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In materia di disabilità gli esperti e le esperte sono le stesse persone con disabilità

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Affrontare il tema dell’auto-rappresentanza delle persone con disabilità, significa arrivare a concludere che anche se avessimo dieci lauree e un curriculum da far paura, una persona con disabilità sa di se stessa ciò che nessun’altra fonte potrà mai raccontarci, e se non glielo chiediamo direttamente, non saremmo mai in grado di dire come vuole vivere la sua vita e cosa è importante per lei Adolf D. Ratzka (1943-2024), figura di particolare importanza del movimento per la Vita Indipendente delle persone con disabilità in Europa

Tra i principali riferimenti normativi e applicativi in materia di partecipazione e di auto-rappresentanza delle persone con disabilità c’è l’articolo 4 (Obblighi generali) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Il comma 3 di esso recita: «Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
Vi è poi l’articolo 33 (Applicazione a livello nazionale e monitoraggio) che al comma 3 prevede che le persone con disabilità siano coinvolte anche nel processo di monitoraggio della Convenzione stessa.
Infine c’è il Commento Generale n. 7, testo elaborato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel 2018, che è specificamente centrato sul tema della partecipazione delle persone con disabilità. È bene specificare che i Commenti Generali non sono norme, ma servono ad applicare correttamente le disposizioni normative a cui si riferiscono fornendo, a tale scopo, precise indicazioni operative.

La Convenzione ONU riconosce la partecipazione delle persone con disabilità simultaneamente come obbligo generale e questione trasversale, e presta attenzione anche all’adeguato coinvolgimento dei minori e delle donne. Il motto Niente di Noi senza di Noi sintetizza efficacemente la filosofia e la storia del movimento per i diritti delle persone con disabilità, che si basa proprio sul principio della loro significativa partecipazione. Il concetto di partecipazione è strettamente legato ad altri due concetti: quello di autorevolezza, che consiste nel riconoscere il valore e l’affidabilità dei pensieri elaborati ed espressi dalle persone con disabilità in merito alla loro condizione, e quello, già citato, di auto-rappresentanza, ossia il riconoscere alle persone con disabilità la capacità di rappresentare sé stesse e le proprie istanze nei diversi contesti.

La questione dell’auto-rappresentanza delle persone con disabilità iniziò ad essere affrontata negli Stati Uniti d’America, all’Università di Berkeley, in California, già negli Anni Sessanta, con la nascita del movimento per la Vita Indipendente delle persone con disabilità.
In Europa la diffusione di questa filosofia si deve all’intraprendenza di Adolf D. Ratzka (1943-2024), medico e fondatore dell’Istituto per la Vita Indipendente di Stoccolma (Svezia), scomparso lo scorso luglio. In un celebre intervento in cui propone una definizione del concetto di Vita Indipendente, Ratzka prende le distanze dal modello medico di disabilità che considera la stessa disabilità un problema dell’individuo e «usa etichette diagnostiche che tendono a dividere le persone disabili in molti diversi gruppi». Dunque si chiede: «Come possiamo migliorare la nostra situazione?» Questi sono alcuni passaggi della sua articolata risposta: «Dobbiamo spezzare il monopolio dei professionisti non disabili che parlano a nome nostro, definire i nostri problemi e suggerire le soluzioni per le nostre necessità. Dobbiamo costruire organizzazioni efficaci che rappresentino il punto di vista delle stesse persone disabili. I governi debbono riconoscere le nostre organizzazioni come partner nella definizione delle politiche sulla disabilità. […] Ma una cosa deve essere molto chiara: siamo noi gli esperti. […] Nella lotta per i nostri diritti possiamo essere più efficaci quando ci aiutiamo a vicenda a cambiare i nostri atteggiamenti verso noi stessi. Vedere te stesso come una persona profondamente normale [profoundly ordinary person, N.d.R.] è difficile quando ti è sempre stato detto che sei diverso, che non puoi fare questo e non puoi fare quello. In questa lotta abbiamo bisogno di parlare con qualcuno con cui possiamo identificarci, con persone che si trovano in una situazione simile. Lo chiamiamo supporto tra pari. Supporto tra pari significa condividere i frutti della propria esperienza». (Adolf D. Ratzka, La Vita indipendente e le nostre organizzazioni: una definizione, intervento esposto alla conferenza Our Common World, organizzata da Disability Rights Advocates Hungary a Siofok, Ungheria, il 9-11 maggio 1997, testo pubblicato sul sito dell’Independent Living Institute).

Il problema che si pone è quello di riconoscere l’autorevolezza delle persone con disabilità, un tema che, come abbiamo visto, riguarda le stesse persone con disabilità, ma anche tutte le altre persone.
Più o meno tutte le persone con disabilità si scontrano con la difficoltà di non vedere riconosciuta la propria autorevolezza, ma quelle con disabilità psicosociale la sperimentano in misura molto maggiore a causa degli stereotipi e dei pregiudizi riguardo a questo specifico tipo di disabilità. Stereotipi e pregiudizi che spesso sono condivisi anche dalle altre persone con disabilità.
Ratzka parlava, giustamente, del monopolio dei professionisti, e chi opera nell’àmbito della cosiddetta “salute mentale” sa benissimo quanto questo monopolio sia ancora granitico, ma la questione è che davanti a una persona con disabilità psicosociale può accadere (e accade di frequente) che non solo i professionisti, ma chiunque possa arrivare a ritenersi più autorevole e competente della persona stessa, e prendersi l’arbitrio di sostituirsi e decidere per lei anche sulle scelte che riguardano la sua vita (ad esempio, sulla scelta relativa a dove, come e con chi vivere). Ciò può accadere nei rapporti con le istituzioni, nei servizi sanitari/sociali, in àmbito giuridico (anche, ma non solo, attraverso gli istituti di tutela giuridica), nelle stesse Associazioni/Organizzazioni di persone con disabilità, in famiglia o in altri contesti.

I principali riferimenti normativi e applicativi in materia di partecipazione/auto-rappresentanza delle persone con disabilità, che ho citato inizialmente, sono molto importanti ed è essenziale conoscerli. Ma è fondamentale comprendere anche che essi non hanno il potere di incidere in modo profondo sulle condotte individuali, perché in realtà ciò che orienta le nostre condotte sono le nostre convinzioni. Questo vuol dire che se siamo intimamente convinti che le persone con disabilità non siano sufficientemente autorevoli per prendere decisioni, tenderemmo a sostituirci a loro qualunque cosa dica la legge. E mentre lo facciamo ci racconteremmo che lo facciamo per il loro bene, che le persone disabili quelle decisioni non sarebbero comunque in grado di prenderle, che sarebbe tempo sprecato provare a coinvolgerle. Davanti a queste argomentazioni non possiamo nemmeno confidare sull’argine degli scrupoli di coscienza, perché chi pensa queste cose è mosso/a dalla convinzione di essere nel giusto, dunque non ritiene di doversi censurare. Ma la verità è che se l’oggetto della scelta sono le prerogative di vita di una persona con disabilità – e intendo disabilità di qualunque tipo e gravità –, il soggetto più autorevole è la stessa persona disabile e non noi. Ci vuole una grande onestà intellettuale e una giusta dose di umiltà per ammetterlo. Ritengo infatti che, se anche applicassimo alla lettera le norme giuridiche, ma non cambiassimo le nostre più intime convinzioni sull’autorevolezza delle persone con disabilità, non potremmo dire di aver costruito una società inclusiva. In una società inclusiva lo stile relazionale è la cooperazione, il “fare con”, mentre le nostre società si basano sulla competizione, e la competizione produce gerarchie tra esseri umani che si concretizzano nel “fare per” qualcuno/a. Se non prestiamo attenzione agli stili relazionali non riusciremo a modificare questi aspetti. È la stessa Convenzione ONU a dirci che la disabilità ha una matrice relazionale. La disabilità è relazione. Le cifre di una società inclusiva sono il riconoscimento e la solidarietà reciproca tra esseri umani che, pur svolgendo ruoli diversi, si pongono sullo stesso piano. Ciò equivale a dire: io ti riconosco e ti rispetto, non perché lo dice la legge (o, almeno, non solo per questo), non per farti un favore, e neppure perché sono buono/a, ma perché intimamente sento che sei un essere umano esattamente come me, e che abbiamo gli stessi diritti e la stessa dignità.

Lavorare per la diffusione di una cultura giuridica è fondamentale, ma non dobbiamo cadere nell’inganno che sia questo il solo piano su cui agire. Infatti chiunque può aderire a una legge solo su un piano formale, limitandosi a fare lo stretto necessario per non incorrere in sanzioni. Pertanto, se vogliamo essere davvero efficaci, è necessario lavorare anche ad altri livelli, su piani in qualche modo più “personali”, interrogandoci sugli stili relazionali, illuminando e divenendo consapevoli delle nostre più intime convinzioni riguardo alla disabilità, e abbandonando quelle infondate.
Questo lavoro ci deve portare a concludere che anche se avessimo dieci lauree e un curriculum da far paura, una persona con disabilità sa di se stessa ciò che nessun’altra fonte potrà mai raccontarci, e se non glielo chiediamo direttamente non saremo mai in grado di dire come vuole vivere la sua vita e cosa è importante per lei. Queste considerazioni non sono finalizzate a disconoscere il valore delle competenze professionali, mirano piuttosto di circoscriverne l’àmbito e le modalità di applicazione, perché, come purtroppo ancora accade, non possano più tradursi in arbitrio e tirannia sulle vite altrui.
È fondamentale che questi concetti siano recepiti a partire dal livello individuale perché solo così saremmo anche in grado di dare la giusta impronta alle relazioni professionali di chi lavora nei servizi che riguardano le persone con disabilità, alle nostre relazioni familiari e amicali, alle nostre Associazioni/Organizzazioni e alle rivendicazioni politiche che portiamo avanti attraverso esse, agli atti giuridici, amministrativi o d’altro tipo che, si spera, recepiranno tali istanze.
Non possiamo chiedere alla società e alle Istituzioni ciò che noi per primi/e non siamo disponibili a fare: riconoscere l’autorevolezza delle persone con qualsiasi tipo di disabilità e promuoverne l’auto-rappresentanza. Parafrasando Ratzka, deve essere inequivocabilmente chiaro che in materia di disabilità gli esperti e le esperte sono le stesse persone con disabilità.

*Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). Il presente testo, già apparso nel sito di Informare un’h e qui ripreso con minimi riadattamenti al diverso contenitore per gentile concessione, coincide con quello dell’intervento pronunciato in occasione del settimo congresso annuale dell’Associazione Diritti alla Follia, Milano 14-15 dicembre 2024.

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Le persone con disabilità e l’uguale riconoscimento davanti alla legge

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Per il pieno rispetto dell’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che prescrive l’uguale riconoscimento davanti alla legge, si deve effettivamente creare un sistema in cui la persona con disabilità sia realmente libera di autodeterminarsi. Nel presente approfondimento vediamo perché e soprattutto come si dovrebbe agire

L’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità riafferma il diritto delle persone con disabilità all’uguale riconoscimento davanti alla legge, ciò che era già stato espresso da precedenti strumenti internazionali in àmbito di diritti umani, ai quali la Convenzione non deroga, ma semplicemente esplicita le azioni specifiche che gli Stati devono mettere in atto per garantire alle persone con disabilità questo diritto umano.

Il diritto all’uguale riconoscimento davanti alla legge è inerente alla dignità di ogni essere umano ed è collegato al principio di non discriminazione. Questo diritto non accetta restrizioni sulla base della disabilità, neppure in situazioni di emergenza. Esso si sostanzia nel fatto di essere titolari di diritti e doveri (“capacità giuridica” o Legal Standing) e nel potere di istituire, modificare e sciogliere rapporti giuridici, ovvero nella possibilità di agire concretamente, con azioni legalmente valide, in relazione ai propri desideri e alle proprie volontà.
Il riconoscimento di tale diritto e l’effettiva possibilità di esercitarlo sono strettamente interconnessi con il godimento reale degli altri diritti umani. Ad esempio, il diritto alla Legal Capacity è essenziale per il diritto alla vita indipendente, quello di far parte, in modo attivo, della società in cui si vive, il diritto alla famiglia, quello di esprimere il consenso ai trattamenti medici, e il diritto di voto. Nessuno di questi diritti è garantito se non lo è quello di essere riconosciuti come soggetto giuridico con capacità d’agire. Senza tale riconoscimento, infatti, una persona non può sposarsi, non può comprare una casa, non può determinarsi e dare vita a rapporti giuridici né difendere i propri interessi in tribunale.

Come notato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel suo primo Commento Generale, molti degli Stati Parte della Convenzione, basandosi sulla valutazione delle capacità nella presa delle decisioni o Mental Capacity, concetto discriminatorio e controverso, non riconoscono alle persone con disabilità, soprattutto nel caso in cui sia presente una compromissione intellettiva o cognitiva, la capacità d’agire, mettendo in atto meccanismi di sostituzione nella presa delle decisioni che impediscono alla persona stessa di esprimere ed attuare i propri desideri.
Anche l’EDF, il Forum Europeo della Disabilità, nel suo recente rapporto Legal Capacity: Personal choice and control, ha evidenziato come nessuno dei 27 Paesi dell’Unione Europea abbia provveduto a realizzare quanto richiesto dalla Convenzione ONU, mantenendo ancora in essere istituti giuridici per i quali le persone con disabilità non possono decidere per se stesse, ma sono sostituite nella presa delle decisioni sulla loro vita da rappresentanti che agiscono secondo il principio del «miglior interesse della persona rappresentata». La reale attuazione del diritto delle persone con disabilità all’uguale riconoscimento davanti alla legge impone invece agli Stati Membri di assicurare loro l’utilizzo di meccanismi di supporto nella presa delle loro decisioni, decisioni a cui deve essere riconosciuto effettivo valore legale.
Il succitato articolo 12 della Convenzione, così come chiarito dal già menzionato Comitato ONU, stabilisce che tali supporti e sostegni nella formulazione delle decisioni debbano essere strutturati in modo tale da garantire il rispetto delle volontà e dei desideri della persona che ne usufruisce. Ulteriormente, prevede che i sostegni forniti siano di vario tipo: possono essere costituiti, per esempio, dal supporto di una o più persone fidate della persona con disabilità, dal supporto alla pari o assistenza alla comunicazione, dalla possibilità di pianificare le proprie decisioni, in vista di un futuro in cui non le si potrà più esprimere, potendo anche stabilire quando tale piano debba entrare in vigore.

Secondo quanto espresso dalla Convenzione ONU, quindi, è necessario un cambio completo di paradigma che si basi sulla capacità d’agire universale, riconoscendo la non correttezza della distinzione tra persone “incapaci” e capaci di effettuare scelte riguardo a se stesse e ai propri interessi, perché ciascun essere umano ha diritto alle proprie scelte. Gli Stati devono di conseguenza realizzare un sistema che permetta alla persona di autodeterminarsi, ricevendo un livello di supporto adatto per le sue volontà e necessità, e che allo stesso tempo la tuteli e la protegga da abusi, discriminazioni e indebite influenze. In questo senso, è necessario che, nelle circostanze in cui non sia possibile determinare la volontà della persona con disabilità, il principio guida del «migliore interesse della persona» sia sostituito dal «principio della migliore interpretazione della volontà e delle preferenze dell’individuo supportato». Sempre a scopo di tutela, la Convenzione richiede che sia previsto un meccanismo di controllo imparziale sul rispetto effettivo della volontà della persona con disabilità da parte di colui che l’assiste nella presa delle decisioni, e che la persona beneficiaria possa decidere in qualunque momento, e in autonomia, di interrompere il sostegno.

Per attuare il diritto all’uguale riconoscimento dinanzi alla legge è necessario, per di più, che l’accesso agli strumenti di supporto alle decisioni sia volontario, che il godimento di esso non costi nulla alla persona che ne beneficia, che non sia negato per ragioni economiche, e che sia stabilito per legge che l’uso di sostegno nella presa delle decisioni non sia fonte di limiti nell’esercizio di altri diritti e delle libertà fondamentali.

In Italia, abbiamo tre istituti di protezione giuridica indirizzati, secondo le norme, a coloro che si trovano in una situazione di “infermità mentale”, “incapacità attenuata” o “impossibilità di provvedere ai propri interessi”. Ognuno di questi tre meccanismi giuridici, ovvero: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno, si sostituisce, a gradi differenti, alla persona che ne è destinataria nella presa delle decisioni. Anche l’amministratore di sostegno, sebbene introdotto nel 2004 [Legge 6/04, N.d.R.] con la ratio di creare uno strumento di sostegno alle decisioni in àmbiti indicati caso per caso dal giudice, rivolto a persone “impossibilitate a curare i propri interessi”, ma considerate capaci di intendere e di volere, da un punto di vista giuridico si è tradotto molto spesso in una reale sostituzione della persona nella formulazione delle scelte sulla sua vita. Ciò è dovuto a una mancata formazione dei professionisti del mondo giuridico sulle modalità comunicative accessibili, e anche a un vuoto normativo riguardante i modi in cui la persona destinataria dell’amministrazione di sostegno possa comunicare all’amministratore le proprie volontà. Inoltre, così come succede anche nella maggior parte dei Paesi europei, anche nel nostro ordinamento è previsto che il rappresentante della persona segua il “principio del migliore interesse” e non quello che richiede di rispettare il più possibile le volontà del rappresentato. Va infine sottolineato che frequentemente i costi dell’amministrazione e della verifica specializzata di tali attività d’amministrazione sono posti a carico della persona beneficiaria dell’istituto di protezione giuridica.

Si deve quindi modificare il sistema attuale, modifica raccomandata, tra l’altro, al nostro Paese dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Si dovrebbe cioè creare un sistema in cui la persona con disabilità sia libera di autodeterminarsi, potendo mettere per iscritto e “in anticipo” le proprie volontà, desideri e preferenze, e in cui i professionisti e coloro che assumono l’incarico non si sostituiscano alla persona, ma la sostengano e la aiutino nelle sue scelte. Questi dovrebbero essere adeguatamente formati e vincolati nelle proprie funzioni di supporto dal principio della migliore interpretazione delle volontà e delle preferenze della persona. Solo così si potrà realmente implementare il modello della disabilità espresso nella Convenzione che, a differenza di quello medico, riconosce alla persona con disabilità diritti e doveri su un piano di uguaglianza con gli altri e vede la disabilità come condizione derivante da un ambiente pieno di barriere culturali, fisiche, sensoriali e comunicative.

Una persona senza la possibilità di autodeterminarsi davanti e per la legge non avrà mai il controllo sulla propria vita e non potrà mai essere un componente attivo della propria comunità. In aggiunta, proprio perché i diritti umani sono collegati tra di loro a doppio filo e la violazione di uno di essi è fonte del diniego degli altri, si devono garantire tutte le altre previsioni della Convenzione ONU, assicurando, per esempio, che gli istituti e le procedure finanziarie siano accessibili, che le informazioni siano disponibili in vari formati, tali da renderle usufruibili e comprensibili da parte di tutti.

*Ufficio Legislativo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Testo dell’intervento pronunciato in occasione del settimo congresso annuale dell’Associazione Diritti alla Follia, Milano 14-15 dicembre 2024.

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Una bella iniziativa, per garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità

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È giunto a conclusione il Progetto Libellula, iniziativa promossa in Toscana dal Distretto 2071 del Rotary che grazie a una raccolta di oltre 42.000 euro, ha consentito di acquistare 26 lettini ginecologici elettrici, regolabili in altezza e in inclinazione, adeguati alle necessità delle donne con disabilità. I lettini sono stati donati agli ambulatori ginecologici ospedalieri e ai consultori del territorio, nonché agli ambulatori del Codice Rosa, il percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato alle vittime di violenza Anton Zapotochny (Dovzhenko), “Libellula colorata” (©José Art Gallery)

Nel luglio dello scorso anno, con piacere, abbiamo dato notizia, su queste stesse pagine, di un importante progetto promosso, in Toscana, dal Distretto 2071 del Rotary, per garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità, un àmbito nel quale sono particolarmente discriminate.
Nello specifico, il Progetto Libellula, questo il nome dell’iniziativa, ha promosso all’interno dei 70 Club Rotary della Toscana una raccolta fondi finalizzata ad acquistare lettini ginecologici elettrici, regolabili in altezza e in inclinazione, adeguati alle necessità delle donne con disabilità, al fine di donarli prioritariamente agli ambulatori ginecologici ospedalieri e ai consultori del territorio, quindi agli ambulatori del Codice Rosa (il percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato alle vittime di violenza).

Ebbene, con altrettanto piacere, apprendiamo dall’ideatrice e promotrice del progetto, Margherita Magi Damiani, dirigente medica di Primo Livello presso l’INAIL, nonché moglie di Fernando Damiani, governatore del Distretto 2071 del Rotary, gli esiti dell’iniziativa. «La somma raccolta grazie alle donazioni dei Rotary Club della Toscana, e di pochi generosi privati, è stata complessivamente di 42.680 euro e ci ha permesso di acquistare 26 lettini ginecologici elettrici. La destinazione è stata decisa dai Direttori Sanitari in base alle esigenze del territorio», riferisce Magi Damiani. Questo risultato è stato conseguito anche grazie all’impegno e all’interessamento di una socia del Rotary Monte Argentario, la dottoressa Manola Pisani, che ha curato i rapporti con le ASL e con la ditta produttrice, aggiunge la stessa Damiani.

I lettini, dunque, sono stati già consegnati alle sedi stabilite per l’ASL Toscana Centro e l’ASL Sud-Est, mentre per l’ASL Nord-Ovest sarà necessario aspettare la Delibera di acquisizione dell’Azienda Sanitaria, ed è probabile che si vada all’anno nuovo, dopo le festività. A questo link è presente l’elenco dei presìdi sanitari a cui sono stati donati i lettini ginecologici.
Ci preme però ringraziare qui anche le altre figure con percorsi e competenze importanti in àmbito sanitario che Magi Damiani ha coinvolto nel percorso progettuale. Le indichiamo di seguito, limitandoci a segnalare solo qualcuno dei loro molteplici incarichi e qualifiche: Simona Dei, direttrice sanitaria aziendale da dodici anni, prima della ASL di Pisa, poi di Siena, dall’ottobre 2023 dell’ASL Toscana Centro; la dottoressa Vittoria Doretti, ideatrice a livello nazionale e responsabile della rete regionale Codice Rosa, ovvero, come accennato, dello speciale percorso di accesso al Pronto Soccorso dedicato alle vittime di violenze e abusi, in particolare donne e bambini, ma anche vittime di crimini d’odio, progetto nato nel 2010 nell’ASL di Grosseto e diventato regionale nel 2011; la già menzionata dottoressa Manola Pisani, già responsabile dell’Unità Funzionale Cure Primarie Distretto Colline Metallifere-Amiata-Grossetana.
Del gruppo di lavoro ha fatto parte anche chi scrive, Simona Lancioni, sociologa e documentalista, responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), da 25 anni impegnata nella promozione dei diritti delle donne con disabilità, e curatrice di una specifica sezione documentaria dedicata a questi temi.
Alla fase di promozione, infine, ha collaborato anche l’Associazione DisabilmenteMamme, che ha messo a disposizione le testimonianze di Antonella Tarantino, Margherita Rastiello e Carla Marinelli.

Insomma tante donne, con e senza disabilità, si sono messe insieme per contribuire a garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità, e dunque a garantire loro un ulteriore pezzetto di libertà. Il progetto ha sensibilizzato i donatori e le donatrici su questi temi fondamentali.
Nell’esprimere ancora una volta il nostro sentito ringraziamento a tutte le persone e agli enti che hanno contribuito, possiamo solo augurarci che l’iniziativa venga replicata anche in altri contesti. (Simona Lancioni) 

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Una violenza che lascia esterrefatti e increduli

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«È importante – scrive Laura Abet, responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della Federazione LEDHA, riferendosi alla violenza subita a Milano da un sedicenne con disabilità – che nel corso del procedimento giudiziario si attivi una rete di sostegno inclusiva e rispettosa del dramma subìto dal ragazzo, ascoltandolo e non sostituendosi a lui»

Non siamo soliti commentare le notizie di cronaca o le notizie che vengono pubblicate dai media di cui non abbiamo conoscenza diretta. Questa volta, però, pensiamo sia necessario fare un’eccezione.
A Milano un ragazzo di 16 anni, che dagli organi d’informazione viene presentato come una persona con disabilità fisica e cognitiva, è stato sequestrato da un ragazzo di 14 anni e di un uomo di 44 che avrebbero abusato di lui, anche sessualmente. Le violenze, inoltre, sarebbero state filmate.
Questa vicenda ci lascia esterrefatti e increduli.
Esprimiamo tutta la nostra vicinanza e solidarietà alla giovane vittima e alla sua famiglia. E ci mettiamo a disposizione per supportarli in tutti i modi per noi possibili.
Su questa vicenda devono essere completate le indagini da parte della polizia e si esprimerà un giudice, a tempo debito. Ed è importante che nel corso di questo procedimento si attivi una rete di sostegno inclusiva e rispettosa del dramma subìto, a tutela del ragazzo, per evitarne la vittimizzazione secondaria. In quest’ottica è necessario un lavoro sincrono e interdisciplinare, coinvolgendo le Associazioni di persone con disabilità e la rete dei servizi territoriali.
Ci auguriamo che il sedicenne venga ascoltato e che non ci si sostituisca a lui perché, come afferma la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, le persone con disabilità hanno la stessa capacità legale di tutte le persone.

*Responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH).

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I cortometraggi premiati a “INCinema”, il primo Festival tutto accessibile

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Durante la tappa di Udine di INCinema, il primo Festival cinematografico in Italia fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali, oltre alla proiezione accessibile del nuovo film di Almodóvar La stanza accanto, vi sono state anche le premiazioni per il concorso INCorto, nel quale una delle due giurie era composta da persone con disabilità sensoriale Una scena di “Sharing is Caring”, premiato come “Miglior Cortometraggio” a Udine dalla giuria di persone con disabilità sensoriale

La seconda edizione di INCinema Film Festival, manifestazione ideata da Federico Spoletti e diretta da Angela Prudenzi, di cui Superando si onora di essere media partner sin dagli inizi, è un Festival, come abbiamo ampiamente riferito a suo tempo, che si svolge sia in presenza al cinema, sia da remoto su piattaforma MYmovies One e che soprattutto offre l’opportunità di vedere dei film in sala in modalità inclusiva anche a chi non può andare regolarmente al cinema. Si tratta infatti del primo festival in Italia fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali, che solitamente non possono partecipare ai festival cinematografici.
Nei giorni scorsi, INCinema, dopo l’apertura a Firenze, e le tappe di Lecce, Roma e Torino, ha vissuto la tappa di Udine, una tre giorni già da noi presentata, durante la quale sono state proposte varie proiezioni, e che grazie alla collaborazione con Warner Bros-Discovery, ha vissuto anche un evento speciale, ovvero in contemporanea con l’uscita nelle sale italiane, la presentazione accessibile a tutti e tutte del nuovo film di Pedro Almodóvar La stanza accanto (The Room Next Door), vincitore del Leone d’Oro all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e candidato a quattro European Film Awards.
Alla proiezione ha presenziato anche l’attore italiano Alvise Rigo, componente del cast, che per l’occasione ha ricordato la sua esperienza: «È stato significativo lavorare diretto da Almodóvar e al fianco di Julianne Moore con la quale ho condiviso una lunga sequenza, straordinari artisti che mi hanno fatto sentire a mio agio in ogni momento. Un’avventura professionale e umana rara oltre che un’occasione incredibile per me, giovane attore italiano che sta muovendo i primi passi nel mondo del cinema. Su quel set mi sono sentito in famiglia, come mi hanno detto nel confermarmi la parte: “Ahora eres un chico de Almodóvar”, il massimo che potessi sognare».

L’attore Alvise Rigo a Udine, al centro, tra Angela Prudenzi e Federico Spoletti, rispettivamente direttrice artistica e ideatore di “INCinema”

Sempre a Udine vi è stata anche la premiazione del concorso di cortometraggi INCorto, con alcuni riconoscimenti assegnati da due diverse giurie, una di persone con disabilità sensoriali e una di studenti della Laurea Magistrale in Cinema e del DAMS dell’Università di Udine.
La giuria delle persone con disabilità sensoriali è stata presieduta dall’attrice e regista Camilla Filippi,  che ha affermato: «Ho appena fatto un film documentario che si chiama Come quando eravamo piccoli che racconta la storia di quello che resta di una famiglia e delle scelte che ci definiscono. Essere presidente della giuria di questo Festival è per me una di quelle scelte che ci definiscono e fanno la differenza. Credo che ognuno di noi, nel proprio àmbito, possa lavorare affinché il mondo diventi un luogo accessibile ad ogni essere umano. In alcuni casi, come in questo, non era nemmeno complicato, serviva solamente uno sguardo diverso e fortunatamente gli organizzatori lo hanno avuto».

Ad aggiudicarsi dunque il premio di Miglior Cortometraggio, attribuito dalla giuria di persone con disabilità sensoriale, è stato Sharing is Caring di Vincenzo Mauro, «per la sua capacità di affrontare con profondità un tema di grande attualità, quale l’assoggettamento alle tecnologie che sfuggono al controllo umano. Il tema seppur drammatico è trattato con un’intelligente ironia volta a far riflettere lo spettatore. L’eccezionale interpretazione del protagonista, Vincenzo Nemolato, contribuisce in maniera decisiva alla compiutezza dell’opera. Con la sua espressività sia fisica che vocale, infatti, l’attore bene interpreta l’incalzare della narrazione e il repentino susseguirsi degli eventi».
Una Menzione Speciale è andata poi a La rabbia nostra di Lorenzo Giroffi, «per la capacità di dare voce a un tema sociale che anima le giovani generazioni». «Con uno stile incisivo e una narrazione cruda e autentica – si legge ancora nella motivazione -, il regista esplora le radici profonde di questo disagio, legandolo a questioni come le disuguaglianze sociali, l’incertezza sul futuro e il senso di isolamento in una società in rapida trasformazione. La giuria ha particolarmente apprezzato l’equilibrio tra un’analisi sociologica lucida e una preoccupazione per un tema sociale non sufficientemente trattato e spesso sottovalutato. Ciò rende il cortometraggio un’opera non solo informativa, ma anche espressiva di una violenza invisibile, ma reale su cui è necessario riflettere».

Per quanto riguarda invece il premio di Miglior Cortometraggio assegnato dalla giuria degli studenti della Laurea Magistrale in Cinema e del DAMS di Udine, esso è andato a Billi il cowboy di Fede Gianni, «per la capacità di raccontare una storia di inclusività e di accettazione, affrontando il tema dell’affermazione della propria identità». Il riconoscimento, inoltre, è andato anche «all’originalità della narrazione: Billi il cowboy riesce infatti ad affrontare queste tematiche utilizzando il formato western per esplorare tematiche che raramente trovano spazio in questo genere, offrendo una prospettiva fresca e innovativa. Un elogio speciale, infine, va alla fotografia, che ci immerge nel sogno di Billi e ci guida attraverso il contesto delle borgate romane, trasformate in uno scenario western».
Una Menzione Speciale della seconda giuria è andata poi al già citato (e premiato) Sharing is Caring di Vincenzo Mauro, ritenuto «una storia breve ma incisiva, che sorprende e intrattiene, lasciando un’impressione duratura».

INCinema, ricordiamo in conclusione, è prodotto e organizzato da SUB-TI ACCESS, in collaborazione con l’Associazione Libero Accesso, con il sostegno del Comune e della Banca di Udine, e anche in collaborazione con MYmovies, Alice nella Città, la Cineteca di Milano, la Fondazione Sistema Toscana, il Museo del Cinema di Torino, il Festival del Cinema Europeo di Lecce, Trieste Film Festival e l’Associazione +Cultura Accessibile.
Si avvale inoltre del patrocinio dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), della FIADDA (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie), della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), dell’Associazione Aniridia Italiana e della Consulta Regionale delle Associazioni delle Persone con Disabilità e delle loro Famiglie del Friuli Venezia Giulia.
I partner tecnici sono Earcatch e EasyReading, i media partner, oltre a Superando, Fred Film Radio e Motto Podcast. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Cristina Scognamillo (criscognamillo@gmail.com).

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