«A seguito della decisione di spostare al 1° gennaio 2027 l’attuazione della cosiddetta “Riforma sulla disabilità”, abbiamo assistito a molteplici interventi che, seppure con alcuni distinguo, si possono dividere tra quelli critici e quelli favorevoli allo slittamento di data. Il tema non è di poco conto e riveste una grande importanza per tutte le persone con disabilità e le loro famiglie»: inizia così l’ampio approfondimento di Fausto Giancaterina e Roberto Toppoli che presntiamo oggi sulle nostre pagine
A seguito della decisione del Governo di spostare al 1° gennaio 2027 l’attuazione della riforma di cui al Decreto Legislativo 62/24 (Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato), abbiamo assistito a molteplici interventi e pubblicazioni che, seppure con alcuni distinguo, si possono dividere tra quelli critici e quelli favorevoli allo slittamento di data.
Il tema non è di poco conto e riveste una grande importanza per tutte le persone con disabilità, e le loro famiglie, che attendono, oramai da troppo tempo, la realizzazione dei princìpi sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Come sopra accennato, da una parte troviamo chi ha letto in questo rinvio un atteggiamento di serietà, vista la complessità del tema e la situazione dei servizi territoriali che riscontra grandi differenze tra le Regioni. Dall’altra chi ci ha visto un procrastinare la già lunga attesa del momento in cui le persone con disabilità potranno vedere resi esigibili i propri diritti.
Tra i primi troviamo, ad esempio, Carlo Francescutti che, interrogato sul prolungamento della sperimentazione afferma: «Io lo giudico come un elemento di serietà. Di fronte a un processo di trasformazione che sulla carta è così importante, ci si prende il tempo di riflettere bene e a fondo. L’attuazione del Dlgs 62/2024 – lo stesso varrà per tutti i testi attuativi che ancora mancano – richiede una grande cura».
Sulla stessa linea, e su queste stesse pagine, con un’approfondita disamina giuridica, troviamo Salvatore Nocera che scrive: «Pertanto ribadisco che il rinvio sia stato un atto responsabile e corretto per una più puntuale messa a punto della realizzazione di questa complessa novità istituzionale. A tal proposito penso che tutte le Associazioni di persone con disabilità dovrebbero aiutare e sostenere il Governo “a individuare eventuali criticità e colmare vuoti”. E del resto, un antico proverbio italiano dice che “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”: il governo ha voluto, con il rinvio, giustamente prevenire questo rischio».
Ma c’è anche chi, come Ciro Tarantino, si pone diverse domande, sempre su queste pagine, anche in merito alle modalità con le quali è stata presa la decisione di rimandare l’applicazione della Riforma chiedendosi: «Ma, soprattutto, le persone con disabilità non hanno diritto di sapere le ragioni che hanno indotto questo differimento? Non hanno diritto di sapere che cosa ha alterato l’iter attuativo del Decreto Legislativo 62/24? Non meriterebbero di sapere a chi è imputabile questa sospensione dei loro diritti attesi? Il fatto che si redigano Carte, come quella di Solfagnano in occasione del G7 Inclusione e Disabilità, non significa che i diritti delle persone con disabilità siano di carta».
Si trovano poi posizioni articolate quale quella di Carlo Giacobini che sulla Riforma ha scritto spesso mostrandosi molto “tiepido” rispetto, non tanto ai contenuti, quanto alla sua reale applicabilità. «Il rinvio dell’entrata a regime della riforma, soprattutto nella seconda parte, era largamente prevedibile. È solo l’ennesima riprova della enorme difficoltà applicativa del sistema profilato dalla riforma. Francamente non mi ha stupito per nulla, a prescindere che processi di questo tipo devono essere sperimentati e testati (seriamente però) per comprendere se abbiano realmente la possibilità di diventare strutturali per tutti, non solo per felici sperimentazioni locali di poche decine di persone. Non credo nemmeno che 24 mesi siano sufficienti, con queste premesse, ad una sperimentazione realistica».
Per poter meglio comprendere la portata di questo prolungamento della sperimentazione della Riforma riteniamo sia opportuno tenere ben presenti i due punti essenziali, e ben distinti, della Riforma stessa. Infatti, se da un lato il Decreto 62/24 detta una completa revisione della definizione della condizione di disabilità e della valutazione di base e, conseguentemente, di tutto il procedimento relativo ad esse, dall’altro, al Capo III, novella e amplia quanto già presente all’articolo 14 della Legge 328/00 circa la valutazione multidimensionale e il progetto di vita, che diventa individuale, personalizzato e partecipato. A tale proposito dice Cecilia Marchisio che «la prima questione riguarda la scelta, operata a suo tempo da questo Governo, di accorpare in un unico decreto “monstre”, il 62/24, appunto, vari dispositivi che la Legge Delega aveva previsto e che avrebbero invece dovuto essere descritti ciascuno in un Decreto proprio, correlato agli altri, ma indipendente. La discutibile scelta ha legato in una sorta di “abbraccio mortale” i dispositivi, di fatto agganciando il destino della Riforma e della messa a sistema del progetto personalizzato e partecipato alla messa in atto dell’apparato necessario alla valutazione di base».
La figura qui a fianco pubblicata chiarisce la portata del Decreto 62/24 che, come si vede, racchiude diversi degli àmbiti considerati dalla Legge Delega 227/21 in materia di disabilità.
Ebbene, se sul primo aspetto potrebbe avere un senso – stante le difficoltà dell’INPS e delle Regioni a passare al nuovo sistema, concedere un maggior tempo per “mettere in piedi” la nuova organizzazione – in tema di progetto personalizzato, continuare a procrastinarne l’attuazione ci pare estremamente grave, se consideriamo che parliamo di una previsione di legge che, a breve, compirà i 25 anni!
La vita e il progetto di vita
Disagi e difficoltà soprattutto strutturali (dovuti quasi sempre a scarsità di risorse economiche e professionali, ma anche a sistemi organizzativi e operativi non integrati!) sono da sempre presenti in molti Servizi territoriali e forse da tali difficoltà sta dipendendo la lentezza e qualche confusione nella sperimentazione da una parte e, dall’altra, nella possibilità di arrivare con chiarezza ad una efficace riorganizzazione dei Servizi territoriali secondo quel poderoso cambiamento presente nel Decreto 62/24. Ma è bene ricordare anche che molti Servizi (in diverse Regioni) già da tempo hanno e stanno operando con efficaci sistemi organizzativi, sostenendo realisticamente le storie di vita delle persone con disabilità con operosi accompagnamenti nei normali contesti esistenziali.
Ecco perché ci piace, ancora una volta, tornare a raccontare come le storie di vita delle persone con disabilità seguano sempre (come del resto le vite di noi tutti!) un percorso in continuo cambiamento e che, quindi, una loro corretta percezione debba essere sempre attenta a quell’evoluzione esistenziale che, oltretutto, si irrobustisce con il continuo dialogo tra le persone stesse e quelle dei loro contesti vitali. Non sono ammessi, quindi, approcci parziali suggeriti da fugaci incontri, utilizzando filtri di lettura molto personali che, spesso, inducono a classificazioni e imprigionamenti fermi al tempo di un questionario riempito per stilare magari un progetto di vita!
E per questo ci piacerebbe conoscere come facciano quei professionisti che gestiscono (a pagamento?) “progettifici”, e li costruiscano con una semplice rassegna di notizie fornite, di solito, da familiari e/o da questionari buoni per tutte le esigenze. Viene giustamente da riflettere e capire come riescano a definire la complessità esistenziale di una persona con disabilità in tal modo! E pensiamo anche ai molti genitori che, vivendo nel vuoto di Servizi territoriali, sono costretti a ricorrere a quei professionisti senza, per altro, avere garanzia alcuna sul recepimento e l’approvazione da parte di un Servizio pubblico finalmente disponibile!
Solo su richiesta?
E veniamo a come poter essere da stimolo per un cambiamento che sia assolutamente rispettoso dell’esistenza e della storia di ogni persona con disabilità.
Innanzitutto siamo d’accordo che la titolarità del progetto debba essere la persona con disabilità, ma a noi suona maledettamente strano che “solo su richiesta” della persona con disabilità (o di un suo delegato) sia possibile definire e attivare un Progetto di Vita! Ma allora non ha insegnato nulla il fatto che, in tutti questi anni, ci sia stato uno scarsissimo successo dell’avere progetti individualizzati, secondo il disposto dell’articolo 14 della Legge 328/00, condizionati (appunto!), da quel «su richiesta della persona interessata»?
Perché, allora, nonostante tale insuccesso, il Legislatore insiste ancora a condizionare l’attivazione del progetto con quell’«a richiesta dell’interessato», come lo si ritrova nel Decreto 62/24 e precisamente all’articolo 18, comma 3 («La persona con disabilità è titolare del progetto di vita e ne richiede l’attivazione»? Non sarà, forse, che l’attivazione “su richiesta” sia una mascherata modalità per ridurre di fatto il volume delle richieste, stante l’atavica scarsa disponibilità di risorse finanziarie e professionali nei Servizi territoriali?
Di fatto, quindi, la clausola “su richiesta” può provocare situazioni discriminatorie nell’accesso. Si crea una sorta di selezione tra le persone che possiedono informazioni e capacità elaborative per fare tale richiesta (magari sostenute pure da Servizi territoriali funzionanti) e le persone che tali capacità e possibilità non le hanno e, ancor più, perché vivono immerse nel deserto territoriale di Servizi!
A nulla varrebbe il richiamo al dovere costituzionale, proprio di ogni Servizio pubblico, di attuare per tutte le persone con disabilità la presa in carico, di promuoverne la valutazione multidimensionale attraverso le Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM), di co-progettare un accompagnamento competente per tutta la vita, se poi tutto questo rimane una chimera assoluta, per le tante persone che non sono in grado di fare la richiesta per attivare il proprio progetto personalizzato.
Forse, allora, ci piacerebbe poter contare su uno scatto di orgoglio professionale di tanti professionisti bravi e attivi che sono e vogliano essere costruttori di un welfare territoriale comunitario e partecipativo, capaci di una forte attenzione ai diritti sociali di tutte le persone che fanno fatica a tenere il passo ed essere finalmente per loro facilitatori di quei diversi passaggi esistenziali, memorizzando e documentando progressi e difficoltà. Sono professionisti che non sprecano quel prezioso patrimonio di conoscenze delle persone che hanno avuto PEI (Piani Educativi Individualizzati) aggiornati anno per anno, e che, con il passaggio della presa in carico da un Servizio all’altro non sono diventate degli “illustri sconosciuti”. È in questo modo che avviene l’esercizio della continuità della presa in carico delle persone, dando appunto continuità a quei facilitatori di processi inclusivi nei normali contesti di vita, evitando e rifiutando la frequentazione stabile e continuativa in luoghi e strutture riservate unicamente alle persone con disabilità.
Non si intende negare che le diverse Unità Professionali dei Servizi debbano possedere anche competenze specialistiche e conoscenze solide delle potenzialità e dei limiti delle persone. Il loro supporto serve a sostenere ogni programma di sviluppo della persona che, però, deve dilatarsi e seguire una co/progettazione con tutti gli attori di contesto, con tutte le risorse reperibili nella comunità sociale e con tutti i sostegni esistenziali per una co/gestione, partecipata ed evolutiva, di progetti di vita personalizzati e non più unicamente di attività di servizi che abbiano l’esclusivo obiettivo del superamento dei deficit.
Anni di riflessioni e studi scientifici su esperienze di progetti personalizzati per l’inclusione nei normali contesti sociali e soprattutto l’enorme quantità dei relativi risultati positivi, non depongono più a favore di chi sostiene (semplificando in modo riduttivo l’approccio alla disabilità) che le persone debbano essere “curate” in strutture esclusive, rigide, dominate da processi propri della cultura bio/medica e specialistica.
Percorsi operativi corali
È giusto ripeterlo: nei Servizi serve dare largo spazio al lavoro multidisciplinare, poiché essi prima di tutto devono essere bravi facilitatori della permanenza delle persone nei normali luoghi della vita: nella scuola, nel lavoro, nello sport, nel tempo libero ed anche nei diversi sentieri dell’abitare. Sono queste le vere occasioni per far toccare con mano a tutti i professionisti di un Servizio la riscoperta di quella ricchezza che deriva da un lavoro condiviso, corale e multidimensionale. La solitudine professionale spesso produce un’ulteriore fatica sia nel comunicare e sia nel superare pratiche esclusivamente prestazionali. Serve anche nelle relazioni professionali quell’accomodamento ragionevole nel ricercare elementi condivisibili, nel superare contrapposte gelosie professionali, nel provocare e consolidare valide motivazioni e durevoli sostegni all’impegno di tutti.
La sperimentazione di un sistema di lavoro condiviso e di strategie comuni crea connessioni e permette di arrivare ad una trasformazione anche della fisionomia di un servizio, delle sue modalità di lavoro. Questo, crediamo, sia il senso da dare a tale percorso. Si tratta di un’esperienza che si incammina verso sentieri dove si incontrano diversi protagonisti e compagni di viaggio che per storia personale non sempre sono facilitatori di connessioni e di obiettivi condivisi.
Famiglie, servizi sanitari e servizi sociali, progetti dipartimentali e progetti municipali, comunità locali, singoli cittadini… Un tutto che richiede un cambiamento, per non seguire più logiche divergenti e solistiche, ma coralità e senso di fare cose che producono percezioni positive che rimbalzano dal contesto sociale e forse permettono di riassaporare emozioni, sintonie e piaceri di quel fare collegialmente una cosa vera, produttiva di bene-essere nel contesto sociale di lavoro.
Questo processo operativo – che man mano sta diventando prassi consolidata in molti Servizi Pubblici – capovolge definitivamente lo sguardo con cui vengono ancora guardate le persone: da passivi ricettori ad attivi costruttori di opportunità per l’esigibilità dei propri diritti sociali. Parafrasando Benedetto Saraceno (1), non possiamo più limitarci a descrivere puntualmente la realtà con strumenti sofisticati di psicologia sociale e sociologia, senza mettere in campo nulla di concreto per modificarla: servono nuove strategie operative, oltre alla capacità di nuove categorie descrittive.
Un ultimo suggerimento: perché non considerare ormai l’opportunità di togliere da ogni atto legislativo e normativo la dizione «a richiesta della persona interessata», sostituendola con «è fatto obbligo dei Servizi pubblici territoriali, di esercitare la presa in carico e di attivare la progettazione personalizzata e partecipata»?
Credo che, in proposito, sia saggio ricordare quanto deliberato dalla Regione Friuli Venezia Giulia (2): «Il sistema regionale di presa in carico della persona con disabilità prevede, di fatto, già allo stato attuale, che la valutazione multidimensionale esiti nell’elaborazione di un progetto personalizzato, dotato di apposito budget, secondo un principio universalistico tale per cui tale progetto personalizzato non è un esito auspicato, su richiesta della persona stessa, della valutazione multidimensionale, bensì l’esito dovuto di tale processo di valutazione».
La centralità del progetto di vita personalizzato
Serve, quindi, arrivare ad una totale generalizzazione, da parte dei Servizi territoriali, della prassi operativa incentrata sul “progetto di vita personalizzato”, perché le diverse esperienze condivise di attivazione di quel “contenitore” (il progetto di vita, appunto!) entro cui “mettere” l’esistenza delle persone, si sta rivelando il vero facilitatore della presa in carico che permette di galvanizzare tutte le potenzialità della persona stessa.
In proposito credo che sia facile rintracciare numerose e consolidate esperienze in Regioni come la Toscana, il Friuli Venezia Giulia o l’Emilia Romagna, ma non solo, dove un tale sistema operativo si presenta come impareggiabile facilitatore dell’esistenza delle persone.
La retorica, a volte ridondante e fastidiosa, della “Persona al centro” si sgretola finalmente quando l’operatività dei Servizi territoriali riesce ad adottare come prassi lavorativa generalizzata la “produzione” dei progetti di vita personalizzati, abbandonando definitivamente modalità operative unicamente prestazionali, sia sanitarie che sociali. Il progetto di vita personalizzato, come già ricordato, richiede, ovviamente, una presa in carico che attui processi di conoscenza e soprattutto sistemi di valutazione periodica degli esiti, come già evidenziato in un precedente approfondimento su queste stesse pagine (F. Giancaterina, Ragionando su quel progetto di vita personalizzato, 20 gennaio 20225).
Sono i progetti personalizzati la chiave per capire se davvero la presa in carico del Servizio territoriale stia producendo cambiamenti di bene-essere nelle persone e se tali persone siano veramente in grado di padroneggiare meccanismi di cambiamento positivo non solo in sé, ma anche nei contesti vitali come la famiglia e i luoghi sociali abitualmente frequentati.
Convergenza di azioni condivise
Il progetto di vita personalizzato e generalizzato, perché sia veramente attivo, si realizzi e si perfezioni nel tempo come stabile prassi operativa dei Servizi, necessita, però, di una felice e armonica convergenza di azioni condivise dai tre Protagonisti del welfare territoriale, vale a dire i Legislatori che sappiano adottare appropriate leggi e norme; i Cittadini e le Cittadine che, con le loro Associazioni, seminino sensibilità e attenzione continua nell’esigere risposte giuste e personalizzate; i Servizi Pubblici territoriali e gli Enti di Terzo Settore, che siano messi nella possibilità di essere veri creatori di risposte/occasioni dell’esigibilità dei diritti sociali. Quando tale andamento sintonico tra questi grandi protagonisti funziona, la comunità sociale vive un welfare partecipato e coerente. Quando invece ognuno dei tre protagonisti si mette ad agire in solitaria narrazione, vuol dire che si sta dimenticando la nostra Costituzione che da sempre esige comportamenti giusti in relazione ai diversi diritti garantiti a tutti cittadini: «I diritti non sono qualcosa che esiste già là fuori, e che si tratti semplicemente di attuarli. No. Che cosa sia un diritto, chi abbia diritto a che cosa e a quali condizioni, non è mai scontato né dato una volta per tutte. È invece sempre l’esito di processi culturali, politici e sociali complessi. […] I diritti sono costitutivamente fragili e reversibili, anche quando sono riconosciuti dalla legge. Perché per garantire un diritto non basta la norma, ci vogliono i comportamenti di tutti. Tant’è che la storia umana, anche nel nostro paese è una lunga vicenda di allargamento e restringimento della sfera dei diritti. Non è una storia lineare, è una storia fatta di avanzamenti e retrocessioni. I diritti possono vivere ed essere implementati solo se acquisiti socialmente: ovvero se c’è un consenso diffuso, se c’è una accettazione collettiva, se fanno parte non solo del patrimonio legale ma anche culturale di una collettività» (3).
Quei tre protagonisti devono, quindi, essere in perfetta sintonia nel fare scelte fondamentali, strutturali e necessarie per i servizi territoriali, senza le quali è del tutto velleitario poter parlare di seri Progetti di vita personalizzati.
Da anni ormai ci affanniamo a richiedere per ogni territorio/distretto cambiamenti strutturali quantitativi e qualitativi riguardanti:
° l’integrazione sociosanitaria;
° un capitolo unico di spesa integrato (sociosanitario) di distretto;
° un sistema integrato di valutazione periodica del bene-essere raggiunto dalle persone;
° un programma (regionale) unitario di interventi per le persone con disabilità con potenziamenti annuali di risorse finanziarie e professionali;
° l’adozione del sistema operativo (integrato) budget di salute (4), quale «insieme di risorse economiche, professionali e umane necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale del soggetto assistito garantendo comunque le prestazioni socio-sanitarie essenziali»;
° da ultimo, l’abbandono della definizione “budget di progetto”, visto che, oltre ad essere indice settoriale di interventi, con il Decreto 17 del 14 gennaio 2025, viene identificato unicamente come “risorsa finanziaria e/o di voucher”, nei progetti personalizzati.
La situazione nella Regione Lazio e il Decreto 62/24
Le richieste qui avanzate purtroppo sono ancora del tutto disattese nella Regione Lazio. È nostra esperienza quotidiana, ritrovarci con un welfare territoriale “zoppo”, male organizzato, settorializzato e che spesso disperde energie e non raggiunge l’obiettivo per cui esiste: il bene-essere dei cittadini!
Una Regione, la nostra, che oltretutto non è in grado di rispettare e attuare neppure le sue stesse leggi, come, ad esempio, la Legge Regionale 11/16 (Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio). Per ciò che qui ci interessa, in quella legge un intero Capo – il VII – è dedicato a Disposizioni per l’integrazione socio-sanitaria. Sono ormai passati nove anni e praticamente nulla di tali disposizioni è stato attuato.
Forse ci ritroviamo con sensibilità operative e culturali non del tutto in sintonia con la piena esigibilità dei diritti sociali e non vorremmo affatto che la decisione del rinvio al 2027 dell’attuazione su tutto il territorio nazionale della riforma di cui al Decreto Legislativo 62/24, fosse per la nostra Regione un ulteriore alibi per continuare processi operativi assolutamente frammentati e poco attenti a quel processo operativo che deve poggiare fortemente sulla capacità costruttiva dei progetti personalizzati.
Proviamo allora a volgere l’attenzione a quanto magistralmente ci ricorda la Regione Friuli Venezia Giulia (5) in relazione all’articolo 24, comma 4 del Decreto 62/24 in quanto non rientrante nelle proroghe di cui alla Legge 15/25.
L’articolo citato così recita: «Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni, al fine della predisposizione del progetto di vita, programmano e stabiliscono le modalità di riordino e unificazione, all’interno delle unità di valutazione multidimensionale di cui al comma 1, delle attività e dei compiti svolti dalle unità di valutazione multidimensionale operanti per:
a) l’individuazione di prestazioni e trasferimenti monetari connessi alla condizione di non autosufficienza, eccettuata quella dei soggetti anziani;
b) l’individuazione di prestazioni e trasferimenti monetari connessi alla condizione di disabilità gravissima di cui all’articolo 3 del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 settembre 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 30 novembre 2016;
c) l’individuazione delle misure di sostegno ai caregiver;
d) la redazione dei progetti individuali di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
e) l’individuazione dei servizi, degli interventi e delle prestazioni di cui all’articolo 4 della legge 22 giugno 2016, n. 112».
A questo punto sarebbe del tutto necessario e interessante conoscere quali iniziative abbia intrapreso o quali intenderà – a breve – intraprendere la Regione Lazio, in ordine a quanto disposto dal citato articolo 24, comma 4, del Decreto Legislativo 62/24.
* Già direttore del Servizio Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale.
**Assistente sociale, consulente dell’AIPD di Roma (Associazione Italiana Persone Down), vicepresidente del Comitato I.SO.LA. (Comitato per l’Integrazione Socio-Sanitaria nella Regione Lazio).
Note:
(1) Saraceno B., Abilitiamo i quartieri alla democrazia. Un lessico per disegnare una città diversa, intervista a Benedetto Saraceno, a cura di Animazione Sociale, in «Animazione Sociale», n. 343, 02/2021–343, Gruppo Abele, Torino, 2021, pp. 6-14.
(2) Regione Friuli Venezia Giulia, Delibera di Giunta Regionale (DGR) n. 176 del 14 febbraio 2025: Prime indicazioni per la predisposizione del progetto di vita della persona con disabilità. Attuazione della fase di sperimentazione per il territorio di Trieste, Allegato, p.6.
(3) Saraceno C., Lezione sui diritti. Un cammino di civiltà mai concluso, in «Animazione Sociale», n. 349, 08/2021, Gruppo Abele, Torino, 2021, pp. 6-13.
(4) Ad esempio: Legge Regionale del Lazio 11/16, articolo 53, Presa in carico integrata della persona e budget di salute, comma 5: «La Regione, al fine di dare attuazione alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui “determinanti sociali della salute” e alle relative raccomandazioni del 2009 e in osservanza di quanto sancito dall’articolo 32 della Costituzione in merito al diritto alla salute, adotta una metodologia di integrazione sociosanitaria basata su progetti personalizzati sostenuti da budget di salute, costituiti dall’insieme di risorse economiche, professionali e umane necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale del soggetto assistito garantendo comunque le prestazioni socio-sanitarie essenziali».
(5) Regione Friuli Venezia Giulia, Delibera di Giunta Regionale (DGR) n. 176 del 14 febbraio 2025: Prime indicazioni per la predisposizione del progetto di vita della persona con disabilità. Attuazione della fase di sperimentazione per il territorio di Trieste, Allegato, p. 6, cit.
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