Superando

Jerry Hasani: il coraggio di trasformare il dolore in musica

Dal bullismo subìto alla condizione di disabilità fin dalla nascita, Jerry Hasani ha fatto delle proprie esperienze un potente messaggio musicale. Con la canzone “Quicksand”, il giovane artista albanese, trapiantato in Italia, racconta un percorso di resilienza e inclusività che ha già ispirato molti ragazzi e ragazze. La nostra intervista Jerry Hasani con Ilenia Tosto nell’immagine di copertina di “Quicksand”

Dal bullismo subìto alla condizione di disabilità fin dalla nascita, Jerry Hasani ha fatto delle proprie esperienze un potente messaggio musicale. Con la canzone Quicksand, l’artista albanese trapiantato in Italia racconta un percorso di resilienza e inclusività che ha già ispirato molti ragazzi e ragazze. Collaborando con Ilenia Tosto e Promo L’inverso, Jerry ha unito visioni e sonorità per creare un progetto unico. La musica, per lui, non è solo arte: è un ponte che collega esperienze e speranze.

La tua storia è ancora poco conosciuta: raccontaci innanzitutto di te e raccontaci quali aspetti del tuo percorso sono fondamentali per capire chi sei.
«Sono un rapper albanese e da quando sono nato vivo con la paralisi cerebrale. All’inizio i medici non avevano compreso la natura del mio problema. Nel 2006, io e mia madre decidemmo di trasferirci in Italia, dove finalmente trovammo delle risposte. Crescendo, ho affrontato la vita con il sorriso, cercando di non farmi sopraffare dalla mia disabilità. Tuttavia, quando arrivò il momento di iniziare le scuole medie, il mio mondo cambiò. I compagni mi parlavano sempre meno, fino a quando non rimasi completamente solo. Non capivo il motivo di questo comportamento, mi chiedevo cosa avessi fatto di sbagliato, finché non capii che la ragione era la mia disabilità. Fu un momento difficile, ma decisi di non abbattermi. Cominciai a rifugiarmi nella musica, in particolare nella trap. Col passare del tempo, la mia passione per la musica crebbe e così decisi di provare a scrivere le mie canzoni».

La canzone Quicksand prende ispirazione dalle sfide personali che hai vissuto, incluso il bullismo subito durante l’infanzia. Quando hai capito che quelle cicatrici potevano trasformarsi in un messaggio musicale?
«La canzone è un viaggio attraverso le esperienze difficili che ho vissuto, soprattutto il bullismo. Ho capito che quelle cicatrici potevano diventare un messaggio musicale quando ho trovato forza nelle mie esperienze e ho visto come la musica potesse essere un canale potente per esprimere emozioni e sensibilizzare gli altri. Scrivere Quicksand è stato un modo per dare un significato alle difficoltà passate, trasformando il dolore in qualcosa di positivo».

Come è nata la collaborazione con Ilenia Tosto e Promo L’inverso, e come siete riusciti a fondere le vostre visioni nel progetto?
«Entrambi eravamo interessati a usare la musica come mezzo per raccontare storie autentiche, con un impatto sociale. Abbiamo combinato le nostre esperienze e competenze, trovando un equilibrio tra i suoni e i temi. Ilenia ha portato un’energia unica al progetto, e Promo L’inverso ha dato una struttura al beat che ha permesso alla nostra visione di prendere vita. L’unione delle nostre visioni ha dato a Quicksand quella profondità emotiva e quella spinta creativa che la rende unica».

Un’altra immagine di Jerry Hasani

In che modo la tua disabilità ha influenzato il tuo percorso artistico e la tua capacità di connetterti con il pubblico attraverso la musica?
«La disabilità ha sicuramente influito sul mio percorso artistico. Fin da quando sono nato, ho dovuto affrontare sfide extra che altri non vivevano, ma queste esperienze mi hanno reso più sensibile e più determinato. La musica è diventata la mia voce, il mio modo di comunicare e di entrare in contatto con gli altri, soprattutto con chi può sentirsi escluso o diverso. Questo mi permette di connettermi con il pubblico a un livello molto profondo, perché attraverso le mie canzoni, sento che posso trasmettere un messaggio di speranza e di resilienza».

Usi la musica come strumento per sensibilizzare i giovani sul bullismo e sulla discriminazione. Come hanno reagito i ragazzi e le ragazze?
«Abbiamo ricevuto feedback molto positivi da parte di giovani che si sono riconosciuti nei temi trattati in Quicksand e di scuole che sono pronte ad affrontare il tema.  Molti ci hanno raccontato che la canzone li ha aiutati a sentirsi meno soli e a comprendere che anche le difficoltà possono essere superate. Il bullismo e la discriminazione sono temi difficili da affrontare, ma la musica può davvero fare la differenza nel creare consapevolezza e innescare il cambiamento».

Quali sono i tuoi progetti futuri per continuare a promuovere il messaggio di inclusività e solidarietà che Quicksand rappresenta?
«Il mio progetto futuro è quello di continuare a portare avanti questo messaggio non solo attraverso la musica, ma anche con iniziative concrete. Io e Ilenia stiamo pianificando di lavorare con scuole e organizzazioni che combattono il bullismo, creando momenti di sensibilizzazione attraverso eventi e performance live. Vorremmo anche esplorare collaborazioni con altri artisti che abbiano la stessa missione, per amplificare il messaggio e raggiungere ancora più persone». (Carmela Cioffi)

L'articolo Jerry Hasani: il coraggio di trasformare il dolore in musica proviene da Superando.

Vita indipendente: rendere concreto e reale un diritto fondamentale delle persone con disabilità

“La vita indipendente per le persone con disabilità. Un diritto fondamentale”, libro pubblicato da Massimiliano Verga e Alessia Lovece, è una lettura utile – forse necessaria – almeno per tutte quelle persone, a partire dagli operatori sociali, oggi impegnate nel difficile compito di rendere concreto e reale un diritto fondamentale, come quello alla vita indipendente delle persone con disabilità, ancora troppo spesso non rispettato

La vita indipendente per le persone con disabilità è un diritto fondamentale, ma non si tratta di un’affermazione scontata: quando infatti parliamo delle esigenze più importanti delle persone con disabilità, ancora oggi il discorso scivola subito sul diritto all’assistenza, alla cura e, forse, alla scuola e al lavoro. La questione del diritto delle persone con disabilità di essere libere, fatica ancora ad imporsi nel discorso pubblico, anche e soprattutto di quello degli addetti ai lavori.
La vita indipendente per le persone con disabilità. Un diritto fondamentale (Ledizioni, 2024) è il titolo di un saggio scritto dal professor Massimiliano Verga (Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca) e con la dottoressa Alessia Lovece, testo che ripercorre la storia recente dell’affermazione del diritto alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità: o forse sarebbe meglio dire del tentativo, ancora in corso, di affermare e riconoscere questo diritto fondamentale per tutte le persone, comprese tutte le persone con disabilità.

Si tratta di una pubblicazione opportuna, nel momento in cui stiamo sperimentando la fatica di mettere in atto tutti quei cambiamenti che sarebbero necessari per riconoscere e rispettare effettivamente la libertà di tutte le persone con disabilità di poter scegliere dove e con chi vivere e di partecipare alla vita sociale in condizione di uguaglianza (o anche solo simili) con gli altri.
Il punto di riferimento di questa riflessione non poteva che essere l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità che ha definitivamente sancito «il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone».
Il libro prende dunque le mosse dai fondamenti culturali e giuridici della Convenzione ONU, per poi immergersi nella realtà italiana e, in particolare, sulla natura della Legge 112/16 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare) e sulle difficoltà applicative di essa.
Seguendo un ordine cronologico, ampio spazio viene dato alle diverse affermazioni su questo tema del Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ovvero di quell’organismo deputato ad offrire l’interpretazione autentica della Convenzione. Documenti ancora spesso poco conosciuti e le cui affermazioni, quando sgradite, vengono facilmente sottovalutate.
Quasi metà della pubblicazione si occupa poi di quanto sta avvenendo in Italia, a seguito delle disposizioni normative che hanno tradotto in legge quanto previsto dall’articolo 19 della Convenzione, analizzando opportunità, difficoltà e questioni aperte.

Una lettura utile – forse necessaria – almeno per tutte quelle persone, a partire dagli operatori sociali, oggi impegnate nel difficile compito di rendere concreto e reale un diritto fondamentale, ancora troppo spesso non rispettato.

*Direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

L'articolo Vita indipendente: rendere concreto e reale un diritto fondamentale delle persone con disabilità proviene da Superando.

Malattie ossee comuni e rare: i meccanismi biologici e le speranze terapeutiche

Il 9 aprile, in corrispondenza con la cerimonia conclusiva del concorso “Come vedi la disabilità?”, l’Associazione Lega Arcobaleno di Tivoli (Roma) ha promosso l’importante convegno scientifico divulgativo, denominato “Malattie ossee comuni e rare; meccanismi biologici, speranze terapeutiche”, cui interverranno, con un linguaggio accessibile a tutti e tutte, Maurizio Pacifici e Anna Maria Teti, scienziati di livello internazionale che da anni lavorano intensamente in tale settore I ricercatori Anna Maria Teti e Maurizio Pacifici che interverranno al convegno di Tivoli del 9 aprile

Come avevamo anticipato in altra parte del giornale, nel presentare il concorso Come vedi la disabilità?, promosso a Tivoli (Roma) dall’Associazione di Promozione Sociale Lega Arcobaleno, la cerimonia conclusiva di premiazione dello stesso coinciderà, nel pomeriggio del 9 aprile, con l’importante convegno scientifico divulgativo, denominato Malattie ossee comuni e rare; meccanismi biologici, speranze terapeutiche (Sala Convegni del Convitto Nazionale, ore 16), incontro durante il quale si toccheranno varie problematiche legate alla struttura scheletrica portante del corpo, «una preziosa occasione – spiegano dalla Lega Arcobaleno – per i cittadini e le cittadine giovani e meno giovani, per conoscere da vicino lo stato dell’arte della ricerca scientifica in questo specifico àmbito di cui parleranno direttamente due scienziati di livello internazionale che da anni lavorano intensamente in tale settore, vale a dire Maurizio Pacifici e Anna Maria Teti, che con un linguaggio accessibile a tutti e tutte, condurranno i presenti in un mondo poco esplorato dai non addetti ai lavori».

«Sappiamo – spiegano dall’Associazione promotrice dell’incontro – che spesso e volentieri si fanno alcuni errori di valutazione che a volte comprometteranno la nostra salute: la mancata attenzione ai primi sintomi e il non saper riconoscere i segnali possono infatti metterci in condizione di sottovalutare alcuni campanelli d’allarme che ci invia direttamente il nostro corpo. A tal proposito, tutti sanno ormai bene che la prevenzione è fondamentale, ma spesso non si ha né la voglia né l’occasione di informarsi per tempo su alcuni importanti argomenti, ignorando così informazioni utili per la nostra salute. Entrando nello specifico dell’incontro del 9 aprile, quando pensiamo alla nostra struttura scheletrica, abbiamo convinzioni non sempre corrette, credendo, ad esempio, che sia preferibile un osso molto ricco di calcio, ritenuto più forte e resistente. E invece non è affatto vero! Ma anche nella condizione opposta, quando ci troviamo di fronte all’impoverimento della calcificazione ossea, apparentemente solida, si ha una forma patologica che può portare a situazioni di dolore e fratture. La densità dell’osso dev’essere infatti equilibrata, la calcificazione di essa ottimale e da mantenere assolutamente, se è vero che un osso con il corretto apporto di calcio sarà più flessibile e quindi meno soggetto a traumi. Limitazioni funzionali, patologie nascoste, patologie deformanti, patologie tumorali spesso non visibili sono tutti termini che ormai abbiamo imparato a conoscere e infatti oggi definiscono malattie comuni. Ne parlerà il 9 aprile la professoressa Anna Maria Teti, già docente e ricercatrice all’Università dell’Aquila, oltreché ricercatrice associata senior presso l’Istituto di Biomedica e Biologia al CNR di Monterotondo (Roma)».

«Per quanto poi riguarda le malattie rare – proseguono dalla Lega Arcobaleno -, le cose si complicano perché le conoscenze sono ancora molto limitate. Fortunatamente la scienza non si ferma e con i suoi professionisti, scienziati noti o meno conosciuti che conducono ricerche e sperimentazioni, ci offre speranze di significativi miglioramenti. Esiste ad esempio una rara malattia pediatrica che causa la formazione di escrescenze ossee. Si tratta della severa patologia degli osteocondromi multipli, argomento su cui il 9 aprile si soffermerà il professor Maurizio Pacifici, direttore del Dipartimento di Ricerca del Children’s Hospital di Philadelphia (Stati Uniti), che con il proprio team sta studiando e sperimentando per cercare di trovare una terapia idonea. Si tratta di una malattia consistente in tumefazioni ossee che si manifestano in una parte specifica delle ossa lunghe (omero, tibia, femore) a volte anche nella scapola, caratterizzata appunto dallo sviluppo di escrescenze ossee che se non trattate continuano a crescere, distruggendo l’osso e l’articolazione».

Il convegno, ricordiamo in conclusione, è aperto a tutte le persone interessate. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Anna Benedetti (presidente Associazione Lega Arcobaleno), annabenedetti40@gmail.com.

L'articolo Malattie ossee comuni e rare: i meccanismi biologici e le speranze terapeutiche proviene da Superando.

L’autismo, il nuoto e il Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità

«Mentre nuotavo nell’àmbito dell’evento “Abbracciata collettiva” – scrive Federico Girelli -, avvertivo intorno a me l’energia, la forza degli operatori, dei volontari, delle persone con autismo e dei loro familiari, tutte persone che conoscono bene i problemi da risolvere. Anche di queste esperienze, di queste competenze dovrà fare tesoro il Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità, per assolvere al meglio il suo importante ruolo, in vista del bene delle persone con disabilità»

La mattina del 6 aprile ho partecipato, come negli anni scorsi, all’Abbracciata collettiva, la maratona natatoria a supporto delle persone con autismo e dei loro familiari, organizzata in relazione alla Giornata mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo del 2 aprile [dell’“Abbracciata collettiva” si legga già anche sulle nostre pagine a questo e a questo link, N.d.R.].
Io personalmente mi sono recato presso il CassiAntica Sporting Fitness di Roma (ma il 5 e il 6 aprile piscine in tutta Italia hanno ospitato l’evento) e mentre nuotavo ho fatto mente locale sulla recente istituzione del Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità.

Il Garante è regolato dal Decreto Legislativo 20/24, che ha individuato nel 1° gennaio 2025 la data di effettiva istituzione dell’Autorità «Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità» (articolo 1, comma 1) e, invero, si preoccupa altresì del fatto che in questa data realmente si dia «immediato avvio» alle attività in «piena operatività» (articolo 3, commi 6 e 7).
Si tratta di un organo collegiale, «composto dal presidente e da due componenti» (articolo 2, comma 1 del citato Decreto 20/24), alla cui nomina hanno provveduto i Presidenti di Camera e Senato, con «determinazione adottata d’intesa», ai sensi dell’articolo 2, comma 6 del Decreto istitutivo. Sempre il Decreto 20/2024, inoltre, disciplina puntualmente le funzioni affidate al Garante e anche la struttura organizzativa di esso.
Quel che emerge dal tessuto normativo è che questa nuova Autorità non dovrà operare in solitudine: già dall’articolo 1 del Decreto, del resto, viene definita come «articolazione del sistema nazionale per la promozione e la protezione dei diritti delle persone con disabilità» ed è chiamata a collaborare con l’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e col Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

Non è certo un compito semplice quello che attende il Collegio da poco nominato. Mentre nuotavo (e ogni tanto mi scontravo con gli altri “maratoneti”), avvertivo intorno a me l’energia, la forza degli operatori, dei volontari, delle persone con autismo e dei loro familiari, che tutti insieme animavano l’evento: tutte persone che conoscono bene i problemi da risolvere, visto che li affrontano quotidianamente.
Anche di queste esperienze, di queste competenze il Garante dovrà fare tesoro, per assolvere al meglio il suo importante ruolo in vista del bene delle persone con disabilità.
I migliori auguri di buon lavoro.

*Professore di Diritto Costituzionale all’Università Niccolò Cusano di Roma (www.siblings.it).

L'articolo L’autismo, il nuoto e il Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità proviene da Superando.

Percorsi riabilitativi che utilizzano visori per la realtà virtuale

In occasione della Giornata Mondiale della Salute di oggi, 7 aprile, la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) intende dare visibilità al progetto “Virtualmente”, promosso presso la propria Sezione di Gorizia, basato su percorsi riabilitativi che utilizzano visori per la realtà virtuale Una delle persone coinvolte nel progetto della UILDM di Gorizia “Virtualmente”

Oggi, 7 aprile, è la Giornata Mondiale della Salute (World Health Day), evento che vede impegnata anche la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con una specifica attenzione alla situazione delle persone che convivono con malattie rare quali le distrofie e le altre malattie neuromuscolari. «Emerge quindi la necessità – dicono da tale Associazione – di una presa in carico della persona che comprenda non solo gli aspetti legati alla patologia in sé, ma anche il benessere psicologico, perché, come dimostrano gli studi, esso è intimamente legato a una dimensione di salute globale».
A tal proposito, dunque, la UILDM ha sempre prestato il massimo dell’attenzione agli aspetti psicologici, approfittando, negli ultimi anni, delle nuove opportunità tecnologiche per strutturare anche percorsi riabilitativi con l’utilizzo di visori per la realtà virtuale, strumenti che possono essere appunto un valido supporto per attività di riabilitazione e, nei casi più gravi, per consentire un’“evasione” molto realistica in luoghi e situazioni che la malattia o la disabilità non consente più di accedere o sperimentare.
Uno di questi percorsi è stato promosso dalla UILDM di Gorizia, presso la quale ha preso recentemente il via il progetto denominato Virtualmente, grazie anche al sostegno della Fondazione Carigo e avvalendosi della collaborazione del Centro Riabilitativo Ospizio Marino di Grado, che ospita le attività all’interno della propria struttura e coinvolge i propri pazienti come principali fruitori e protagonisti del progetto.

«Partiamo dalla constatazione – spiega Chiara Crognaletti, psicologa clinica che collabora con la UILDM di Gorizia – che nel 2025, in una società dove tutto corre più veloce, la salute fisica ne risente molto. Per questo è necessario prendersi cura anche della salute mentale, come base per un benessere più generale della persona».
Virtualmente, dunque, si sviluppa in tre percorsi, ciascuno dei quali strutturato in tre appuntamenti, per un totale di nove incontri. Ad ogni percorso partecipano 6 persone ospiti del Centro Riabilitativo di Grado, coinvolgendo in totale 18 persone dai 60 anni in su nel periodo compreso tra marzo e maggio. «Il primo appuntamento del ciclo – prosegue Crognaletti – è un incontro di conoscenza tra i partecipanti: il visore di realtà virtuale serve infatti ad avviare un lavoro sulla storia personale di ciascuno dei partecipanti stessi. Il secondo, invece, è pensato come un’esperienza trasformativa in cui la persona riflette sulla propria capacità di affrontare le esperienze e le difficoltà e si pone degli obiettivi piccoli o grandi su cui lavorare. Infine, il terzo incontro è di chiusura, di riflessione sugli obiettivi raggiunti, con un’esperienza di rilassamento finale».

Le attività con i visori di realtà virtuale, facendo vivere esperienze trasformative, riducono il livello di ansia e stress legato alla condizione di disabilità, temporanea o permanente, che si vive, permettendo un’immersione totale multisensoriale che facilita l’interiorizzazione delle esperienze di vita, perché l’elaborazione emotiva avviene a un livello più profondo.
I laboratori finora proposti hanno avuto un esito senz’altro positivo e all’interno dei gruppi si è creata una rete di relazioni tra i partecipanti che ha favorito la nascita di un senso di comunità. «È stata la mia prima partecipazione a un’esperienza del genere – racconta una delle persone coinvolte – e se devo usare un aggettivo per descriverla, direi “travolgente”. Mi sono totalmente immersa nella situazione e mi sono lasciata coinvolgere. Ancora adesso mi rilasso ricordando quei momenti e mi immergo nuovamente. La consiglierei a tutti».

«Virtualmente – afferma Alessandra Ferletti, presidente della UILDM di Gorizia – intende lavorare sulla necessità di prendersi cura del benessere psicologico attraverso l’aggregazione e la condivisione di vissuti. La collaborazione con l’Ospizio Marino di Grado è un valore aggiunto perché ci ha permesso di intercettare la fascia delle persone anziane, spesso più sole, creando momenti di gruppo e di confronto. L’utilizzo dei visori di realtà virtuale è un metodo innovativo che può essere applicato a svariati contesti e situazioni: proprio grazie alla replicabilità e all’adattabilità di esso intendiamo proporlo anche in futuro per lavorare sull’inclusione sociale e sull’abbattimento delle barriere fisiche e culturali».

Nata nel 1970, la UILDM di Gorizia, attraverso le proprie attività, intende migliorare la condizione di vita delle persone con patologie neuromuscolari. Si occupa di consulenza e servizi alle persone con disabilità, di lotta alle barriere, di promozione dell’inclusione sociale e di difesa dei diritti delle persone con disabilità. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: uildmcomunicazione@uildm.it; uildmgo@hotmail.it.

L'articolo Percorsi riabilitativi che utilizzano visori per la realtà virtuale proviene da Superando.

Amministrazione di sostegno: quando la dignità umana viene negata ai “fragili”

Agli esperti della Legislazione il compito di studiare le modifiche necessarie alla legge sull’amministrazione di sostegno, lo scopo di questo approfondimento, invece, è riflettere sull’aspetto umano di quei troppi casi, migliaia e migliaia di casi, in cui quella legge, anziché tutelare le persone, ne ha calpestato i diritti umani, finendo per annientare la loro dignità

Peculato, rifiuto di atti d’ufficio, falso in atto pubblico e autoriciclaggio: è questo il “curriculum” di reati contestato ad un commercialista della provincia di Brescia che, oltre ad essere curatore fallimentare, svolgeva anche il ruolo di amministratore di sostegno, ovvero avrebbe dovuto curare gli interessi di persone fragili in base alla Legge 6 del 2004 che ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo istituto giuridico di tutela, l’amministrazione di sostegno appunto, al quale può ricorrere chi, per effetto di una disabilità fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di prendersi cura dei propri interessi.
Quello del “professionista” bresciano non è che l’ultimo caso di cui ha parlato la cronaca giudiziaria, molti altri l’hanno preceduto, temiamo altri lo seguiranno, moltissimi sono nell’ombra.
Questa testata da tempo si occupa di amministrazione di sostegno e della normativa che lo regolamenta, recante opacità che inducono i malintenzionati ad approfittare di chi dovrebbero proteggere, avvolgendoli in una sorta di ragnatela da cui non riescono a uscire per la mancanza di forza e possibilità, ritrovandosi soli, privati della libertà di scelta, addirittura privati della possibilità di incontrare e parlare con le persone care, le uniche che potrebbero aiutarle, le uniche che vogliono davvero il loro bene.
Gli esperti della Legislazione si occuperanno dell’analisi degli articoli di questa norma e delle modifiche necessarie, lo scopo di questo approfondimento è riflettere sull’aspetto umano della questione, sui risvolti che toccano la vita delle persone coinvolte, della loro volontà negata e inascoltata, dei diritti elementari calpestati grazie all’arbitrarietà concessa da una legge che, anziché tutelare, finisce per annientare la dignità umana.
Perché ho deciso di scriverlo? Semplice, perché anch’io, persona con disabilità, potrei un giorno trovarmi in una situazione simile a quelle che sto per raccontare. Adesso mi sembra impossibile, posso decidere di me stessa, ho la capacità per farlo e sono circondata da persone che prima di qualunque azione che mi riguarda domandano il mio parere e il mio consenso, ritenendoli giustamente fondamentali. Non so, tuttavia, se potrà sempre essere così. Nessuno di noi può dire «a me non succederà mai», è un’ingenuità, un sogno ad occhi aperti che potrebbe essere interrotto dalla dura realtà.

Carlo
Finita la premessa personale (che tuttavia non riguarda soltanto me, ma migliaia di persone), inizio parlando di Carlo Gilardi, professore novantaduenne della Provincia di Lecco scomparso nell’ottobre 2023, dopo avere trascorso i suoi ultimi tre anni di vita rinchiuso contro la sua volontà in una struttura per anziani dietro disposizione della sua amministratrice di sostegno.
Comincio da lui perché il suo nome e la sua vicenda sono diventati popolari grazie ad alcuni servizi della trasmissione televisiva Le iene, trasmissione censurata dal Consiglio Superiore della Magistratura su segnalazione del sistema giudici tutelari-amministratori di sostegno, infastiditi dal chiasso mediatico intorno al caso di quest’uomo titolare di un ingente patrimonio, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, che aveva il diritto di disporre dei propri averi come meglio riteneva.
Finito sotto amministrazione di sostegno nel 2017, per volontà della sorella che non vedeva di buon occhio la sua prodigalità nei confronti di persone ed enti, è stato prelevato con la forza dalla sua abitazione, convinto a salire su un’ambulanza soltanto quando ha capito che se non l’avesse fatto spontaneamente lo avrebbero sedato e caricato sul mezzo, destinazione RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale).
In quasi tre anni di ricovero coatto, Carlo ha sempre asserito di fronte a testimoni di non volerci stare in quel luogo, nel 2020 si è sottoposto ad una perizia psichiatrica nella quale si legge che «non emergono anomalie o segni di patologia. Il pensiero è privo di alterazioni […] nessun segno di deterioramento mentale o cognitivo».
Avevano promesso a Carlo che sarebbe tornato a casa sua, hanno mantenuto la promessa quand’era ormai moribondo. Per tutto il tempo della sua detenzione, perché di questo si è trattato, di una vera e propria detenzione, non è mai stato attuato alcun percorso di revisione, se non in extremis, come dicevamo, quando ormai si sapeva che il professore sarebbe presto venuto a mancare; sono stati inoltre limitati i suoi contatti con l’esterno, in una spirale che punta all’isolamento totale, come vedremo purtroppo una costante in fatti come questo.
Provate a mettervi nei panni di Carlo Gilardi, un uomo anziano strappato alla sua quotidianità, alla sua casa, ai ricordi di una vita, consapevole di quanto gli stava accadendo senza la possibilità di porvi rimedio; parlava ma non veniva ascoltato, trattato come se fosse stato “incapace”. Per il suo caso, nel luglio 2023, l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, un pronunciamento, questo, il quale è la prova che qualcosa (più di qualcosa) non funziona. Ricordiamo inoltre che già nel 2016 il Comitato preposto dall’ONU per il monitoraggio dell’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità aveva chiesto all’Italia di rivedere la norma sull’amministrazione di sostegno, attuando la transizione verso i regimi decisionali supportati che non si sostituiscono alla persona, ma la accompagnano, ponendo come vincolo invalicabile le sue esigenze e preferenze.

Marta
Quanto subìto dal professor Gilardi lo devono patire anche le persone più giovani, fino alle estreme conseguenze. È accaduto a Marta Garofalo Spagnolo, una donna della Provincia di Lecce, morta nel 2022 ad appena 31 anni dopo avere assunto una massiccia dose di psicofarmaci come ultimo disperato atto dimostrativo, per sottrarsi alla reclusione contro la sua volontà in diverse cosiddette “case famiglia”, in realtà veri e propri istituti dai quali ha cercato di fuggire per 11 anni, 11 dei suoi 31 anni di vita, fate un po’ voi i conti.
Per Marta la vita non è mai stata facile, in un contesto familiare degradato, senza un padre e con un difficile rapporto con la madre. Gli unici punti di riferimento stabili erano i nonni e la morte del nonno Ercole è stata la ferita che ha fatto precipitare la situazione. Marta si rendeva conto di avere bisogno di aiuto e lo ha chiesto al servizio sociale territoriale che non ha saputo far di meglio che offrirle degli psicofarmaci. Era il 2010, Marta si stava diplomando al liceo, era lucida, quelle medicine non voleva prenderle, sapeva di avere bisogno di un sostegno di altro tipo. Di fronte al rifiuto della terapia farmacologica, i servizi sociali si sono arrogati il diritto di avviare la procedura per assegnarle un amministratore di sostegno, individuato in un’avvocata che ne ha disposto il trasferimento in una “casa famiglia”, la prima di una lunga serie da cui Marta ha cercato di fuggire per esservi ricondotta, ogni volta privata di un pezzetto di libertà e invitata ad assumere dosi di psicofarmaci sempre più alte.
In quei luoghi la costringevano a vivere isolata dal mondo, non poteva avere neppure contatti telefonici con persone di sua conoscenza; non mi pare di esagerare, definendo questo trattamento una violenza. È riuscita a bussare alla porta di due amici, l’avvocata Gabriella Cassano e il suo compagno Fabio Degli Angeli, loro l’hanno accolta e per questo sono stati condannati per sequestro, circonvenzione, abbandono e sottrazione. La loro unica colpa essere amici di Marta, non averle voltato le spalle. I reati sopra elencati non dovrebbero essere contestati a coloro che hanno rinchiuso Marta per 11 anni in strutture non idonee, senza il suo consenso e senza mai ascoltare la sua voce? Ecco un’altra assurdità, effetto di una legge che urla per essere modificata, perché alla fine chi è dalla parte della persona con disabilità viene condannato, se si oppone all’“effetto terra bruciata” che si vuole fare intorno alla persona stessa.
Marta Garofalo Spagnolo non c’è più, dopo averle devastato l’esistenza, dubito che i veri colpevoli abbiano un moto di coscienza, un minimo di rimorso nel sapere che una ragazza è morta chiedendo una mano perché voleva vivere. I “colpevoli” di fronte alla giustizia, i suoi amici Gabriella e Fabio, sono stati condannati in via definitiva.
Al loro fianco, l’Associazione Diritti alla Follia che da diverso tempo segue questa e altre vicende e sta promuovendo due Proposte di Legge di iniziativa popolare, una per l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione, gli altri due istituti di tutela previsti dal nostro ordinamento, e per la riforma dell’amministrazione di sostegno, l’altra per l’adeguamento del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) alla Costituzione italiana e agli obblighi internazionali sottoscritti dal nostro Paese (di TSO parleremo tra poco).

Barbara e C.
Un’altra storia di affetti spezzati con la forza è quella della giornalista Barbara Pavarotti e del suo compagno C., scomparso nell’agosto dello scorso anno, rinchiuso nella struttura dove ha vissuto per due anni e mezzo, due anni e mezzo nei quali Barbara non ha mai potuto vederlo, scoprendo per caso perfino del suo decesso; non crediamo nemmeno sappia dove è sepolto. Costringere alla lontananza dalla famiglia e dagli amici è un risvolto drammatico, nasce da una cattiveria gratuita, l’unica ragione per cui si perpetua è l’esercizio del potere sulla vita altrui che alcuni ritengono scontato quando si tratta di vite di persone vulnerabili.
La storia di C. ne è la dimostrazione emblematica. Quando sono iniziati i primi segni della demenza, all’uomo è stato affiancato un amministratore di sostegno che, oltre ad obbligarlo al ricovero in una struttura per anziani, ha impedito ogni contatto con Barbara, malgrado lei risultasse ufficialmente la sua compagna secondo la norma sulle unioni civili e sulle convivenze. «Voglio morire a casa mia», ripeteva C., mentre Barbara dava la propria disponibilità ad occuparsi di lui come del resto aveva sempre fatto. Appelli caduti nel vuoto, il giudice tutelare ha sentenziato che l’amministratore di sostegno aveva pieno potere decisionale, anche per quanto riguardava i rapporti con il suo amministrato e gli incontri con persone esterne alla RSA, compresa Barbara.

 

Giovanna
L’abuso va a braccetto con la menzogna nel caso di Giovanna, donna con disabilità acquisita alla nascita, e della madre ormai anziana. Il tribunale, in seguito alla segnalazione dei servizi sociali, ha deciso che non possono più vivere sole, come avevano sempre fatto in maniera dignitosa e mantenendosi con le rispettive pensioni, e ha stabilito la nomina di un amministratore di sostegno per ciascuna. Quello della mamma ha deciso in maniera arbitraria di ricoverarla in una RSA, facendole credere che sia stata la figlia a non volerla più a casa, una violenza psicologica che lascia senza parole. Perché dopo avere separato una famiglia che ha sempre vissuto unita, tentare di sgretolare il rapporto madre-figlia con questa tremenda bugia? Perché far credere ad una donna che la figlia non la vuole più? Perché far sentire la mamma abbandonata e la figlia impotente? Non è forse questa, cattiveria gratuita, come dicevo prima?
E i problemi non finiscono qui, Giovanna avrebbe bisogno di cure odontoiatriche che potrebbe permettersi con la sua pensione, un giudice ha stabilito che può gestire gran parte del suo denaro in autonomia. La pensa diversamente l’amministratore di sostegno che le passa 500 euro al mese e per gli 850 che occorrono per pagare il dentista, la donna deve presentare richiesta al giudice tutelare.
Sono sempre le ragioni economiche scaturite dalla gestione dell’amministratore a tenere lontane mamma e figlia, la prima in una casa di riposo a chilometri di distanza dalla seconda che, non avendo la patente e i soldi per pagare un taxi, non può raggiungerla. Si è riusciti anche questa volta a spezzare un legame affettivo, a distruggere la sacralità dei rapporti umani con il benestare della legge.

Un giovane uomo fiorentino
Quanto detto non accade soltanto quando l’amministratore è un soggetto estraneo, nominato dal tribunale, infatti, nei casi in cui nelle famiglie ci sono divergenze, queste si accaniscono sulle persone più vulnerabili, usate come “strumento” di vendetta. È il caso di un giovane uomo fiorentino che nel 2021 è stato affiancato dalla madre come amministratrice di sostegno, dopo che lui, in seguito ad un’emorragia cerebrale, ha iniziato ad avere difficoltà di orientamento e problemi di memoria a breve termine. La madre gli impedisce di vedere la fidanzata e il fratello, malgrado il giudice tutelare l’abbia invitata al buon senso. Spaesato, il ragazzo non può difendersi, chi lo tiene lontano dagli affetti più cari conta sul velo di dimenticanza che lentamente copre i suoi ricordi e la sua volontà.

Sara e Simone
La legge sull’amministrazione di sostegno non è un foglio liscio, steso, senza pieghe. Nasconde invece risvolti, “tranelli” nei quali è facile cadere, come è facile usarli a discapito di coloro che hanno bisogno di aiuto. Non è raro che, ad esempio, questa normativa venga usata come arma di ricatto a danno delle famiglie, un’arma finalizzata all’istituzionalizzazione, in palese contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità la quale vieta che ci si possa sostituire alla volontà delle medesime, anche quando in presenza di disabilità psicosociali è d’obbligo il rispetto delle preferenze delle persone.
Sara Bonanno è mamma caregiver e amministratrice di sostegno di Simone, giovane uomo con disabilità. Negli anni Sara ha costruito intorno al figlio una fitta rete di relazioni che sostengono il ragazzo al proprio domicilio, a scuola, al lavoro; ogni euro che entra in casa viene speso per l’assistenza e il benessere di Simone, da dieci anni è tutto documentato in maniera scrupolosa.
Sara ha chiesto all’ASL una maggiore continuità infermieristica, poiché il cambio di operatori destabilizza il figlio che non riesce ad instaurare un rapporto con chi lo assiste. Per ritorsione, senza informarla, l’ASL ha interpellato un giudice tutelare, portando illazioni inventate sull’inadeguatezza di Sara e chiedendo la nomina di un amministratore di sostegno esterno, allo scopo di ricoverare Simone in una residenza sanitaria assistita nella quale perderebbe tutte le relazioni affettive così duramente allacciate negli anni. La denuncia di mamma Sara ha dato coraggio ad altre mamme nella stessa situazione, perché a volte è il coraggio che manca, unito al timore non infondato che ad alzare la voce gli abusi diventino ancora più pesanti, che dalle minacce si passi ai fatti.
Ma si può vivere con la paura che il proprio figlio o la propria figlia, che un familiare o una persona cara vengano strappati da casa e rinchiusi in una struttura, in seguito ad atti intimidatori perpetrati sotto l’ombrello di una legge dello Stato? No, ovviamente, eppure sono oltre 20.000 i contenziosi aperti per inadempienze sull’amministrazione di sostegno soltanto presso il Tribunale di Roma, città nella quale risiedono Sara, Simone e le tante mamme con figli con disabilità che hanno reso pubblici gli episodi di vessazioni che hanno subito.

Oriana
Non ha nessun valore neppure la salute. Oriana Granatelli è morta da sola in ospedale, senza poter rivedere nessuno dei suoi familiari, cosciente di ciò che le stava accadendo, il 29 dicembre 2020 all’età di 56 anni. È morta di Covid contratto nell’RSA in cui era stata obbligata a trasferirsi dal giudice tutelare, incurante del pericolo della pandemia e sordo alle suppliche della sorella Tamara, sua amministratrice di sostegno, e della stessa Oriana.
Per la sua personalità borderline avrebbe avuto bisogno di vivere in una struttura riabilitativa residenziale, in passato vi era stata e aveva instaurato dei veri rapporti, si teneva impegnata con diverse attività, anche se non era mai stato avviato il progetto di vita previsto dalla Legge 328 del 2000. La casa di riposo è stata la decisione finale per ragioni di costo, più economica di una struttura riabilitativa residenziale. Quel costo in più il Dipartimento di Salute Mentale non era disposto a sostenerlo, con buona pace anche delle disposizioni del Ministero della Salute che per le persone con la patologia di Oriana prevede una presa in carico mirata, non certo il parcheggio coatto in una RSA.
Alla fine avevano ceduto, Oriana con grande dignità, e la sorella Tamara, minacciata dal giudice tutelare che le voleva togliere l’amministrazione di sostegno se si fosse ulteriormente opposta al trasferimento. Oriana aveva il diabete, nella struttura non le misuravano la glicemia e alle rimostranze della sorella che non si è mai stancata di lottare per lei, rispondevano che andava bene così. Quando nella casa di riposo è scoppiato un focolaio di Covid, nessuno ha informato Tamara della positività della sorella, si sono sempre fatti negare, infine l’ha saputo per vie traverse. Oriana l’ha chiamata dall’ospedale un’ultima volta dicendole che voleva salutarla prima di morire e le ha parlato del nipote in arrivo, quel bambino che è nato prematuro, dicono i medici, a causa dello stress provocato a mamma Tamara.
Qui l’amministratrice di sostegno era quella giusta, ma si è messo di traverso il giudice tutelare, insieme al Dipartimento di Salute Mentale che non voleva pagare una struttura riabilitativa psichiatrica e in combutta hanno optato per una residenza sanitaria assistita la cui retta era a carico di Oriana e della famiglia. In un carteggio emerso in seguito tra giudice tutelare e Dipartimento, Tamara viene definita un «soggetto disturbante», ma “disturbava” perché chiedeva per la sorella Oriana dignità e cure adeguate.

Maria Antonietta
Quante volte ho letto «beneficiare dell’amministrazione di sostegno», ho sentito definire “beneficiario” chi usufruisce di questo istituto di tutela. Sarebbero però termini da rivedere, poiché in alcune occasioni sono gli amministratori e le amministratrici a trarre vantaggio.
Maria Antonietta Atzori è stata affidata dal Tribunale di Nuoro ad un’amministratrice di sostegno la quale vive in libertà malgrado una condanna a sette anni e otto mesi di reclusione per avere usato per fini impropri e personali i soldi dei suoi amministrati. Dal 2017 la donna ha truffato circa cinquanta persone, non esiste infatti un limite al numero delle persone che un amministratore di sostegno può “gestire” e questo è un altro buco della legge che fa il gioco degli impostori.
Tornando alla vicenda della signora Atzori, le regole di riservatezza impediscono di ricostruire l’intero quadro accusatorio, il processo è frammentato, il sistema giudiziario mette impedimenti e questo non aiuta la ricerca della verità, facendo supporre che vi sia una sorta di legittimazione pubblica alla non tutela delle persone fragili. Maria Antonietta era una dirigente medico ospedaliera, non stiamo parlando di una persona proveniente da un contesto difficile o degradato e questo riporta al discorso iniziale: non dobbiamo pensare che tali situazioni riguardino gli altri, gli altri e le altre siamo noi, non dobbiamo dimenticarlo, le nostre condizioni di partenza non sono un “vaccino” al peggio che può accadere.
Oggi la signora Atzori convive con una grave afasia progressiva che le ha tolto completamente la parola insieme alla possibilità di difendersi in questa vicenda che la vede vittima. A parlare per lei è il fratello Piero Michele che in una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella scrive: «Il recupero del maltolto è un’impresa ardua che richiede salute e disponibilità economiche, condizioni entrambe mancanti alle persone fragili vittime di peculato e quasi sempre anche alle loro famiglie. […] Nella mia inguaribile utopia, immagino che lo Stato potrebbe comportarsi da galantuomo riconoscendo sua sponte le proprie molteplici, personali responsabilità nell’aver scelto di mettere mia sorella nelle mani di una senza garanzie e, in generale, nel non aver prevenuto il peculato e immagino anche che potrebbe porre argine al business immondo delle amministrazioni di sostegno a discapito dell’assistenza». Il Presidente ha risposto, manifestando vicinanza e solidarietà per quest’altra ennesima storia che non lascia indifferenti coloro che hanno a cuore la dignità delle persone. In base al dettato costituzionale, però, il Capo dello Stato non può fare nulla di concreto; la lettera di Piero Michele Atzori è stata quindi trasmessa alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ci auguriamo pertanto che Governo e Parlamento si attivino.

Gigi
I dati di inizio 2024 pubblicati su «Vita» parlano di 40-80.000 storie di vessazioni, negligenze, truffe, ricatti, arbìtri, umiliazioni, violenze e ognuna di queste meriterebbe una citazione, ognuna di queste meriterebbe un lieto fine, come quella di Gigi Monello, un lieto fine costruito su un carico emotivo di rabbia e tristezza.
Ex insegnante di filosofia cagliaritano, lo scorso 20 febbraio il professor Monello, dopo tre anni e otto udienze, è stato assolto con formula piena dal Tribunale della sua città dall’accusa di maltrattamenti e stalking ai danni dell’anziana madre Concetta Meli. Ad accusarlo con fatti inventati era stata l’amministratrice di sostegno della donna e come conseguenza della denuncia gli organi giudiziari avevano  disposto l’allontanamento di mamma e figlio che avevano sempre vissuto insieme.
Concetta, scomparsa il 1° agosto 2021, ha passato il suo ultimo anno con due estranee e ha potuto vedere Gigi soltanto per tre ore sotto vigilanza, tre ore in un anno. La misura cautelare applicata al professor Monello è la stessa che si infligge quando un marito violento raggiunge il terzo episodio di percosse alla moglie. Niente di paragonabile neppure lontanamente a questa vicenda, definita con ragione dallo stesso protagonista «una memorabile brutalità», mortificato da un processo che in teoria (ci auguriamo di no) potrebbe non essere finito, mancando ancora due gradi di giudizio, e con il pensiero alla mamma privata della sua presenza nella parte terminale della vita.

Alcuni punti fermi
Ho “selezionato” in questo excursus una piccola parte di vicende a titolo esemplificativo; mi sono soffermata sulle istituzionalizzazioni, sull’allontanamento forzato dagli affetti, sulla sostituzione sistematica su ogni aspetto della vita delle persone sottoposte ad amministrazione di sostegno, ma non sono gli unici abusi. Ci sono infatti contraccezioni e aborti forzati, proposte approvate dai giudici tutelari senza nessun tipo di verifica, trattamenti sanitari autorizzati da terzi e spacciati come volontari delle persone con disabilità. Qui l’amministrazione di sostegno si interseca con la disciplina del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) sul quale la Corte Suprema di Cassazione ha posto la questione della costituzionalità con un’Ordinanza prodotta nel mese di settembre dello scorso anno. Chi vi è sottoposto, infatti, non riceve adeguata informazione, non ha diritto al contraddittorio e non viene coinvolto nel processo decisionale che lo riguarda, questo in deroga ai princìpi sulla libertà personale che sono il cuore della nostra Carta Costituzionale.
Mettiamo alcuni punti fermi. La maggior parte degli amministratori e delle amministratrici di sostegno lavorano secondo coscienza, non sostituendosi alle persone, ma fornendo quel supporto all’autonomia per cui la Legge 6/04 è nata. Ci viene detto, quindi, che i 40-80.000 casi di abuso su oltre 400.000 “amministrati” sono una “minoranza”. Non è comunque accettabile e non ci si può nascondere dietro la giustificazione che nessuna normativa è perfetta. Qui stiamo parlando di gravissime violazioni dei diritti umani che riguardano sia le persone con disabilità coinvolte che i loro familiari. Se fossimo noi uno di quei 40.000 risolveremmo con una scrollata di spalle? Potremmo essere noi, l’ho già detto, non è un’ipotesi peregrina. Le timide reazioni alle singole vicende sono il sintomo di una diffusa sconcertante rassegnazione da parte di un sistema da riformare nel quale l’indifferenza è uno degli elementi chiave su cui contano i malfattori.
Se non basta la realtà dei fatti drammatici che abbiamo raccontato – una piccola parte dei tanti, come detto -, va ribadito che l’Italia, con questo comportamento, vìola i trattati internazionali sui diritti dell’uomo. L’articolo 12 della citata Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità afferma il diritto all’autodeterminazione e all’uguaglianza davanti alla legge in ogni àmbito della vita. Il nostro Paese ha ratificato la Convenzione nel 2009 con la Legge 18/09, quindi quel principio è diventato una norma dello Stato che lo Stato per primo deve rispettare, non per fare un favore a una minoranza di cittadini e cittadine, ma perché ha l’obbligo di eliminare ogni ostacolo che limita il diritto delle persone con disabilità a prendere decisioni sulla propria vita. Un Paese moderno e civile quale l’Italia si vanta di essere deve combattere ogni forma di segregazione, discriminazione, sopraffazione e istituzionalizzazione, a maggior ragione se queste vengono compiute attraverso una legge.
L’amministrazione di sostegno non è “cattiva” in se stessa, anzi, è stata voluta per superare la rigida riduzione o soppressione della capacità di agire che caratterizzano l’interdizione e l’inabilitazione, istituti di tutela vecchi che tuttavia continuano a far parte del Codice Civile e ad essere disposti dai giudici tutelari, malgrado siano in palese contrasto con la Convenzione ONU e all’Italia sia stato raccomandato di abrogarli.
Il meccanismo è inceppato, occorre ripartire, rivedere le modalità applicative, mettersi intorno a un tavolo e invitare a quel tavolo le persone che sono state trascinate in situazioni inverosimili insieme ai loro amici e familiari, vittime quanto loro di amministratori e amministratrici di sostegno che hanno trasformato il loro lavoro in un esercizio di potere abusante. Infatti, finché leggiamo la normativa in astratto non arriveremo ad una seria soluzione e non serviranno neppure le sollecitazioni delle Nazioni Unite. Occorre rimettere al centro la persona, è la prima responsabilità a cui siamo chiamati tutti e tutte. Lo dobbiamo alle persone di cui abbiamo raccontato in questo articolo, a chi ancora è sotto il giogo di situazioni simili e chiede giustizia, a volte chiedendolo con il silenzio di chi non ha la forza di ribellarsi. Lo dobbiamo a noi stessi, uomini e donne con o senza disabilità, giovani o anziani. È dannoso e incivile continuare a fingere che in fin dei conti “va tutto bene”, “cosa vuoi che siano 40-80.000 persone” senza il diritto di disporre della propria vita e di viverla in maniera dignitosa…

*Direttrice responsabile di Superando.

L'articolo Amministrazione di sostegno: quando la dignità umana viene negata ai “fragili” proviene da Superando.

I Centri per la Vita Indipendente in Lombardia: un primo rapporto di monitoraggio

La Federazione lombarda LEDHA ha elaborato un primo report di monitoraggio riguardante i progetti redatti dagli Ambiti Territoriali della propria Regione per l’attivazione dei Centri per la Vita Indipendente istituiti dalla Legge Regionale della Lombardia 25/22. Ne emerge una fotografia d’insieme delle nuove realtà che stanno prendendo forma, con le linee di continuità, le differenze e anche i punti consolidati e quelli critici

Tra la fine del 2024 e i primi mesi del 2025 sono stati approvati dalle ATS lombarde (Agenzie per la Tutela della Salute) i progetti redatti dagli Ambiti Territoriali per l’attivazione dei Centri per la Vita Indipendente istituiti dalla Legge Regionale della Lombardia 25/22 (Politiche di welfare sociale per il diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità). La nostra Federazione [LEDHA], che nel 2019 aveva avviato il percorso che aveva portato all’approvazione della normativa regionale, ha analizzato tutti i progetti presentati e redatto un primo report di monitoraggio (disponibile integralmente a questo link), il quale vuole essere una fotografia d’insieme delle nuove realtà che stanno prendendo forma nel territorio lombardo, cercando di fare emergere le linee di continuità, le differenze e anche di individuare i punti consolidati e quelli, eventualmente, critici.

Come previsto dalle Linee guida per il funzionamento e la gestione dei Centri per la Vita Indipendente, approvate nel 2023, la proposta di attivare i Centri è stata indirizzata in via preferenziale ai 30 Ambiti Territoriali che gestiscono i fondi Pro.Vi (su un totale di 91 Ambiti attivi in Lombardia), coinvolgendo, nel percorso di progettazione, almeno due Associazioni rappresentative e altri due Ambiti Territoriali. Complessivamente, gli Ambiti coinvolti sono stati 61.
Come previsto dalla normativa regionale, verranno attivati 33 Centri per la Vita Indipendente, di cui due nella città di Brescia e tre in quella di Milano. In altri casi è prevista l’apertura di più sedi che facciano capo allo stesso Centro per la Vita Indipendente, per un totale di 41 sportelli.
I diversi partenariati hanno coinvolto complessivamente 234 enti, di cui 66 pubblici (22 aziende sociali, 25 ambiti, otto Comuni, dieci di altra natura, tra cui alcune ASST-Aziende Socio Sanitarie Territoriali) e 168 enti di Terzo Settore (tra cui 74 Associazioni e 86 Cooperative Sociali).
Tutti i progetti indicano tra le attività quelle previste dalle Linee guida regionali, ovvero le attività di front e back office e di sensibilizzazione della comunità. Inoltre, spesso vengono indicate anche altre attività opzionali previste dalla Linee guida, tra cui, ad esempio, l’orientamento all’accesso a diritti esigibili (16), l’affiancamento nella ricerca dell’assistente personale (17), l’orientamento alle opportunità abitative e alle forme diverse di sostegno all’abitare (15), l’informazione sull’accessibilità di spazi e luoghi di interesse per la persona con disabilità (17), la promozione di gruppi di auto mutuo aiuto (13).
Quasi tutti i progetti (eccetto quattro) indicano in modo esplicito di volersi impegnare in attività di comunicazione, ad esempio con l’attivazione di pagine web, attività sui social e produzione di volantini. In alcuni casi si pensa anche alla realizzazione di newsletter, campagne di sensibilizzazione e all’attivazione della funzione di ufficio stampa.

La lettura e una prima analisi dei progetti ha permesso dunque di tracciare un primo bilancio – con luci e ombre – sull’implementazione dei Centri per la Vita Indipendente in Lombardia.
° La risposta dei Comuni e quella massiccia delle Associazioni, delle Cooperative Sociali e degli altri Enti di Terzo settore è da considerare un’adesione e un sostegno alla proposta riformatrice della Legge Regionale 25/22.
° Forte è l’attenzione a creare le condizioni per fare emergere i desideri, le aspettative, le preferenze e i progetti delle persone con disabilità: l’ambizione di costituire un “luogo nuovo” per sostenere le persone con disabilità (coinvolgendo familiari e operatori) nell’espressione della loro volontà, che è la premessa indispensabile per l’esercizio della libertà di scelta e quindi della vita indipendente.
° La diffusione dei Centri non è omogenea: a tal proposito, una situazione rappresentata in modo plastico è quella del contrasto tra la Provincia di Brescia (con nove Centri per la Vita Indipendente e la quasi totalità degli Ambiti coinvolti) e quella di Sondrio, rimasta completamente esclusa da questo percorso.
° La difficoltà di molti progetti nell’inquadrare e valorizzare il ruolo del “Consulente alla pari” che, in alcuni casi, non viene neanche inserito nell’équipe del Centro, ma viene equiparato alle figure di supporto, che vengono utilizzate a chiamata. Una difficoltà prevedibile e comprensibile, anche perché in Lombardia è difficile trovare oggi persone con disabilità disponibili a svolgere questo compito.
° A fronte di un numero importante di Associazioni di persone con disabilità coinvolte, si nota una spaccatura rispetto al ruolo loro assegnato. In alcuni casi, infatti – tendenzialmente corrispondenti a esperienze pregresse di Agenzie/Centri per la vita indipendente – il loro ruolo è centrale fino ad assumere il ruolo di capofila; in altri sono confinate al ruolo di sostenitori o membri di una cabina di regia.

*La LEDHA è la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

L'articolo I Centri per la Vita Indipendente in Lombardia: un primo rapporto di monitoraggio proviene da Superando.

Un primo bilancio del Summit Globale sulla Disabilità di Berlino

«Ha coinvolto un numero assai rilevante di persone impegnate sui temi dei diritti delle persone con disabilità, da differenti prospettive e con competenze diverse: governative, associative, tecniche, di cooperazione allo sviluppo»: lo scrive Giampiero Griffo, nostro “inviato speciale” al Global Disability Summit di Berlino, tracciando un primo bilancio del grande evento, in attesa di proporre un approfondimento sul documento finale presentato in Germania La grande platea del Global Disability Summit di Berlino

Nel tentare di tracciare un primo bilancio del Global Disability Summit di Berlino, va detto innanzitutto che esso ha coinvolto un numero assai rilevante di persone impegnate sui temi dei diritti delle persone con disabilità, da differenti prospettive e con competenze diverse: governative, associative, tecniche, di cooperazione allo sviluppo. Questo ha prodotto uno scambio continuo tra persone che avevano concordato un incontro oppure che si erano incrociate per caso, avendo lavorato insieme o, ancora, per cogliere l’occasione di lavorare insieme ad un’iniziativa comune o a un possibile nuovo progetto. L’atmosfera, quindi, è stata quella di una continua girandola di sessioni tematiche in cui apprendere nuove prospettive di lavoro, in incontri ritagliati tra un workshop e l’altro… Insomma, un brulicare di attività per trasmettere una vitalità che ha colpito ed emozionato.

Durante la seconda e ultima giornata del 3 aprile vi è stata una serie di sessioni molto interessanti, ma in contemporanea, impedendo quindi di seguirle tutte. In questo resoconto cercherò dunque di fare emergere alcuni elementi significativi della due giorni di Berlino il primo dei quali è stato certamente la grande presenza di Paesi arabi, che nel giro di pochi anni hanno sviluppato una notevole consapevolezza sui temi della disabilità. Infatti, i tanti Paesi mediterranei, africani e asiatici presenti in Germania avevano linguaggi comuni, individuando i temi al centro del dibattito internazionale, ossia la vita indipendente, la piena cittadinanza, l’inclusione e la partecipazione.
In tal senso, dalla sessione dedicata allo sviluppo delle nuove tecnologie nei Paesi Arabi, alla quale è intervenuta anche la ministra per le Disabilità del nostro Paese Alessandra Locatelli, è emersa un’alta consapevolezza della natura strategica di questi strumenti, legati all’autonomia e all’empowerment (crescita dell’autoconsapevolezza) delle persone con disabilità.

Un secondo elemento evidente è stato la forte presenza femminile, sia tra i partecipanti che tra gli speaker, presenza femminile proveniente da tutti i continenti e competente su ogni tema in agenda nel dibattito internazionale, dall’emergenza agli aiuti umanitari, dalla raccolta di dati e statistiche all’accesso ai servizi di salute, dal diritto al lavoro a quello all’educazione, tutti coniugati nella maniera appropriata con i diritti di genere. Per cui la denuncia nel corso di un workshop di un abbassamento dell’attenzione internazionale per i diritti delle donne con disabilità è stata compensata dalla forte capacità di approcciare il mainstreaming di genere, ovvero l’inserimento di tale approccio in tutte le sessioni.

Stranamente si è notata l’assenza della Cina sia nella partecipazione che tra i pannelist. I vari dibattiti hanno affrontato il tema fondamentale dei finanziamenti necessari per conseguire una vera inclusione, rispetto al quale l’impegno di molti Paesi è stato di dichiarare un maggiore investimento di risorse economiche e umane sui temi della disabilità.
Sorprendente è stato scoprire il ruolo positivo delle banche sia nelle politiche di sviluppo regionale (Banca Latino Americana e Caribica di Sviluppo, Banca Europea di Sviluppo, Fondo Internazionale per lo Sviluppo in Agricoltura), sia nel sostegno alle attività economiche e alle imprese di persone con disabilità (Gruppo Banche Lloyd, Banche Etiche, International Finance Corporation).

Anche il tema della pace è emerso citando la Palestina, l’Ucraina, il Sudan, il Congo, l’Etiopia… e le terribili condizioni che milioni di persone – e ancor più le persone con disabilità – stanno vivendo.
Pressante è stata la denuncia che in situazioni di emergenza per guerre, disastri naturali che crescono con il cambiamento climatico (inondazioni, tifoni ecc.), eventi della terra (terremoti) che comportano lo spostamento forzato anche di milioni di persone (72 milioni a giugno 2024), i sistemi di protezione civile e di aiuti umanitari siano ancora impreparati a proteggere le persone con disabilità e le loro famiglie.

È stata inoltre segnalata la mancanza di attenzione nelle traduzioni dei Paesi di lingua latina (portoghese e francese), penalizzati dalle traduzioni in sole tre lingue (inglese, tedesco e arabo).
Anche la logistica, in particolare l’accesso al pranzo, pur gratuito, richiedeva lunghe file, per cui spesso vi si rinunciava, per limitarsi ad una bevanda calda o a una bibita (anch’esse gratuite).

In attesa della sessione finale del Summit, un gruppo musicale greco ha riscaldato i presenti con musiche allegre e coinvolgenti la platea.
Quindi, come ha affermato Nawaf Kabbara, presidente dell’IDA, l’Alleanza Internazionale sulla Disabilità, «la dichiarazione finale non è una dichiarazione di impegni, ma un documento operativo. Nel prossimo Global Disability Summit del 2028 verificheremo quanto gli impegni siano stati rispettati e quanto possano essere ampliati. Si tratta in sostanza di una piattaforma da usare come strumento di lotta».
Sempre dall’IDA è stata sottolineata la necessità di tutelare e promuovere i diritti delle donne e delle ragazze con disabilità, aumentando i fondi necessari e facendo crescere la leadership femminile, trasformando in sostanza gli impegni in progetti.

Durante il panel finale, cui erano presenti il Governo tedesco, quello giordano e la stessa IDA, si è parlato del ruolo strategico giocato dall’educazione, ancora negata a milioni di persone con disabilità nel mondo e in particolare alle ragazze. «È un imperativo – è stato detto – considerare questo diritto strategico perché è lo strumento essenziale di emancipazione e di capacità di difesa dei diritti».
Un altro elemento evidenziato è stato quello della partecipazione diretta alle decisioni che riguardano i loro diritti da parte delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni, riconoscendo, una volta per tutte, che le persone con disabilità stesse hanno abilità, capacità e competenze che possono contribuire allo sviluppo dell’intera società. Abilità speciali, ad esempio, nell’affrontare in maniera resiliente e adattativa tutte le barriere, gli ostacoli e le discriminazioni che la società frappone alla loro partecipazione su base di eguaglianza con gli altri.

La due giorni si è poi avviata verso la conclusione, con l’esibizione sul megaschermo delle bandiere dei più di cento Stati e organizzazioni internazionali che hanno partecipato al Summit, in un crescendo di applausi e di entusiasmo della platea. Sono stati inoltre ringraziati gli oltre 200 volontari che hanno collaborato alla buona riuscita dell’evento.
L’ultimo intervento è stato del rappresentante delle persone con disabilità intellettive e relazionali dell’IDA che ha rilanciato i vari concetti chiave discussi a Berlino e le parole chiave del documento finale. Sugli impegni assunti in questa dichiarazione congiunta dei governi tedesco e giordano forniremo un approfondiremo in un prossimo articolo.

*Presidente della RIDS (Rete Italiana disabilità e Sviluppo).

Nei giorni scorsi, sempre di Giampiero Griffo da Berlino, abbiamo pubblicato anche Oltre 2.000 persone con disabilità al Forum della Società Civile di Berlino (a questo link) e L’inclusione è un investimento per tutti e i diritti delle persone con disabilità non sono negoziabili! (a questo link).

L'articolo Un primo bilancio del Summit Globale sulla Disabilità di Berlino proviene da Superando.

Le conseguenze dei dazi per le persone con disabilità e le loro famiglie

«Le recenti decisioni del presidente degli Stati Uniti Trump – commentano dalla Federazione FISH – di imporre dazi su una vasta gamma di prodotti importati rappresenta una scelta che rischia di generare pesanti conseguenze sull’economia globale, ricadendo in particolare sui soggetti più esposti, tra i quali segnatamente le persone con disabilità e le loro famiglie, spesso già in condizioni di vulnerabilità economica»

«Spese per ausili, servizi di assistenza, terapie e dispositivi tecnologici rischiano di diventare ancora meno accessibili, mettendo a rischio l’autonomia e la qualità della vita. Le famiglie monoreddito, in particolare, si troverebbero ad affrontare un’ulteriore compressione del potere d’acquisto»: lo si legge in una nota diffusa dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), a commento delle recenti decisioni del presidente degli Stati Uniti Trump di imporre dazi su una vasta gamma di prodotti importati, ciò che secondo la Federazione «rappresenta una scelta che rischia di generare pesanti conseguenze sull’economia globale, ricadendo in particolare sui soggetti più esposti, tra i quali segnatamente le persone con disabilità e le loro famiglie, spesso già in condizioni di vulnerabilità economica. Infatti, l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, effetto diretto delle misure annunciate, potrebbe aggravare ulteriormente il carico economico per chi affronta quotidianamente costi aggiuntivi legati alla disabilità».

«In Europa – sottolineano ancora dalla FISH -, la Strategia per i Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030, promuove l’inclusione e la piena partecipazione alla società, ma questi obiettivi possono essere compromessi se le tensioni internazionali si traducono in tagli alle risorse pubbliche e ai servizi essenziali. È fondamentale, dunque, che l’Unione Europea adotti una strategia di de-escalation commerciale, agendo in modo unitario per difendere le fasce più fragili della popolazione».

«L’Unione Europea – dichiara il Presidente della Federazione Vincenzo Falabella – deve reagire con tempestività e responsabilità, garantendo il sostegno alle fasce più vulnerabili della popolazione. Le politiche economiche e commerciali, infatti, non possono essere scollegate dagli impatti sociali che generano. È dunque essenziale garantire che nessuna misura, nemmeno sul piano internazionale, comprometta i diritti e il benessere delle persone con disabilità e delle loro famiglie». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

L'articolo Le conseguenze dei dazi per le persone con disabilità e le loro famiglie proviene da Superando.

Giornata della Persona con Lesione Midollare: l’importanza di essere presenti e di lavorare tutti insieme

Oltre 5.000 partecipanti e 20 realtà territoriali che hanno raccontato le proprie esperienze, le difficoltà e le sfide ancora aperte per una piena integrazione e supporto delle persone con lesioni midollare: sono numeri di un grande successo di partecipazione, quelli del 4 aprile la Giornata Nazionale della Persona con Lesione al Midollo Spinale, organizzata come sempre dalla FAIP, in collaborazione con la SIMS, con il patrocinio del CIP e il sostegno della Fondazione Serena Olivi

Oltre 5.000 partecipanti, tra persone con lesioni al midollo spinale, operatori sanitari, fisioterapisti, e volontari, tutti impegnati nel dibattito sulle problematiche attuali e sulle possibili soluzioni per il futuro. E ben 20 realtà territoriali che, attraverso collegamenti diretti con Palazzo Chigi, hanno potuto raccontare le proprie esperienze, le difficoltà quotidiane e le sfide ancora aperte per una piena integrazione e supporto delle persone con lesioni al midollo spinale: sono i numeri di un grande successo di partecipazione, quelli che hanno caratterizzato il 4 aprile la Giornata Nazionale della Persona con Lesione al Midollo Spinale, organizzata come sempre dalla FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Persone con Lesione al Midollo Spinale), in collaborazione con la SIMS (Società Italiana Midollo Spinale), avvalendosi del patrocinio del CIP (Comitato Italiano Paralimpico) e del prezioso sostegno della Fondazione Serena Olivi (se ne legga anche la nostra presentazione).
Importante occasione di riflessione e sensibilizzazione sulle questioni riguardanti il trattamento delle persone con lesioni midollari e più in generale le persone con disabilità, l’incontro, focalizzato sul tema Corriamo insieme per salvare le Unità Spinali Codice 28 Alta Specialità Riabilitativa, ha visto collegati da Palazzo Chigi a Roma il presidente della FAIP Vincenzo Falabella, la presidente della SIMS Adriana Cassanis e la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli.

Grande soddisfazione è stata espressa da Falabella per il successo dell’evento e per il livello di partecipazione, a testimoniare l’importanza della solidarietà e della collaborazione tra le diverse realtà associative, le istituzioni e i professionisti del settore. «Questa Giornata – ha dichiarato è stata un’occasione fondamentale per mettere al centro della discussione le reali necessità delle persone con lesioni spinali. Siamo consapevoli che il cammino è ancora lungo, ma oggi abbiamo gettato le basi per un futuro più inclusivo e giusto. Le persone con lesioni midollari meritano attenzione e soluzioni concrete, e il nostro movimento associativo avrà un ruolo determinante nel rilanciare le politiche sanitarie a loro favore».

Nello specifico delle Unità Spinali, il Presidente della FAIP ha sottolineato poi la necessità di un impegno concreto per il rafforzamento si esse, affinché tornino ad essere riconosciute come Centri di Riferimento Regionale. «È essenziale infatti – ha sottolineato – che tali strutture possano fornire un supporto adeguato, garantendo percorsi terapeutici e riabilitativi che rispondano alle necessità specifiche di ogni persona. Solo attraverso un miglioramento continuo delle strutture e dei servizi, possiamo davvero supportare la qualità della vita delle persone con lesioni spinali». Ringraziando quindi i Direttori delle varie Unità Spinali «per la partecipazione e l’impegno dimostrato in occasione della Giornata Nazionale», Falabella ha ribadito come le stesse Unità Spinali siano « il cuore pulsante di un sistema sanitario che deve evolversi sempre più verso una medicina integrata, in grado di rispondere alle necessità globali delle persone con disabilità, e devono essere supportate e potenziate per rispondere alle sfide che ci attendono».

Allargando poi l’orizzonte alle necessità di tutte le persone con disabilità, durante l’incontro sono emerse numerose proposte per migliorare le normative in vigore, con l’obiettivo di eliminare le barriere ancora esistenti, non solo fisiche, ma anche sociali e culturali, che impediscono un pieno inserimento delle stesse persone con disabilità nella società. In tal senso, durante la Giornata si è posto con forza posto l’accento sulla centralità del ruolo delle associazioni e delle organizzazioni che operano a livello locale e nazionale, come, nello specifico, la FAIP, rappresentando le istanze di chi vive quotidianamente le difficoltà legate alle lesioni spinali.

E da ultimo, ma non ultimo, l’evento ha anche dimostrato la fondamentale importanza del lavoro congiunto tra le diverse realtà, per superare le criticità attuali e costruire un futuro in cui ogni persona, indipendentemente dalla propria condizione fisica, possa accedere a pari opportunità. Per l’occasione lo ha ben dimostrato la stretta collaborazione con una Società Scientifica come la SIMS. «Oggi più che mai – ha sottolineato a questo proposito il Presidente della FAIP -, è essenziale che il nostro movimento resti coeso e che ciascuno di noi continui a portare avanti con determinazione le battaglie che ci vedono impegnati: dalla piena accessibilità all’inclusione sociale, dalla promozione di politiche sanitarie più giuste alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle problematiche che quotidianamente affrontiamo».
«Questa nostra Giornata Nazionale – ha concluso – è stata una testimonianza dell’importanza di essere presenti, di far sentire la nostra voce e di lavorare tutti insieme per un futuro in cui le persone con lesioni al midollo spinale possano godere pienamente dei diritti che spettano loro». (S.B.)

Per ogni ulteriore informazione: segreteria@faiponline.it. A questo link è disponibile un documento di approfondimento sulle Unità Spinali, curato congiuntamente da FAIP e SIMS.

L'articolo Giornata della Persona con Lesione Midollare: l’importanza di essere presenti e di lavorare tutti insieme proviene da Superando.

Un percorso formativo in Disability Management, utile opportunità per formare professionisti dell’inclusione

Fino al 30 aprile ci si potrà iscrivere al nuovo percorso formativo in Disability Management promosso dalla SIDIMA (Società Italiana Disability Manager), insieme a Make4Work, Ente del Terzo Settore accreditato alla formazione continua e professionale presso la Regione Lazio, opportunità realmente preziosa per formare professionisti dell’inclusione con competenze specifiche, in un settore che richiede preparazione, esperienza e una rete solida di supporto

La SIDIMA (Società Italiana Disability Manager) ha annunciato l’avvio di un nuovo percorso formativo in Disability Management*, realizzato insieme a Make4Work, Ente del Terzo Settore accreditato alla formazione continua e professionale presso la Regione Lazio, un’opportunità realmente preziosa per formare professionisti dell’inclusione con competenze specifiche, in un settore che richiede preparazione, esperienza e una rete solida di supporto.
«Troppo spesso – sottolinea Rodolfo Dalla Mora, presidente della SIDIMA e anche dell’AIDIMA (Associazione Italiana Disability  Manager) – il Disability Management viene affrontato in modo frammentario, con corsi erogati da soggetti privi delle necessarie competenze. Come SIDIMA operiamo dal 2011 per strutturare e consolidare questa figura in Italia, e con questo percorso vogliamo fare la differenza, garantendo qualità, esperienza e una rete professionale qualificata. Per noi, infatti, la formazione della figura del disability manager ha un valore centrale ed è per questo che, accanto alla nostra primaria collaborazione con le Università, abbiamo pensato di metterci in gioco direttamente, al fianco di professionisti della formazione. A tal proposito, un ringraziamento speciale va a Giorgio Di Dato, fondatore e amministratore delegato di Make4Work, per la sua dedizione e il costante impegno nella realizzazione di progetti inclusivi di alto valore».

Saranno dunque due i percorsi formativi disponibili, uno di qualificazione professionale in presenza ad Albano Laziale (247 ore), abilitante alla professione di disability manager in àmbito lavorativo e riconosciuto dalla Regione Lazio; l’altro online (200 ore, formula weekend), per fornire strumenti e strategie sul Disability Management, con un focus sull’àmbito lavorativo e aziendale, urbanistico, ambientale e sanitario.
Il corpo docente sarà composto da disability manager esperti, tra i quali il già citato Rodolfo Dalla Mora, che oltre ad essere presidente e socio fondatore di SIDIMA e AIDIMA, è disability manager presso l’ORAS (Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione) di Motta di Livenza (Treviso) e del Comune di Treviso, saggista ed esperto formatore in Disability Management; Palma Marino Aimone, vicepresidente dell’AIDIMA, esperta in gestione delle risorse umane e nel Disability Management della RAI; Nicola Marzano, vicepresidente della SIDIMA, fisioterapista con specializzazione in riabilitazione e disabilità; Margherita Caristi, coordinatrice di SIDIMA e AIDIMA, funzionaria dell’INAIL e disability manager; Fabio Lotti, disability manager, esperto in accessibilità digitale e fondatore di Yeah Impresa Sociale; Silvia Assennato, avvocata e disability manager; Giorgia Ortu La Barbera, psicologa e coach che da anni si occupa di temi legati alla diversità, all’inclusione e all’equità di genere; Francesco Di Coste, Master Certified Coach ICF e presidente dell’AIHC (Associazione Italiana Health Coaching).
I corsi prenderanno il via nel prossimo mese di maggio e le iscrizioni sono aperte fino al 30 aprile prossimo. (S.B.)

*In àmbito lavorativo il Disability Management rappresenta una strategia d’impresa utile a coniugare, in modo soddisfacente, le esigenze delle persone con disabilità da inserire – o già inserite – con le necessità delle aziende.

A questo link è disponibile la presentazione dell’iniziativa, a quest’altro link il modulo per iscriversi. Per ulteriori informazioni: segreteria.aidima@gmail.com.

L'articolo Un percorso formativo in Disability Management, utile opportunità per formare professionisti dell’inclusione proviene da Superando.

Quando l’acqua diventa terapia, relazione e speranza

La Terapia Multisistemica in Acqua (TMA) – Metodo Caputo-Ippolito è molto più di una semplice attività in piscina, è un approccio terapeutico all’avanguardia che utilizza l’acqua come strumento per stimolare, coinvolgere e accompagnare bambini con disturbi dello spettro autistico, difficoltà relazionali e disturbi del neurosviluppo. Ne abbiamo parlato con Autilia De Simone, mamma di un bimbo che ne trae vari benefìci

La Terapia Multisistemica in Acqua (TMA) – Metodo Caputo-Ippolito è molto più di una semplice attività in piscina, è un approccio terapeutico all’avanguardia che utilizza l’acqua come strumento per stimolare, coinvolgere e accompagnare bambini con disturbi dello spettro autistico, difficoltà relazionali e disturbi del neurosviluppo verso nuovi traguardi di autonomia, relazione e integrazione. Attraverso il contatto con l’acqua, i bambini vengono guidati in un percorso che agisce su più livelli: motorio, sensoriale, emotivo e sociale. La TMA non punta soltanto a migliorare le abilità natatorie, ma si inserisce in un progetto globale di inclusione e benessere, volto a favorire lo sviluppo personale e relazionale dei piccoli partecipanti.
La metodologia nasce dall’esperienza ultraventennale dei dottori Giovanni Caputo e Giovanni Ippolito, psicologi con una lunga storia di lavoro al fianco di bambini con autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo. Un’esperienza che ha trovato anche una forma narrativa nella favola Calimero e l’amico speciale, scritta da Ippolito con Maria Michela Gambatesa e Maria Lucia Sanità Ippolito, con l’intento di promuovere l’inclusione scolastica dei bambini autistici.

La TMA si basa su un rapporto umano e personalizzato, con risultati concreti come il miglioramento dell’attenzione e del contatto visivo, lo sviluppo della comunicazione verbale e non verbale, una maggiore autonomia e autostima, un aumento della socializzazione con i coetanei.
Per favorire l’accesso di un numero sempre maggiore di bambini a questa terapia, il Metodo Caputo-Ippolito ha promosso, in occasione della Pasqua 2025, una raccolta fondi attraverso la vendita di uova e colombe solidali (per informazioni e prenotazioni, fare riferimento a info@terapiamultisistemica.it). Il ricavato contribuirà a sostenere i percorsi terapeutici di tanti bambini e le loro famiglie.
Ma non finisce qui: il 5 e 6 aprile, come riferito nei giorni scorsi anche su queste pagine, è in programma la grande manifestazione nazionale Abbracciata Collettiva 2025, che coinvolgerà nove città italiane (Treviso, Milano, Firenze, Roma, Pescara, Napoli, Foggia, Lecce e Siracusa), unite simbolicamente da un messaggio di inclusione e sensibilizzazione.

Tra le tante famiglie che hanno scelto di intraprendere il percorso della TMA c’è quella di Autilia De Simone, presidente e fondatrice dell’Associazione Le Finestre del Cuore di Terzigno (Napoli) e mamma di Gabriele, uno dei bambini che segue la terapia. Autilia ha deciso di sostenere attivamente sia la vendita solidale che l’Abbracciata Collettiva, diventando un punto di riferimento per tante altre famiglie. A tal proposito, per offrire ai Lettori e alle Lettrici di Superando una testimonianza diretta e dare maggiore chiarezza sul valore di questo percorso, abbiamo intervistato proprio Autilia De Simone.

Benvenuta Autilia, è un piacere averla qui con noi. Entriamo subito nel cuore di questa intervista. Come e perché nasce l’Associazione Le Finestre del Cuore?
«Si tratta di un “regalo” che ho voluto fare a Gabriele nel giorno del suo compleanno. È per lui, per i bambini come lui e per tutte le famiglie che hanno dovuto fare i conti con una diagnosi di disturbo del neurosviluppo. Nasce con l’idea di fare aprire le finestre del cuore delle persone, per guardare il mondo con occhi diversi, eliminando l’ignoranza, il pregiudizio, la frenesia, la superficialità e la menzogna».

Qual è il legame tra la nascita di suo figlio Gabriele e la nascita dell’Associazione?
«Come dicevo, l’Associazione è nata proprio il 18 maggio 2024, giorno in cui Gabriele ha compiuto due anni. Quando Gabriele è nato, ha aperto piano piano le finestre del nostro cuore fino a farle spalancare tutte e fino a farci vedere tutta la bellezza del mondo con i nostri veri occhi, quelli del cuore».

Come ha scoperto la Terapia Multisistemica in Acqua (TMA) – Metodo Caputo-Ippolito?
«Tramite una mia amica, diventata socia fondatrice della mia Associazione, anche lei mamma di una bambina con trisomia 21 [sindrome di Down], che mi ha parlato degli enormi benefìci riscontrati in sua figlia con questa terapia».

Cosa rappresenta per lei e per Gabriele questo percorso terapeutico? Quali sono i principali benefìci che ha riscontrato in suo figlio grazie alla TMA e in quanto tempo?
«Gabriele fa TMA da circa 6 mesi e sin da subito si è mostrato super portato a stare in acqua, credo sia il suo elemento! È infatti una cosa che gli viene molto naturale stare in acqua e muoversi, senza avere paura, andando anche sott’acqua. Con questa terapia speriamo che la sua lassità muscolare diminuisca, rendendolo più fluido nei movimenti e chissà, magari inizierà anche a camminare da solo… Ce lo auguriamo! Intanto si diverte, imita, impara ad autoregolarsi, a gestire la frustrazione e l’oppositività, impara le autonomie di base e a relazionarsi con gli altri».

Ha scelto di sostenere in prima persona l’iniziativa della vendita solidale di uova e colombe pasquali promossa dal Metodo Caputo-Ippolito. Perché è importante, secondo lei, sostenere questa raccolta fondi?
«Perché noi famiglie di bambini con disabilità purtroppo dobbiamo pagarle tutte queste terapie e le spese da sostenere per un’ora alla settimana di TMA sono davvero elevate. Con un piccolo gesto è possibile dare un grande e prezioso contributo utile per favorire lo sviluppo psicomotorio di questi bambini».

Cosa si sente di dire alle famiglie che stanno affrontando un percorso simile al suo?
«Non mollate mai, anche se è scontato dirlo, mettete sempre i vostri figli prima di tutto, non sottovalutateli mai e credete al massimo nelle loro capacità e potenzialità, date loro tutti gli strumenti necessari per la loro crescita e se qualcuno dovesse negarglieli cacciate le unghie e lottate per loro. Sempre e comunque».

L'articolo Quando l’acqua diventa terapia, relazione e speranza proviene da Superando.

I disturbi dello spettro autistico e i trattamenti basati sull’evidenza scientifica

«Siamo venuti a conoscenza – scrivono dalla Federazione FISH Piemonte – di un convegno internazionale, sul nostro territorio regionale, volto a promuovere una “terapia con cellule staminali per malattie neurodegenerative, sindromi genetiche e autismo”. Ma si sta veramente parlando di trattamenti “basati sull’evidenza scientifica”, come dovrebbe sempre essere? Oppure non è così?»

Nel corso degli anni ci è capitato più volte di imbatterci in “miracolose terapie” per “guarire” dall’autismo, che oltre a causare enormi esborsi economici, facevano perdere alle nostre famiglie il bene più prezioso: il tempo. Quel tempo che andrebbe colto al volo per iniziare ad abilitare i bambini con disturbi dello spettro dell’autismo immediatamente dopo la diagnosi, utilizzando le terapie validate evidence-based [“basate sull’evidenza”]. Abbiamo quindi compreso quanto importante fosse vigilare attentamente per salvaguardare le nostre famiglie da questi pericoli.

Nello svolgere dunque il nostro ruolo di attenta vigilanza su quanto viene periodicamente proposto e raccontato alle nostre famiglie che, vivendo una quotidianità particolarmente complessa e problematica, sono alla continua, esasperata e disperata ricerca di possibili soluzioni, siamo venuti a conoscenza di un convegno internazionale, in programma sul nostro territorio regionale, dal titolo Medicina rigenerativa e innovazioni biomediche, volto a promuovere una «terapia con cellule staminali per malattie neurodegenerative, sindromi genetiche e autismo».
Il convegno, patrocinato dalla Regione Piemonte, si propone di affrontare i seguenti temi: «Gli sviluppi della ricerca sull’utilizzo delle cellule staminali per il trattamento dell’autismo e delle neuro-divergenze; le sperimentazioni cliniche in corso; le sfide etiche e regolatorie; le prospettive future per la cura di altre patologie neurodegenerative con approcci innovativi».

Poiché mettiamo il massimo impegno e la massima attenzione nel vigilare affinché le nostre famiglie non vengano illuse o fuorviate da informazioni prive di evidenze scientifiche, abbiamo chiesto un parere a due dei massimi esperti di autismo nazionali che, fortunatamente per noi, risiedono nel nostro territorio regionale: il dottor Roberto Keller e il dottor Giuseppe Maurizio Arduino [a questo link se ne possono leggere i curriculum, N.d.R.].
Il dottor Keller ci ha risposto così: «Attualmente l’impiego delle cellule staminali non è una terapia validata per l’intervento nei disturbi dello spettro dell’autismo in relazione a quanto indicato dalle Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità SNLG, presenti sul sito dell’Osservatorio Nazionale autismo del Ministero della Salute».
Dal canto suo, il dottor Arduino ci ha risposto così: «Ho dato un’occhiata alla letteratura e ho trovato questo lavoro di alcuni autorevoli esperti, anche italiani, nel cui abstract viene scritto, rimandando alla lettura dell’articolo (traduco): “tuttavia, ad oggi, possiamo dire che l’uso delle cellule staminali sia un trattamento evidence-based? La risposta è no, e cercheremo nelle righe che seguono di spiegare le ragioni di questa risposta negativa”».

A questo punto, quindi, ci poniamo alcune domande:
° quali sono i rischi reali e l’impatto per le nostre famiglie nel raccontare loro di ipotizzate “terapie” non validate e non basate su prove scientifiche (non evidence-based)?;
° sarebbe forse per noi corretto non intervenire per cercare di proteggere le nostre famiglie?;
° perché la Regione Piemonte ha concesso il proprio patrocinio ad un simile convegno senza indagare sulla correttezza e le possibili implicazioni dei contenuti?.

In conclusione concordiamo col dottor Keller che «come per ogni tema non chiaro, può essere utile organizzare un approfondimento scientifico”, a cui saremmo onorati di essere invitati a partecipare, «per esaminare in modo rigoroso l’argomento».

*Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) del Piemonte (fishpiemonte@gmail.com).

Sul tema dei “trattamenti” per l’autismo, suggeriamo anche, sempre sulle nostre pagine, la lettura dell’approfondimento di Marie Helene Benedetti, intitolato Se la disperazione diventa un mercato: terapie ingannevoli e autismo (a questo link).

L'articolo I disturbi dello spettro autistico e i trattamenti basati sull’evidenza scientifica proviene da Superando.

Apprendere accessibilità e inclusione

Per sviluppare un àmbito di confronto sull’accessibilità universale e l’inclusione, la Community dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) “Città accessibili a tuttə” propone tre azioni tra loro collegate, un workshop in settembre a Roma, un convegno in novembre a Firenze e una pubblicazione. Per parteciparvi è stata lanciata la “call” denominata “Apprendere accessibilità e inclusione”, che accoglierà proposte di diversa provenienza disciplinare. I relativi abstract andranno inviati entro il 25  maggio

Allo scopo di sviluppare un àmbito di confronto sui temi dell’accessibilità universale e dell’inclusione, la Community dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) Città accessibili a tuttə prosegue il lavoro e l’impegno avviati sin dal 2016, proponendo tre azioni tra loro collegate, vale a dire un workshop, all’interno dell’VIII BISP (Biennale dello Spazio Pubblico), che si terrà nella Capitale, presso il Dipartimento di Architettura di Roma Tre dal 18 al 20 settembre, un convegno, all’interno del 22° Urbanpromo di Firenze (11-14 novembre) e una pubblicazione, basata su dei Paper selezionati, in formato open access (di libero accesso) con codice ISBN.
«Le tre azioni – spiegano i promotori dell’iniziativa – riguardano l’apprendimento, con attenzione alle dimensioni individuali e collettive che incidono sulla vita, sull’autonomia e sulla libertà delle persone affinché territori, città e abitare migliorino e/o traguardino l’essere accessibili a ciascuno e chiunque. L’accessibilità universale e l’inclusione sono infatti diritti essenziali riguardanti tutte le persone, costituendo un sistema interconnesso, multiscalare, multidisciplinare e complesso; esse devono garantire le qualità essenziali al soddisfacimento delle aspettative/richieste, e soprattutto non possono essere affrontate con approcci o strumenti settoriali e separati».

Sia il workshop che il convegno e la pubblicazione rientreranno all’interno del tema Apprendere accessibilità e inclusione. Formazione, ricerca e iniziative innovative e per parteciparvi è stata lanciata la call denominata appunto Apprendere accessibilità e inclusione, che accoglierà proposte di diversa provenienza disciplinare collocabili all’interno dei settori tematici caratterizzanti la call stessa, ossia Didattica per l’inclusione, Politiche per l’inclusione, Formazione e divulgazione, Ricerca e territori.
Chi vorrà dunque partecipare dovrà predisporre un abstract in lingua italiana in cui illustrare il tema che si intende affrontare, specificando obiettivi, metodologia e risultati, e indicando l’àmbito tematico scelto. L’abstract dovrà essere redatto compilando il modello in Google Form (tramite questo link) entro il 25 maggio prossimo. (S.B.)

A questo link è disponibile tutto quanto serve per partecipare alla call. Per altre informazioni: apprendere.accessibilita@gmail.com.

L'articolo Apprendere accessibilità e inclusione proviene da Superando.

Le persone con sindrome di Down chiedono di sentirsi parte del mondo

Una lettera ripartita in sette punti, indirizzata ai principali rappresentanti di Governo e degli Enti Locali, per recapitare loro le richieste delle persone con sindrome di Down: l’ha inviata nei giorni scorsi l’Associazione AIPD, per valorizzare e condividere le testimonianze raccolte tra giovani e adulti della propria rete associativa, in occasione della recente Giornata Mondiale per la Sindrome di Down del 21 marzo Un particolare dell’elaborazione grafica realizzata dal’AIPD per la Giornata del 21 marzo di quest’anno

Una lettera ripartita in sette punti, indirizzata ai principali rappresentanti di Governo e degli Enti Locali (disponibile integralmente a questo link), per recapitare loro le richieste delle persone con sindrome di Down: l’ha inviata nei giorni scorsi l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), per valorizzare e condividere le testimonianze raccolte tra giovani e adulti della propria rete associativa, in occasione della recente Giornata Mondiale per la Sindrome di Down del 21 marzo.
«Improve our support system – ricordano dall’AIPD -, ovvero “Migliorate i nostri sistemi di supporto” era stato il tema della Giornata del 21 marzo, su cui si è concentrata quindi anche la nostra campagna [se ne legga anche sulle nostre pagine a questo e a questo link, N.d.R.], che ha scelto di interpellare i diretti interessati. I riflettori e l’attenzione, infatti, non devono spegnersi all’indomani della ricorrenza, così come il tempo e le energie dedicate dalla nostra Associazione e dalle famiglie per raccogliere i bisogni di giovani e adulti deve essere valorizzato. Per questo abbiamo pensato di trasformare le loro richieste principali in altrettante proposte, da sottoporre all’attenzione delle Istituzioni nazionali e locali».

Le persone con sindrome di Down chiedono dunque «condizioni minime per poter scegliere in autonomia, per vivere indipendenti e sentirsi parte del mondo». Alcune delle richieste che di seguito elenchiamo in sintesi erano per altro già emerse dall’indagine condotta da AIPD e CENSIS (Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale), per la quale erano stati interpellati i caregiver familiari.
1. Salute: «Chiedo allo Stato visite mediche più veloci» (Gianni, Brindisi).
2. Scuola: «Voglio denunciare la mancanza di prof» (Emanuele, Sabaudia).
3. Lavoro: «Lo Stato può dare più soldi alle aziende, così mi assumono, perché con il lavoro posso essere autonomo e potrei anche pagare l’affitto della casa dove vivo con Matteo e Giacomo»” (Leonardo, Pisa).
4. Autodeterminazione/vita indipendente/cittadinanza: «Un diritto è anche un dovere. Ho un lavoro, che è mio diritto e mio dovere. Ma vorrei che si rispettasse anche il mio diritto di vivere da solo. L’autonomia è anche vivere una vita indipendente» (Nicolò, Venezia).
5. Supporti economici: «Lo Stato deve dare più denaro» (Nando, Napoli).
6. Mobilità: «I mezzi di trasporto. Io non so come mi devo muovere» (Giovanni, Potenza).
7. Spazi verdi: «Più parchi giochi» (Maria Rosaria, Potenza). (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampaaipd@gmail.com.

L'articolo Le persone con sindrome di Down chiedono di sentirsi parte del mondo proviene da Superando.

Per le patologie croniche e invalidanti un accesso tempestivo alle cure può fare la differenza

«Ringraziamo Francesca Mannocchi per avere sollevato ancora una volta un tema cruciale per la vita di milioni di persone: l’accesso tempestivo alle cure»: a dirlo è Mario Alberto Battaglia, presidente della FISM, l’ente di ricerca che opera a fianco dell’AISM, commentando le parole della nota giornalista Francesca Mannocchi, donna con la sclerosi multipla, che nei giorni scorsi aveva denunciato sui social di avere dovuto pagare 680 euro per una risonanza magnetica urgente La giornalista Francesca Mannocchi

«Ringraziamo Francesca Mannocchi per avere sollevato ancora una volta un tema cruciale per la vita di milioni di persone: l’accesso tempestivo alle cure»: a dirlo è Mario Alberto Battaglia, presidente della FISM, l’ente di ricerca che opera a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), commentando le parole della nota giornalista Francesca Mannocchi, donna con la sclerosi multipla, che nei giorni scorsi aveva denunciato sui social di avere dovuto pagare 680 euro per una risonanza magnetica urgente.
«Chiunque – prosegue Battaglia -, nel corso della propria vita o della propria malattia, si è trovato di fronte a un sistema che non sempre garantisce risposte immediate. Il problema delle liste d’attesa è sotto gli occhi di tutti e, nonostante gli sforzi istituzionali, ancora oggi troppe persone devono affrontare ostacoli burocratici e organizzativi per ottenere esami e cure essenziali. Per chi poi convive con una malattia cronica, come la sclerosi multipla, il ritardo nell’accesso ai controlli periodici o ai trattamenti può fare la differenza tra una gestione efficace della malattia e un peggioramento delle condizioni di vita. E questo non riguarda solo la sclerosi multipla, ma tutte le patologie croniche e invalidanti, che richiedono una programmazione puntuale delle cure. Per questo motivo, nella nostra Carta dei Diritti, abbiamo sancito il diritto alla cura e alla salute come princìpi fondamentali e non negoziabili».

«Esistono tuttavia strumenti – aggiunge il Presidente della FISM – che possono migliorare questa situazione: i PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali), ad esempio, sono progettati per garantire un accesso rapido e pianificato agli esami necessari, senza passaggi burocratici inutili. Il loro funzionamento, però, è compromesso, se il sistema non è in grado di assicurare posti disponibili per esami e visite. Servono dunque soluzioni concrete, bisogna potenziare il Servizio Sanitario Nazionale, garantire risorse adeguate e attuare strategie efficaci per ridurre le liste d’attesa, come il prolungamento degli orari di attività, l’assunzione di nuovo personale e l’ottimizzazione della rete di prenotazioni. La salute, infatti, non è un costo, ma un investimento e un sistema sanitario efficiente non solo migliora la qualità della vita delle persone, ma è anche economicamente sostenibile, se è vero che diagnosi e cure tempestive riducono il rischio di complicanze e i costi a lungo termine per il sistema sanitario».
«Come AISM – conclude Battaglia – continueremo a batterci per il diritto alla salute e a lavorare con le Istituzioni affinché ogni cittadino/cittadina possa ricevere le cure di cui ha bisogno, nel momento giusto e senza ostacoli. La salute, infatti, è un bene comune e serve un impegno collettivo per garantire che nessuno venga lasciato indietro».

Per l’occasione dall’AISM vengono ricordati una serie di dati, sui “bisogni insoddisfatti”, tratti dal proprio Barometro della Sclerosi Multipla 2024: «Sclerosi multipla e NMOSD (neuromielite ottica) generano bisogni complessi, cui i servizi devono rispondere in modo tempestivo e coordinato. I problemi emergono soprattutto nei ritardi per accedere a risonanze magnetiche (36,2%) e visite di controllo (24,7%), e rimangono più spesso insoddisfatti i bisogni che richiedono servizi integrati: riabilitazione (46,9%), trattamento psicologico (45,2%), cure farmacologiche sintomatiche (39,3%) e assistenza domiciliare (19,6%) che le persone hanno indicato di non aver ricevuto, o di avere ricevuto in quantità insufficiente rispetto al bisogno. Inoltre, la crisi del personale, che investe tutto il Servizo Sanitario Nazionale, non risparmia i servizi per la sclerosi multipla, se è vero che secondo i dati relativi al 2024, ogni neurologo dedicato segue 558 pazienti e un infermiere 477, valori molto superiori a quelli indicati dall’AGENAS-Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (1 neurologo ogni 300/400 pazienti). Infine, la telemedicina, sebbene abbia potenziato la risposta a distanza, non è ancora pienamente integrata nel sistema sanitario, e anche l’implementazione delle cure digitali si scontra con la mancanza di personale».

A proposito poi dei PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) per la sclerosi multipla citati da Mario Alberto Battaglia, secondo l’AISM «la diffusione di essi, non solo a livello regionale (14 approvati in Italia più 4 in discussione), ma anche a livello territoriale (sono passati dal 25% del 2022 al 36,5% i Centri che ne hanno uno), segnala che il sistema delle cure e i Centri per la Sclerosi Multipla in particolare, sono aperti a soluzioni innovative, che offrano cure integrate e centrate sulla persona, razionalizzando i propri percorsi di cura. Rimangono però ostacoli organizzativi e di nuovo la carenza di personale è il principale (indicato dall’80% circa dei Centri), ma anche la debolezza dei servizi territoriali e sociali (60% circa) e le complicazioni amministrative alla gestione e condivisione dei dati clinici (57%), tutti elementi che rallentano la piena realizzazione dei PDTA».
«Per quanto poi riguarda la partecipazione delle persone con sclerosi multipla alle decisioni che le riguardano – proseguono dall’AISM – essa non è ancora piena e si ferma al 30% la quota che riferisce di essere molto coinvolta nei processi decisionali relativi alla propria assistenza sanitaria e ai servizi sociali, mentre in realtà promuovere un maggiore coinvolgimento sarebbe fondamentale per garantire che le loro esigenze siano adeguatamente soddisfatte».
«Anche l’accesso a politiche e benefìci economici che richiedono valutazione della disabilità rimane per molti problematico – concludono dall’Associazione -: infatti, il 60% di chi vi si è sottoposto ritiene che la Commissione conoscesse poco la sclerosi multipla e che quasi il 70% non ne considerasse i “sintomi invisibili”». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

L'articolo Per le patologie croniche e invalidanti un accesso tempestivo alle cure può fare la differenza proviene da Superando.

La sordocecità dev’essere classificata come una disabilità specifica

«Il BIAP (Bureau International d’AudioPhonologie) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità – rende noto il Comitato Sordocecità per la modifica della legge 107 /10 – valuteranno presto di  considerare la riclassificazione della sordocecità come disabilità distinta e specifica. E anche nel nostro Paese sono state presentate due Interrogazioni di tono analogo ai Ministri della Salute e per le Disabilità»

Il nostro Comitato [Comitato Sordocecità per la modifica della legge 107 /10], si è rivolto al BIAP (Bureau International d’AudioPhonologie), per chiedere di considerare la riclassificazione della sordocecità come disabilità distinta e specifica. In tal senso, la presidente del BIAP, Edilene Boéchat, ha affermato che nel prossimo mese di maggio il BIAP e l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) si riuniranno per valutare questa proposta concernente una gravissima pluriminorazione, che in Italia come in Europa colpisce lo 0,2% della popolazione (dati ISTAT e Lega del Filo d’Oro, 2022).
Successivamente infatti alla Dichiarazione scritta dei diritti delle persone sordocieche, approvata dal Parlamento Europeo il 1° aprile 2004, il Parlamento Italiano promulgò la Legge 107/10 (Misure per il riconoscimento dei diritti alle persone sordocieche), che tuttavia, pur richiamando la normativa europea, non dava seguito alla specificità di questa pluriminorazione, riconoscendo solo singolarmente la sordità e la cecità.
Le persone sordocieche che possiedono un minimo residuo di uno o entrambi i sensi in forma grave riescono in particolari condizioni a comunicare attraverso il supporto vicendevole dei due sensi stessi, ma la sordocecità dev’essere classificata come una disabilità specifica.
Nella recente normativa 227/21 (Legge Delega in materia di disabilità), si evidenzia una sola condizione di sordocecità (al limite della sordocecità assoluta), che non tiene conto delle diverse gravità. Manca dunque una puntuale classificazione. Eppure il Decreto Interministeriale del 26 settembre 2016 (Riparto delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per le non autosufficienze, per l’anno 2016) aveva inserito i sordociechi in condizione di particolare gravità nell’elenco delle gravissime disabilità.
Le persone con pluriminorazione sensoriale che necessitano dell’uso di protesi acustiche devono poi fare i conti con gli elevati costi e chi non ha un reddito sufficiente si vede costretto a rinunciarvi.
Il deputato Marco Furfaro ha recentemente depositato due Interrogazioni al Ministro della Salute Schillaci e alla ministra per le Disabilità Locatelli, invitandoli ad indicare una precisa classificazione delle diverse gravità della sordocecità e a inserire nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) le costosissime protesi acustiche.
Auspichiamo pertanto una pronta presa di posizione del Governo per venire incontro a queste persone con una pluriminorazione.

*Presidente del Comitato Sordocecità per la modifica della legge 107 /10.

A questo link è disponibile un ampio documento redatto dal Comitato Sordocecità per la modifica della legge 107 /10, denominato Per la classificazione delle diverse forme di gravità nella sordocecità per una migliore inclusione sociale.

L'articolo La sordocecità dev’essere classificata come una disabilità specifica proviene da Superando.

L’Unione Europea dimostri la propria leadership sui diritti umani in questi tempi pericolosi!

«Le conclusioni degli esperti dell’ONU seguono in gran parte ciò che anche noi avevamo chiesto all’Unione Europea. Ci auguriamo dunque che essa dimostri ora la propria leadership sui diritti umani in questi tempi pericolosi, agendo in base a quelle raccomandazioni»: così il presidente del Forum Europeo sulla Disabilità Vardakastanis commenta le “Osservazioni Conclusive” del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, rispetto all’applicazione della Convenzione ONU nell’Unione Europea

Già nei giorni scorsi (se ne legga a questo link) l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità aveva espresso una serie di valutazioni, in corrispondenza dell’esame sull’attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, da parte dell’Unione Europea, a cura del Comitato ONU preposto a tale compito.
Ora dunque che lo stesso Comitato ONU ha reso pubbliche le proprie Osservazioni Conclusive, l’EDF, in attesa di un esame accurato di esse, che consenta di produrre un proprio rapporto, esprime già alcuni commenti. «Le conclusioni degli esperti dell’ONU – dichiara ad esempio il presidente del Forum Yannis Vardakastanis – seguono in gran parte ciò che avevamo chiesto noi stessi di fare all’Unione Europea. Ci auguriamo dunque che essa dimostri ora la propria leadership sui diritti umani in questi tempi pericolosi, agendo in base a quelle raccomandazioni».

In sintesi, e in generale, il Comitato ONU ha chiesto all’Unione Europea di «condurre una revisione globale della propria legislazione, necessaria per garantire la compatibilità con la Convenzione ONU».” sui diritti delle persone con disabilità.
Più nel dettaglio, partendo dal precedente rapporto di dieci anni fa sull’Unione Europea, gli esperti delle Nazioni Unite hanno riconosciuto una serie di progressi, rilevando però «la necessità di ulteriori iniziative per garantire pari accesso e opportunità alle persone con disabilità, in particolare tramite una migliore allocazione dei Fondi Europei, una Strategia sui Diritti delle Persone con Disabilità aggiornata e un più stretto coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità».
Tra le altre raccomandazioni, poi, il Comitato ONU ha chiesto con forza «di generare il sostegno politico necessario ad approvare la Direttiva sulla Parità di Trattamento, di non procedere con la Proposta di regolamento sulla tutela degli adulti, di estendere la portata della Carta Europea della Disabilità, in modo tale da garantire la libertà di movimento, nonché di adottare un Piano d’Azione sulla Disabilità per le iniziative esterne dell’Unione».
Non da ultima, la richiesta che «le Istituzioni dell’Unione diano l’esempio, in termini di accessibilità e pari opportunità, anche come Pubblica Amministrazione, ovvero come datore di lavoro».

«Riconosciamo a nostra volta i progressi significativi compiuti negli ultimi dieci anni – sottolineano dall’EDF -, e in particolare rispetto alla legislazione sull’accessibilità, oltreché nell’adozione di “iniziative-faro”, quali le Direttive sulla Carta Europea della Disabilità e sul Contrassegno Europeo di Parcheggio. E tuttavia ci aspettiamo ora che l’Unione Europea e le Istituzioni di essa attuino le raccomandazioni contenute nel rapporto del Comitato ONU, attraverso una Strategia aggiornata e un “ambizioso” bilancio post-2027». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: André Felix (responsabile della Comunicazione dell’EDF), andre.felix@edf-feph.org (cui scrivere in inglese).

L'articolo L’Unione Europea dimostri la propria leadership sui diritti umani in questi tempi pericolosi! proviene da Superando.

Giovani con autismo dalla Sardegna a Roma, per partecipare alla “Run for Autism 2025”

Il 6 aprile a Roma è in programma la “Run for Autism 2025”, evento promosso e organizzato dal Progetto Filippide, presentato come «l’unica gara su strada in Europa interamente dedicata alla conoscenza della problematica dell’autismo» e anche quest’anno arriverà nella Capitale una delegazione di atleti dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Filippide Cagliari e Sud Sardegna

Il 6 aprile a Roma vi sarà la Run for Autism 2025 (5 chilometri Stracittadina e 10 chilometri competitiva e non competitiva), evento promosso e organizzato dal Progetto Filippide, che viene presentato come «l’unica gara su strada in Europa interamente dedicata alla conoscenza della problematica dell’autismo». E anche quest’anno arriverà nella Capitale una delegazione di atleti dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Filippide Cagliari e Sud Sardegna.
«La partecipazione dei nostri giovani – dicono dall’Associazione – sarà non competitiva, ma siamo certi che la nostra presenza contribuirà a rafforzare il significato di un evento che guadagna l’importanza dal numero di coloro che ci partecipano, a testimonianza del fatto che si tratta di una celebrazione che ci permette di focalizzare l’attenzione sull’autismo, mostrando a tutti che le persone autistiche sono capaci di far fronte anche a delle sfide fisiche che metterebbero in difficoltà chiunque non sia un agonista o uno sportivo. È evidente, infatti, come messaggi di grande significato viaggino grazie anche a queste manifestazioni sportive, cui partecipiamo con grande piacere e per le quali i nostri ragazzi si allenano nel corso dell’anno, attraverso innumerevoli giornate organizzate per loro e per le rispettive famiglie. Crediamo profondamente nello sport, svolto anche in forma non agonistica, che permette di unire e legare un gruppo di persone favorendo la crescita personale e sociale, e al contempo produrre effetti positivi sulla propria salute fisica e mentale. Per noi, come Associazione sportiva, si tratta di uno strumento fondamentale attraverso il quale coinvolgere i ragazzi in sfide alla loro portata, che si rivelano complicate e dure, ma che ogni volta vengono superate con la dedizione e la tenacia, che non è una prerogativa esclusiva delle persone che non soffrono di disturbi dello spettro autistico, me una capacità di tutti, che può essere coltivata e aumentata».

«Attendiamo ogni anno l’appuntamento della Run for Autism – sottolinea Marcellina Spiga, presidente dell’Associazione Progetto Filippide Cagliari e Sud Sardegna -, perché tutte le volte che ci abbiamo partecipato è stata un’esperienza bellissima. I nostri atleti, anche in altre occasioni simili, ci vanno con gioia; lo vedo da come reagiscono e da come si comportano, perché partecipano con il sorriso sulle labbra e con un’energia che li spinge senza mai fermarsi. L’appuntamento del 6 aprile sarà una sfida cui sono abituati, perché la vivono periodicamente attraverso il programma che abbiamo predisposto per tutti loro. La vita associativa, infatti, li pone davanti ad attività cui partecipano con costanza e dedizione, che per loro e per noi familiari sono fondamentali per favorire l’apprendimento di aspetti a volte dati per scontati, ma che non lo sono affatto: si immagini, ad  esempio, le difficoltà vissute da una persona autistica nell’intrecciare amicizie o nell’assumersi un impegno, a volte scomodo, obbligandoli al rispetto di regole, e che garantisce quella routine che permette loro di crescere e imparare anche come la vita possa essere dura».

«Ovviamente – conclude Spiga -, tutti i passi e le attività che vengono svolte dai nostri giovani, persone autistiche che richiedono il massimo livello di supporto, sono supportati dai nostri operatori e dagli stessi familiari, ma queste manifestazioni sportive ci permettono di trovarci in un evento che ha una grossa risonanza mediatica e che focalizza l’attenzione dell’opinione pubblica sull’autismo, favorendo così l’abbattimento di quelle barriere e di quei pregiudizi che ancora oggi permeano l’immagine della persona autistica». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: filippide.cagliari@gmail.com.

L'articolo Giovani con autismo dalla Sardegna a Roma, per partecipare alla “Run for Autism 2025” proviene da Superando.

Diritto e sport per le persone con disabilità

Come le più recenti normative nei rispettivi settori stanno trasformando l’approccio italiano allo sport e alla disabilità, favorendo una maggiore partecipazione e opportunità per le persone con disabilità: è l’assunto di base della pubblicazione “Diritto e sport per le persone con disabilità”, elaborata per il CNEL da Vincenzo Falabella, consigliere dello stesso CNEL in cui coordina l’Osservatorio Inclusione e Accessibilità, e da Maria Paola Monaco, docente universitaria di Diritto del Lavoro Immagini di varie discipline sportive praticate da persone con disabilità

Un’analisi del quadro normativo italiano in materia di sport e disabilità, con particolare attenzione alle riforme introdotte dal Decreto Legislativo 36/21 (Attuazione dell’articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo) e dal Decreto Legislativo 62/24 (Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato), attuativo della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità: è questa la proposta della pubblicazione Diritto e sport per le persone con disabilità, uscita dal CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), nell’àmbito della serie “Casi e materiali di discussione. Mercato del lavoro e contrattazione collettiva” (n. 30/2025) e disponibile a questo link.
Ad elaborare il documento sono stati Vincenzo Falabella, consigliere del CNEL al cui interno coordina l’Osservatorio Inclusione e Accessibilità, nonché presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e Maria Paola Monaco, docente associata di Diritto del Lavoro all’Università di Firenze.
Un documento, ha sottolineato Falabella, che evidenzia come le nuove normative «stiano trasformando l’approccio italiano allo sport e alla disabilità, favorendo una maggiore partecipazione e opportunità per le persone con disabilità».

La pubblicazione si apre con un inquadramento culturale e giuridico del concetto di sport come diritto universale e leva fondamentale per l’inclusione sociale, sottolineando in tal senso il superamento dell’approccio meramente riabilitativo a favore di una visione basata sulla piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita collettiva.
Successivamente viene approfondito il sistema di classificazione degli sport paralimpici, sempre più orientato a criteri funzionali anziché meramente clinici, quale strumento per garantire pari opportunità nelle competizioni.
Un ampio spazio, quindi, viene riservato all’interpretazione giurisprudenziale delle regole sportive, con particolare riguardo ai casi di discriminazione diretta e indiretta, tra cui spiccano due recenti, significative pronunce della Corte Europea dei Diritti Umani (Sentenza 29907/16 del 25 gennaio 2022 di condanna della Serbia per discriminazione nei confronti di due scacchisti ciechi) e della Corte d’Appello di Torino (Sentenza 507/24 del 7 maggio 2024 nei confronti della Federazione Ciclistica Italiana), che hanno contribuito a rafforzare il principio di uguaglianza nello sport.

Un ulteriore spazio di riflessione riguarda il lavoro sportivo per gli atleti con disabilità, alla luce delle disposizioni contenute ne citato Decreto Legislativo 36/21, la cosiddetta “Riforma dello sport”: si analizzano infatti gli obblighi di parità di trattamento, il riconoscimento delle carriere negli sport militari e civili, e le implicazioni, ancora parzialmente inattuate, relative agli accomodamenti ragionevoli e all’accesso alle infrastrutture. Centrale è qui il tema delle protesi sportive, intese non più soltanto come ausili sanitari, ma come strumenti di lavoro, la cui erogazione pubblica apre a una nuova interpretazione del principio di uguaglianza sostanziale.

Nella parte conclusiva, infine, la pubblicazione propone una lettura integrata dei Decrti 36/21 e 62/24, evidenziandone le potenzialità quali leve per la realizzazione dei progetti di vita individuale, la promozione dell’autonomia e il consolidamento dello sport come elemento strutturale nei percorsi di inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità, sport che in tale contesto si configura sempre più come terreno di sperimentazione giuridica e sociale, in grado di orientare le politiche pubbliche verso un’effettiva attuazione del principio di pari dignità. (S.B.)

L'articolo Diritto e sport per le persone con disabilità proviene da Superando.

Pagine