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Diventare adulti con la distrofia muscolare di Duchenne: un questionario

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L’Associazione Parent Project collabora con l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano ad un progetto riguardante la transizione dall’età pediatrica all’età adulta nelle persone con distrofia muscolare di Duchenne, allo scopo di identificare cosa facilita e cosa ostacola questa fase, attraverso l’opinione dei pazienti stessi, dei genitori e dei caregiver. Per fornire il proprio contributo, è sufficiente compilare un agile questionario online

L’Associazione Parent Project sta collaborando con l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano alla realizzazione di un progetto sul tema della transizione dall’età pediatrica all’età adulta nelle persone con distrofia muscolare di Duchenne, allo scopo di identificare cosa facilita e cosa ostacola questa fase, attraverso l’opinione di tutte le persone coinvolte nel percorso, vale a dire pazienti, genitori o caregiver.
Per fornire dunque il proprio contributo al buon esito di tale progetto, sarà sufficiente compilare un agile questionario online (disponibile a questo link) e seguire le indicazioni che indirizzeranno al questionario specifico dedicato ai genitori/caregiver o a quello formulato per le persone con Duchenne tra i 15 e 25 anni (nel di minorenni, vanno compilati i documenti di consenso sia da parte dei genitori che dei pazienti stessi). (S.B.)

Ricordiamo ancora il link al quale è disponibile il questionario online, Per ogni ulteriore informazione: scienza@parentproject.it.

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Le modifiche al Codice della Strada e le persone con disabilità

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Assunzione di farmaci ricompresi nella categoria delle sostanze psicotrope, sosta gratuita per i titolari di contrassegno, attraversamento pedonale da parte di persone con disabilità visiva e alcuni Decreti Delegati: tutte le parti delle modifiche al Codice della Strada che comportano conseguenze per le persone con disabilità e le loro famiglie, in un approfondimento curato dal il Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale di cui suggeriamo senz’altro la consultazione Con le modifiche al Codice della Strada, sono state tra l’altro anche inasprite le sanzioni previste per la sosta e la fermata negli spazi riservati ai veicoli per persone con disabilità

Nelle ultime settimane abbiamo già avuto modo di occuparci in più occasioni della Legge 177/24 di modifica del Codice della Strada e lo abbiamo fatto a proposito dei cambiamenti apportati all’articolo 187 che, come sottolineato dall’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia) e dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), nel chiedere esplicitamente uno specifico emendamento, rischiano di creare gravi problemi alle persone con disabilità le cui patologie richiedano di assumere determinati farmaci ricompresi nella categoria delle sostanze psicotrope.
Di questo, ma anche di tutte le altre parti che con le modifiche al Codice della Strada implicano conseguenze per le persone con disabilità e le loro famiglie, si è occupato il Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), elaborando un ampio approfondimento di cui suggeriamo senz’altro la consultazione (a questo link).

Partendo proprio dal punto di cui si è detto inizialmente, l’ANFFAS ricorda, come già avevamo segnalato sulle nostre pagine, il recente intervento, a livello di organi d’informazione, del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. «E tuttavia – scrivono dall’Associazione – al fine di evitare errate interpretazioni, si rende assolutamente necessario che le affermazioni del Ministro vengano riportate su un preciso atto normativo o su una circolare esplicativa. Nelle more consigliamo a chiunque si trovi ad assumere terapie farmacologiche come sopra descritte, a verificare con il proprio medico se le terapie assunte possano comportare eventuali alterazioni e, in caso negativo, a portare sempre con sé la relativa prescrizione».

Altro punto trattato dall’ANFFAS è quello riguardante la gratuità della sosta da parte delle persone con disabilità titolari di contrassegno, tema su cui è intervenuta una modifica dell’articolo 188 (comma 3-bis) del Codice della Strada. Ora dunque, «a differenza di quanto previsto precedentemente, fermo restando il diritto a sostare negli stalli ad esse riservati, possono parcheggiare gratuitamente ovunque, senza dover più procedere alla verifica dell’indisponibilità degli stalli loro riservati».
La Legge 177/24, inoltre, ha anche inasprito le sanzioni previste per le fattispecie di sosta e fermata negli spazi riservati ai veicoli per persone con disabilità.

E ancora, sono state previste nuove misure per facilitare l’attraversamento pedonale da parte delle persone con disabilità visiva. Se infatti l’articolo 41, comma 5, primo periodo del Codice della Strada prevedeva genericamente che «gli attraversamenti pedonali semaforizzati possano essere dotati di segnalazioni acustiche per non vedenti», tale formulazione è stata sostituita prevedendo che «gli attraversamenti pedonali semaforizzati possano essere dotati di segnalazioni acustiche di indicazione dello stato di accensione delle luci, nonché di guide tattili a pavimento idonee all’individuazione dei pali di sostegno delle lanterne semaforiche».

Oltre agli aspetti di cui si è detto, infine, l’ANFFAS evidenzia «un elemento di assoluta rilevanza al quale le Federazioni e le Associazioni di rappresentanza e lo stesso Ministero per le Disabilità dovranno porre attenzione», vale a dire che «l’articolo 35 della Legge 177/24 prevede che il Governo, nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi ed introducendo le necessarie disposizioni di carattere transitorio, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (ossia a decorrere dal 14 dicembre 2024), uno o più Decreti Legislativi recanti disposizioni per rivedere e riordinare la legislazione vigente concernente la disciplina della motorizzazione e della circolazione stradale». E tra i princìpi e i criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi nell’emanazione di tali Decreti Legislativi, ne rientrano anche alcuni riguardanti direttamente le persone con disabilità. Per questo, secondo l’ANFFAS, «ci dovrà essere massima attenzione nel monitorare e partecipare a tale iter legislativo».
Si tratta, nello specifico, «dell’armonizzazione delle disposizioni del Codice con la disciplina in materia di disabilità e revisione della disciplina della circolazione delle macchine per uso di persone con disabilità, tenuto conto dell’evoluzione delle norme tecniche di settore, nell’ottica di rimuovere gli ostacoli alla libertà di circolazione stradale degli utenti della strada con disabilità promuovendo, nel contempo, la massima tutela dei medesimi». Si fa poi riferimento «alla revisione della disciplina generale delle modalità di sosta dei veicoli adibiti al servizio di persone con disabilità ovvero di donne in stato di gravidanza o di genitori con bambini di età inferiore a due anni anche finalizzata alla riserva di adeguate aree dedicate». E infine «del riordino e semplificazione della disciplina relativa alla conferma di validità della patente di guida per conducenti con disabilità, diabetici e persone con patologie neurologiche». (S.B.)

Ricordiamo ancora il link al quale è disponibile l’approfondimento curato dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale di cui suggeriamo certamente la consultazione.

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“Italia e Inclusione: la persona al centro”: la tappa di Jeddah per il tour della Amerigo Vespucci

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In occasione della tappa di Jeddah (Gedda) in Arabia Saudita, del tour mondiale della nave Amerigo Vespucci, la ministra per le Disabilità Locatelli interverrà il 29 gennaio all’evento “Italia e Inclusione: la persona al centro” al cui panel parteciperanno tra gli altri anche i Presidenti delle Federazioni FISH e FAND La ministra per le Disabilità Locatelli a bordo della Amerigo Vespucci, insieme al comandante Giuseppe Lai

In occasione della tappa di Jeddah (Gedda) in Arabia Saudita, del tour mondiale della nave Amerigo Vespucci, che ha visto il celebre veliero della Marina Militare partire nel 2023, con la conclusione prevista nel prossimo mese di giugno, la ministra per le Disabilità Locatelli interverrà il 29 gennaio all’evento denominato Italia e Inclusione: la persona al centro al cui panel, moderato da Serafino Corti, coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, interverranno Carlo Baldocci, ambasciatore d’Italia a Riad; Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa; Vincenzo Falabella, presidente della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro); Nazaro Pagano, presidente della FAND (Federazione Italiana delle Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità).
Parteciperanno inoltre, per la Cooperativa spezzina Luna Blu, il presidente Alberto Brunetti e Pietro Benelli; Davide Zubani, presidente dell’Associazione Si può fare; Katia Mignogna (presidente), Cristian Vida (amministratore), Marco Calderone e Gabriella Tavasani per la Cooperativa friulana Arte e Libro; Matteo Parsani, professore associato di Matematica presso l’Università KAUST di Jeddah; Andrea Stella, presidente della Fondazione Lo Spirito di Stella e ideatore dell’omonimo catamarano accessibile che sta effettuando il tour mondiale insieme all’Amerigo Vespucci.

«Abbiamo inserito il tema dell’inclusione e della disabilità tra gli argomenti trattati nel corso delle tappe che l’Amerigo Vespucci sta facendo intorno al mondo – ha spiegato Locatelli -, e lavoreremo con impegno per migliorare lo scambio delle buone pratiche tra i Paesi, il mondo del Terzo Settore e il mondo privato, certi che l’Italia possa portare all’attenzione un modello in grado di mettere al centro la persona e di valorizzarne i talenti e le competenze». (S.B.)

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A proposito di istituzionalizzazione e di “violenza addizionale”

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Prendendo spunto da un recente caso di cronaca accaduto in una casa di riposo a Latera (Viterbo), dove alcune persone anziane hanno subito maltrattamenti e si è verificato un episodio di violenza sessuale ai danni di una delle ospiti, Simona Lancione propone una riflessione sulla prevenzione dell’istituzionalizzazione, che è essa stessa una forma di violenza, e delle altre forme di violenza che si possono concretizzare all’interno di strutture che ospitano persone anziane e/o con disabilità (Fonte: Pexels)

Anziani legati, insultati e senza cibo. Le frasi choc degli infermieri di una RSA nel viterbese, titolava così, il 22 gennaio scorso, l’Agenzia AGI (il testo, a firma di Edoardo Izzo, è fruibile a questo link), e si tratta solo dell’ultimo di una serie infinita di vicende che mostrano l’orrore che l’istituzionalizzazione è capace di produrre.
Nel testo si parla di maltrattamenti e di un episodio di violenza sessuale ai danni di una ospite all’interno di una casa di riposo per persone anziane a Latera, in provincia di Viterbo, mentre ulteriori elementi – situazioni di malnutrizione, somministrazione di farmaci ansiolitici e frequenti episodi di contenzione fisica – sono al vaglio degli inquirenti. «L’indagine, iniziata nella primavera del 2024, è partita dalle confidenze di alcuni ex operatori della struttura, i quali si sono rivolti alla stazione [dei] carabinieri di Capodimonte raccontando una serie di abusi perpetrati ai danni degli anziani a opera di loro colleghi – riferisce Izzo –. Sotto il coordinamento del procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma, e con la direzione del PM, Flavio Serracchiani, sono state installate telecamere all’interno della struttura e disposte intercettazioni ambientali. Dagli accertamenti, spiega una nota delle Forze dell’Ordine, è emerso “un quadro allarmante, preoccupante, pericoloso, contrassegnato da una gestione inumana dell’anziano, soggetto notoriamente vulnerabile, esposto ad attacchi gravemente lesivi del suo equilibrio psicofisico, già compromesso dall’età e dal naturale decadimento fisico e cognitivo”» (la formattazione riportata nel testo non corrisponde a quella originale).
La vicenda ha portato a disporre tre ordinanze di custodia cautelare in carcere e tre ordinanze di sospensione dall’esercizio delle funzioni per sei operatori socio-sanitari della struttura accusati di maltrattamenti e violenza sessuale.

Le dinamiche illustrate sono tristemente simili a quelle che si riscontrano in altre vicende che la cronaca ci restituisce con una certa frequenza, pertanto, più che soffermarsi sui dettagli di questa bruttissima storia, potrebbe risultare utile riflettere sulla prevenzione dell’istituzionalizzazione e delle altre forme di violenza che si possono concretizzare all’interno delle strutture che ospitano persone anziane e/o con disabilità.
L’istituzionalizzazione, con le sue modalità segreganti, costituisce di per sé una forma di violenza nei confronti delle persone con disabilità di qualunque età. Essa è incompatibile con il complesso delle norme nazionali e internazionali del diritto antidiscriminatorio, al cui interno figura anche, tra le altre, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/09). Che si tratti di una forma di violenza lo ha ribadito, nel settembre 2022, anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organo preposto a monitorare l’applicazione della Convenzione, nelle sue Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza” (disponibili, in lingua italiana, a questo link; a tal proposito si segnala anche l’approfondimento pubblicato su queste stesse pagine).
Dunque la prima risposta da mettere in campo, oltre a quella di predisporre un piano di deistituzionalizzazione per le persone che attualmente vivono in istituti variamente denominati, dovrebbe essere quella di vietare che ulteriori persone vengano istituzionalizzate. In merito a quest’ultimo aspetto va rilevato che, sebbene l’Italia stia predisponendo misure atte a tale scopo – si pensi, ad esempio, alle disposizioni sull’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato previste dal Decreto Legislativo 62/24 –, il nostro welfare ha ancora un’impostazione prevalentemente familistica e quando, per diversi motivi, la famiglia o il/la caregiver non ci sono o non sono (più) in grado di prestare assistenza alla persona che ne ha necessità, la risposta pubblica continua ad essere segregante.
È quanto emerge anche da una recente intervista rilasciata da Ciro Tarantino, professore di Sociologia del Diritto presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nonché curatore dell’opera collettiva Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione (il Mulino, 2024, liberamente fruibile online a questo link, mentre a quest’altro link è disponibile una sua presentazione).
In Che cosa giustifica ancora il “soggiorno obbligato” delle persone con disabilità? –  questo il titolo dell’intervista curata da Carmela Cioffi per il presente giornale (disponibile a questo link), Tarantino, tra le altre cose, fa riferimento ad alcune «ambiguità che il Decreto Legislativo 62/2024 lascia proprio in tema di libertà personale e di prevenzione e contrasto dell’istituzionalizzazione», ed aggiunge un’ulteriore considerazione: «Il problema è che non mi pare che il mondo dell’associazionismo – nel suo complesso e con le dovute eccezioni – in questo momento dimostri una specifica sensibilità per queste tematiche. Mi sembra, piuttosto, che siamo in un momento in cui il tema viene silenziosamente rimosso dall’agenda politica, senza la forza e il coraggio di esplicitare le ragioni di questo accantonamento subdolo».

Se dunque in Italia si fa ancora ricorso all’istituzionalizzazione, oltre a chiedere all’associazionismo e alle Istituzioni che il tema venga urgentemente reinserito nell’agenda politica, si pone anche il problema di prevenire le forme di violenza addizionale, quelle che vanno a sommarsi alla segregazione e che sono state riscontrate anche nella casa di riposo di Latera.
Alcuni degli elementi che rendono possibili queste violenze addizionali sono rappresentati dal fatto che talvolta alle persone ospitate nelle strutture non è data la possibilità di comunicare con l’esterno, e che, davanti agli episodi di violenza, gli operatori o le operatrici tendono ad essere conniventi. Non è un caso che anche l’indagine di Latera abbia presso avvio dalle «confidenze di alcuni ex operatori», la qual cosa sembra indicare che finché hanno lavorato nella struttura costoro non hanno intrapreso azioni di contrasto alla violenza (sia nel senso di intervenire personalmente, sia nel senso di rivolgersi alle Forze dell’Ordine).
Dunque, per rimuovere questi ostacoli, sarebbe opportuno che, oltre all’attività di vigilanza attribuita all’Autorità Garante Nazionale dei diritti delle persone con disabilità, recentemente istituita, venisse disposto a livello normativo che non possano essere limitati o impediti alla persona con disabilità ospitata in una struttura il diritto di ricevere visite negli orari stabiliti, né le comunicazioni con l’esterno, né le verifiche da parte di Associazioni di persone con disabilità o comunque impegnate nella promozione e tutela dei diritti umani. Mentre per contrastare gli atteggiamenti di connivenza sarebbe opportuno prevedere interventi formativi obbligatori rivolti a tutto il personale di dette strutture sui temi della prevenzione e del contrasto alla violenza, con particolare attenzione al genere (ciò perché tutta la letteratura scientifica disponibile mostra che le donne sono più esposte alla violenza rispetto agli uomini).

C’è poi un ulteriore aspetto degno di attenzione. Poiché questi episodi di violenza addizionale non di rado vengono documentati attraverso la disposizione di intercettazioni ambientali e l’installazione di telecamere all’interno delle strutture (come abbiamo visto anche nel caso in esame), vi è chi ritiene che tali dotazioni debbano essere disposte in modo permanente a scopo preventivo.
In merito a questo aspetto possiamo osservare che mentre disporre tali misure in presenza di elementi oggettivi che configurano indizi di reato rientra nell’àmbito di uno Stato di diritto, la possibilità di disporle anche in assenza di indizi di reato si configurerebbe come un intervento arbitrario. Detto in modo più chiaro, a parere di chi scrive, questa proposta presenta delle criticità sia sotto un profilo giuridico, sia su un versante che potremmo definire di razionalità rispetto allo scopo.
Poiché il tema è molto ampio, in questo spazio evidenziamo brevemente solo alcuni aspetti che appaiono più rilevanti.
Sotto il profilo giuridico, disporre intercettazioni ambientali e sistemi di videosorveglianza permanenti esproprierebbe la persona con disabilità ospitata in una struttura della possibilità di decidere in autonomia se vuole o meno limitare o rinunciare alla propria privacy, la qual cosa contrasta con il principio di autodeterminazione, che costituisce uno dei pilastri portanti della citata Convenzione ONU, e con l’articolo 22 (Rispetto della vita privata) della stessa.
Va poi osservato che se la misura non è stata scelta dalla stessa persona con disabilità che vi è sottoposta, ma è stata introdotta attraverso un automatismo che agisce anche in assenza di indizi di reato, si sta operando con modalità sostitutive della persona, adottando un atteggiamento paternalistico verso la stessa, la qual cosa è vietata dall’articolo 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della Convenzione ONU.
A ciò si aggiunga che la misura proposta allo scopo di sorvegliare il personale delle strutture avrebbe un impatto sproporzionato sulla persona che vi risiede, giacché il personale dovrebbe rinunciare alla propria privacy “solo” nel contesto lavorativo (ma non al di fuori di esso), mentre la persona con disabilità vi dovrebbe rinunciare in modo continuativo (giorno e notte).
Possiamo inoltre supporre che ulteriori osservazioni potrebbero essere fatte anche sotto il profilo della tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, ma è difficile comprendere in che termini tali aspetti siano stati trattati.

E tuttavia, prima di chiederci se questa proposta sia compatibile con le norme del nostro ordinamento giuridico, forse dovremmo chiederci se essa sia razionale rispetto allo scopo, ossia se sia idonea a raggiungere l’obiettivo di prevenire la violenza addizionale. Le domande sono: siamo sicuri/e che trattare con diffidenza anche gli operatori e le operatrici che non hanno mai agito violenza aiuti a prevenirla, e che da tale atteggiamento non possa invece scaturire un clima di sospetto e risentimento generalizzato con ricadute deleterie sulla qualità del lavoro, e dunque sull’assistenza prestata persone ospitate nelle strutture? Non sarebbe più razionale rispetto allo scopo intervenire con percorsi educativi volti a coinvolgere il personale in attività di contrasto alla violenza?
Le vicende di cronaca relative ad episodi di violenza come quelli riferiti dall’AGI suscitano nell’opinione pubblica emozioni di dolore, tristezza, paura e rabbia. Contrariamente a quanto molti pensano, se queste emozioni sono vissute con consapevolezza non possono considerarsi “negative” poiché assolvono alla funzione di spingere le persone all’attivazione. Soprattutto la rabbia, che solitamente scaturisce dalla percezione di una situazione di ingiustizia, è un grado di sprigionare una forte energia. Il problema è che questa energia andrebbe canalizzata perché se indirizzata indistintamente verso chiunque rivesta un determinato ruolo o possieda una determinata caratteristica (ad esempio, tutto il personale di qualunque struttura, nel caso della vicenda citata in questo testo, ma anche tutti gli uomini, nei casi di femminicidio), ciò non solo non aiuterebbe a prevenire la violenza, ma, criminalizzando un intero gruppo di soggetti, finirebbe per creare conflitti anche dove potrebbero esserci alleanze.
Le reazioni lucide e responsabili di Gino ed Elena Cecchettin, rispettivamente padre e sorella di Giulia Cecchettin, al barbaro femminicidio di quest’ultima, avvenuto nel Padovano l’11 novembre 2023, quando Giulia aveva solo 22 anni, per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, mostrano in modo esemplare come, anche davanti a vicende di violenza particolarmente efferata, le energie emotive possano essere orientate verso la non-violenza.
Non si tratta, ovviamente, di essere tolleranti – ci mancherebbe –: se ricorrono i presupposti, le autorità inquirenti devono avere le mani libere per agire celermente con tutti gli strumenti a disposizione, e chi commette crimini così ripugnanti va adeguatamente punito. Dobbiamo anzi batterci con più convinzione perché quando le persone ospitate nelle strutture riferiscono episodi di violenza vengano disposte tutte le verifiche del caso. Lo sottolineiamo perché abbiamo seguito una vicenda in cui una donna con disabilità psicosociale ha dichiarato di aver subìto violenze sessuali da parte di due altri ospiti delle strutture in cui ha soggiornato, ma le sue dichiarazioni sono state completamente ignorate: si tratta di un fatto gravissimo. Ma posto questo, chiunque abbia avuto modo di occuparsi di contrasto alla violenza [da oltre dieci anni il Centro Informare un’h, di cui l’Autrice del presente contributo è responsabile, è particolarmente attivo nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità: a tal proposito si veda l’apposita sezione tematica, N.d.R.], può confermare che il primo e più efficace strumento di prevenzione è l’intervento educativo finalizzato all’accrescimento della conoscenza e della consapevolezza del fenomeno, nonché alla costruzione di contesti di fiducia e relazioni autentiche. 

*Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo di riflessione è già apparso e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, insieme alla medesima immagine ivi utilizzata, per gentile concessione.

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“L’emozione ha una voce”: quella di Mario Loreti

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Speaker cieco che ha prestato per professione e continua a prestare la voce per tante pubblicità, spot e audiodescrizioni filmiche, Mario Loreti si dice onorato ed emozionato per la grande opportunità che sta vivendo: quella di avere voce in capitolo su un prodotto destinato alle persone con disabilità visiva e quindi anche a lui. E recentemente ha anche vinto il “Premio Speciale Accessibilità” per il Festival del Doppiaggio “Voci nell’Ombra”

Only when it is dark enough can you see the stars
(Solo quando è abbastanza buio puoi vedere le stelle)
Martin Luther King

Mario Loreti

Ciascuno di noi, se guarda indietro nella propria esistenza, può individuare degli incontri o “chiacchierate” che più di altri gli hanno lasciato un segno indelebile nella memoria, per la loro carica di specialità e ispirazione. Oggi vorrei qui raccontare dell’ultima in ordine di tempo che ho vissuto io e che credo ispirerà anche voi.
Ho avuto il piacere di intervistare Mario Loreti, speaker cieco che ha prestato e continua a prestare la voce per tante pubblicità, spot e audiodescrizioni filmiche. Un’informale chiacchierata nella quale darsi del tu è stato naturale, soprattutto per l’ironia e la modestia che lo contraddistinguono. Insieme, abbiamo ripercorso la sua carriera lavorativa finora: com’è cominciata, come sta andando e come promette di andare nell’incertezza del futuro.

Lo speaker radiofonico, pubblicitario o di audiodescrizioni non è esattamente il primo mestiere che potrebbe saltare in mente a un bambino. Infatti, alla domanda «Che cosa volevi fare da grande?», Mario non riusciva a individuare qualcosa nello specifico, se non la sua grande passione per l’aviazione, che ancora lo accompagna. Rispondeva dunque che forse sarebbe diventato pilota, progetto che – mi ha raccontato con ironia – ha dovuto scartare per l’incolumità sua e dei passeggeri.
L’illuminazione vera e propria è arrivata con un Canta Tu, un regalo del padre. Un bel giorno, in vacanza al mare, gli disse che con un apposito cursore avrebbe potuto abbassare la musica e parlarci sopra come si fa alla radio. Da lì, l’idea di augurare un buon compleanno alla sorella, ai microfoni di Radio In 101. La spigliatezza di un Mario undicenne non passò inosservata agli occhi e alle orecchie del conduttore radiofonico, che così gli affidò un programma per bambini al telefono: tra i piccoli telespettatori, Mario non sapeva che c’era anche la sua futura ragazza.
La passione sfrenata per la radio si deve anche a un microfono per cantare, regalatogli dalla nonna: lui lo usò invece per registrare pubblicità e spianarsi la strada allo speakeraggio.
Tra le doti che lo hanno aiutato Mario Loreti nel suo percorso, c’è anche l’orecchio assoluto, ossia quella rara capacità di identificare note e frequenze all’istante – permettendogli di fatto di equalizzare in tempo reale e risolvere quei piccoli problemi di suono che potrebbero verificarsi in una sessione di registrazione.

Nel 2005 comincia ufficialmente il suo percorso professionale, con la fondazione di Radio Web Stereo. Dopo alcuni anni di esperienza e collaborazione con vari colleghi, uno di questi gli suggerì di presentarsi ad alcuni provini. Come accade spesso in questi casi, i primi non andarono a segno, ma poi il talento è stato premiato, la fortuna è arrivata e con essa anche il primo spot: fu per pubblicizzare un corso di conduzione radiofonica in Puglia. Così, un’assegnazione dopo l’altra, la carriera di Mario Loreti è decollata senza dover neanche mettere mano alla cloche di un aereo.

Ma veniamo alla parte più tecnica e – a mio avviso – affascinante della sua realtà professionale: come lavora “tecnicamente” uno speaker che non ci vede? Come “legge” le battute da recitare? Di fatto, non lo fa. Quando lavora da casa, si avvale di un piccolo studio, avendo investito le sue prime entrate in una strumentazione di qualità: una cabina insonorizzata con pannelli fonoassorbenti (che impediscono alla voce di infrangersi sulle pareti), un processore audio, un mixer, un microfono, un computer super silenzioso e una scheda audio che permetta di registrare con una qualità pari a quella degli studi tradizionali. L’insieme di questi strumenti, grazie all’uso di una sintesi vocale che legge lentamente il testo restando indietro di una frase rispetto a lui, gli permette di avere il tempo di comprendere il contesto e recitare con la giusta intonazione. Nel caso delle audiodescrizioni il copione contiene anche l’ultima parola del dialogo del film, per far comprendere a Mario il punto dopo il quale inserirsi con la voce.

La premiazione di Mario Loreti al recente Festival del Doppiaggio “Voci nell’Ombra”

Il metodo è applicabile ovviamente anche negli studi di doppiaggio: Mario ci ha tenuto infatti a sottolinearmi il grande privilegio che è lavorare in gruppo, in uno studio di registrazione, in sinergia con il direttore e i fonici di doppiaggio e mix. Lavorare da casa snellirà i tempi e le figure richieste, dal momento che sarà lo speaker a “dirigersi”, “registrarsi” e “missarsi”, ma la relazione umana, come sempre, è il valore aggiunto che rende un’esperienza degna di essere vissuta.
E abbiamo parlato tanto di umanità come valore aggiunto anche quando ho dovuto, ahimè, chiedergli se pensa e teme che un giorno l’intelligenza artificiale riuscirà davvero a erodere figure professionali. «Fermarla è impossibile – dice -, ma quanto riuscirà a erodere figure professionali dipenderà sicuramente dall’uomo». Non teme dunque particolarmente le potenzialità di questa invenzione che certamente può far paura, ma che rimane pur sempre uno strumento basato su un calcolo probabilistico, fatto di dati che gli forniamo. Oltretutto, lo scarto con la voce, l’intenzionalità e l’emotività umana rimarranno sempre e ben presenti. Ciò che, malauguratamente, potrebbe davvero portarci alla fine, sarebbe un eventuale passo indietro nella sensibilità dell’uomo: se tra dieci o vent’anni, l’orecchio umano si sarà abituato a intonazioni asettiche e avrà messo da parte il gusto, allora sarà davvero ora di dire addio alla qualità e all’audiodescrizione come forma d’arte. Diventerà l’ennesima sintesi vocale che tedierà i fruitori ciechi e ipovedenti nella loro routine, e a quel punto anche l’arte sarà morta.

Abbiamo terminato la chiacchierata parlando di un bel traguardo: la consegna del Premio Speciale Accessibilità per il Festival del Doppiaggio Voci nell’Ombra, lo scorso 1° dicembre, per aver prestato la voce al testo di Laura Giordani dell’audiodescrizione del film Netflix Sei nell’anima (2024), che ci fa scoprire l’incredibile esperienza di vita della regina del rock italiano, Gianna Nannini [di tale audiodescrizione ha scritto già ampiamente, sulle nostre pagine, Laura Giordani, a questo link, N.d.R.].
Nel ricordare la consegna di questo importante riconoscimento, Mario Loreti ha raccontato di avere vissuto emozioni contrastanti. In sala, mentre speakerava l’audiodescrizione, era convinto di star facendo il peggior turno della sua vita in termini di qualità professionale: la sera prima non era stato bene e aveva anche preso in considerazione l’idea di assentarsi. A posteriori, scoprire che quella lavorazione gli è valsa un premio così prestigioso l’ha riempito di gioia e soddisfazione, soprattutto per i complimenti ricevuti a proposito dell’emotività con cui alcune clip sono state recitate.

Mario Loreti, che speakera audiodescrizioni filmiche per professione da relativamente poco tempo, si dice onorato ed emozionato per la grande opportunità che sta vivendo: quella di avere voce in capitolo su un prodotto destinato anche a lui. Ringrazia di cuore quanti, nel settore del doppiaggio e dell’accessibilità, gli stanno offrendo l’occasione di lavorare su questo e altri progetti perché, collaborando con gli addetti ai lavori, è fiero di poter apportare con la sua sensibilità e la sua esperienza di vita quel plus che impreziosisce l’audiodescrizione – che è prima di tutto un ausilio per persone con disabilità visiva.
Solo la risorsa umana può lasciare davvero il segno, perché conosce e capisce ciò che è richiesto in un determinato settore, apportando il proprio valore aggiunto. Mario è la prova vivente che se si insiste con passione, intelligenza e cuore, ognuno può raggiungere i propri sogni: è una testimonianza di ispirazione per tutti noi. È anche grazie alla sua voce se oggi migliaia di fruitori possono apprezzare opere audiovisive nella loro interezza e impreziosite da quel che di più umano e prezioso abbiamo: l’emozione.
Adriano Celentano cantava che “l’emozione non ha voce”: ascoltando quella di Mario Loreti potrebbe ricredersi. Fatelo anche voi!

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Domenico e tanti altri: storie di sci senza barriere

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Domenico è un diciassettenne campano che desidera sciare, pur avendo la spina bifida e muovendosi in carrozzina. Da alcuni anni, riesce a realizzare questo suo desiderio, insieme a molte altre persone con disabilità, frequentando l’Associazione Freerider Sport Events, specializzata proprio nell’insegnamento dello sci a chi ha una disabilità Con il monosci sulle piste, grazie a Freerider Sport Events

Anche se le feste sono ormai un ricordo, vorrei raccontare una storia che rievoca la magia del Natale. Torniamo per qualche istante agli inizi di dicembre. Domenico è un ragazzo campano di 17 anni e, come molti suoi coetanei, aspetta la neve sulle montagne per poter andare a sciare.
Per lui un regalo “speciale”, perché, nonostante abbia la spina bifida, Domenico desidera sciare. Da alcuni anni, il ragazzo riesce a realizzare questo suo desiderio, malgrado le sue limitazioni fisiche, frequentando la Freerider Sport Events, Associazione specializzata nell’insegnamento dello sci ai giovani con disabilità. Anche quest’anno il sogno di Domenico si è avverato: ai primi di gennaio, con la mamma, dopo un lungo e non semplice viaggio, ha raggiunto gli amici della Freerider Sport Events, per fare insieme con loro le piste di Sestola, località sciistica del Modenese.

Scopo di Freerider Sport Events è proprio esaudire i sogni dei bambini e dei giovani, ispirandosi a un motto del romanziere Marcel Proust: «Se sognare un po’ è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno, ma sognare di più, sognare tutto il tempo». L’Associazione riesce a portare avanti questa sua particolare missione, grazie anche alla collaborazione con l’ASBI (Associazione Spina Bifida Italia), iniziata anni fa, con la quale organizza dei camp, sia invernali, sia estivi, all’insegna dello sport. Lo stesso Domenico ne è un frequentatore.
Nicola Busata, direttore tecnico dell’Associazione, racconta che Freerider Sport Events nasce dal desiderio, o meglio da una sfida, di un gruppo di amici di permettere a un carissimo amico rimasto in sedia a rotelle in seguito a un incidente di tornare a sciare. Questa forte motivazione progressivamente si è trasformata in una vera missione: insegnare ai bambini, anche a quelli che pensano di non poter scivolare sulla neve, di trovare il loro equilibrio, seduti su monosci e guidati da maestri e volontari esperti. «Questa esperienza per i più piccoli è più di un corso di sci – dice Busata –: è un’occasione nella quale poter riscoprire la propria autonomia, imparare a fidarsi degli altri, ma soprattutto di se stessi. Ogni passo che compiono sulla neve è il risultato di un lavoro paziente di tecnologie che si evolvono continuamente, sperimentando soluzioni sempre più semplici».

La stagione in corso è la loro diciannovesima, inaugurata in dicembre a Madonna di Campiglio (Trento), evento che ha avuto come madrina la ministra per le Disabilità Locatelli, in collegamento da Roma; nella stessa sede, inoltre, si è tenuto un Technical Meeting, ossia un corso per l’insegnamento sia dello sci da in piedi, sia da seduto.
La prima uscita è stata appunto quella di Sestola, che si è tenuta dal 4 al 6 gennaio, cui hanno partecipato Domenico e altri 16 bambini/ragazzi dell’ASBI. Il successivo appuntamento è stato sull’Abetone (Pistoia) dal 17 al 19 gennaio e i prossimi a Folgaria (Trento) dal 3 al 9 febbraio, a Roccaraso (l’Aquila) dal 13 al 15 febbraio, a Bormio (Sondrio) dal 14 al 16 marzo, a Canazei dal 21 al 23 marzo, a Madonna di Campiglio dal 28 al 30 marzo e in Alta Badia (Bolzano) dal 4 al 6 aprile.

*Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Domenico e lo sci senza barriere di Freerider”, e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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L’esperienza di Bibione dimostra che l’accessibilità è il futuro del turismo

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L’accessibilità non è solo un dovere sociale, ma una leva di sviluppo economico che migliora la competitività e rafforza l’immagine di una destinazione aperta a tutti: lo dimostra l’esempio di Bibione, con l’adesione al progetto “Destination4All”, percorso messo a punto da Village for all (V4A®), la nota rete impegnata sul tema dell’ospitalità accessibile Uno scorcio del litorale di Bibione

Bibione, nella Città Metropolitana di Venezia, si conferma la prima destinazione turistica accessibile d’Italia: lo certificano i numeri della Guida digitale accessibile all’ospitalità, che Village for all (V4A®) la nota rete specializzata in ospitalità accessibile, realizza ogni anno per illustrare tutta l’offerta e le esperienze della località.

L’adesione della nota località balneare veneta al progetto Destination4All, percorso messo a punto da Village for all, dimostra come l’accessibilità non è solo un atto di inclusione, ma una scelta strategica che porta benefìci concreti all’intera località. Nel 2024, l’investimento di Bibione in un’offerta di ospitalità accessibile ha determinato infatti un significativo incremento dei ricavi e un’estensione della stagione balneare, grazie alla crescente domanda da parte dei viaggiatori con disabilità e dei loro accompagnatori.

Secondo i dati di Destination4All, 287 euro a notte è la media dell’investimento per il pernottamento, con le strutture ricettive che registrano il maggior numero di prenotazioni durante i mesi tradizionalmente meno affollati di giugno e settembre. Insieme a maggio, questi periodi risultano i più interessanti anche per volume di spesa da parte degli ospiti. In deciso incremento anche le richieste di postazioni spiaggia accessibili che nel 2024 hanno rappresentato il 12,8%. Oltre 5.000 quelle vendute nella passata stagione, per un totale di 648 presenze, di cui il 91% proveniente dai mesi di luglio e agosto.

Dal 2018, del resto, Bibione ha avviato un percorso volto a rendere accessibile l’intera offerta turistica, coinvolgendo strutture ricettive, infrastrutture, trasporti, servizi ed esperienze. Dallo scorso anno, quindi, Village for all ha istituito un Osservatorio dell’Ospitalità Accessibile, in collaborazione con Bibione Live, il Consorzio di promozione turistica della loocalità balneare, per monitorare l’andamento del progetto Destination4All e coinvolgere tutte le aziende partecipanti.
Roberto Vitali, co-fondatore e amministratore delegato di Village for all, afferma: «Il progetto Destination4All dimostra che l’accessibilità non è solo un diritto, ma una strategia vincente per le destinazioni turistiche. Siamo orgogliosi di collaborare con Bibione per sviluppare un modello replicabile in altre località lungimiranti, come Peccioli (Pisa) e Cortina d’Ampezzo (Belluno), portando benefìci concreti sia agli operatori che ai visitatori. L’accessibilità è il futuro del turismo». (C.C.)

Per ulteriori informazioni: Village4All (info@villageforall.net).

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Un percorso formativo gratuito per l’assistenza a persone con malattie neuromuscolari

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Tra le varie attività del progetto “Match Point”, iniziativa finanziata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e promossa dalla Direzione Nazionale UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), dall’Associazione Parent Project e dalle Sezioni UILDM di Bologna, Milano e Pisa, vi è anche un percorso formativo gratuito rivolto a OSS (Operatori Socio Sanitari), ASA (Ausiliari Socio-Assistenziali) e ad altri operatori del mondo socio-assistenziale

Tra le varie attività del progetto Match Point – iniziativa di cui ci siamo già ampiamente occupati in più occasioni lo scorso anno, finanziata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e promossa dalla Direzione Nazionale UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), dall’Associazione Parent Project e dalle Sezioni UILDM di Bologna, Milano e Pisa – vi è anche un percorso formativo gratuito rivolto a OSS (Operatori Socio Sanitari), ASA (Ausiliari Socio-Assistenziali) e ad altri operatori del mondo socio-assistenziale (OSSS-Operatori Socio Sanitari Specializzati o complementari, OTA-Operatori Tecnici addetti all’Assistenza, OSA-Operatori Socio Assistenziali ecc).
Tale formazione consentirà ai partecipanti di acquisire competenze specifiche nella gestione e nell’assistenza delle persone con malattie neuromuscolari. (S.B.)

A questo link sono disponibili tutte le informazioni utili per iscriversi al corso. Per altre informazioni: uildmcomunicazione@uildm.it.

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Umanizzazione delle cure: la risonanza magnetica come un viaggio a bordo di un sottomarino

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Inaugurata all’Istituto Scientifico Eugenio Medea-La Nostra Famiglia di Bosisio Parini (Lecco), grazie ad alcune donazioni, l’opera “Un tuffo nel blu”, creata dall’artista Silvio Irilli, promotore del progetto “Ospedali dipinti”, ha consentito di trasformare gli ambienti dedicati alla risonanza magnetica in un vero “mondo da favola”, permettendo ai piccoli pazienti e alle loro famiglie di affrontare quel tipo di esame come una sorta di viaggio verso un mondo incantato a bordo di un sottomarino Una parte della sala dedicata alla risonanza magnetica, all’Istituto Medea-La Nostra Famiglia di Bosisio Parini (Lecco), con la creazione dell’artista Silvio Irilli

Inaugurata in questi giorni all’Istituto Scientifico Eugenio Medea-La Nostra Famiglia di Bosisio Parini (Lecco), grazie alle donazioni di Smurfit Westrock Foundation, Associazione Eva Maria e dell’ILGA (Italian Ladies Golf Association), l’opera Un tuffo nel blu, creata dall’artista Silvio Irilli – che da tredici anni, con il progetto Ospedali dipinti, veste di colori e sorrisi i reparti, soprattutto di pediatria degli ospedali italiani ha consentito di trasformare gli ambienti dedicati alla risonanza magnetica in un vero “mondo da favola”, permettendo ai piccoli pazienti e alle loro famiglie di affrontare quel tipo di esame come una sorta di viaggio verso un mondo incantato a bordo di un sottomarino.
«Si tratta – dicono dal Medea-La Nostra Famiglia – di un ulteriore importante tassello di quel percorso di umanizzazione delle cure che passa anche attraverso la bellezza degli spazi, in linea con la nostra missione, essere cioè dalla parte del bambino, sempre e in tutto».
«La sensazione – spiega Silvio Irilli – è quella di tante vetrate che affacciano sui fondali marini e un aspetto che ho voluto valorizzare riguarda la sala di ambulatorio, dove i bambini vengono preparati prima della risonanza. Quando saranno sdraiati sul lettino, durante la preparazione per l’esame o al risveglio dalla anestesia, potranno ammirare sul soffitto e sulle pareti circostanti delfini e tartarughe, nuovi amici che li accompagneranno e incoraggeranno in un viaggio coinvolgente e immersivo».

«I nuovi ambienti – aggiungono dal Medea-La Nostra Famiglia – aiuteranno i bambini a vincere le paure e a sognare, anche durante l’esame. La risonanza magnetica è infatti uno strumento fondamentale per la valutazione del sistema nervoso centrale, cioè del cervello e del midollo spinale, ma sottoporsi ad un esame di risonanza è un’esperienza che può essere fonte di stress e preoccupazione, a causa della necessità di stare fermi per un periodo talvolta lungo in uno spazio ridotto. A maggior ragione se i pazienti sono bambini o bambine con malattie neurologiche.
«Ogni anno – ricorda Nivedita Agarwal, responsabile dell’Unità Operativa di Neuroradiologia del Medea – sono quasi 600 i bambini che afferiscono al nostro servizio. Si tratta di bambini con malattie complesse, come le paralisi cerebrali infantili, i danni da grave prematurità, le malattie rare genetiche, i traumi cranici, i tumori cerebrali, le dislessie, il ritardo psicomotorio e l’autismo. Ebbene, per tutti loro volevamo rendere meno problematico o addirittura piacevole l’esame e per questo ci siamo rivolti ad Ospedali Dipinti. L’opera di Silvio Irilli e la generosità dei donatori regaleranno stupore e meraviglia: per i bambini non c’è dono più bello».

Per migliorare inoltre l’esperienza sensoriale, in sala anestesia ci saranno anche i suoni dei fondali marini e al termine dell’esame tutte le bambine e i bambini riceveranno il “Certificato di coraggio e merito”, con il logo di Capitan Delfino, personaggio creato da Irilli. «Avere assistito alla risonanza magnetica di un bambino – commenta l’artista – e vederlo uscire dalla sala con il sorriso e con la mamma che gli faceva le foto con i delfini è stato un momento molto toccante. Credo sia il più bel ringraziamento a coloro che hanno creduto in questo progetto di umanizzazione del reparto». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento, anche con le dichiarazioni dei rappresentanti dei donatori. Per altre informazioni: ufficio.stampa@lanostrafamiglia.it (Cristina Trombetti).

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Un grave lutto per noi tutti “credenti nell’inclusione scolastica”

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«Tra coloro ai quali gli alunni e gli studenti con disabilità debbono riconoscenza – scrive Salvatore Nocera -, vi è anche l’ispettrice Giovanna Cantoni, scomparsa nei giorni scorsi, per quelle norme che, nel rispetto della piena legalità non solo formale, hanno garantito a tutti loro di frequentare l’intero arco degli studi, pervenendo, ove possibile, pure al diploma di maturità e quindi anche alla laurea e ad inserimenti lavorativi che, altrimenti, sarebbero rimasti preclusi» Una foto di Giovanna Cantoni dei tempi in cui insegnava

Il 17 gennaio scorso, a ben oltre i novant’anni, ci ha lasciato l’ispettrice Giovanna Cantoni, professionista seriamente impegnata, fin dall’inizio, nel processo inclusivo italiano.
L’ho conosciuta al Ministero dell’Istruzione sin dai primi Anni Ottanta, quando ero docente “utilizzato” per occuparmi della normativa inclusiva e siamo subito divenuti amici. Faceva parte di quel meraviglioso drappello di ispettori del Ministero dell’Istruzione, come Aldo Zelioli, Laura Serpico Persico, Raffaele Iosa, Sergio Neri e Franco Fusca, per citare i più noti che in dialogo con Andrea Canevaro e con il mondo della scuola, incanalarono entro binari pedagogico-didattici il tumultuoso movimento del Sessantotto, mirante alla deistituzionalizzazione degli studenti e delle studentesse con disabilità e al loro “inserimento” nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado. L’ispettore Iosa, pur essendo in pensione, continua fortunatamente ad operare ancora oggi, quando richiesto, mantenendo lo spirito entusiastico che ci accomunò tutti allora.
L’ispettrice Cantoni partecipò alla formulazione del famoso “Documento Falcucci” del 1975, del quale quest’anno celebriamo il cinquantesimo anniversario, che diede l’imprinting pedagogico-didattico e giuridico a quel inarrestabile movimento, allora chiamato “integrazione scolastica”, e che oggi, dopo la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, chiamiamo “inclusione”.
Fu quello un movimento veramente “popolare”, nel senso di un piccolo “popolo” iniziale di volontari (e non nel senso deteriore di “populista”), composto dalle famiglie, dalle loro associazioni, da docenti di scuola, dirigenti scolastici e docenti universitari, che crebbe faticosamente, ostacolato da mentalità tradizionaliste e reazionarie, da scetticismi e taluni errori, ma animato dalla conoscenza del valore della pedagogia, dal coraggio della sperimentazione e dal metodo del dialogo tra famiglie, docenti, mondo della cultura esterna anche alla scuola e delle forze politiche del Paese.

Come ho documentato nel mio libro Il diritto all’integrazione nella scuola dell’autonomia (Trento, Erickson, 2001),  la vampata improvvisa del Sessantotto poté accendere la fiaccola luminosa che ha posto le basi per un rinnovamento della scuola “di tutti”, grazie alla convergenza delle principali forze politico-culturali di allora e cioè la destra liberale, soprattutto rappresentata, in questo movimento, dai radicali capeggiati da Bruno Tescari, impegnatissimo docente con disabilità motoria, dal centro cristiano, rappresentato per tutti da quanti si riconoscevano in don Milani e dalla sinistra, rappresentata dal Movimento di Cooperazione Educativa e dalla CGIL Scuola; le stesse forze politiche e culturali che hanno dato vita alla nostra repubblica democratica fondata sulla nostra Costituzione.
L’ispettrice Cantoni, in quella temperie culturale, prese parte attiva alla promozione e alla raccolta di esperienze sulla base delle quali furono formulate molte norme confluite nella Legge 104/92 e negli atti applicativi che facilitarono l’immediata e corretta prima applicazione di essa. Infatti si deve anche a Cantoni la scrittura del comma 2 dell’articolo 16 di tale Legge, secondo il quale il Piano Educativo Individualizzato (PEI) degli alunni/alunne con disabilità di scuola media dovesse avere obiettivi ed essere formulato non sempre secondo le indicazioni nazionali ministeriali, ma bensì, talora, «sulla base delle effettive capacità» di alunni e alunne; conseguentemente per quelli e quelle che non riuscissero a raggiungere i livelli delle “indicazioni nazionali”, ma pervenissero solo agli obiettivi corrispondenti alle loro “effettive capacità” scatta egualmente il diritto al rilascio del diploma di licenza media (sto usando terminologie dell’epoca). Ciò consentì a tutti gli alunni e le alunne con disabilità di superare lo scoglio dell’esame di terza media, che altrimenti sarebbe stato per molti uno sbarramento insormontabile. E ciò fu fatto non per pietismo o lassismo docimologico, bensì per un intervento tecnico-amministrativo di un’ispettrice ministeriale rispettosa delle norme e del loro spirito. Infatti, nel 1987 la Corte Costituzionale aveva pronunciato la famosa Sentenza 215/87 con la quale affermava il diritto costituzionalmente ineliminabile degli alunni con disabilità di scuola media a «frequentare le scuole di ogni ordine e grado». E proprio alla luce dello spirito estensivo di tale Sentenza, l’ispettrice Cantoni, chiamata a collaborare dal Ministero dell’Istruzione anche dopo il suo pensionamento, formulò il contenuto dell’articolo 6, comma 1 del DPR 323/98, regolamento sugli esami di maturità, che definiva il concetto di “prove equipollenti” per gli studenti con disabilità che svolgono un “PEI per obiettivi minimi”. In sostanza esse consistono in modalità di svolgimento e pure in contenuti diversi da quelli delle prove ufficiali; però debbono comunque mettere chi valuta in condizione di verificare se lo studente conosce gli elementi basilari della disciplina, cioè intorno alla sufficienza. Questa definizione è decisamente meno generica di quella contenuta nelle più recenti norme del Decreto Legislativo 62/17, sulla valutazione degli alunni e studenti, e del Decreto Interministeriale 182/20 sui nuovi modelli di PEI.
Tutti gli alunni/alunne e studenti/studentesse con disabilità da allora in poi debbono quindi essere riconoscenti anche all’ispettrice Cantoni, per queste norme che, nel rispetto della piena legalità non solo formale, hanno garantito a tutti di frequentare l’intero arco degli studi, pervenendo, ove possibile, pure al diploma di maturità e quindi anche alla laurea e ad inserimenti lavorativi che, altrimenti, sarebbero rimasti preclusi.

Donna romagnola molto battagliera e determinata, Giovanna Cantoni era pure dotata di uno spiccato senso dell’umorismo. All’inizio degli inserimenti e poi dell’integrazione, dovette ripetutamente intervenire in classi nelle quali genitori degli alunni senza disabilità, abituati a non vedere alunni con disabilità, pretendevano che i loro figli non fossero messi nello stesso banco accanto a questi, temendo che potessero essere “contagiati” (sic!) da loro. Lei dovette pure intervenire in casi nei quali alunni con disabilità picchiavano docenti o compagni, e l’ispettrice, in dialogo con le famiglie e i medici curanti, riusciva a trovare delle soluzioni e a placare gli animi; e ci furono pure situazioni più complesse in cui dovette intervenire, quando ad esempio accadeva che qualche studente con disabilità si spogliasse improvvisamente in classe. Ci raccontava come una volta la sera tardi la chiamò un’amica docente, riferendole che una docente, piuttosto contraria all’inclusione, era trasecolata perché un suo studente con disabilità intellettiva o con disturbi del neurosviluppo si era spogliato totalmente in classe, e chiedeva perciò un’urgente visita ispettiva per la sua espulsione. L’ispettrice, senza scomporsi, le disse con un tono tra il serio e il faceto: «Se questa professoressa non ha mai visto uno così, questo è un nuovo apprendimento; se invece l’ha già visto altre volte, è un rinforzo apprenditivo!». E chiuse il telefono.
Certo, in quei primi anni si dovette lavorare molto anche a livello psicologico, per indurre molte famiglie a convincersi della positività della coeducazione tra compagni con e senza disabilità. E vi era, allora, un grande impegno ed entusiasmo che però è lentamente venuto affievolendosi, mano a mano che l’inclusione diveniva più generalizzata. Siamo così arrivati a questi ultimi anni del nuovo millennio, in cui si ha l’impressione che, con la cessazione della novità, pure l’entusiasmo e l’impegno, sia a livello politico che operativo, stiano scemando, divenendo in troppi casi una routine non sempre gradita. Si pensi al caso di circa 20.000 docenti di sostegno di ruolo all’anno che chiedono di passare su cattedra comune (e circa 10.000 riescono ad ottenere il trasferimento), determinando una permanente carenza di continuità didattica e un vuoto permanente nell’organico; per questo la FISH (già Federazione italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) sta elaborando una proposta di legge sull’istituzione di un’apposita cattedra di sostegno, molto contestata in taluni ambienti.
Si pensi poi come non vi siano proteste da parte delle Associazioni delle persone con disabilità per il fatto che l’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Scolastica del Ministero dell’Istruzione e del Merito, scaduto da maggio dello scorso anno, non sia stato immediatamente ricostituito e che dopo il Decreto di ricostituzione del 3 Settembre 2024, non si sia ad oggi ancora provveduto all’insediamento. Se cose del genere fossero accadute negli ultimi decenni del Novecento, vi sarebbero state numerose proteste anche vivaci. E dire che personalmente avevo maturato tante speranze con l’insediamento di questo Governo, destinato a durare finalmente per un’intera Legislatura, dopo l’inerzia o comunque i rallentamenti degli ultimi Governi di troppo breve durata. Anzi mi lasciò molto ben sperare il nuovo ministro Valditara che, appena insediato, volle incontrare i dirigenti nazionali delle due più importanti federazioni, FISH e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), assicurando una costante attenzione prioritaria ai problemi dell’inclusione tra tutti i grandi problemi della scuola. E di problemi insoluti ne abbiamo tantissimi:
° L’attuazione di quasi tutti gli articoli del Decreto Legislativo 66/17;
° il profilo giuridico e pure giustamente economico degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, per il cui profilo professionale nazionale è attualmente in discussione al Senato un testo unificato assai carente, per il quale la FISH ha predisposto alcuni importanti emendamenti (non mi pare ci sia nulla da dire, invece, sull’assistenza igienica, dal momento che sia gli articoli 3 e 7 del citato Decreto Legislativo 66/17, sia l’articolo 54 del recentissimo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Comparto Scuola attribuiscono in modo inequivoco tale compito ai collaboratori e alle collaboratrici scolastiche, confermando così una tradizione normativa pluridecennale);
° la necessità di importanti chiarimenti al funzionamento dei GLO (Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione) per la formulazione dei Piani Educativi Individualizzati;
° la formulazione di puntuali indicatori per valutare la qualità inclusiva realizzata nelle singole scuole e nelle singole classi;
° la stabilità e seria preparazione polivalente dei docenti di sostegno;
° gli organici delle Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM) delle ASL, attualmente prive di neuropsichiatri infantili (solo mille in tutta Italia!);
° la realistica attuazione dell’importantissimo Decreto Legislativo 62/24 sul progetto di vita indipendente, che senza l’operatività immediata delle Unità di Valutazione Multidisciplinare sarà destinato ad un insuccesso catastrofico; infatti, i Profili di Funzionamento, atti di esclusiva competenza delle stesse Unità di di Valutazione Multidisciplinare, sono necessariamente i presupposti per la formulazione dei progetti di vita personalizzati e partecipati. Pertanto è assolutamente indispensabile un incremento numerico degli operatori sanitari in tutte le ASL. specie di neuropsichiatri infantili, pena un fallimento, come detto, della normativa contenuta nel Decreto 62/24, con gravissima delusione e danni esistenziali oltre che materiali per le persone con disabilità.

Ovviamente questi e altri problemi sono di competenza di tutto il Governo e le Associazioni dovrebbero molto di più sostenere il Ministro nel premere sul Governo per la soluzione urgente delle questioni di propria competenza. Anche la Ministra per le Disabilità, essendo priva di portafoglio, non può da sola far valere i diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie, compito da sempre prevalente delle Associazioni. Eppure la stessa ministra Locatelli ha realizzato molte iniziative e soprattutto ha attivato il proprio Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, che in meno di un anno ha prodotto i materiali per il Programma governativo di azione triennale, previsto dalla Convenzione ONU, sui diritti delle persone con disabilità.

Invero fa ben sperare l’impegno ufficiale preso nei giorni scorsi dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini nell’accogliere il pressante e urgente appello dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia) e della FISH circa la svista contenuta nel modificare l’articolo 187 del Codice della Strada, relativamente al divieto assoluto alla guida della propria auto da parte delle persone con disabilità costrette ad assumere psicofarmaci con prescrizione medica per ineliminabili necessità terapeutiche. E fa pure sperare lo storico impegno che la FISH ha sempre svolto con successo per l’attuazione di tutti i diritti delle persone con disabilità. Se tutte le Associazioni sosterranno i ministri Salvini e Valditara in questi loro impegni, almeno i problemi sopra indicati verranno presto risolti.

Rimane infine il “problema dei problemi” e cioè garantire l’attuazione pratica delle buone norme che le Associazioni sono riuscite ad ottenere nel corso dei decenni dal Parlamento e dal Governo. A poco serve avere delle buone norme, delle quali ci gloriamo giustamente in tutto il mondo, se poi queste norme non riescono per vari motivi ad essere applicate come si deve, realizzando così la qualità dell’inclusione, che purtroppo ancora difetta in molte realtà scolastiche.
Non voglio sembrare un disfattista; ma siamo in molti ad aver preso sul serio ciò che l’indimenticabile amico ispettore Sergio Neri ci disse poco prima di lasciarci prematuramente, ossia «andate avanti voi che ci credete». Lo dobbiamo a lui; lo dobbiamo all’ispettrice Giovanna Cantoni.

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Come migliorare l’accessibilità della montagna?

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La Val Pellice, nella Città Metropolitana di Torino, si trasforma in un laboratorio dove professionisti, professioniste, cittadini e cittadine potranno co-progettare una montagna più accessibile e inclusiva a tutti e tutte attraverso soluzioni innovative, grazie al progetto “IDEM (Inclusive Design Empowerment Mountain)”

Rendere le montagne e le loro comunità più accessibili e inclusive per tutti e tutte è l’obiettivo di IDEM (Inclusive Design Empowerment Mountain), progetto lanciato da Hackability, realtà non profit fatta di persone che collaborano per risolvere i problemi e soddisfare i bisogni delle persone con disabilità nella vita quotidiana, realizzando prodotti che ancora non esistono o migliorando quelli esistenti.

L’iniziativa, realizzata insieme allUniversità di Torino e supportata dal GAL Escartons e Valli Valdesi nell’ambito del progetto NODES (Nord Ovest Digitale e Sostenibile), invita residenti, professionisti e professioniste a partecipare attivamente alla creazione di soluzioni pratiche e innovative in grado di migliorare l’accessibilità nella vita quotidiana in montagna. Attraverso la co-progettazione, IDEM si propone di rendere maggiormente accessibili spazi, arredi urbani e servizi, partendo dalle località di Torre Pellice e Luserna San Giovanni (Torino), nel cuore delle Valli Valdesi.

Il progetto è aperto a tutti coloro che desiderino contribuire con idee creative o competenze professionali: la lista non include solo designer, maker, artigiani e artigiane, esperti ed esperte di accessibilità, ma anche persone con diverse tipologie di disabilità, persone anziane e caregiver. Esso si articolerà in più fasi, comprendenti sopralluoghi nelle località interessate, workshop di co-progettazione, sviluppo di prototipi e presentazione finale. Ogni team avrà a disposizione un budget di 2.000 euro.
Per realizzare IDEM sono state aperte due call: una per professionisti e creativi (Call for Skills) che vogliano mettere a disposizione le proprie competenze nel campo design e dell’accessibilità, e una per residenti e persone (Call for Proposals) che desiderino proporre soluzioni creative per rendere gli spazi montani più inclusivi.

«Negli ultimi anni – dichiara Carlo Boccazzi Varotto, presidente di Hackability  – la montagna è stata vista ora come un parco giochi per escursionisti infaticabili, ora come un museo a cielo aperto per chi è affezionato alle tradizioni. Ma il futuro potrebbe riservare ad essa un ruolo tutto nuovo: in Val Pellice, infatti, professionisti, cittadini e persone con bisogni specifici collaboreranno per capire come rendere la montagna più accessibile e inclusiva. Con l’invecchiamento della popolazione e i cambiamenti climatici, le terre alte potrebbero tornare protagoniste, non per supereroi, ma per chiunque. A partire da chi ci abita». (C.C.)

Ulteriori approfondimenti sul progetto IDEM sono disponibili a questo link. Per altre informazioni: Marco Berton (marcoberton.pressoffice@gmail.com).

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Distrofie muscolari dei cingoli: parliamo di terapie

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Promosso dall’AICa3 (Associazione Italiana Calpaina 3), con il proprio Comitato Scientifico, si terrà il 1° febbraio a Lecco il congresso internazionale “Le distrofie dei cingoli: parliamo di terapie” (terza edizione), aperto a medici, altro personale sanitario, pazienti, loro familiari e caregiver, incontro voluto per favorire la collaborazione tra i massimi esperti italiani ed internazionali, in un confronto aperto che coinvolga anche i pazienti e le loro famiglie

Promosso dall’AICa3 (Associazione Italiana Calpaina 3), con il proprio Comitato Scientifico, si terrà sabato 1° febbraio a Lecco (Aula Magna del Politecnico di Milano-Polo Territoriale di Lecco) il congresso internazionale denominato Le distrofie dei cingoli: parliamo di terapie (terza edizione), aperto a medici, altro personale sanitario, pazienti, loro familiari e caregiver, incontro voluto, come spiegano i promotori, «per favorire la collaborazione tra i massimi esperti italiani ed internazionali, in un confronto aperto che coinvolga anche i pazienti e le loro famiglie. Grazie infatti alla presenza dei massimi esperti italiani ed europei di queste malattie muscolari, si parlerà di sperimentazioni terapeutiche in atto, sia sulle terapie riabilitative e sui parametri tramite i quali identificare l’efficacia delle stesse».

Quando si parla di distrofie muscolari dei cingoli, lo ricordiamo, si fa riferimento a un gruppo eterogeneo di malattie geneticamente determinate, che coinvolgono in maniera primitiva la muscolatura prossimale dei cingoli, sia pelvico che scapolare, con molti sottotipi classificati in base al meccanismo ereditario ed al gene responsabile della malattia stessa. (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del congresso del 1° febbraio a Lecco. Per ulteriori informazioni: info@aica3.org.

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È discriminatorio non consentire la presentazione di liste elettorali con la firma digitale

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La Corte Costituzionale ha riconosciuto la possibilità di sottoscrivere la presentazione di liste elettorali anche con la firma digitale, perché non consentirlo è discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità grave. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata lo sorso anno dal Tribunale di Civitavecchia, in merito al ricorso di Carlo Gentili, impossibilitato a firmare a causa della grave disabilità, conseguenza della SLA (sclerosi laterale amiotrofica)

La Corte Costituzionale ha riconosciuto la possibilità di sottoscrivere la presentazione di liste elettorali anche con la firma digitale, perché non consentirlo è discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità grave. Tale questione di legittimità costituzionale era stata sollevata nell’aprile dello scorso anno, come riferito anche su queste pagine,  dal Tribunale di Civitavecchia, in merito al ricorso di Carlo Gentili, persona impossibilitata a firmare a causa della grave disabilità causata dalla SLA (sclerosi laterale amiotrofica).

Il pronunciamento della Corte Costituzionale è arrivato dunque con la Sentenza 3/25 del 23 gennaio scorso, che ha stabilito l’illegittimità costituzionale degli articoli 9, comma 3 della Legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e 2, comma 6, del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), nella parte in cui non prevedono per l’elettore, che non sia in grado di apporre una firma autografa per certificata impossibilità derivante da un grave impedimento fisico o perché si trova nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare, la possibilità di sottoscrivere un documento informatico con firma elettronica qualificata, cui è associato un riferimento temporale validamente opponibile ai terzi.

Gentili aveva presentato un ricorso tramite l’avvocato Giuliano Fonderico e con il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni, perché essendo fisicamente impossibilitato ad apporre la firma autografa, in occasione delle elezioni per la Regione Lazio del 2023, avrebbe voluto presentare la lista elettorale Referendum e Democrazia tramite firma digitale. Tuttavia non ha potuto farlo perché questa procedura non è prevista dalla normativa.
La Consulta, tra le altre cose, ha ritenuto che il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione risulta violato «dalla irragionevole scelta del legislatore di distinguere tra procedimento referendario», nel quale la possibilità di utilizzare la firma digitale è ormai stata riconosciuta, «e procedimento elettorale», essendo identiche le ragioni di garanzia dell’identità del sottoscrittore sottese alle due discipline, e potendosi altresì ritenere che, tanto la sottoscrizione di una lista di candidati, quanto la firma di una proposta referendaria o di una legge di iniziativa popolare, siano rappresentative «di diritti politici aventi lo stesso rilievo nell’architettura dell’impianto costituzionale».

Nel sito dell’Associazione Luca Coscioni Carlo Gentili ha commentato la Sentenza con queste parole: «Sono felice della decisione della Corte, è una vittoria importante che abbiamo ottenuto con l’Associazione Coscioni verso la rimozione di ogni forma di discriminazione per le persone con disabilità».
Dal canto loro, Marco Cappato e Filomena Gallo, rispettivamente tesoriere e segretario dell’Associazione, hanno osservato che «la decisione della Consulta assume ulteriore importanza in ragione del fatto che, dal mese di luglio del 2024, è entrata in funzione la piattaforma pubblica per le sottoscrizioni digitali di referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, uno strumento che facilmente potrebbe ora essere utilizzato anche per la raccolta delle firme per la presentazione di liste e candidature alle elezioni. Questa decisione, una vera e propria riforma a sostegno della transizione digitale per la democrazia e la partecipazione civica, deve adesso essere estesa a chiunque. Per questi motivi rilanciamo l’appello al Governo del nostro co-presidente Marco Gentili, che chiede che la piattaforma sia definitivamente aperta alle sottoscrizioni online di liste elettorali a chi ne ha diritto e, in onore degli auspici del Presidente della Repubblica, se ne preveda l’utilizzo anche per strumenti di democrazia diretta a livello municipale e regionale». (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: stefania.cicco@associazionelucacoscioni.it; fabio.miceli@associazionelucacoscioni.it.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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La “Shoah” attraverso gli occhi di tre bimbi con disturbo dello spettro autistico

Superando -

In occasione del Giorno della Memoria di oggi, 27 gennaio, tre bambini con disturbo dello spettro autistico hanno affrontato i temi della “Shoah” come parte della normale programmazione didattica nelle loro scuole, trattando anche, tra l’altro, il famigerato programma “Aktion T4”, con cui il regime nazista sterminò migliaia di bambini e adulti con disabilità Le prime righe del tema di Derek, dedicato al programma “Aktion T4”

In occasione del Giorno della Memoria di oggi, 27 gennaio, tre bambini con disturbo dello spettro autistico, Derek, Colin e Liam, hanno affrontato i temi della Shoah come parte della normale programmazione didattica nelle loro scuole del Veronese. Attraverso le loro riflessioni, emerge un ponte tra il passato e le sfide attuali delle persone neurodivergenti, offrendo un messaggio di inclusione e speranza.

Derek, 11 anni, che frequenta la scuola secondaria di primo grado, ha approfondito il programma Aktion T4, con cui il regime nazista sterminò migliaia di bambini e adulti con disabilità, tra cui anche persone autistiche, tutti considerati “indegni di vivere”. Attraverso il suo lavoro, Derek ha denunciato questa tragica pagina della storia e ha proposto di costruire un futuro basato sulla cura reciproca e sull’accettazione. «Vincete la paura e lavoriamo come una squadra», ha dichiarato.
Colin, 9 anni, alunno della scuola primaria, ha scelto di riflettere sulla figura di Anna Frank, identificandosi con il suo desiderio di libertà e giustizia. Attraverso il suo tema, ha denunciato che, sebbene i campi di concentramento appartengano al passato, oggi molte persone, tra cui quelle autistiche, devono ancora lottare per il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. Colin ha lanciato un messaggio chiaro: «l’esclusione è ancora una realtà, ma possiamo cambiare le cose».
Liam, 9 anni, anch’egli frequentante la scuola primaria, ha trovato ispirazione nella senatrice Liliana Segre, testimone e simbolo della memoria della Shoah. Con il suo lavoro, Liam ha sottolineato come le persone autistiche debbano combattere ogni giorno contro i pregiudizi per affermare che tutti, senza eccezione, sono importanti e hanno un valore. «Tutti sono importanti, è per questo che dobbiamo lottare», ha affermato con convinzione.

I temi affrontati da Derek, Colin e Liam rientrano nella normale programmazione didattica, dimostrando come sia possibile trattare argomenti storici complessi, come la Shoah, adattandoli alle esigenze e alle sensibilità di ogni bambino. Questi elaborati non sono solo un tributo alla memoria del passato, ma un’occasione per riflettere sulle sfide attuali legate ai diritti e all’inclusione delle persone neurodivergenti. Il Giorno della Memoria, infatti, non riguarda solo il passato, ma anche il presente e il futuro e la testimonianza di questi tre bambini ci ricorda che lottare per l’uguaglianza e la dignità è un dovere di tutti.

*Autismo ad Alto funzionamento e AS HFA and AS.

Sull’Olocausto delle persone con disabilità durante il regime nazista e la seconda guerra mondiale e sul programma Aktion T4, suggeriamo senz’altro la lettura sulle nostre pagine dell’approfondimento di Stefania Delendati intitolato Quel primo Olocausto (a questo link).

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