
In ultima analisi molte delle normative in materia sono ancora sulla carta e necessitano con urgenza di essere attuate per garantire quella rete di servizi e pari opportunità che sono la spina dorsale del servizio pubblico di tutela e promozione della salute sancito dall’articolo 32 della nostra Carta Costituzionale e dalle normative in materia. 

Siamo all’inizio della nuova Legislatura Regionale dell’Umbria e siamo contemporaneamente alla vigilia di una grande sfida di civiltà per garantire e promuovere un nuovo modello sociale di sviluppo inclusivo, basato sui diritti umani e proiettato verso un nuovo periodo di sviluppo solidale e di pace.
Insieme, Cittadine e Cittadini, possiamo scrivere una nuova pagina della nostra storia basata sui diritti e sulla non discriminazione, ma solo in maniera inclusiva possiamo vincere questa sfida che ci riguarda tutti e ognuno.

*Presidente della Fondazione Serena-Olivi di Perugia, componente dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, già presidente dell’Osservatorio Regionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità dell’Umbria.

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Elena e Roberto pronti ad andare in Giappone, in completa autonomia

Si può andare in Giappone senza vedere, viaggiando in completa autonomia? Elena Travaini, campionessa del mondo di danze caraibiche, e Roberto Lachin, atleta di judo e podcaster, partiranno per il Paese del Sol Levante il prossimo 26 gennaio per «una sfida che metterà al centro l’autonomia, la determinazione e la voglia di abbattere ogni barriera, fisica e culturale» Elena Travaini e Roberto Lachin

Il Giappone è accessibile per le persone che non vedono? Dal 26 gennaio al 9 febbraio prossimi, i due atleti non vedenti Roberto Lachin, veneziano, ed Elena Travaini, luinese, proveranno a dare una risposta a quella domanda, visitando città iconiche come Tokyo, Kyoto, Osaka, Nara, Hiroshima e la pittoresca Miyajima e affrontando molteplici sfide logistiche e culturali. «Una sfida che metterà al centro l’autonomia, la determinazione e la voglia di abbattere ogni barriera, fisica e culturale», come hanno sottolineato.

La spedizione prende vita dal Motto Podcast, la trasmissione ideata dai due nel 2020, di cui ci siamo già occupati a suo tempo e che parla di inclusione sociale e disabilità visiva in termini positivi. Dopo avere viaggiato in lungo e in largo per l’Italia, Roberto, atleta della nazionale paralimpica do judo e podcaster, ed Elena, già campionessa mondiale di danze caraibiche, sono pronti a testare l’accessibilità del Giappone, una terra affascinante ma complessa, viaggiando in completa autonomia.
Il viaggio, che includerà anche un’intervista esclusiva con Silvana De Majo, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, e tappe simboliche come il Castello di Osaka, il Parco della Pace di Hiroshima e il Monte Fuji, rappresenta una nuova fase del progetto Motto on Tour, ideato meno di un anno fa. L’iniziativa esplora mete accessibili per persone cieche e fornisce informazioni pratiche per portare con sé un cane guida. Il progetto è documentato sul sito dedicato e sul Motto Podcast, punto di riferimento per chiunque desideri scoprire il mondo senza limitazioni.
Durante il viaggio, ogni esperienza sarà condivisa in tempo reale sui canali social del Motto Podcast, così come su quelli personali di Elena Travaini e Roberto Lachin.

Roberto Lachin ed Elena Travaini non sono solo viaggiatori, ma esempi viventi di come si possa vedere il mondo con occhi diversi. E questo viaggio in Giappone sarà molto più di un’avventura, ossia un messaggio universale di inclusione e determinazione che non vediamo l’ora di ascoltare. (C.C. e S.B.)

Per maggiori informazioni: Roberto Lachin (rlachin@gmail.com).

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Il nuovo aggiornamento del Rapporto sullo Stato dei Diritti in Italia

«A esporre le persone con disabilità e le loro famiglie a un rischio di povertà più elevato, concorrono principalmente le difficoltà nella partecipazione al mercato del lavoro, i costi aggiuntivi legati soprattutto ai bisogni di cura e di assistenza socio-sanitaria, e una protezione sociale insufficiente»: lo si legge nel capitolo su “Persona e Disabilità”, curato da Domenico Massano, all’interno del “Rapporto sullo Stato dei Diritti in Italia”, documento dell’Associazione A Buon Diritto

«A esporre le persone con disabilità e le loro famiglie a un rischio di povertà più elevato, concorrono principalmente le difficoltà nella partecipazione al mercato del lavoro, i costi aggiuntivi legati soprattutto ai bisogni di cura e di assistenza socio-sanitaria, e una protezione sociale insufficiente nonostante sia indispensabile, visto che senza trasferimenti sociali il 71,2% delle persone con disabilità in Italia sarebbe a rischio povertà»: lo si legge nella parte introduttiva del capitolo dedicato a Persona e Disabilità, curato da Domenico Massano, all’interno del Rapporto sullo Stato dei Diritti in Italia, aggiornamento annuale del documento proposto dall’Associazione A Buon Diritto, giunto al suo decimo anniversario e presentato il 15 gennaio scorso in Parlamento, con gli interventi di Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto, Alessandra Trotta, moderatrice della Tavola Valdese (il Rapporto è sostenuto con i fondi dell’8 per mille della Chiesa Valdese), le parlamentari Rachele Scarpa e Cecilia D’Elia e i parlamentari Nicola Fratoianni e Riccardo Magi.

«Il Rapporto – spiega Massano – approfondisce la situazione del biennio 2023-2024, che è stato particolarmente faticoso da un punto di vista politico, e traccia una panoramica degli ultimi dieci anni, facendo il punto su dove siamo oggi e su cosa c’è ancora da fare. Il quadro attuale è molto preoccupante: dal Rapporto sullo Stato dei Diritti emerge, in particolare, che sono aumentate nell’ultimo decennio le povertà, e che servirebbero risorse e politiche serie per affrontare la situazione. Invece negli anni abbiamo assistito a tagli alla ricerca, tagli alle misure sociali, tagli alle misure di sostegno al reddito, in una costante criminalizzazione delle povertà».

Nel dettaglio, il documento propone un monitoraggio di 17 diversi diritti, delle maggiori difficoltà riscontrate nel loro riconoscimento, delle principali novità normative e legislative e delle iniziative e proposte da intraprendere per la loro tutela: dalla libertà di espressione e di informazione ai profughi e richiedenti asilo; dai dati sensibili al diritto all’abitare; dalla salute e libertà terapeutica all’ambiente; e ancora, migrazioni, autodeterminazione femminile, istruzione, lavoro, persona e disabilità, pluralismo religioso e integrazione, rom e sinti, LGBTQI+, minori, prigionieri e salute mentale.
Luigi Manconi ne introduceva la prima pubblicazione, dieci anni fa, con parole valide tuttora: «Il Rapporto sullo Stato dei Diritti è un resoconto e un progetto che possiamo chiamare politico. Il resoconto di un lavoro collettivo che documenta la tutela o la mancata tutela o la parziale tutela di tutti i diritti, nel nostro Paese. Ed il progetto politico della Costituzione repubblicana e del principio d’uguaglianza scritto in nome della dignità e dei diritti di ogni essere umano».
Si tratta dunque sia di strumento scientifico e di informazione che di uno strumento politico, come ben testimoniano le Raccomandazioni per il Legislatore, presenti alla fine di ogni capitolo, che fanno emergere cosa manca per ciascun diritto e cosa ancora può e deve essere fatto. E quel che conta ancor più è la coralità del racconto, per ribadire come i diversi diritti siano indissolubili gli uni dagli altri e riguardino sempre tutti e tutte ed ovunque.

«Il lavoro di approfondimento e denuncia continuerà – conclude Massano -, perché, come dimostrano questo lavoro e l’attualità, i diritti non possono essere dati per scontati, non sono acquisiti per sempre e vanno costantemente difesi e rivendicati».

Nel 2019, ricordiamo, Domenico Massano è stato anche il curatore, insieme a Simona Piera Franzino, come ampiamente riferito a suo tempo sulle nostre pagine, della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità in CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa). (S.B.)

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Corte di Cassazione: lo “smart working” è un accomodamento ragionevole

Un interessante precedente giurisprudenziale è stato stabilito da una recente Sentenza della Corte di Cassazione, la cui Sezione Lavoro è intervenuta in materia di inclusione lavorativa delle persone con disabilità, stabilendo che il lavoro agile (“smart working”) va considerato come un accomodamento ragionevole, e si configura quindi come un obbligo per i datori di lavoro, se compatibile con le esigenze organizzative aziendali

Tramite una recente Sentenza del 10 gennaio scorso, la Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione è intervenuta in materia di inclusione lavorativa delle persone con disabilità, stabilendo che il lavoro agile (smart working) deve essere considerato come un accomodamento ragionevole, e dunque si configura come un obbligo per i datori di lavoro se compatibile con le esigenze organizzative aziendali.

Nello specifico, la Suprema Corte è stata a chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di un dipendente con disabilità visiva che aveva denunciato il proprio datore di lavoro per l’assenza di misure come l’assegnazione a una sede più vicina e la possibilità di lavorare da remoto, ritenendo che tali misure si configurassero come accomodamenti ragionevoli, e che la mancata adozione delle stesse violasse la normativa antidiscriminatoria italiana e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Prima di giungere in Cassazione, sulla vicenda si erano pronunciati i Tribunali dei diversi gradi di giudizio, con la Sentenza di primo grado che aveva rigettato le richieste del dipendente, mentre la Corte d’Appello aveva accolto il ricorso, ritenendo che il datore di lavoro non avesse rispettato l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli previsti dall’articolo 3, comma 3-bis del Decreto Legislativo 216/03 (Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro). Infine, come accennato, si è pronunciata la Corte di Cassazione, confermando la Sentenza d’Appello.

In particolare, la Cassazione ha richiamato la Direttiva 2000/78/CE, recepita dall’Italia con il citato Decreto Legislativo 216/03, nonché la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09). Tale normativa impone ai datori di lavoro di adottare tutte le misure ragionevoli per garantire al lavoratore e alla lavoratrice con disabilità condizioni di lavoro paritarie che non comportino un onere sproporzionato.
La Sentenza pubblicata il 10 gennaio scorso ha stabilito quindi che il diritto a predisporre gli accomodamenti ragionevoli è vincolante per i datori di lavoro, che sono chiamati a rimuovere le barriere che ostacolano l’inclusione dei lavoratori e delle lavoratrici con disabilità.
Inoltre, essendo già stata utilizzata tale modalità organizzativa durante il periodo di emergenza sanitaria correlata alla pandemia da Covdi, ciò ne ha mostrato la fattibilità, inducendo a ritenere che lo smart working possa essere considerato un accomodamento ragionevole.
E ancora, sotto il profilo probatorio spetta al lavoratore o alla lavoratrice con disabilità dimostrare la disparità di trattamento subita, mentre al datore di lavoro è richiesto di provare che le proprie decisioni non siano discriminatorie.
Infine, le soluzioni concrete devono essere frutto di una negoziazione tra le parti, e qualora queste non arrivino a un accordo, il compito di individuare le soluzioni più adeguate compete al giudice. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Un investimento concreto per il presente e il futuro di chi ha una sclerosi multipla

Quaranta incontri sul territorio e uno speciale evento online per informare e sensibilizzare sul valore di un lascito testamentario: torna da oggi, 20 gennaio, la Settimana Nazionale dei Lasciti di AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla)

Da oggi, 20 gennaio, e fino al 26 del mese, torna la Settimana Nazionale dei Lasciti di AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), una settimana dedicata a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dei lasciti solidali, strumento prezioso per garantire servizi essenziali, sostenere la ricerca scientifica e migliorare la qualità di vita delle persone con sclerosi multipla, neuromielite ottica e patologie correlate. Sono pertanto previsti circa quaranta incontri in tutta Italia, organizzati con la collaborazione e il patrocinio del Consiglio Nazionale del Notariato e con il sostegno della Federazione Nazionale Pensionati CISL, per offrire informazioni pratiche e risposte a dubbi su successioni testamentarie e lasciti solidali (a questo link il calendario completo degli incontri).
Nel pomeriggio del 28 gennaio, inoltre (ore 17), è in programma un evento online, moderato dalla giornalista Francesca Romana Elisei, che darà l’opportunità di approfondire il tema dei lasciti solidali (per iscriversi accedere a questo link).
Tramite il numero verde 800 094464 o nel sito dedicato, infine, è possibile richiedere la guida gratuita ai lasciti testamentari, realizzata con il Consiglio Nazionale del Notariato, per orientarsi in questa importante scelta.

In occasione di questa Settimana Nazionale, l’AISM ha voluto lanciare anche una nuova campagna, per accendere i riflettori sulla famiglia. Il volto di essa ne è Barbara, giovane mamma con una forma grave di sclerosi multipla, che ha trovato proprio nella famiglia il coraggio per affrontare una malattia imprevedibile e complessa. «La famiglia in cui è nata – sottolineano dall’AISM -, quella che ha costruito con suo marito e il suo bambino e, in senso più ampio, la famiglia che ruota attorno alla nostra Associazione: i nostri volontari, i nostri operatori socio-sanitari e i nostri ricercatori, che garantiscono il continuo progresso della ricerca scientifica, insieme a tutti coloro che ci sostengono con gesti di solidarietà, come appunto i lasciti solidali. Grazie infatti a questi ultimi, abbiamo potuto realizzare – e continuiamo a farlo – progetti per tutte le persone come Barbara, dalla ricerca scientifica di eccellenza, che negli anni ha cambiato concretamente la vita delle persone con sclerosi multipla e delle loro famiglie, ai servizi sul territorio, che supportano quotidianamente le persone stesse, garantendo loro autonomia e una migliore qualità di vita».

«Tra gli esempi concreti di cosa abbiamo realizzato grazie ai lasciti – proseguono dall’AISM -, ci sono il Servizio Riabilitazione AISM Liguria, polo che assiste oltre 1.400 persone ogni anno e ospita attività di ricerca avanzata, dalla riabilitazione motoria allo sviluppo di dispositivi smart. Il Centro Socio-Assistenziale dell’AISM di Torino, punto di riferimento per le persone con sclerosi multipla e le loro famiglie. E inoltre abbiamo potuto finanziare vari progetti di ricerca scientifica che hanno portato risultati tangibili e cambiato la storia di questa malattia. Oggi, infatti, molte persone con sclerosi multipla possono contare su una qualità di vita impensabile fino a pochi decenni fa. Negli ultimi 50 anni, va detto a titolo di esempio, i lasciti hanno contribuito a ridurre l’impatto della malattia sulla disabilità, passando da 7 persone su 10 che raggiungevano la disabilità in pochi anni, a 3 su 10 che potrebbero raggiungerla in trent’anni. Inoltre oggi ci sono 20 farmaci che permettono di tenere sotto controllo la malattia, garantendo trattamenti sempre più personalizzati».

«Barbara e la sua famiglia – concludono dall’Associazione -, con la loro storia, come quella di altre famiglie, ci ricordano che un lascito solidale non è solo un gesto d’amore verso il futuro, ma un investimento concreto per cambiare il presente e il futuro di chi convive con la sclerosi multipla».

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Ragionando su quel progetto di vita personalizzato

«Sono due – scrive Fausto Giancaterina in questo suo approfondimennto, dedicato a un tema di stretta attualità – le condizioni fondamentali per la realizzazione di un buon progetto di vita per una persona con disabilità: la conoscenza della persona e la valutazione periodica della qualità del bene-essere della persona stessa» Realizzazione grafica elaborata in occasione di un ciclo di incontri formativi proposti nel 2024 da Spazio DirSI – Disabilità in rete a Siena

La narrazione dei tanti progetti di intervento a sostegno delle persone con disabilità racconta sempre che quelle persone non sono anonime, ma che ognuna di esse ha una sua storia e una sua identità e unicità esistenziale. Ogni semplificazione e genericità progettuale è sempre stata votata all’insuccesso e ha sempre provocato forti e negativi scossoni esistenziali.
La complessità esistenziale richiede, quindi, risposte e interventi/sostegno plurimi e strettamente interagenti: né solo sanitari, né solo sociali, né solo educativi… Sono necessarie sempre, e nel corso di tutta la vita, se pur con intensità e prevalenze diversificate, risposte sociosanitarie ed educative integrate, attivate nei luoghi normali della vita per favorire l’identità e il riconoscersi anche attraverso quei luoghi: sarà la casa (quella dei genitori prima, ma poi, come tutti, un’altra casa, forse con altri) e sarà soprattutto l’insieme delle relazioni e degli affetti promossi e sostenuti nei luoghi della scuola, del lavoro, del tempo libero, del divertimento, della vacanza.
Per rendere tutto questo diritto di ogni persona, servono direttive e risorse finanziarie adeguate. Ecco perché questo 2025 sembra essere un anno di forti attese: si iniziano a fare passi in avanti con la riforma della disabilità, con segnali importanti di attenzione e di riorganizzazione da parte dei servizi pubblici territoriali.
Questo anno è tanto atteso soprattutto per conoscere e sperimentare il progetto di vita individuale personalizzato e partecipato. Infatti (stando al Decreto del Governo) dal 1° gennaio di quest’anno è partita la sperimentazione del progetto di vita personalizzato, riservata, però, solo a nove Province italiane.
Qualcuno ha insinuato che una tale sperimentazione – riservata a un ristretto numero di persone con disabilità – sia voluta per mascherare, da parte del Governo, la mancanza di adeguate risorse economiche, necessarie per rendere operativa su tutto il territorio nazionale la riforma di cui al Decreto Legislativo 62/24. A parte questa ipotesi, al momento non dimostrabile, occorre porre attenzione al fatto che, modalità della sperimentazione a parte, i conseguenti risultati produrranno direttive operative che saranno poi le Regioni – in piena autonomia gestionale e organizzativa – a dover concretizzare nei propri territori. Si spera che l’attuazione – per le Regioni – non venga subordinata al ricevere dallo Stato adeguate coperture finanziarie e se ciò non avvenisse, non dover ritrovarsi con un nuovo alibi di inadempienza da parte di Regioni.

Occorre comunque osservare che non siamo poi all’anno zero: in molte Regioni, da diversi anni, pur con diverse denominazioni e modalità attuative, sono già operativi nei servizi territoriali progetti di vita individuale personalizzato e partecipato.
Ad esempio nella Regione Toscana, con la Delibera di Giunta Regionale n. 1449 del 19 dicembre 2017 (Percorso di attuazione del modello regionale di presa in carico della persona con disabilità”) all’allegato A viene ampiamente documentato che cosa si intenda e come si attui un progetto di vita personalizzato: «Il Progetto di vita è il documento che parte dal profilo funzionale della persona, dai bisogni e dalle legittime aspettative, e nel rispetto della propria autonomia e capacità di autodeterminazione, individua quale è il ventaglio di possibilità, servizi, supporti e sostegni, formali (istituzionali) e informali, che possono permettere alla stessa di migliorare la qualità della propria vita, di sviluppare tutte le sue potenzialità, di poter partecipare alla vita sociale, avere – laddove possibile – una vita indipendente e poter vivere in condizioni di pari opportunità rispetto agli altri. […] In esso devono confluire programmi e progetti individualizzati e personalizzati di cui sono titolari enti e soggetti diversi (PAP, PEI, PARG, PRI, ecc.), sotto la regia di un unico soggetto, la UVM disabilità».
Questa definizione della Regione Toscana ci porta a considerare che sono due le condizioni fondamentali per la realizzazione di un buon progetto di vita per una persona con disabilità: la conoscenza della persona e la valutazione periodica della qualità del bene-essere della persona stessa.

La conoscenza della persona
Innanzitutto dobbiamo partire dalla condivisione di un obiettivo comune, semplice e difficile al contempo. L’obiettivo è quello di fare star bene le persone. Ma la produzione del benessere, inteso come concreta disponibilità di mezzi, di soddisfazione nelle relazioni sociali e di godimento anche di beni immateriali, ha carattere multidimensionale e richiede il concorso di più soggetti.
Ecco perché il primo passo necessario è, ovviamente, quello della conoscenza della persona con disabilità. Una conoscenza che si concretizzi primariamente attraverso la presa in carico, che debba interessare la persona il più precocemente possibile (almeno dal momento in cui si verifica la disabilità!) e sia garantita da una Unità Valutativa Multidimensionale (UVM) del Servizio Pubblico. È questo l’inizio di un adempimento doveroso del mandato istituzionale e professionale che richiede di saper gestire tutte le relazioni e le risorse che si attivano nell’interazione tra persona e contesto di vita: quelle della famiglia, quelle finanziarie pubbliche, quelle formali dei servizi e professionisti pubblici sociosanitari, dei servizi accreditati, e quelle informali del volontariato, dell’associazionismo: si tratta di quel robusto lavoro per attivare la comunità locale, per rendere disponibili risorse non specialistiche, per cui gli interventi di cura, di assistenza e di inclusione sociale si sostanzino nei diversi contesti della vita e i diversi saperi e competenze siano attuati congiuntamente.
Dalla presa in carico si snoda quindi un progressivo processo operativo di accompagnamento esistenziale della persona con disabilità, nel rispetto del suo diritto soggettivo e della sua autodeterminazione e della sua partecipazione attiva (e/o della sua famiglia),, nella definizione e attuazione del progetto di vita, nonché della sua periodica verifica.
Una presa in carico che si rafforza se nel territorio è presente una robusta e articolata rete di servizi quantitativamente proporzionati alla popolazione presente in quel determinato territorio. Si tratta, infatti, di rispondere alla complessità dei bisogni delle persone che richiedono prassi tali da consolidarsi in metodo di lavoro e ricerca continua di sinergie tra tutti i soggetti, pur nel rispetto delle competenze di ciascuno.
La conoscenza della persona è pertanto finalizzata alla stesura del progetto di vita personalizzato, alla gestione di un insieme articolato e coordinato di interventi per facilitare un sistema di mediazione con azioni e processi di inclusione.
Alle persone con disabilità, che spesso vivono una quotidianità a volte difficile, servono innanzitutto articolati stimoli di capacitazione personalizzati, con la volontà e il coraggio di uscire e non più tornare a quei rassicuranti schemi relazionali consolidati e passivizzanti, ma essere pronti ad utilizzare qual tanto di trasgressività e inventiva che facilitano, se necessario, una riprogettazione, con fantasia e attenzione nei quotidiani rapporti con le persone, sia a livello sociale che a livello professionale. Diversamente si rischia (soprattutto nei contesti dei servizi) di applicare relazioni ripetitive e unicamente conservative, ricreando, piano piano e forse in maniera invisibile e incontrollata, dinamiche rigide, rassicuranti, probabilmente, ma certamente l’esatto contrario di una progettualità che offra stimoli per una buona vita inclusiva.
Tutto questo può diventare patrimonio valoriale, obiettivo riconosciuto e condiviso e prassi quotidiana del lavoro per tutti, allontanando quelle “fantasie” (purtroppo ancora presenti nei servizi pubblici) che attraversano, dividono e frammentano il mondo dei servizi, impedendo di riconoscere e di far riconoscere il proprio mandato istituzionale, la propria mission.

Le risorse con cui attuare tali progetti di vita
Citando ancora la Regione Toscana e la Delibera di Giunta Regionale di cui si è detto: «Il Progetto di vita per essere realizzabile necessita di uno strumento contabile di tipo preventivo che definisca le risorse economiche, strumentali, professionali e umane, sia pubbliche che private, necessarie: il Budget di salute. Esso costituisce il paniere di possibilità che la UVM disabilità ha a disposizione per la realizzazione del Progetto di vita della persona e deve ricomprendere tra le altre, le risorse previste a livello previdenziale, quelle previste dai percorsi riabilitativi e assistenziali garantite dai LEA [Livelli Essenziali di Assistenza, N.d.R.], nonché i pacchetti assistenziali aggiuntivi; tutte le risorse costituite dall’apporto della famiglia adeguatamente sensibilizzata, informata e specificamente formata; le risorse del privato sociale, del volontariato e di tutte le associazioni attrezzate per affrontare le numerosissime forme di disabilità anche a bassa o bassissima incidenza; nonché tutte le risorse che la UVM disabilità può ricercare per il miglioramento delle performance ambientali».
Anche la Regione Lazio, nella sua Legge n. 11 del 10 agosto 2016 (Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio), all’articolo 53 (Presa in carico integrata della persona e budget di salute), prende in considerazione il progetto personalizzato e il suo sistema di finanziamento: «1. Il piano personalizzato, in presenza di bisogni complessi della persona che richiedono l’intervento di diversi servizi ed operatori sociali, sanitari e socio educativi, è predisposto da apposita unità valutativa multidisciplinare, attivata dal PUA [Punto Unico di Accesso, N.d.R.], d’intesa con l’assistito ed eventualmente con i suoi familiari, in base ad una valutazione multidimensionale della situazione della persona, tenendo conto della natura del bisogno, della complessità, dell’intensità e della durata dell’intervento assistenziale. […] 5. La Regione, al fine di dare attuazione alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui “determinanti sociali della salute” e alle relative raccomandazioni del 2009 e in osservanza di quanto sancito dall’articolo 32 della Costituzione in merito al diritto alla salute, adotta una metodologia di integrazione sociosanitaria basata su progetti personalizzati sostenuti da budget di salute, costituiti dall’insieme di risorse economiche, professionali e umane necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale del soggetto assistito garantendo comunque le prestazioni socio-sanitarie essenziali».
Un’unica osservazione: siamo in presenza di un’ottima scelta decisionale di direttive operative fatte dalla Regione Lazio! Nella realtà, però, i progetti personalizzati nella Regione Lazio fanno molta fatica ad essere operativi poiché non trovano sostegno in sistemi organizzativi dei servizi territoriali, non essendo praticata (benché obbligo di legge!) né l’integrazione sociosanitaria, né il sistema operativo Budget di salute!
L’assenza da parte della Regione Lazio di una decisa e cogente direttiva che renda obbligatoria la presa in carico precoce e la definizione dei progetti personalizzati sorretti dal sistema operativo Budget di salute, espone le famiglie a pericolosi ricorsi a progettifici gestiti in modo oneroso da privati professionisti, che sfornano rapidamente progetti, i quali poi, di norma, vengono ignorati o rigettati dai servizi pubblici. È la situazione di quelle famiglie (non rassegnate!) che inseguono compromessi spesso non del tutto efficaci per un approccio inclusivo di sviluppo nei contesti naturali della vita dei loro congiunti.
Qui non stiamo parlando di programmi terapeutici o di prestazioni specialistiche che giustamente devono rientrare, se necessarie, nel progetto di vita personalizzato di ognuno, stiamo cercando di richiamare l’attenzione sul vivere quotidiano che si muove a volte in maniera tumultuoso e a volte lietamente scorrevole e appagante. Insomma! Stiamo parlando di quel tempo esistenziale che occupa la maggior parte della quotidiana vita anche per ognuno di noi!
Un tale disordine organizzativo territoriale rafforza il pericolo di cadere vittime di azioni tendenti al controllo delle diversità, un pericolo sempre in agguato: difficoltà economiche; carenze numeriche e qualitative nei servizi territoriali; indisponibilità di opportunità di vita indipendente e autonoma; offerte di istituzioni per il “Dopo di Noi” non del tutto garanti di una qualità di vita personale e comunitaria; affidamenti al Terzo Settore con carattere di esternalizzazioni totaliEccone i facilitatori!
Serve, allora, tenere vivo il dialogo tra Associazioni, Terzo Settore e Servizi territoriali, anche se tutto ciò può presentarsi alquanto complicato. Questo dialogo permanente può servire per conoscere meglio come queste realtà funzionano: conoscere le vicendevoli potenzialità e limiti, le difficoltà dei Servizi dovute a carenze di organici, a riduzione di risorse, a sistemi organizzativi tortuosi e inefficaci e, soprattutto, a conoscere il perché di tante loro inerzie applicative e la fatica ad accettare nuovi paradigmi operativi centrati sulla persona e su una lineare co/progettazione personalizzata.

La valutazione del bene-essere delle persone
Un ulteriore lavoro per costruire un’intesa tra i diversi soggetti interessati e produrre un salto di qualità nella organizzazione degli interventi, è quello ricercare un linguaggio comune per definire un comune campo di lavoro che permetta di sperimentare un sistema condiviso di valutazione, ovvero uno spazio strutturato per riflettere sul lavoro che viene svolto: una sorta di manutenzione periodica del sistema, avviando finalmente una seria e robusta co/progettazione.
Come più volte abbiamo ricordato, il progetto di vita personalizzato fa parte di quel sistema che possiamo definire “sistema complesso e immateriale” in quanto sorretto per lo più da relazioni tra persone ed esige l’attivazione di una corretta valutazione e verifica dei risultati, rendendo visibili gli outcome [esiti] personalizzati e di qualità, riferiti a quella persona inserita in quel preciso contesto relazionale e sociale. Un progetto di vita personalizzato, sostenuto, ad esempio, dal sistema operativo Budget di salute, oltre ad attivare azioni di capacitazione ed empowerment delle persone in prospettiva inclusiva, è finalizzato al raggiungimento di un buon livello di qualità della vita, attivando una partnership con il Terzo Settore e la comunità locale e, ripeto, una co/progettazione finalizzata a tale obiettivo.
Del resto sappiamo che il benessere di ogni persona non si realizza per modalità sottrattiva (non avere malattie, non avere conflitti, non avere problemi ecc.), ma progettando azioni che si esprimono su dimensioni multiple (bio-psico-sociali) e procede con sviluppo non lineare, ma circolare e quindi fortemente interconnesso tra le dimensioni stesse.
In tale contesto operativo è possibile parlare di una vera valutazione? Certamente sì!
Un sistema condiviso si avvale di opere di “manutenzione” dei processi operativi per arrivare ad una valutazione che esplori la presenza o meno di una buona qualità della vita all’interno dei servizi.
Sappiamo che la qualità di cui parliamo non è quella di un qualsiasi prodotto “tangibile”, ma è il prodotto/risultato prevalente di relazioni tra persone e quindi è una qualità in continuo divenire che si rende visibile in contesti sociali concreti, con persone, che hanno una storia, un’identità, delle competenze, delle aspettative, dei desideri, ma anche dei bisogni, dei problemi, e delle paure. Serve, quindi, occuparsi di rapporti umani, perché possano essere frutto positivo delle diverse azioni di tutti i protagonisti.
Si lavora sul senso, sui tempi e i ritmi personali della vita quotidiana di ogni persona con disabilità, ricercando gli indicatori di buona vita nei racconti quotidiani delle loro relazioni, relazioni con i familiari, relazioni con i pari, relazioni con gli operatori (sperando, non eccessivamente asimmetriche!), relazioni con il contesto sociale: tutte relazioni inclusive e immerse nella quotidianità del proprio contesto abitativo.
Se in un servizio non è presente un sistema di valutazione, il progetto di vita rischia di scivolare invisibilmente verso dinamiche di tranquillo controllo e piano piano, invece di una doverosa ricchezza esistenziale per ogni persona, ci si incammina verso una semplice e unica dimensione: il suo controllo.
La valutazione può allora essere un aiuto per rimanere vigili sul complesso del lavoro sociale e valutare significa rileggere periodicamente il proprio fare, per evitare di cadere in un reiterativo agire di pura assistenza passivizzante.

Un esempio di valutazione
In un precedente articolo, su queste stesse pagine, ho cercato di presentare sinteticamente un sistema di valutazione della qualità della vita all’interno delle case famiglia del Progetto Residenzialità il Dopo di Noi più “antico” (1995) del Comune di Roma. Si trattava dell’adozione di «un approccio multi stakeholder e, conseguentemente, di un sistema valutativo inteso come opportunità di partecipazione e corresponsabilità dei diversi attori coinvolti».
Serviva la condivisione di un linguaggio da usare per definire un comune campo di lavoro e costruire un’intesa tra i diversi soggetti e per produrre un salto di qualità nell’organizzazione degli interventi nelle case famiglia. Questa operazione è risultata possibile sperimentando, appunto, un sistema condiviso di valutazione, ovvero di creazione di uno spazio strutturato per riflettere sul lavoro che ogni organismo e ogni operatore dovesse svolgere. Una sorta di manutenzione periodica del sistema, per capire quale valore aggiunto potessero portare i partner nella progettazione e nella co/realizzazione di un progetto finanziato da un Ente Pubblico.
Si trattava di evitare il pericolo che nel tempo gli enti gestori potessero essere spinti a cedere ad una visione affaristica (facile!) del lavoro nelle case/famiglia e che nel tempo gli operatori perdessero senso e significato della fatica del loro lavoro, rimanendo schiacciati dalla routine produttiva e smarrendo l’obiettivo del proprio lavoro tendente a produrre dignità di percorsi di vita e qualità degli habitat.
Attraverso un corso formativo, è stato possibile arrivare a condividere un sistema di valutazione chiamato MAVS (Modello Attivo di Valutazione del Servizio) e capire che cosa si andava a valutare, cioè quale fosse l’oggetto rappresentato, identificato ed esplicitato e, soprattutto, capire come dare valore al proprio lavoro: apprezzare, riconoscere, riconoscersi e farsi riconoscere, dai diversi interlocutori. Da tali riflessioni – come già evidenziato – è scaturito: un impianto di autovalutazione periodica attraverso un format riservato agli operatori degli organismi gestori, per documentare la propria identità, il lavoro di programmazione, l’operatività e i possibili effetti di benessere nelle persone con disabilità. Le azioni emerse davano la possibilità di riflettere e documentare l’analisi e la valutazione riguardanti i seguenti elementi: definizione del servizio – mission del servizio – vision del servizio – princìpi operativi del servizio – piano generale del Servizio – programma operativo. Inoltre, occorreva documentare: le mappe degli stakeholder [portatori d’interesse]; i protocolli di registrazione delle riunioni; la descrizione del come si svolga il servizio; le risorse impiegate in termini di personale, attrezzature, strutture; il risultato dell’intervento e delle azioni svolte nel processo e la soddisfazione dei bisogni realizzata a seguito delle attività.
L’analisi della documentazione del “format autovalutazione” costituiva la successiva Valutazione del Servizio Pubblico. L’autovalutazione periodicamente attivata dall’ente gestore veniva quindi analizzata e verificata dal Servizio Pubblico Comunale, attraverso visite di controllo in casa/famiglia e la presa d’atto se da tale documentazione risultassero elementi di miglioramento – o meno – del servizio.
La valutazione verificava inoltre:
° se l’identità dell’organismo gestore (definizione, mission, vision e principi operativi) fosse utilizzata consapevolmente, creando appartenenza e partecipazione visibile di tutti nelle case famiglia;
° se le azioni di mantenimento, miglioramento e correttive fossero state individuate ed effettivamente intraprese per ognuna delle persone con disabilità in quel contesto organizzativo, inteso quale luogo capace di sostenere la ricerca di senso delle persone, di mettere al centro un’idea di partecipazione e di qualità, di apertura dei propri confini al territorio, in maniera gioiosa e convinta, con una presenza attiva nella comunità locale reale e tangibile: i vicini, il quartiere, le associazioni, le parrocchie, il volontariato. 

In conclusione
Un tale esempio complesso, ma efficace, di valutazione che agisce su processi attivati e descritti di autovalutazione e quindi molto riflessivi per ogni operatore che veniva spinto a rivedere continuamente il proprio operato, dovrebbe spingere ogni Servizio Pubblico a sostenere e incrementare fermamente la possibilità di investire su tali sistemi di valutazione periodica per ogni servizio, nonché sulla revisione e l’aggiornamento delle metodologie degli interventi sociosanitari stessi.
È necessario che i professionisti dei servizi pubblici fuggano dalla morsa delle prassi consolidate e che non facciano resistenza ad ogni innovazione, per paura di mettere in discussione i consolidati saperi tecnico/professionali e/o i sistemi amministrativi e organizzativi e che tutt’al più si accontentino di sporadiche visite ispettive nei servizi gestiti da organismi accreditati!
Cambiare è faticoso e per questo spesso si incontrano molte resistenze anche tra coloro che per professione sarebbero tenuti ad essere attenti innovatori, per adeguare strutture e interventi in relazione ai cambiamenti dei bisogni delle persone, a rispettare puntualmente i loro diritti, primo fra tutti l’incontestabile unitarietà della persona.
Quel sistema di valutazione (MAVS), che poco fa ho sinteticamente raccontato, è stato purtroppo abbandonato dal Comune di Roma. E la cosa strana è che non vi è stata mai alcuna rimostranza da parte degli Enti gestori… Molto più interessati a richiedere periodicamente adeguamenti di rette… E il Budget di salute o almeno il Budget di progetto? E la co/progettazione? Nulla!
A volte, comunque, è piacevole imbattersi in racconti sulle persone con disabilità – da parte di gestori di servizi in Roma – che “poeticamente” cercano di coglierne tutta la «meraviglia della diversità… lo sguardo che ci permette di vedere davvero, che va oltre le apparenze e coglie ciò che in superficie non si vede» (se ne legga recentemente su queste pagine). Peccato che sia solo letteratura e non il frutto di un documentato lavoro di concreta valutazione, da tutti verificabile!

*Già direttore del Servizio Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale.

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“Il Piemonte al mio fianco”: inclusione e diritti per le persone con disabilità visiva

Presentati i risultati del progetto di rete “Il Piemonte al mio fianco”, nato per sostenere l’inclusione e i diritti delle persone con disabilità visiva del Piemonte. Oltre 400 le persone coinvolte, tra professionisti sanitari, docenti, operatori di protezione civile e semplici cittadini e cittadine
Da sinistra: Alberto Cirio, Maurizio Marrone e Franco Lepore, rispettivamente presidente della Regione Piemonte, assessore della stessa e presidente dell’UICI Piemonte, durante la conferenza finale del progetto “Il Piemonte al mio fianco”

Sanità, scuola, protezione civile, nuove tecnologie, lotta contro le discriminazioni: Sono questi i principali àmbiti di intervento del progetto Il Piemonte al mio fianco, già presentato a suo tempo sulle nostre pagine, nato per sostenere l’inclusione e i diritti delle persone con disabilità visiva del Piemonte.
Promossa dall’UICI Piemonte (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), l’iniziativa ha beneficiato del sostegno economico della Regione Piemonte e del supporto della Rete Regionale contro le Discriminazioni.
Nel corso di una conferenza tenutasi presso il grattacielo della Regione Piemonte a Torino, alla presenza del presidente della Regione stessa Alberto Cirio, dell’assessore regionale alle Politiche Sociali Maurizio Marrone, e di tutti i vari attori coinvolti, sono stati presentati i risultati di un progetto di ampio respiro, improntato, in tutte le sue fasi, alla logica di rete.
«In un anno di intenso lavoro sono stati affrontati alcuni nodi cruciali per ogni cittadino, ma particolarmente impattanti sulla vita quotidiana di chi convive con una disabilità. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà che una persona non vedente può incontrare in un ospedale, oppure alle tante sfide e criticità legate al sostegno scolastico, o ancora ai maggiori pericoli connessi con situazioni impreviste e di emergenza. In tutti questi ambiti, è stato svolto un lavoro capillare, fondato sulla formazione (spesso tenuta in prima persona dalle persone cieche e ipovedenti), sulla conoscenza diretta, sul confronto reciproco», si legge in una nota diffusa dall’UICI Piemonte.
Qui di seguito proponiamo in sintesi quanto fatto nei vari settori seguiti dal progetto.

Accessibilità delle strutture sanitarie
Considerata la difficoltà che spesso le persone con disabilità visiva incontrano nell’accedere a ospedali e strutture sanitarie, sono stati organizzati moduli formativi rivolti al personale medico e infermieristico, per illustrare le principali modalità di relazione con le persone cieche in tutto il percorso di cura (accoglienza, ricovero, esami clinici, indicazioni terapeutiche, dimissioni ecc.). Gli incontri formativi, organizzati ad Alessandria, Cuneo e Vercelli, sono stati seguiti da 71 operatori sanitari. L’esperienza è stata arricchita da dimostrazioni pratiche che hanno simulato alcuni casi specifici legati alle attività sanitarie

Protezione Civile
Sono stati organizzati diversi percorsi formativi teorico-pratici, volti a garantire un soccorso e un’assistenza efficaci alle persone con disabilità visive in caso di emergenza. Tali percorsi, promossi ad Alessandria, Cuneo, Pinerolo e Vercelli, hanno coinvolto 156 operatori della Protezione Civile che hanno potuto apprendere, anche con dimostrazioni pratiche, i comportamenti corretti da adottare in presenza di una persona cieca o ipovedente in difficoltà.

Inclusione scolastica
Quella del sostegno scolastico è una nota dolente che da molti anni rischia di pregiudicare il diritto allo studio degli alunni ciechi e ipovedenti: assegnazione non tempestiva degli insegnanti, mancanza di preparazione specifica, laddove invece la disabilità sensoriale avrebbe bisogno di competenze molto mirate, scarsa continuità didattica e carenza di ausili tecnici sono, purtroppo, tratti ricorrenti, che si affiancano a situazioni di eccellenza. Per colmare, almeno in parte, questo divario, sono stati avviati diversi percorsi formativi rivolti a insegnanti delle scuole piemontesi di ogni ordine e grado. Alla formazione, che si è tenuta nelle Province di Biella, Cuneo, Torino e Vercelli, hanno partecipato oltre 100 insegnanti, i quali hanno avuto la possibilità di comprendere l’importanza dell’autonomia tra i banchi di scuola, nonché di conoscere il sistema di letto-scrittura Braille e i principali ausili informatici che possono accrescere l’autonomia degli studenti e delle studentesse con disabilità visive.

Assistenza tecnologica
Negli ultimi decenni le nuove tecnologie hanno spalancato alle persone con disabilità visiva possibilità e prospettive un tempo impensabili. Per consentire a tutti di cogliere queste opportunità, sono stati organizzati, nelle Sezioni UICI del Piemonte, diversi incontri formativi, appuntamenti che hanno consentito a tante persone con disabilità visiva (cominciando dalle più anziane e meno abituate alle novità tecnologiche) di recuperare parte della propria autonomia quotidiana, grazie a strumenti di semplice uso (dalle app per il riconoscimento dei colori agli strumenti di lettura, dalle soluzioni per chiedere aiuto a distanza fino ai programmi di supporto per la mobilità, senza trascurare gli assistenti vocali, i sistemi per la domotica e il comando a distanza degli elettrodomestici).

Prevenzione e contrasto delle discriminazioni
Le politiche per l’inclusione e il contrasto ad ogni forma di discriminazione devono basarsi su una migliore conoscenza della condizione delle persone con disabilità. Ciò comporta necessariamente un coinvolgimento attivo delle Istituzioni, dei nodi antidiscriminazione e della cittadinanza. Pertanto sono stati organizzati una serie di incontri presso le Sezioni UICI del Piemonte, al fine di far conoscere alla cittadinanza le varie forme di discriminazione e le misure di tutela. Questi incontri sono stati anche l’occasione per presentare l’indispensabile opera dei nodi provinciali antidiscriminazione sul territorio, con i quali sono state avviate preziose collaborazioni.

«In Piemonte stiamo rafforzando un cambio di mentalità importante – hanno dichiarato durante lka conferenza conclusiva Alberto Cirio e Maurizio Marrone –. Ancora troppo spesso le discriminazioni riguardano l’accesso ai servizi per le persone con disabilità e per questo motivo abbiamo scelto di destinare le risorse per i progetti antidiscriminazione al superamento di queste barriere. La lotta alle discriminazioni si fa garantendo finalmente l’accesso ai servizi. Abbiamo scelto di collaborare a questo progetto con l’UICI, che per noi è un referente importante, per favorire l’autonomia e l’accessibilità e per rendere realtà l’inclusione delle persone con disabilità visiva in tanti settori quotidiani: la sanità, la scuola, l’uso delle tecnologie, ma anche gli interventi di Protezione Civile, nei quali servono operatori formati».

«Il Piemonte al mio fianco è stato un progetto ambizioso e affascinante – commenta Franco Lepore, presidente dell’UICI Piemonte –. Con le attività progettuali delle cinque aree di intervento abbiamo cercato di formare diverse figure professionali sui temi della disabilità visiva, con l’obiettivo di accrescere l’attenzione, la sensibilità e la preparazione di coloro che interagiscono a vario titolo con le persone cieche e ipovedenti. Inoltre abbiamo fornito una serie di suggerimenti per eliminare le barriere architettoniche, sensoriali, digitali e culturali che ancora oggi impediscono la piena inclusione delle persone con disabilità. Grazie a questo progetto, possiamo oggi dire che il Piemonte è un po’ più attento e vicino alle esigenze delle persone con disabilità visive». (C.C. e S.B.)

Per maggiori informazioni: Ufficio Stampa UICI Piemonte (Lorenzo Montanaro), comunicazione@uicpiemonte.it.

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ANFFAS Salerno: 60 anni di storia con uno sguardo al futuro

Un compleanno speciale celebrato nello stesso giorno di quando l’Associazione era stata costituita nel 1965: l’incontro è stato l’occasione per ripercorrere la storia dell’ANFFAS Salerno e delle persone con disabilità, ed è stata un’importante opportunità per condividere esperienze con le famiglie, le istituzioni del territorio, collaboratori, esperti e professionisti del settore e gli studenti delle scuole salernitane Da sinistra Roberto Speziale, Salvatore Parisi, Patrizia Caressa, Ugo Caressa, Alessandro Parisi

Un compleanno davvero speciale, quello dell’ANFFAS Salerno (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e del Neurosviluppo): 60 anni al fianco delle persone con disabilità e delle loro famiglie. È stato celebrato il 14 gennaio scorso, durante un evento nel Salone dei Marmi del Comune di Salerno, dal titolo 60 anni di storia con uno sguardo al futuro.
Proprio il 14 gennaio 1965 nasceva la Sezione di Salerno dell’ANFFAS, ad opera di venti genitori di ragazzi e ragazze con disabilità, riuniti attorno a Giovanni Caressa, padre di Maria Rosaria, una bambina con sindrome di Down, presso la scuola elementare “Matteo Mari”, nel quartiere Torrione.

«All’epoca la società era fortemente connotata da pregiudizi verso le persone con disabilità e i loro familiari che vivevano in isolamento, persone spesso viste come qualcosa di cui le famiglie stesse dovessero “vergognarsi” o “frutto di colpa e castigo divino” e quindi da tenere nascoste in casa o segregate in luoghi terribili», ricordano dall’ANFFAS di Salerno. Maria Rosaria, che ogni mattina vedeva il fratello recarsi a scuola accompagnato dalla madre e il pomeriggio lo vedeva impegnato a svolgere i compiti, chiedeva continuamente ai genitori quando sarebbe andata anche lei a scuola.
Fu l’impossibilità per i genitori di soddisfare le sue richieste (quando negli Anni Settanta non veniva offerta alcuna opportunità ai bambini con disabilità dal punto di vista dell’inclusione scolastica, lavorativa e sociale) a fare scattare sdegno per la discriminazione subita, che di fatto rendeva quei bambini diversi dagli altri, e ad accendere la scintilla che avrebbe condotto Giovanni Caressa in una battaglia di dignità, di cultura e di riscatto, coinvolgendo altri familiari ad avere il coraggio di portare in piazza il proprio isolamento.

Il 2025 segna dunque un traguardo importante per l’Associazione salernitana, presieduta oggi da Salvatore Parisi: un anniversario che sintetizza sei decenni di storia in varie tappe, battaglie quotidiane e difficoltà, ma anche tante vittorie. Oggi si intende guardare al futuro «con speranza e determinazione, per sensibilizzare, fare rete, ma soprattutto per continuare a lottare per un mondo più giusto e accessibile per tutti, per costruire una comunità sempre più inclusiva», si legge nel comunicato diffuso dall’Associazione stessa.

L’incontro del 14 gennaio, che ha consentito di ripercorrere la storia dell’ANFFAS di Salerno, ha rappresentato un’importante opportunità per condividere esperienze con le famiglie, le istituzioni del territorio, collaboratori, esperti e professionisti del settore, studenti delle scuole salernitane. Un’occasione per diffondere una nuova cultura delle persone con disabilità, per esprimere bisogni, confrontarsi e avanzare proposte, contribuendo a delineare un futuro più inclusivo.
Dopo una prima parte introduttiva istituzionale, alla presenza del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, si è tenuta una tavola rotonda, moderata da Angelo Cerracchio, coordinatore del Gruppo Benessere e Salute nell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e consulente della Fondazione ANFFAS Salerno “Giovanni Caressa” .
Le conclusioni sono state affidate al presidente nazionale dell’ANFFAS Roberto Speziale e al citato Salvatore Parisi.
Sono stati inoltre consegnati alcuni riconoscimenti a chi si è contraddistinto nella lunga storia dell’ANFFAS.

Grande soddisfazione è stata espressa da parte di Roberto Speziale: «Si tratta di sessant’anni di impegno al servizio delle persone con disabilità, della comunità salernitana, delle famiglie: è un traguardo importante e un motivo di orgoglio per l’ANFFAS tutta e la mia presenza qui lo testimonia. Per altro questa ricorrenza cade in un momento particolare: la riforma della disabilità segna infatti un passaggio importante nel cambio di paradigma riguardante la disabilità e Salerno, con la sua Provincia, è una di quelle in cui quest’anno si farà la sperimentazione fino al 31 dicembre, per poi, dal 1° gennaio del prossimo anno, arrivare finalmente a mettere a terra tutto quello che la riforma prevede, a partire dalla modifica della valutazione di base: non ci saranno infatti più tante visite da fare in luoghi diversi, ma in un solo luogo in cui tutto quello di cui le persone avranno diritto verrà riconosciuto in una modalità semplificata in capo all’INPS. E poi, finalmente, il progetto di vita individuale e personalizzato, un cavallo di battaglia suu cui l’ANFFAS è impegnata da oltre vent’anni e che vede proprio nell’ANFFAS di Salerno uno dei punti di riferimento. Con questa riforma la qualità di vita di queste persone penso che possa davvero cambiare in meglio». (C.C.)

Per maggiori informazioni: segreteria@anffas.sa.it.

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Una visione distorta dell’inclusione scolastica

Una recente Sentenza del TAR della Campania ha annullato il PEI (Piano Educativo Individualizzato) che aveva assegnato una cattedra intera di sostegno (18 ore) ad un alunno con disabilità, attribuendone tante quante sono le ore di lezione. «Si tratta di una Sentenza – scrive Salvatore Nocera – non condivisibile, sia per motivi sostanziali che formali»

Leggo numerosi lanci di notizie su una Sentenza del TAR Campania, prodotta il 13 gennaio scorso, fra cui anche un contributo da parte di «Orizzontescuola.it». In sostanza il TAR campano, su richiesta della famiglia, ha annullato il PEI (Piano Educativo Individualizzato) che aveva assegnato una cattedra intera di sostegno (18 ore) ad un alunno con disabilità, attribuendone tante quante sono le ore di lezione. Il provvedimento spiega tale decisione con il difetto di motivazione di tale numero.

Ad avviso di chi scrive, questa Sentenza non è condivisibile, sia per motivi sostanziali che formali.
Per motivi sostanziali perché, se si assegnano ore di sostegno in numero pari a quello delle ore di lezione, si corre il fortissimo rischio che i docenti curricolari deleghino al solo docente di sostegno tutta la gestione del PEI, ciò che costituisce una negazione piena dell’inclusione scolastica, come prevista dalla nostra normativa, che vuole essa sia il frutto della piena collaborazione tra docenti disciplinari e docente di sostegno. Anzi, il termine “docente di sostegno” significa che egli è appunto “di sostegno” ai colleghi curricolari nell’inclusione scolastica dell’alunno/alunna con disabilità, perché questi è alunno della classe al pari dei compagni senza disabilità ed è quindi affidato all’attività didattica di tutti i docenti, “sostenuti” dalle specifiche competenze inclusive del collega di sostegno.

Per quanto riguarda poi il profilo formale, a parte quanto accennato sopra nei rapporti giuridicamente previsti tra docenti di sostegno e colleghi disciplinari, è da tener conto delle Tabelle C e C1 allegate al Decreto Interministeriale 182/20, secondo le quali anche nei casi di bisogno molto elevato di sostegni la normativa prevede l’assegnazione di un massimo della cattedra completa. È vero che l’articolo 21 di quello stesso Decreto stabilisce che tali tabelle si applichino solo quando i Profili di Funzionamento verranno pienamente attuati, ma esse sono un indice di conferma normativa all’orientamento da sempre tenuto nella prassi inclusiva della scuola italiana, salvo rarissimi casi, come questo, di un anomalo intervento “anti-pedagogico” della Magistratura.

Suppongo pertanto che il Ministero dell’Istruzione e del Merito impugnerà tale Sentenza con appello al Consiglio di Stato, anche se ciò solleverà le ire degli interessati, che però, così facendo, vedono l’insegnante di sostegno come una sorta di “protesi” dell’alunno con disabilità il che invece di includerlo ne favorisce l’isolamento e quindi l’esclusione dal resto della classe.

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Fondo “Dopo di Noi” e Sicilia: 35 milioni giacenti nelle casse del Ministero!

«Denunciamo con forza – scrive Giuseppe Giardina, presidente dell’Associazione ANFFAS Sicilia – la grave responsabilità dei Distretti Socio-Sanitari della Sicilia per il fatto che, a causa della loro inerzia, hanno determinato e stanno determinando il mancato trasferimento alla Regione Sicilia e, attraverso di essa, ai Distretti, delle risorse previste dal Fondo Nazionale per il “Dopo di Noi” di cui alla Legge 112/16»

Denunciamo con forza la grave responsabilità dei Distretti Socio-Sanitari della Sicilia per il fatto che, a causa della loro inerzia, hanno determinato e stanno determinando il mancato trasferimento alla Regione Sicilia e, attraverso di essa, ai Distretti, delle risorse previste dal Fondo Nazionale per il “Dopo di Noi” di cui alla Legge 112/16.
Tale Fondo, istituito per garantire assistenza e supporto alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, meglio noto anche come “Durante e Dopo di Noi” ha portato alla Sicilia dal 2016 al 2023 un totale di oltre 46 milioni e 308.000 euro (a questo link è disponibile una tabella con la ripartizione anno per anno), e tuttavia, ad oggi, solo poco più di 11 milioni di euro risultano effettivamente trasferiti alla Regione Sicilia.

A causa quindi delle inadempienze da parte dei Distretti, ben 35 milioni di euro risultano giacenti nelle casse del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell’attesa che i Distretti stessi inviino, tramite la Regione, i propri piani di impiego, nonché la relativa rendicontazione. Di fatto, risulterebbero assegnate solo le prime due annualità, ovvero quelle relative agli anni 2016-2017, ma anche queste risorse, a causa della mancata rendicontazione o del parziale utilizzo, rischiano di dover essere restituite al Governo centrale.
Di contro, le persone con disabilità e le famiglie siciliane continuano a vedersi negato il diritto a poter progettare nel “Durante Noi” un sereno “Dopo di Noi”, proprio grazie ai fondi stanziati con la Legge 112/16, il tutto nonostante i numerosi solleciti inviati dal Ministero e dalla Regione ai Distretti affinché avviassero i piani “Dopo di Noi”.

Da registrare, inoltre, la scarsa adesione dei pochi piani presentati alle Linee Guida Ministeriali, l’inefficacia dei progetti individuali destinati alle persone con disabilità grave, i gravi ritardi nell’avvio dei piani sui territori dove sono stati validati e la mancata rendicontazione delle misure effettivamente avviate, nonché la mancata garanzia nella continuità dei progetti avviati.
È del tutto evidente come questa situazione penalizzi ulteriormente le persone con disabilità e le loro famiglie, che già vivono in Sicilia una condizione di grave disagio e di mancanza di un’adeguata rete di servizi, vedendosi anche negato l’accesso a risorse economiche fondamentali per migliorare la loro qualità di vita e per guardare al futuro con la giusta serenità.

Come ANFFAS Sicilia, pertanto, ci appelliamo ai Distretti Socio-Sanitari inadempienti per far sì che provvedano con urgenza a quanto di propria competenza, per sbloccare i fondi necessari a garantire, anche in Sicilia, la concreta, urgente e compiuta attuazione della Legge 112/16. Chiediamo al contempo alla Regione Sicilia e al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ognuno per quanto di propria competenza, di attivarsi anche con poteri sostitutivi. Dal canto nostro dichiariamo sin d’ora la nostra massima disponibilità a garantire collaborazione per i suddetti fini, anche attraverso l’attivazione di uno specifico tavolo di lavoro.

*Presidente dell’ANFFAS Sicilia (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e del Neurosviluppo), info@anffasicilia.net.

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“Sensuability & Comics”: si può ancora partecipare fino al 27 gennaio

Prorogato al 27 gennaio il termine per partecipare alla settima edizione di “Sensuability & Comics”, il concorso promosso dall’Associazione NessunoTocchiMario, nell’àmbito del più ampio progetto “Sensuability”, voluto per diffondere una visione nuova e priva di pregiudizi della sessualità e della disabilità attraverso le illustrazioni e i fumetti L’immagine utilizzata pr la locandina della settima edizione di “Sensuability & Comics”

È stato prorogato al 27 gennaio il termine per partecipare alla settima edizione di Sensuability & Comics, il concorso seguito puntualmente anche su queste pagine, promosso dall’Associazione NessunoTocchiMario, nell’àmbito del più ampio progetto Sensuability, ideato da Armanda Salvucci per diffondere una visione nuova e priva di pregiudizi della sessualità e della disabilità attraverso le illustrazioni e i fumetti.
Come segnalato a suo tempo, il tema scelto per questa edizione è quello della letteratura, allo scopo di reinterpretare in chiave sensuale e ironica personaggi e storie tratte da opere celebri, celebrando la bellezza di ogni corpo, con tutte le sue imperfezioni.
La partecipazione è gratuita e le opere (in formato digitale o cartaceo) potranno dunque essere inviate, come detto, entro il 27 gennaio prossimo, a concorso@sensuability.it. La giuria, composta dalle scrittrici Giulia Blasi e Teresa Ciabatti, dal fumettista Tito Faraci, dall’illustratore Fabio Magnasciutti e dallo scrittore e regista Francesco Trento, selezionerà le opere migliori, che saranno in mostra a Roma dal 14 febbraio al 14 marzo 2025.
Ben volentieri proponiamo, qui a fianco, la bella immagine usata per la locandina del concorso, realizzata da Kutoshi Kimino del collettivo Sputnik, rielaborando una scena dell’Inferno di Dante, in chiave Sensuability. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Daniela Russo (russo.da@gmail.com).

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Quando la riabilitazione può essere “un gioco per bambini”

Laboratori di riabilitazione ad alta tecnologia, nuove strumentazioni per l’oculistica, un elettroencefalografo (EEG) per ascoltare i ritmi del cervello, una stanza di stimolazione multisensoriale immersiva: sono dedicate ai bambini le nuove strumentazioni hi-tech inaugurate presso il Presidio di riabilitazione e ricerca La Nostra Famiglia di Pasian di Prato (Udine)

Laboratori di riabilitazione ad alta tecnologia, nuove strumentazioni per l’oculistica, un elettroencefalografo (EEG) per ascoltare i ritmi del cervello, una stanza di stimolazione multisensoriale immersiva: sono dedicate ai bambini le nuove strumentazioni hi-tech inaugurate recentemente presso il Presidio di Riabilitazione e Ricerca della Nostra Famiglia a Pasian di Prato (Udine).
Il parco tecnologico è dedicato a più di 3.000 bambini e bambine con disabilità congenite o acquisite o disturbi del neurosviluppo, che ogni anno accedono al Presidio per percorsi di cura e riabilitazione funzionale. Realizzato grazie al sostegno di Fondazioni, aziende e donatori, il parco è un laboratorio di ricerca e di cura che mette a disposizione di bambini e ragazzi spazi terapeutici e attrezzature dove le attività riabilitative assumono la forma di un gioco, grazie a tecnologie all’avanguardia.
«In àmbito pediatrico è fondamentale coniugare la proposta riabilitativa con attività accattivanti, che sostengano la partecipazione attiva e la motivazione dei bambini. Per questo siamo interessati ad un approccio che integri la riabilitazione tradizionale con la riabilitazione multimediale», spiega la direttrice generale regionale Tiziana Scaccabarozzi.

Il Presidio è dotato anche del sistema Nirvana, laboratorio dove diversi proiettori generano sul pavimento o su una parete scenari di stimolo interattivi, mentre sensori di movimento rilevano le azioni dei giovani pazienti. «L’utilizzo della realtà multisensoriale immersiva permette di creare un ambiente dove il bambino può giocare a spostare le nuvole, attraversare un deserto o interagire con un cagnolino festoso», afferma Arianna Michielutti, specialista in Medicina fisica e Riabilitazione. «Questo strumento – aggiunge – consente di realizzare contemporaneamente la riabilitazione cognitiva e motoria, permettendo un’interazione naturale con l’ambiente, senza l’utilizzo di strumenti invasivi come sensori, guanti, occhiali, caschi o joystick. Oltre all’attività di riabilitazione, questi dispositivi verranno utilizzati a scopo di ricerca, per raccogliere dati e metterli in rete con le sedi dell’IRCCS Medea di Bosisio Parini (Lecco) e di Conegliano (Treviso), così da avere evidenze più robuste negli studi clinici che vengono svolti nei nostri centri per migliorare sempre la risposta ai bisogni dei bambini».

Con il progetto Vediamoci chiaro, anche il servizio di oculistica, riconosciuto come presidio di riferimento regionale per l’ipovisione, si è dotato di macchinari che garantiscono ai piccoli pazienti visite e interventi giocosi e motivanti: «Dal territorio regionale ogni anno accedono al nostro servizio quasi 4.000 pazienti in età evolutiva, il 60% dei quali ha meno di 10 anni», precisa il direttore operativo della sede, Alessandro Giardina.

È destinato infine alla ricerca nell’àmbito delle neuroscienze il progetto Onde di bene, finalizzato a studiare l’attività elettrica del cervello e a verificare i cambiamenti che è possibile ottenere attraverso specifici interventi riabilitativi: «Nel Laboratorio di Neuropsicologia dello Sviluppo studiamo i correlati neurali a riposo o durante l’esecuzione di compiti sensorimotori, cognitivi e di percezione sociale in alcune popolazioni cliniche specifiche, come i disturbi del neurosviluppo o le paralisi cerebrali infantili, che come già sappiamo presentano difficoltà e disturbi nell’attività cerebrale», spiega il ricercatore dell’IRCCS Medea e dell’Università di Udine Cosimo Urgesi. «Per registrare i ritmi del cervello di questi bambini, ci siamo dotati di un elettroencefalografo di nuova generazione che garantisce tempi rapidi di preparazione, un segnale robusto rispetto agli artefatti da movimento e un sistema facile e leggero da indossare». (C.C.)

Per maggiori informazioni Cristina Trombetti (cristina.trombetti@lanostrafamiglia.it).

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A Torino è attiva la “Rete Obiettivo DAMA”

«Questo progetto nasce con l’intento di promuovere l’implementazione nella nostra Regione del Modello DAMA, nato a Milano 25 anni fa, per fornire assistenza medica avanzata e personalizzata alle persone con disabilità»: a dirlo è un gruppo di Associazioni piemontesi e di persone impegnate per la tutela dei diritti della disabilità intellettiva/autismo, presentando l’iniziativa denominata “Rete Obiettivo DAMA Torino”

«Questo progetto nasce con l’intento di promuovere l’implementazione del Modello DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance, ovvero “Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”) in Piemonte, una Regione che purtroppo, ad oggi, non dispone ancora di un sistema strutturato ed efficace per garantire accesso alle cure ospedaliere alle persone con disabilità gravi e gravissime»: a scriverlo in una nota, presentando l’iniziativa denominata Rete Obiettivo DAMA Torino, è un gruppo di Associazioni piemontesi (a questo link ne è disponibile l’elenco) e di persone impegnate per la tutela dei diritti della disabilità intellettiva/autismo, che intende appunto fare riferimento al sistema DAMA, di cui tante volte ci siamo occupati sulle nostre pagine.
Quest’ultimo, lo ricordiamo, è nato nel 2000 presso l’Ospedale San Paolo di Milano, per fornire appunto una risposta dedicata, efficiente e personalizzata alle persone con disabilità intellettive e neuromotorie, pazienti spesso esclusi dai percorsi diagnostico-terapeutici tradizionali a causa di difficoltà comunicative o comportamentali. In tal senso, un’équipe multidisciplinare coordina le cure, mettendo al centro la persona con disabilità e valorizzando il ruolo dei familiari caregiver, riducendo in tal modo l’ansia e lo stress sia per i pazienti che per le loro famiglie.

«Attualmente, in Piemonte – spiegano le Associazioni che intendono promuovere il progetto Rete Obiettivo DAMA  -, l’accesso alle cure ospedaliere per persone con gravi disabilità è spesso ancora ostacolato da barriere organizzative e culturali. Queste persone si trovano a fronteggiare tempi di attesa, difficoltà nell’interazione con il personale e la struttura sanitaria e mancanza di percorsi dedicati, con conseguenti peggioramenti delle condizioni di salute, nonché un aumento dei costi sanitari. Il DAMA, quindi, soluzione già collaudata in altre Regioni italiane e riconosciuta a livello nazionale, potrebbe e dovrebbe essere implementato anche in Piemonte.  Con la Rete Obiettivo DAMA Torino ci poniamo pertanto l’obiettivo di sollecitare le Istituzioni Regionali a implementare questo modello inizialmente in almeno un ospedale della Regione. La forza della Rete risiede del resto nella capacità di essa di aggregare competenze e sensibilità, fungendo da catalizzatore per decisioni politiche attese da tempo e recentemente sono stati avviati contatti con operatori e istituzioni regionali per esplorare le prime opportunità di attuazione».

«L’adozione del DAMA a Torino – è la conclusione – rappresenterebbe un passo avanti verso l’inclusione e il rispetto dei diritti delle persone con disabilità, in linea con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e con i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Oltre poi a migliorare la qualità delle cure e ridurre l’uso di interventi di emergenza, il DAMA si distingue per l’efficienza dei costi, offrendo un modello che si ripaga nel tempo, grazie alla prevenzione delle complicazioni e alla razionalizzazione delle risorse ospedaliere. Invitiamo pertanto cittadini, cittadine, associazioni e istituzioni a sostenere questo progetto, che non rappresenta un “favore” a una minoranza, ma un dovere etico e giuridico verso una parte più debole della società. L’auspicio è che Torino possa diventare un esempio di inclusione e innovazione per tutto il territorio piemontese, recuperando il tempo perduto». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: reteobiettivodama@gmail.com.

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Prime indicazioni dall’INPS sulle nuove modalità di accertamento della disabilità

Suggeriamo senz’altro la consultazione di un approfondimento curato dall’OMAR (Osservatorio Malattie Rare), riguardante il recente Messaggio dell’INPS che contiene le prime indicazioni legate alle nuova modalità di accertamento della disabilità

Com’è noto, il Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, ha introdotto una profonda riforma dei criteri e delle modalità di accertamento della condizione di disabilità, prevedendo una “Valutazione di Base” affidata in via esclusiva all’INPS su tutto il territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2026.
Nel frattempo, è già stata avviata dal 1° gennaio di quest’anno, e si protrarrà fino al 31 dicembre, una fase di sperimentazione riguardante nove Province italiane (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste).
La verifica degli esiti di applicazione della sperimentazione, che dovrà appunto portare ad un allargamento a tutta l’Italia, dovrà essere stabilita tramite un regolamento da adottare su iniziativa del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e con l’Autorità Politica delegata in materia di disabilità.
Nell’attesa, l’INPS, con il Messaggio numero 4465 prodotto il 27 dicembre scorso, ha diffuso le prime indicazioni legate alle nuova modalità di accertamento che l’OMAR (Osservatorio Malattie Rare) sintetizza in un approfondimento del quale suggeriamo senz’altro la consultazione (a questo link). (S.B.)

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Si conclude a Trieste il viaggio italiano della seconda edizione di “INCinema Film Festival”

Si concluderà a Trieste, prima di continuare a Londra e a New York nei prossimi mesi, il viaggio in Italia della seconda edizione di “INCinema Film Festival”, Festival cinematografico fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali. Il 19 gennaio, nella città giuliana, verrà proiettata la versione accessibile del film “Il mio compleanno”, opera prima di Christian Filippi Una scena del film “Il mio compleanno” di Christian Filippi

Dopo le tappe di Firenze, Lecce, Roma, Torino, Udine e Milano, da noi seguite passo dopo passo, si concluderà domenica 19 gennaio a Trieste, prima di continuare a Londra e a New York nei prossimi mesi, il viaggio in Italia della seconda edizione di INCinema Film Festival, manifestazione ideata da Federico Spoletti e diretta da Angela Prudenzi, di cui Superando si onora di essere media partner sin dagli inizi.
Questo Festival, come abbiamo ampiamente riferito a suo tempo, si svolge sia in presenza al cinema, sia da remoto su piattaforma MYmovies One e soprattutto offre l’opportunità di vedere dei film in sala in modalità inclusiva anche a chi non può andare regolarmente al cinema. Si tratta infatti del primo evento del genere in Italia fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali, che solitamente non possono partecipare ai festival cinematografici. Una tappa decisamente importante nel cammino verso una piena accessibilità del settore cinematografico italiano, anche tenendo conto dell’ormai prossima entrata in vigore, nel mese di giugno, della nuova Direttiva Europea sull’Accessibilità (European Accessibility Act).

Nel pomeriggio del 19 gennaio, dunque, al Teatro Miela di Trieste (Piazza Duca degli Abruzzi, 3, ore 14.15) INCinema presenterà, grazie alla collaborazione con il Trieste Film Festival e con Alpe Adria Cinema, la versione accessibile del film Il mio compleanno, opera prima di Christian Filippi, presentato all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Biennale College.

I film presentati nell’ambito di INCinema, va ricordato, sono resi accessibili tramite i sottotitoli sullo schermo e l’audiodescrizione (applicazione gratuita Earcatch). Ma l’operazione di inclusività riguarda anche le varie attività collaterali alle proiezioni cinematografiche, quali le masterclass, gli incontri con autori, le Domande/Risposte con attori e registi, il tutto accompagnato da trascrizioni in tempo reale.
Il Festival è prodotto e organizzato da SUB-TI ACCESS, in collaborazione con l’Associazione Libero Accesso, con il sostegno del Comune e della Banca di Udine, e anche in collaborazione con MYmovies, Alice nella Città, la Cineteca di Milano, la Fondazione Sistema Toscana, il Museo del Cinema di Torino, il Festival del Cinema Europeo di Lecce, Trieste Film Festival e l’Associazione +Cultura Accessibile.
Si avvale inoltre del patrocinio dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), della FIADDA (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie), della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), dell’Associazione Aniridia Italiana e della Consulta Regionale delle Associazioni delle Persone con Disabilità e delle loro Famiglie del Friuli Venezia Giulia.
I partner tecnici sono Earcatch e EasyReading, i media partner, oltre a Superando, Fred Film Radio e Motto Podcast. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Martina Tonarelli (martina.tonarelli@fred.fm).

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La “nuova scuola” non dimentichi la partecipazione di alunni e alunne con disabilità

«La nostra raccomandazione è che non si vada verso una scuola per pochi, che selezioni ed escluda, ma che ci sia sempre più spazio alla personalizzazione della didattica, per promuovere la partecipazione anche dei tanti studenti e studentesse con disabilità»: lo dicono dall’Associazione AIPD, commentando le notizie riguardanti la riforma dei programmi scolastici, delineata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara (Foto di AIPD Nazionale)

«Non spetta a noi entrare nel merito delle novità annunciate, ma la nostra raccomandazione è che non si vada verso una scuola per pochi, che selezioni ed escluda, ma che ci sia sempre più spazio alla personalizzazione della didattica, per promuovere la partecipazione anche dei tanti studenti e studentesse con disabilità»: lo dicono dall’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), commentando le notizie riguardanti la , delineata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara.
«Da quarant’anni ci battiamo per l’inclusione scolastica – aggiungono dall’Associazione – che oggi preferiamo chiamare partecipazione, perché includere non basta: gli studenti e le studentesse con disabilità, sempre più numerosi nelle nostre classi, hanno bisogno di essere protagonisti attivi degli apprendimenti e delle competenze che ciascuno di loro può acquisire. Per questo, servono programmi personalizzati, ma soprattutto insegnanti specializzati, curricolari e di sostegno, che sappiamo cogliere in ciascun alunno il suo talento e valorizzarlo. Ben vengano il latino, la storia, la letteratura, la conoscenza delle proprie radici, ma si trovino i metodi, gli spazi, il linguaggio e le modalità perché l’apprendimento sia sempre attivo e la didattica favorisca la partecipazione di tutti».

«Invitiamo il ministro Valditara – è pertanto l’appello del presidente nazionale dell’AIPD Gianfranco Salbini – a coinvolgere le Associazioni che, come la nostra, hanno contribuito a creare, negli anni, una scuola di tutti. Insieme, possiamo rimettere mano non solo ai programmi, che certamente devono essere rivisti, ma soprattutto all’idea di scuola e di comunità educante, che deve essere riletta e riscritta, alla luce della realtà quotidiana che oggi vivono i ragazzi e le ragazze. Da parte nostra, saremo felici di mettere a disposizione le nostre competenze, le nostre esperienze e le nostre professionalità, per costruire una nuova scuola, che sia di tutti e per tutti». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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Ancora sul Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità

Alcune ulteriori riflessioni sul Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, istituito dalla Legge Delega 227/21 in materia di disabilità e dal Decreto Legislativo 20/24, attuativo di essa, il cui collegio è stato definito nel dicembre scorso. Ad esprimerle è PERSONE, il Coordinamento Nazionale Contro la Discriminazione delle Persone con Disabilità di recente costituzione Loghi che rappresentano altrettante diverse forme di disabilità

Il Decreto Legislativo 20/24, istitutivo del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, stabilisce, all’articolo 2, comma 3, che «il presidente e i componenti del collegio sono scelti tra persone di notoria indipendenza e di specifiche e comprovate professionalità, competenze o esperienze nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani e in materia di contrasto delle forme di discriminazione nei confronti delle persone con disabilita».
Stando alle nomine recentemente rese note, nasce tuttavia spontanea una domanda: «Davvero non c’erano personalità caratterizzate da competenze specifiche e di innegabile indipendenza nell’intero panorama nazionale?». Infatti, pur essendo in possesso di curricula rispettabilissimi e di indubitabili competenze, riferibili però ad àmbiti disciplinari distanti dal ruolo istituzionale attribuito, i profili eletti non rispettano i criteri sopra elencati.

Non abbiamo motivo di dubitare dell’impegno personale nello svolgere il delicato incarico, ma ci chiediamo: può essere considerato autonomo e indipendente il capo di gabinetto della Ministra per le Disabilità? Inoltre, perché, proprio nel momento in cui dovremmo, finalmente, immergerci nel modello sociale della disabilità di cui è impregnata la Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, si nomina un medico nella commissione? Senza negare l’importanza degli aspetti medico-clinici che interessano le varie condizioni, riteniamo intollerabile ridurre l’esistenza di una persona al suo progetto di cura, tradendo lo spirito stesso della riforma.

Domande ineludibili, visto che le scelte non sono neutre, ma indicano, al contrario, la direzione intrapresa. Come previsto nel Decreto Legislativo 20/24, ci saremmo aspettati la presenza di competenze legate all’àmbito dei diritti delle persone con disabilità, dei fenomeni di segregazione, discriminazione e limitazione della libertà personale.

Consapevoli dunque che quello attuale sia un momento di svolta per le persone con disabilità e per i loro familiari, è con grande rispetto, ma con altrettanto spirito critico, che il nostro Coordinamento intende vigilare sull’evolversi degli avvenimenti, avendo scelto la strada dei diritti e della libertà personale come unica stella polare.

*personecoordnazionale@gmail.com. Nella pagina Instagram del Coordinamento (a questo link) sono presenti una serie di ulteriori informazioni sullo stesso.

All’operatività dal 1° gennaio 2025 dell’ufficio del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, il nostro giornale ha già dedicato i testi Fondamentale la collaborazione del Garante con le organizzazioni di persone con disabilità, Quanto potrà essere efficace l’azione di questo Garante? di Giampiero Griffo e Altre riflessioni sul Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità di ANFFAS Nazionale.

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Sclerosi multipla, la riabilitazione è cura

Inaugurato nei giorni scorsi, il progetto “Sclerosi multipla, la riabilitazione è cura!”, promosso dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e sostenuto da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con il CESVI, ha consentito di apportare una serie di interventi alla piscina riabilitativa del Servizio Riabilitazione AISM Liguria, per continuare a rispondere ai bisogni delle persone con sclerosi multipla e patologie correlate La piscina riabilitativa dell’AISM Liguria

È stato inaugurato nei giorni scorsi il progetto Sclerosi multipla, la riabilitazione è cura!, promosso dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e sostenuto da Intesa Sanpaolo, attraverso il Programma Formula, in collaborazione con il CESVI, iniziativa finanziata attraverso una raccolta fondi del 2023, sulla piattaforma di Intesa Sanpaolo dedicata a sostenibilità ambientale, inclusione sociale e accesso al mercato del lavoro per le persone in difficoltà, consentendo di apportare una serie di interventi alla piscina riabilitativa del Servizio Riabilitazione AISM Liguria, per continuare a rispondere ai bisogni delle persone con sclerosi multipla.
Grazie al progetto, infatti, è stato possibile garantire un adeguato microclima sia dell’aria che dell’acqua della piscina, garantendo benefìci a circa 1.400 persone con sclerosi multipla o patologie correlate, seguite dal Servizio Riabilitazione dell’AISM Liguria.

«Il polo specialistico dell’AISM di Genova -sottolinea Mario Alberto Battaglia, direttore generale dell’AISM e presidente della FISM, la Fondazione che opera a fianco dell’Associazione -, che è nato grazie anche al lascito di Filippo Malaponte, una persona con sclerosi multipla progressiva, risponde ai bisogni di chi convive con la sclerosi multipla, la neuromielite ottica (NMOSD), la MOGAD e patologie correlate. La riabilitazione è una vera e propria cura, essenziale per il benessere e l’autonomia delle persone e la riabilitazione in acqua facilita i movimenti e migliora l’equilibrio, permettendo attività che sarebbero difficili da svolgere fuori dall’acqua. Investire in strutture come questa significa costruire un futuro in cui nessuno resti indietro». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Per far sì che l’inclusione non sia solo uno slogan

«L’inclusione – scrive tra l’altro Gianfranco Vitale – non può essere ridotta a slogan né ad iniziative di facciata. Le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana» Una realizzazione grafica americana dedicata all’inclusione delle persone con disabilità

Negli ultimi anni, il termine “inclusione” è entrato sempre più spesso nel nostro linguaggio quotidiano. Iniziative, eventi e progetti dedicati a questo tema stanno crescendo, e ciò è senza dubbio un segnale positivo: indica che la società si sta muovendo verso una maggiore sensibilità e rispetto per le persone con disabilità.
Sbaglieremmo, tuttavia, a ignorare che dietro questa importante svolta si nascondono, a volte, limiti, errori e contraddizioni che rischiano di trasformare l’inclusione in semplice apparenza. Non sono poche, infatti, le iniziative che, pur muovendo da buone intenzioni, finiscono per rafforzare la separazione anziché superarla. In questi casi, innegabilmente, siamo più vicini a un’esclusione travestita che ad un’inclusione vera!

Un esempio emblematico è il Disability Day, organizzato da alcuni Comuni in “imbarazzanti” orari mattutini, con parchi divertimento riservati esclusivamente a persone con disabilità e alle loro famiglie. Anche se l’intento è lodevole, queste iniziative non rischiano di isolare ulteriormente i destinatari, invece di promuovere una reale integrazione?
La vera inclusione richiede che tutti (proprio tutti) partecipino alle stesse attività, nello stesso luogo e nello stesso momento. Nessuno pretende per i nostri cari la creazione di una nuova Disneyland, ma nemmeno è accettabile l’idea di realizzare una succursale di Disabilandia!
Il Disability Day non dovrebbe realizzarsi in tre ore al mattino, com’è ormai prassi, ma svilupparsi in tutto l’arco della giornata, tenendo conto che in quella stessa occasione tutti (proprio tutti) gli avventori dovrebbero anche “accontentarsi” di giostre rallentate, di musica ad un volume accettabile, di luci un po’ meno intermittenti…
Se non si comprende l’importanza di un simile percorso, la conseguenza è che più che includere si creino muri alti, spessi e difficilmente abbattibili, che nascondono varchi e crepe di ogni genere.
L’inclusione non può essere ridotta a slogan né ad iniziative di facciata. Le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana. Penso, esemplificando al massimo e riservandomi qualche approfondimento ad hoc, all’emarginazione scolastica; al mancato apprendimento di competenze sociali e di vita; alle esperienze affettive troppo spesso relegate all’esclusivo àmbito familiare; alla scarsa partecipazione alle attività di tempo libero; alla mancanza di un lavoro che sia altro rispetto a quello “retribuito” con mancette simboliche, che rasentano lo sfruttamento, da molte Cooperative ecc.

Proviamo ad analizzare, ad esempio, il contesto scolastico. Qui emerge un modello che spesso associa il concetto di inclusione a un mero adempimento burocratico. Se è vero che l’adozione di piani didattici personalizzati è fondamentale, è altrettanto vero che essa deve essere affiancata da un cambiamento culturale che eviti di etichettare gli studenti solo con sigle (BES, DSA, NAI, PDP…) o di catalogare ad ogni costo, con fantasiosi acronimi e diciture, ogni forma di disagio, a cominciare da quello cosiddetto sociofamiliare! L’etichettatura riduce le persone a diagnosi, trascurando colpevolmente le loro potenzialità.
È fondamentale che la scuola non trasformi le differenze tra gli studenti in disuguaglianze. Le risposte di tipo medico o terapeutico a problemi sociali non devono assolutamente prevalere sull’approccio pedagogico, che rappresenta il cuore del processo educativo.
Pur riconoscendo l’importanza di diagnosticare e affrontare le difficoltà specifiche degli studenti, occorre evitare il rischio che l’inclusione venga compromessa. Se è inconfutabile che alcune difficoltà richiedono una diagnosi e un supporto adeguato, è necessario evitare che l’inclusione si blocchi a causa di una medicalizzazione eccessiva, che oltretutto mortifica e depriva della loro identità professionale gli stessi docenti fino a renderli subalterni a psicologi e neuropsichiatri.
Non si tratta di criticare gli interventi individualizzati previsti e concordati nei Piani Educativi Individualizzati (PEI), ma è fondamentale condannare qualsiasi utilizzo improprio di strumenti che finiscono per creare esclusione ed emarginazione anziché favorire l’inclusione.
La scuola deve essere il luogo in cui le differenze vengono riconosciute e valorizzate, non trasformate in disuguaglianze. Occorre contrastare l’abuso di modelli che isolano gli studenti con disabilità, promuovendo invece ambienti autenticamente inclusivi, dove ogni alunno viene rispettato nella sua unicità.
Si pensi all’uso distorto che viene fatto, non di rado, delle “aule di sostegno”. Indicate come luoghi sereni e gioiosi, esse sono – nella realtà – spazi vuoti, deprimenti, altamente stigmatizzanti, perché separano gli allievi con disabilità dai loro coetanei, negando di fatto la piena partecipazione alla vita scolastica. Sono spazi che invece di abbattere segnano confini; nascondono e celano, oscurano alla vista e coprono alla mente.
Eppure questo falso modello inclusivo è ancora oggi promosso al rango di “laboratorio” da tanti dirigenti e ispettori scolastici che, incredibilmente, lo descrivono come “inclusivo”, pur sapendo, loro per primi, che è “riempito” di soli, e tanti, alunni con disabilità!

Promuovere davvero l’inclusione significa cambiare prospettiva: non considerare la disabilità come una malattia, ma riconoscerla come il risultato dell’interazione tra le caratteristiche della persona con disabilità e l’ambiente in cui vive, lavorando per eliminare le barriere che ostacolano la partecipazione.
Occorre rendere la disabilità una realtà che interagisce con altre realtà, perché la vera inclusione guarda oltre la disabilità come “problema personale” e si concentra sul contesto sociale, con l’obiettivo di abbattere le barriere culturali, fisiche e sociali che limitano le opportunità delle persone con disabilità.

In apparenza il nostro Paese ha dimostrato sensibilità nel disegnare processi e percorsi diretti a favorire la piena inclusione sociale delle persone con disabilità, ma, in verità, nonostante la ridondante produzione legislativa degli ultimi trent’anni, in tanti àmbiti di vita emergono e permangono significativi svantaggi delle persone con disabilità rispetto al resto della popolazione.
Questo significa che gli strumenti messi in campo non hanno ottenuto i risultati attesi, ma sono serviti, nella migliore delle ipotesi, ad attenuare le differenze o impedire che si amplificassero.
Una miriade di leggi, di cui lo Stato ipocritamente va fiero, non trova di fatto applicazione (ne cito, per brevità di esposizione, solo due, ma è bene sapere che il loro numero è almeno dieci volte più grande: la Legge 68 del 1999 su disabilità e lavoro, la Legge 328 del 2000 sul progetto di vita). Non dare attuazione alla Legge 68/99, ad esempio, da una parte ha significato tradire la possibilità di pensare alla persona con disabilità come individuo sociale, favorendone la piena integrazione sul territorio grazie a misure atte a trovare nuove motivazioni, sviluppare abilità, occasioni di socializzazione, attività formative, eccetera. Dall’altra ha significato rinnegare con brutalità e disprezzo il principio di una società equa e inclusiva.
Cosa c’è di più equo e inclusivo di un lavoro adeguato alle capacità individuali? Capirà mai questa classe politica, rozza e ignorante, che il lavoro non è solo un diritto ma è anche un potente strumento di autonomia e dignità? Fino a quando dovremo sopportare, anziché denunciare, la retorica di Servizi e Istituzioni che quando parlano di tutela dell’inclusione sociale delle persone con disabilità ricorrono solo a menzogne e omissioni?

A queste domande potrebbero e dovrebbero rispondere soprattutto le Associazioni, se per una volta fossero capaci di capire che su un tema così delicato e complesso come “l’inclusione”, oggettivamente trasversale a tutte le forme di disabilità, non ci si può ingenuamente dividere per la sola voglia di primeggiare come, in maniera infantile, avviene ogni giorno su tante altre questioni. È forse possibile distinguere tra l’inclusione della persona con disabilità fisica e quella della persona con disabilità psichica? No: l’inclusione riguarda tutti.
Per raggiungere una vera inclusione, le Associazioni, le famiglie e tanti cittadini perbene sensibili al problema devono unirsi in uno sforzo comune. Si lavori, allora, perché questo obiettivo diventi il collante capace di unire tutte le forze chiamate a fare fronte comune contro l’egoismo e la miopia di una classe politica brava solo a difendere e consolidare i suoi privilegi, ma completamente inaffidabile, insensibile e vergognosamente distante dai bisogni reali delle persone con disabilità (e, non dimentichiamolo mai, delle loro famiglie).
È tempo di superare divisioni e compromessi. La diversità è una risorsa straordinaria che arricchisce la società, e ogni persona con disabilità merita, a pieno titolo, di essere inclusa, accolta e valorizzata. Non si tratta di un privilegio, ma di un diritto primario che va difeso e promosso, in tutte le sedi, con coraggio e determinazione.

Alcune settimane fa ho promesso a Stefania Delendati, direttrice responsabile di Superando, che le avrei dedicato un articolo. Mantengo la promessa: quello che ho scritto qui è per Lei. (G.V.)

L'articolo Per far sì che l’inclusione non sia solo uno slogan proviene da Superando.

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