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Inquietanti notizie continuano ad arrivare dagli Stati Uniti sul piano dei diritti

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Un’ulteriore inquietante notizia proveniente dagli Statri Uniti, sul piano dei diritti, è riportata da un lancio dell’Agenzia AGI, secondo il quale «l’Amministrazione Trump ha dato due settimane di tempo a scuole e college americani, per eliminare i programmi di inclusione verso afroamericani, latinos, disabili, gay e transgender, altrimenti perderanno i contributi federali» Una realizzazione grafica che recita “Disability Rights are Human Rights” (“I diritti delle persone con disabilità sono diritti umani”)

Non cessano purtroppo di arrivare notizie quanto meno inquietanti dagli Stati Uniti, sul piano dei diritti. Abbiamo infatti già ampiamente riferito, in queste settimane, dello smantellamento, da parte dell’Amministrazione Trump, del Programma DEI (Diversity, Equity and Inclusion), che da decenni rappresenta un pilastro della sicurezza sociale americana, sia a livello nazionale che internazionale. Si tratta, lo ricordiamo, di un insieme di strumenti concreti per garantire pari opportunità e abbattere le barriere che limitano milioni di cittadini negli Stati Uniti e, attraverso l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), per sostenere le comunità più vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo.
Abbiamo inoltre registrato un altro provvedimento che congela i fondi federali a favore dell’inclusione delle persone statunitensi con disabilità, si spera momentaneamente, come sottolineato su queste pagine dall’Associazione sammarinese Attiva-Mente.

Da un lancio di agenzia prodotto nella notte scorsa dall’AGI, apprendiamo ora, come si può leggere testualmente, che «l’Amministrazione Trump ha dato due settimane di tempo a scuole e college americani, per eliminare i programmi di inclusione verso afroamericani, latinos, disabili, gay e transgender, altrimenti perderanno i contributi federali».
Tale comunicazione è arrivata tramite una nota inviata dal Dipartimento dell’Istruzione, costringendo dunque le scuole e i college del proprio Paese «a decidere entro 14 giorni se difendere princìpi in cui credono o rinunciare per non perdere i fondi».

«Il Programma DEI – conclude la nota dell’Agenzia AGI -, acronimo che sta per “Diversità, Equità e Inclusione”, è servito a dare sostegno alle minoranze e alle fasce deboli nell’accettazione nei college, per riequilibrare la partecipazione dominante degli studenti bianchi. L’Amministrazione USA vuole che dai programmi scolastici spariscano lezioni e corsi che parlano dello schiavismo, della ghettizzazione dei neri e delle discriminazioni razziali e per genere». (S.B.)

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In scena “Il silenzio del vento”: la Resistenza, la condizione della donna e la disabilità uditiva

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Lo spettacolo teatrale “Il silenzio del vento” racconta lo scontro sul Monte San Martino (Varese) tra partigiani e tedeschi nel novembre del 1943 da una prospettiva particolare: quello delle “sordomute povere” che erano ospitate in una casa di villeggiatura su quel monte. Andrà in scena il 21 febbraio a Milano, con il contributo del Pio Istituto dei Sordi

Nel novembre del 1943, sul Monte San Martino, nei pressi di Varese, viene combattuta una delle prime battaglie della Resistenza. A battersi contro i nazifascisti è un gruppo di partigiani che va oltre le differenti ideologie: ci sono soldati, studenti, operai. Ma sul Monte San Martino c’è anche Villa San Giuseppe, una casa di soggiorno estivo per giovani donne, le allieve dell’“Istituto Sordomute Povere di Milano” il cui destino si incrocia con quello della battaglia.
A raccontare questa storia, attraverso la prospettiva unica delle “sordomute povere”, ospitate in quella casa di villeggiatura, ci pensa uno spettacolo teatrale, Il silenzio del vento, che andrà in scena nella serata di venerdì 21 febbraio al Centro Culturale Asteria di Milano (Piazza Francesco Carrara, 17, ore 21).

Proposto nell’anno in cui ricorre l’ottantesimo anniversario della Liberazione, Il silenzio del vento è un affresco di quei giorni drammatici e tocca tre argomenti diversi tra loro: la Resistenza, cercando di dare la giusta importanza a un episodio che non ha ancora avuto la doverosa visibilità; la condizione della donna in quei giorni; e naturalmente la disabilità uditiva.
Scritto con i moderni canoni del teatro narrazione, lo spettacolo racconta dunque molte storie: quella di una battaglia, quella di ideali che in quei giorni oscuri sembravano perduti, quella della rassegnazione e della forzata emarginazione sociale di giovani donne cui il destino aveva riservato una vita senza suoni. E poi la storia di un’educatrice, di una donna messa dal destino di fronte a scelte drammatiche.
Alla fine della battaglia, quando ogni rumore sarà svanito, resterà solo il vento, il cui soffio cercherà di portare via tutto quanto, lasciando uno spiraglio di luce dove sembrano esserci soltanto ombre e buio. La speranza che non tutto, alla fine, sia davvero perduto.

Il progetto è stato realizzato con il contributo del Pio Istituto dei Sordi di Milano in occasione delle celebrazioni per il suo 170° anniversario e con la collaborazione del Centro Culturale Asteria. I testi sono di Antonio Zamberletti, l’interprete è Elisa Baio, le musiche originali e la regia sono di Daniele Cortese. (C.C.)

Lo spettacolo sarà accessibile alle persone con disabilità uditiva mediante servizio di sovratitolazione in italiano. La presentazione dello spettacolo stesso sarà accessibile mediante sottotitolazione in diretta e interpretariato LIS. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Per ulteriori informazioni: attivita@pioistitutodeisordi.org.

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Il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità!

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«Anche quest’anno – scrivono dalla LEDHA – sul palco del Festival di Sanremo si è parlato di disabilità e purtroppo, come spesso è già accaduto in passato, lo si è fatto male. Per questo, dunque, abbiamo lanciato una raccolta firme su Change.org, per chiedere che il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità e che, approfittando di questa pausa, gli autori del Festival stesso si prendano il tempo per studiare e informarsi meglio su questo tema»

Anche quest’anno ci siamo lasciati alle spalle il Festival di Sanremo. La più importante vetrina della musica italiana è un evento totalizzante: oltre alla diretta su RaiUno, i quotidiani e i loro siti internet, le radio e i social fanno a gara per pubblicare quanti più contenuti possibile (interviste, retroscena, meme e gossip) su cantanti, ospiti e conduttori. Nel bene e nel male, dunque, ignorare Sanremo è impossibile.
Anche quest’anno sul palco dell’Ariston si è parlato di disabilità. Purtroppo, come spesso è già accaduto in passato, lo si è fatto male. Prima con un ricordo di Sammy Basso, presentato come «essere umano meraviglioso» che «nonostante tutto amava la vita» e poi con uno spettacolo del Teatro Patologico i cui attori sono stati presentati come «persone affette da disabilità» da Carlo Conti. Ed è stato detto che «senza di loro la vita sarebbe una noia mortale».

Già durante la serata tante persone con disabilità attente ai temi del linguaggio hanno stigmatizzato questi episodi, soprattutto sui loro profili social. Per Lisa Noja, avvocato e consigliera regionale in Lombardia, il modo in cui Conti ha presentato il Teatro Patologico «è un concentrato da manuale di abilismo indecente».
Iacopo Melio, consigliere regionale in Toscana, ha stigmatizzato sia l’uso della storia di Sammy Basso come «inspiration porn» sia l’infantilizzazione degli attori del Teatro Patologico.
E ancora, la giornalista Marina Cuollo ha sottolineato come il «purché se ne parli» non possa più essere «un alibi per comunicare la disabilità senza una reale competenza».

Le persone con disabilità e le loro storie meritano rispetto, meritano di essere raccontate con dignità, senza paternalismo e senza pietismo. Soprattutto, le loro storie non devono essere ridotte a “modelli” di coraggio, di sopportazione, di “capacità di superare le barriere”. Le persone con disabilità non devono “ispirare” nessuno. Non sono modelli di determinazione per il semplice fatto di alzarsi al mattino, andare a scuola o all’università, lavorare, fare sport e così via.
Per questo la nostra Federazione [LEDHA] lancia una raccolta firme su Change.org, per fare una richiesta al direttore generale della Rai, Roberto Sergio, all’amministratore delegato Rai, Giampaolo Rossi, e al direttore artistico di Sanremo, Carlo Conti: nell’edizione 2026 del Festival di Sanremo non occupatevi di disabilità. Non invitate persone con disabilità sul palco, a meno che in gara non ci sia un cantante con disabilità, ovviamente. Niente monologhi, niente celebrazioni, niente testimonianze. Niente.
Chiediamo che il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità. E che, approfittando di questa pausa, gli autori del Festival si prendano il tempo per studiare e informarsi meglio su questo tema, ascoltando – ad esempio – le parole di Franco Bomprezzi e il Ted Talk della giornalista inglese Stella Young (I’m not your inspiration, thank you very much).
Li invitiamo a parlare con i giornalisti che si occupano da anni di questi argomenti e lo fanno con grande attenzione alle parole e alla rappresentazione delle persone con disabilità. Li invitiamo a confrontarsi con le Associazioni di persone con disabilità, siamo qui anche per questo.

*Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

Sul medesimo tema qui trattato, segnaliamo anche, sulle nostre pagine, il testo Teatro Patologico: attori e attrici, non persone che “soffrono di disabilità”! (a questo link).

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Un corso teorico pratico sulla respirazione glossofaringea nella distrofia muscolare

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Si terrà il 22 febbraio ad Ancona, organizzato dalla Fondazione Dr. Dante Paladini, il corso teorico pratico sul tema “Respirazione glossofaringea (GPB): risorsa naturale per l’autonomia ventilatoria nella persona affetta da distrofia muscolare con insufficienza respiratoria restrittiva”

Ci sono ancora posti disponibili per il corso teorico pratico sul tema Respirazione glossofaringea (GPB): risorsa naturale per l’autonomia ventilatoria nella persona affetta da distrofia muscolare con insufficienza respiratoria restrittiva, organizzato dalla Fondazione Dr. Dante Paladini di Ancona, in programma per il 22 febbraio presso l’Hotel Europa del capoluogo marchigiano.
Coordinatore scientifico dell’iniziativa sarà Carlo Bianchi, consulente e vicepresidente della UILDM di Varese (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e interverrà anche Michela Coccia, direttore clinico del Centro NeMO Ancona (NeuroMuscular Omnientre). Nella seconda parte del corso, inoltre, è prevista una larga finestra di pratica con alcuni pazienti. (S.B.)

Per il programma dettagliato e l’iscrizione, fare riferimento a cliccare questo link. Per ulteriori informazioni: info@fondazionepaladini.it.

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Un’“authority” della Tiflologia per superare il docente di sostegno

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«In vista della Giornata Nazionale del Braille del prossimo 21 febbraio – scrive Gianluca Rapisarda -, ritengo indispensabile sottolineare l’importanza dell’educatore alla comunicazione e del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, perché significa riaffermare e riproporre finalmente la necessità della specificità tiflologica per un proficuo processo di inclusione degli alunni/studenti ciechi e ipovedenti del terzo millennio» Il Museo Tiflológico della ONCE a Madrid

Pur rispettando la proposta avanzata nei giorni scorsi su queste stesse pagine da Salvatore Nocera di collegare strettamente la figura del tiflologo all’Istituto Augusto Romagnoli di Roma, che potrebbe assumere il ruolo importante del riconoscimento governativo come scuola di specializzazione post-laurea al fine di effettuare master che ne sostanzierebbero i contenuti della preparazione, anche per il tramite di una Convenzione con le Università, chi scrive non si sente di condividerla. Infatti, la dispersione delle competenze tiflologiche degli ultimi anni e la mancanza di un percorso formativo tiflologico universitario sono state causate, oltre che dalla morte prematura di Augusto Romagnoli (fondatore della Tiflologia italiana) e di quella, recente, di Luciano Paschetta, autentico “faro” della tiflologia in Italia nella seconda metà del Novecento, anche dalla graduale crisi negli Anni Novanta dell’unica scuola di metodo tiflologica del nostro Paese, lo stesso Istituto Augusto Romagnoli.
A mio avviso, proprio tali forti criticità hanno indotto l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) a definire recentemente la proposta formativa alla quale io stesso ho contribuito, basata sulle due figure professionali degli educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e dei pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche, fondata su Master Universitari di Primo e Secondo Livello.
Il problema è che, negli ultimi anni, la scarsa presenza in Italia degli alunni con disabilità sensoriali (circa 4.000 quelli ciechi e 5.000 i sordi, e cioè meno del 2% del totale degli allievi con disabilità) nella «scuola di tutti”, ha fatto crescere l’idea della formazione polivalente e “general-generalista” e della necessità di superare le specializzazioni dei docenti di sostegno. È avvenuto cioè che all’interno dei programmi dei TFA (Tirocini di Formazione Attiva) per gli insegnanti specializzati, manchino ormai paradossalmente le aree per la specificità, quali elementi di tiflologia, di sociologia, di psicologia, ma specialmente e incredibilmente l’insegnamento del Braille. Auspicherei, quindi, che, anche restando fermo il principio dei corsi polivalenti, venissero arricchiti gli ambiti della specializzazione, ovvero che si trattasse, ad esempio, dei processi dell’età evolutiva, della pedagogia speciale e della didattica speciale a seconda della tipologia di minorazione, e che per quella visiva fosse imprescindibile e obbligatorio l’apprendimento del metodo Braille.
D’altra parte, anche l’emanazione del recente DPCM applicativo della Legge 79/22 (conversione del Decreto Legge 36/22 su Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza), relativamente alla formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria, prevede solo 10 Crediti Formativi su 60 sulla pedagogia e la didattica, con il rischio, quindi, che quelli sulla pedagogia e la didattica speciale si riducano a un numero insignificante e che la “montagna abbia partorito il solito topolino” della delega del processo d’inclusione scolastica al solo docente per il sostegno, tra l’altro scarsamente preparato sulle singole disabilità.

In questo clima culturale, ai sensi dell’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92, l’attenzione alle specificità per ciechi e sordi viene demandata all’assistenza alla comunicazione, senza però che siano stati definiti né il profilo professionale, né il percorso formativo degli stessi assistenti alla comunicazione, con l’inevitabile conseguenza che anche questi ruoli sono stati sovente affidati a educatori privi di competenze specifiche.
Oggi, i bisogni educativi sono sempre in aumento e con essi anche le risorse strumentali si sono perfezionate e moltiplicate. Pertanto, gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, in virtù del loro obiettivo specialistico, non possono essere ignari delle nozioni più attuali di pedagogia e didattica speciale, e la loro formazione non può restare affidata al caso o all’autoformazione rapportata a un’offerta sporadica e spesso d’incerta matrice.
Di qui l’indifferibile necessità di avviare le due tipologie di master sopracitate, grazie ad apposite convenzioni tra l’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI), ente riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito quale riferimento per la formazione scolastica sulle tematiche della disabilità visiva e accreditato per l’erogazione di formazione al personale docente (Decreto Ministeriale 177/00), e le Università, nella prospettiva lungimirante di far diventare lo stesso IRIFOR una vera e propria “authority” scientifica nazionale, capace di esportare il modello dei Master di Primo Livello per educatori alla comunicazione e di Secondo Livello per esperti in scienze tiflologiche ai principali Atenei del nostro Paese.
Un esempio importante in proposito è stato rappresentato negli anni scorsi dalla convenzione tra l’IRIFOR e l’Università di Modena e Reggio Emilia, per il primo “storico” Master per educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e io credo che si possa e si debba proseguire in questa direzione, essendo questa l’unica “via” possibile per un’inclusione davvero di qualità per i ragazzi italiani privi della vista, in quanto garantita anche dal “contesto” e da figure adeguatamente “specializzate” e non solo ed erroneamente da impreparati docenti di sostegno.
Tali Master di Primo e Secondo Livello sono rivolti prevalentemente a coloro che sono in possesso di un titolo di laurea almeno triennale in Scienze della Formazione e in Scienze dell’Educazione o di Educatore Professionale e di quella in Pedagogia, nonché agli insegnanti nella scuola del primo e del secondo ciclo di istruzione e formazione (con particolare riferimento a chi ha funzioni e/o esperienze di lavoro nel campo dei BES-Bisogni Educativi Speciali). Una speciale deroga potrà essere concessa a tutti i consulenti tiflologi operanti presso i 19 Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT) della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e della Biblioteca per i Ciechi Regina Margherita di Monza.

I Master di educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e di pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche si articolano in varie attività in presenza, a distanza e sul campo (1.500 ore con il rilascio di 60 Crediti Formativi Universitari), per un totale di 150 ore di docenza a distanza (videolezioni, webinar, seminari e workshop online), 250 frontali, 600 di project work (studio di casi, studio guidato, studio individuale o distribuito in gruppi, progettazione operativa, discussione della tesi e prova finale in presenza), 300 sul campo (tirocinio formativo, di cui almeno 50 ore presso istituzioni scolastiche), 50 ore di seminari (in presenza) e 150 di laboratori (di cui almeno 100 ore in presenza).
Proprio per questo motivo, quando chi scrive ricopriva il ruolo di direttore scientifico dell’IRIFOR nel 2017, l’Istituto ha trasformato i propri Albi Nazionali, centrandoli sulle figure degli Educatori alla Comunicazione per persone con disabilità visiva e uditiva e degli Esperti in Scienze Tiflologiche, deputati alla presa in carico del progetto globale delle persone con disabilità visiva di ogni età e anche con disabilità aggiuntive. Il tutto con l’auspicio che rinasca finalmente in Italia la Tiflologia.

In definitiva, come scriveva nel 2016 il compianto Luciano Paschetta  «Oggi, constatato il livello assolutamente insoddisfacente dell’inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità visiva, partendo proprio da queste riflessioni sui suoi punti di debolezza, dobbiamo trovare il coraggio di andare oltre. Dobbiamo aver il coraggio di dire ai genitori dei ragazzi non vedenti e ipovedenti che, per migliorare la qualità dell’istruzione dei loro figli, non serve l’insegnante di sostegno, né serve aumentarne le ore».
In altre parole, dobbiamo avere il coraggio di dire che non servono gli insegnanti specializzati, per il cui riconoscimento e “diritto” le famiglie degli studenti con minorazione della vista ricorrono spesso persino ai giudici se, come sovente avviene, essi sono impreparati, hanno una formazione solo “indifferenziata” e, conseguentemente, non possiedono competenze specifiche di tipo tiflopedagogico e tiflodidattico. Come previsto dalla nostra normativa inclusiva, occorre invece garantire agli allievi con disabilità visiva il “sostegno del contesto”, con la fornitura di servizi di supporto efficaci e funzionali al successo formativo, la flessibilità del curricolo, la personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento, una metodologia individualizzata che tenga conto dei loro reali ed effettivi bisogni educativi e, ancor di più, la formazione di figure professionali specifiche deputate al loro processo d’inclusione.
In proposito, l’equivoco che vorrei sfatare è che, attraverso la succitata proposta formativa dell’UICI dei due Master per educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e dei pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche, rielaborata anche nel mio ultimo recente libro Breve storia della Tiflologia (Erickson), non mi sono certo posto l’obiettivo di alimentare “moltiplicazioni” e aumentare le figure a supporto dell’inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità visiva o, ancor peggio, di medicalizzarne l’educazione-istruzione.
In vista infatti della Giornata Nazionale del Braille del prossimo 21 febbraio, sottolineare l’importanza dell’educatore alla comunicazione e del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, è per chi scrive “irrinunciabile” e indispensabile, perché significa riaffermare e riproporre finalmente la necessità della specificità tiflologica per un proficuo processo di inclusione degli alunni/studenti ciechi e ipovedenti del terzo millennio. Forse, chissà, in siffatto modo potremo finalmente ritrovare quell’autorevolezza scientifica che in questi decenni ci è mancata, facendo entrare la Tiflologia a pieno titolo all’interno delle aule universitarie e ottenendo un’apposita laurea specialistica in Scienze Tiflologiche.

*Dirigente scolastico con disabilità visiva.

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Un appello per l’abbandono definitivo di quel Protocollo Europeo che viola i diritti umani

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Nel 2022 il Consiglio d’Europa aveva sospeso sino alla fine del 2024 l’adozione del Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo che autorizzerebbe il trattamento coatto e l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità. Ora, però, lo stesso Consiglio d’Europa ha ripreso a lavorare su quel documento, chiedendo un parere alla propria Assemblea Parlamentare. Nel rilanciare la campagna “Ritirare Oviedo”, il Forum Europeo sulla Disabilità ha inviato l’Assemblea Parlamentare a formulare un parere negativo La sede del Consiglio d’Europa a Strasburgo (foto di Candice Imbert)

Nel giugno del 2022 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva deliberato la sospensione dell’adozione del Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina del Consiglio d’Europa del 1997 – meglio nota come Convenzione di Oviedo – fino alla fine del 2024, come scrivemmo anche su queste pagine.
Si parla, va ricordato, di un Protocollo avversato dalle principali organizzazioni di persone con disabilità europee perché in contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (e non solo). Infatti, il Protocollo stesso, se approvato, autorizzerebbe il trattamento coatto e l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità in violazione degli articoli 14 (Libertà e sicurezza della persona), 15 (Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti), 17 (Protezione dell’integrità della persona) e 25 (Salute) della Convenzione.
Per sensibilizzare sul tema l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità e l’MHE (Mental Health Europe) avevano lanciato a suo tempo la campagna informativa #Withdraw Oviedo (“Ritirare Oviedo”) che aveva riscosso numerose adesioni.

Ora che siamo nel 2025 l’iter per l’adozione del Protocollo è ripreso e l’EDF ha rinnovato il proprio «appello al Consiglio d’Europa affinché abbandoni la proposta di Protocollo che autorizzerebbe il trattamento forzato e la coercizione nell’assistenza sanitaria nell’area della salute mentale».
In tal senso, il Forum ha reso noto appunto che «il Consiglio d’Europa ha ripreso a lavorare su un Protocollo che supporterebbe i trattamenti forzati e la coercizione [nei confronti delle persone con disabilità psicosociale], nonostante le nostre richieste contrarie. La ripresa dei lavori rappresenta una battuta d’arresto rispetto alle raccomandazioni positive elaborate durante la sospensione del Protocollo. Invitiamo pertanto l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa a esprimere un parere negativo che si opponga a questa iniziativa».

«Il Consiglio d’Europa ha cercato di regolamentare il trattamento e il collocamento forzati delle persone con disabilità e problemi di salute mentale in strutture sanitarie – si legge ancora nella nota dell’EDF –. Questa proposta ne consentirebbe l’uso continuato, consoliderebbe l’istituzionalizzazione e creerebbe conflitti giuridici nei Paesi che hanno ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».

A causa delle diffuse critiche conseguenti all’attività di sensibilizzazione promossa dall’EDF, nel 2022, come accennato, il Consiglio d’Europa aveva sospeso i lavori sulla bozza del Protocollo Aggiuntivo, e aveva concentrato la propria attenzione sullo sviluppo di strumenti finalizzati a promuovere l’autonomia nell’assistenza sanitaria nell’area della mentale. In particolare, è stata elaborata una bozza di Raccomandazione sul rispetto dell’autonomia nell’assistenza sanitaria nell’area della salute mentale (disponibile, in inglese, a questo link), che l’EDF ha accolto con favore, mentre la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) ha svolto una specifica indagine sui Diritti delle persone in relazione al collocamento e al trattamento involontario in strutture per la salute mentale (il cui rapporto di ricerca è disponibile, sempre in inglese, a quest’altro link).
Ora però, come detto, i lavori sul Protocollo stanno riprendendo e in previsione di questo momento, l’EDF, assieme a una coalizione di dodici organizzazioni della società civile e di organismi per i diritti umani, ha pubblicato un documento nel quale anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ha ribadito molte delle preoccupazioni già espresse dalle organizzazioni europee.
E tuttavia, il Consiglio d’Europa, contro il parere dell’EDF, ha revocato la sospensione, decidendo di riprendere i lavori sulla bozza del Protocollo aggiuntivo, e ha trasmesso la bozza stessa all’organismo consultivo del Consiglio d’Europa, l’Assemblea Parlamentare, per un parere. Da ciò l’invito del Forum Europeo sulla Disabilità a quest’ultima affinché il parere che è chiamata ad esprimere entro il prossimo mese di aprile sia negativo, in contemporanea con il rilancio della già menzionata campagna informativa #Withdraw Oviedo. (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni sulle iniziative legate al Protocollo di Oviedo: Markaya Henderson markaya.henderson@edf-feph.org; Ufficio Comunicazione EDF (André Felix), andre.felix@edf-feph.org.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Verso la Giornata Mondiale delle Malattie Rare, tra arti, discipline umanistiche e scienza

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Esplorare il modo in cui la creatività, intesa in senso ampio, possa servire a promuovere la ricerca scientifica e ad aumentare la consapevolezza sulle Malattie Rare, coinvolgendo sia la comunità scientifica sia altri “mondi” (professionisti delle arti, scuola, giovani): è lo scopo dell’incontro del 20 febbraio promosso dal Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, insieme a UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, in vista della Giornata Mondiale delle Malattie Rare “Scienza e arte che procedono insieme”

Sempre in vista della Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio (Rare Disease Day), dopo il primo evento del 13 febbraio, dedicato alla qualità dell’informazione e presentato anche sulle nostre pagine, il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, ne proporranno un secondo per il  20 febbraio, sempre presso la sede romana dell’ISS (Viale Regina Elena, 299), dedicato questa volta alla contaminazione tra arti, discipline umanistiche e scienze, finalizzata alla promozione della salute e definita con il termine inglese Health Humanities, ciò che secondo i promotori dell’evento «può contribuire significativamente anche alla sensibilizzazione nell’ambito delle Malattie Rare».
«L’intento – viene spiegato infatti – è quello di esplorare il modo in cui la creatività, intesa in senso ampio, possa essere un veicolo per promuovere la ricerca scientifica e aumentare la consapevolezza sulle Malattie Rare, coinvolgendo sia la comunità scientifica sia altri “mondi”, come quello dei professionisti delle arti, della scuola, dei giovani».

«Integrare la presa in carico delle persone con patologia attraverso le cosiddette Health Humanities – sottolinea Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO – significa avere ben presente e dare il giusto peso a una visione olistica della persona, che è composta da mille sfaccettature e non riguarda solo la condizione patologica. Le Health Humanities rappresentano una grande risorsa, in quanto si esprimono in diverse e varie attività, come un vero e proprio punto d’incontro tra cultura e scienza, che ci permette di ampliare il concetto di salute e di benessere della persona».

Da segnalare poi che durante lo stesso incontro vi sarà anche la premiazione di Rare Reels: Pegaso goes digital!, un concorso condotto tramite Instagram, che oltre ad UNIAMO e ISS, ha come partner l’Agenzia Italiana per la Gioventù, All Digital e Creative Skills Week, per coniugare creatività e digitale, promuovendo la conoscenza delle Malattie Rare tra i giovani e del Pharma-HUB Project Logo & Visual Identity International Contest. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: health.humanities@iss.it (Ilaria Palazzesi).

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Qual è la reale qualità di quei percorsi di specializzazione sul sostegno ottenuti all’estero?

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«Esprimiamo forte preoccupazione – scrivono dal Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati – per il crescente fenomeno della specializzazione sul sostegno ottenuta all’estero, promosso da numerose agenzie formative che hanno trasformato la formazione dei docenti in un mercato redditizio. Si tratta di un fenomeno che solleva interrogativi sulla reale qualità di quei percorsi e sul loro impatto sul sistema scolastico nazionale»

Esprimiamo forte preoccupazione per il crescente fenomeno della specializzazione sul sostegno ottenuta all’estero, promosso da numerose agenzie formative che hanno trasformato la formazione dei docenti in un mercato redditizio. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito a un proliferare di corsi destinati quasi esclusivamente a candidati italiani, presentati come un’alternativa più semplice e veloce rispetto al percorso ufficiale previsto in Italia. Questo fenomeno solleva interrogativi sulla reale qualità di questi percorsi e sul loro impatto sul sistema scolastico nazionale.
Alcune agenzie formative, inoltre, per dare maggiore credibilità ai loro corsi, affermano di applicare un numero chiuso per l’accesso ai percorsi di specializzazione all’estero. Ma su quali basi viene stabilito questo limite? Chi decide il numero di posti disponibili? Esiste una reale selezione, oppure si tratta di un semplice espediente per aggirare la normativa italiana?

In Italia, il numero di posti per il TFA Sostegno (Tirocinio Formativo Attivo) viene stabilito annualmente dal Ministero dell’Università e della Ricerca in base a criteri oggettivi, vale a dire:
° Le richieste delle scuole, ossia il numero effettivo di docenti di sostegno necessari per garantire il diritto all’istruzione inclusiva.
° La capacità formativa delle Università accreditate, che devono garantire un percorso di qualità con personale qualificato e tirocini formativi obbligatori.
° Le indicazioni ministeriali, che regolano la programmazione per evitare un eccesso di specializzati rispetto alle possibilità di impiego.
Al contrario, l’etichetta “numero chiuso” nei percorsi di specializzazione all’estero appare come un semplice escamotage per conferire un’apparenza di selettività e aggirare la normativa italiana.
Pertanto, la vera domanda è: chi verifica l’effettiva trasparenza di queste prove di accesso? Esistono commissioni indipendenti, come in Italia, che valutano i candidati con criteri rigorosi? Oppure siamo di fronte a un sistema costruito per facilitare il conseguimento del titolo senza un reale filtro meritocratico?

L’eventuale riconoscimento di questi titoli, senza una verifica rigorosa della loro equipollenza, avrebbe conseguenze gravi per il nostro sistema scolastico. La specializzazione sul sostegno in Italia è nata infatti con un numero contingentato, per garantire la qualità della formazione e rispondere al fabbisogno effettivo delle scuole. L’inserimento di migliaia di docenti specializzati all’estero rischia invece di compromettere l’equilibrio del sistema, creando un eccesso di figure professionali che non potranno essere assorbite, aggravando la precarizzazione della categoria.
Oggi, centinaia di migliaia di docenti TFA in Italia sono ancora in attesa di stabilizzazione. Ha senso introdurre nel sistema nuove figure formate attraverso percorsi poco trasparenti, mentre chi ha seguito un iter selettivo e strutturato in Italia continua a vivere nell’incertezza lavorativa?
Inoltre, la cosiddetta “sanatoria” proposta per questi titoli si basa sull’idea che possano essere equiparati ai percorsi italiani con una semplice integrazione formativa. Ma il nostro modello di specializzazione è il frutto di anni di esperienza nel campo dell’inclusione scolastica: possiamo davvero permetterci di abbassare il livello di preparazione per favorire logiche di mercato?

Chiediamo quindi con forza che venga attuato un sistema di verifica rigoroso e trasparente, che impedisca il riconoscimento di titoli ottenuti tramite percorsi nati con il solo scopo di bypassare le regole italiane. La formazione degli insegnanti di sostegno non può essere ridotta a una mera transazione commerciale: è un pilastro fondamentale per la qualità dell’inclusione scolastica e per il diritto degli studenti con disabilità a ricevere un’istruzione adeguata.

*collettivodocentispecializzati@gmail.com.

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Benessere senza età: invecchiare bene anche con la sclerosi multipla

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Come cambia la sclerosi multipla dopo i 60 anni? Quali sfide affrontano le persone che convivono da decenni con la malattia? A queste domande cerca di rispondereBenessere senza età”, videopodcast realizzato dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), in collaborazione con il collettivo “Mettiamoci la Voce”, disponibile in quattro puntate a partire da oggi, 18 febbraio, su Spotify e sui social della stessa AISM Realizzazione grafica curata dall’AISM per il progetto “Benessere senza età”

Come cambia la sclerosi multipla dopo i 60 anni? Quali sfide affrontano le persone che convivono da decenni con la malattia? A queste domande cerca di rispondere Benessere senza età, nuovo videopodcast (vodcast) realizzato dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), in collaborazione con il collettivo Mettiamoci la Voce, disponibile in quattro puntate a partire da oggi, 18 febbraio, su Spotify e sui social della stessa AISM.

«Il progetto – spiegano dall’AISM – nasce per sensibilizzare e informare sulla gestione della sclerosi multipla in età avanzata, con particolare attenzione ai cambiamenti fisici, psicologici e terapeutici legati all’invecchiamento. Adelina, Nadia, Simone e Paola, sessantenni con la malattia, raccontano la loro esperienza insieme a cinque esperti, offrendo uno sguardo concreto su un tema spesso trascurato. Se infatti la sclerosi multipla viene spesso definita come “malattia dei giovani”, per l’esordio di essa tra i 20 e i 40 anni, oggi – grazie ai progressi della ricerca e all’allungamento della vita – sempre più persone con la patologia arrivano alla terza età. Ma come affrontare questa fase della vita nel miglior modo possibile? Uno stile di vita sano gioca un ruolo chiave nel benessere: mantenersi cioè attivi fisicamente, mentalmente e socialmente aiuta a contrastare i sintomi e a migliorare la qualità della vita. Alimentazione equilibrata, esercizio fisico, relazioni sociali, pensiero positivo e accettazione dei propri limiti sono aspetti fondamentali per un invecchiamento più sereno con la sclerosi multipla».

Ogni episodio del videopodcast, dunque, grazie all’aiuto degli specialisti, affronta un aspetto chiave per la terza età, quando oltre alla sclerosi multipla subentrano i disturbi tipici dell’invecchiamento. Nel primo episodio si parla di ricerca e comorbidità, insieme a un neurologo e a un medico di famiglia, nel secondo di mobilità e riabilitazione con un fisiatra, nel terzo si approfondiscono le strategie per mantenere l’indipendenza funzionale con un terapista occupazionale, nel quarto, infine, si affronta il tema del benessere psicologico e della gestione dell’umore con una psicologa.
«Una preziosa opportunità – commentano dall’AISM – per ascoltare testimonianze dirette e ricevere consigli pratici per affrontare al meglio questa fase della vita».

«Abbiamo voluto creare questi videopodcast – commenta Francesco Vacca, presidente nazionale dell’AISM – per dare voce alle esperienze dei pazienti e degli esperti, rendendo le informazioni facilmente accessibili. La sclerosi multipla è una malattia complessa e ogni storia è unica. Questo progetto non è pensato solo per le persone con la malattia, ma anche per chi si prende cura di loro e per chiunque stia affrontando i cambiamenti legati all’età. Offriamo infatti approfondimenti utili, soluzioni pratiche e supporto emotivo per vivere al meglio questa fase della vita».

Come detto inizialmente, per la realizzazione del progetto, l’AISM ha collaborato strettamente con Mettiamoci la voce, collettivo genovese da anni attivo a livello nazionale nella produzione di podcast e audiolibri, oltre a gestire un’Academy dedicata alla lettura espressiva. (B.E. e S.B.)

A questo link è disponibile una scheda sulle persone con sclerosi multipla che hanno partecipato ai videopodcast, a quest’altro link un testo di ulteriore approfondimento sul progetto. Per altre informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Giornata Nazionale del Braille: l’inclusione abita nel linguaggio

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Alla vigilia della ventottesima Giornata Nazionale del Braille, l’UICI di Roma (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), con il patrocinio dell’IRIFOR di Roma e in collaborazione con l’Università La Sapienza, ha promosso per la mattinata del 20 febbraio l’evento denominato “Una lingua per tutti – L’inclusione abita nel linguaggio”. Per l’occasione diamo spazio anche a un ampio approfondimento sulla figura di Louis Braille

In occasione e alla vigilia della ventottesima Giornata Nazionale del Braille, l’UICI di Roma (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), con il patrocinio dell’IRIFOR di Roma (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI) e in collaborazione con l’Università La Sapienza della Capitale, ha promosso per la mattinata del 20 febbraio l’evento denominato Una lingua per tutti – L’inclusione abita nel linguaggio (Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza, Piazzale Aldo Moro, Roma, ore 9.30-14).«Si tratterà di un’importante occasione di confronto e sensibilizzazione – spiegano i promotori dell’incontro – sull’importanza del linguaggio e della comunicazione accessibile per le persone con disabilità visiva. Un evento che vedrà la partecipazione di esperti del settore, accademici e rappresentanti istituzionali, che discuteranno il ruolo del Braille e di altri linguaggi inclusivi nell’abbattimento delle barriere comunicative». (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo dell’incontro, a ingresso gratuito (per ulteriori informazioni: ufficiostampa@uicroma.it (Giovanni Fornaciari).

Louis Braille
Il 21 febbraio sarà la ventottesima Giornata Nazionale del Braille, evento istituito dalla Legge 126/07, che porta il nome di Louis Braille, nato a Coupvray, non lontano da Parigi, il 4 gennaio 1809.
Il padre era un modesto artigiano che viveva fabbricando finimenti per cavalli. A tre anni, giocando nel laboratorio paterno, il bimbo si ferì gravemente ad un occhio con una lesina. Le premurose cure dei genitori non valsero a frenare l’infezione che rapidamente si estese anche all’altro occhio, portandolo nel giro di un anno alla cecità assoluta.
A 10 anni, Louis fu accolto nell’Istituto Reale per i Giovani Ciechi di Parigi (INJA – Institut National des Jeunes Aveugles), fondato da Valentin Haüy nel 1784. Il giovane Braille manifestò molto presto le sue qualità, suscitando lo stupore degli insegnanti, soprattutto per la capacità di concentrazione.
In quel momento, il piccolo mondo dell’Istituto guardò con estrema attenzione all’invenzione di Charles Barbier de La Serre, ex ufficiale di artiglieria, il quale aveva ideato un sistema di scrittura, chiamandolo “scrittura notturna”, costituito da punti in rilievo i quali, a suo dire, avrebbero consentito ai militari di leggere al buio, per non essere individuati dai nemici. Barbier pensò quindi di far testare la sua invenzione proprio agli allievi dell’Istituto per i Ciechi di Parigi.
Quel sistema, però, risultava piuttosto complesso e poco pratico, perché fondato su due colonne parallele di sei puntini ciascuna. E tuttavia, l’esperimento fu accolto con entusiasmo dai giovani allievi, alcuni dei quali – e tra essi Braille – iniziarono una corrispondenza con Barbier, utilizzando il suo laborioso metodo.
Rispetto ai numerosi tentativi precedenti per far leggere i ciechi, Barbier aveva introdotto una novità molto significativa per chi avrebbe dovuto leggere con le dita: aveva cioè sostituito i punti in rilievo al tratto continuo (ovviamente in rilievo), utilizzato da Valentin Haüy per stampare i primi volumi per i suoi alunni. A quel punto la speranza di poter trovare un modo per scrivere adatto ai ciechi e un’innata attitudine per la ricerca metodica condussero Braille, pur ancora adolescente, ad intuire il valore che avrebbe potuto assumere la disponibilità di un sistema di scrittura semplice e razionale.
Non è noto se altri, fra quei ragazzi, abbiano condiviso il desiderio di trovare la soluzione a un problema da loro ritenuto prioritario, oppure se Braille si sia dedicato alla ricerca solitaria, sostenuto unicamente dall’entusiasmo e dalla fede, tipici della sua età. Egli riconobbe per altro il suo debito verso Barbier de La Serre, ma esclusivamente a lui va il merito di essere riuscito ad ottenere risultati definitivi, dopo alcuni anni di studio tenace e sistematico sulla posizione convenzionale di punti impressi su cartoncino. Era il 1825, Braille aveva 16 anni e il suo sistema poteva dirsi virtualmente compiuto.
Nel 1829 pubblicò Procedimento per scrivere le parole, la musica e il canto corale per mezzo di punti in rilievo ad uso dei ciechi ed ideato per loro, opera con la quale fece conoscere la scrittura da lui inventata, che è quella ancora oggi utilizzata dai ciechi di tutto il mondo.
Per tutta la vita dovette lottare per fare accettare il suo sistema. Il direttore dell’Istituto parigino, Pierre-Armand Dufau, ordinò che i ciechi non si avvalessero del sistema ideato da Braille, ritenendolo una crittografia utilizzata unicamente dai suoi alunni per non fargli comprendere ciò che in segreto si sarebbero comunicati fra di loro.
Solo nel 1850 fu stampata la prima opera in Braille, ma fuori dalla Francia!
Il 27 settembre 1878, poi, al Congresso Universale per il Miglioramento della Sorte dei Ciechi e dei Sordomuti, tenutosi a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale, vennero respinte tutte le perplessità e le incertezze e ci si pronunciò per l’adozione del Braille convenzionale con i sei punti originari. Seguirono nel 1917 l’adozione del Braille originale anche negli Stati Uniti d’America, nel 1929 il riconoscimento internazionale della Notazione Musicale Braille e infine, nel 1949, su decisione dell’Unesco, l’uniformità dei vari alfabeti Braille, cosicché il sistema venne adottato nelle lingue arabe, in quelle orientali e nei dialetti africani, diventando così il metodo universale di lettura e di scrittura dei ciechi di tutto il mondo.
Louis Braille morì nel 1852. Nel 1887, a seguito di una sottoscrizione nazionale, venne eretto a Coupvray un monumento in suo onore. La sua casa natale accoglie ora il Museo Louis Braille, affidato alle cure della WBU, l’Unione Mondiale dei Ciechi.
Nel 1952, in occasione del primo centenario della morte, la Francia gli rese finalmente onore, accogliendone le spoglie mortali nel Pantheon di Parigi, tra i “grandi” della nazione.

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