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Una sfilata e una mostra per parlare di autismo e di moda inclusiva

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La manifestazione “Beyond Words” (letteralmente Oltre le parole), promossa dal Comune di Roma insieme all’Associazione Modelli si Nasce, ha raccontato l’autismo «senza commiserazione o pregiudizio, bensì in un’ottica di valorizzazione», come hanno sottolineato gli organizzatori Uno dei giovani modelli con disturbo dello spettro autistico che hanno sfilato per l’evento “Beyond Words”

Inclusione, moda e spettacolo in un unico evento: è questa la sintesi della manifestazione Beyond Words (letteralmente “Oltre le parole”), promossa nei giorni scorsi dal Comune di Roma insieme a Modelli si Nasce, Associazione impegnata sulla formazione di giovani con disturbo dello spettro autistico da avviare alla professione di modelli nel settore della moda e della pubblicità.
L’iniziativa è stata organizzata in occasione della Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo (World Autism Awareness Day) del 2 aprile.

Giunta alla sua seconda edizione, Beyond Words ha previsto un doppio appuntamento: una sfilata di 35 giovani modelli con disturbo dello spettro autistico e una mostra fotografica presso Palazzo Braschi a Roma. La conduzione anche quest’anno è stata a cura della giornalista e conduttrice televisiva Eleonora Daniele e ha visto la partecipazione di personaggi dello spettacolo quali Margareth Madè, Giuseppe Zeno, Vittoria Schisano, Michele Ragno, Giulia Bevilacqua, Paola Minaccioni, Diane Fleri, Fabius De Vivo e molti altri.

La presidente dell’Associazione Modelli si Nasce Silvia Cento ha dichiarato: «Modelli si Nasce è davvero grata all’assessore del Comune di Roma Alessandro Onorato, per avere sostenuto, con determinazione e tanta fiducia per il secondo anno, un evento di così alto livello che, attraverso l’arte e la bellezza, offre l’opportunità di guardare con occhi nuovi e mente aperta ai ragazzi neuro divergenti e, in generale, a tutto il mondo dell’autismo».

Beyond Words è anche il titolo della mostra fotografica che, inaugurata a Palazzo Braschi il 2 aprile e aperta fino al 21 aprile, racconta, attraverso le fotografie di Danilo Falà, i giovani di Modelli si Nasce, primi modelli condisturbo dello spettro autistico in Italia, formati per abitare la scena della moda non come eccezione, ma come autentica espressione di bellezza. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Mara Terenzi (info@terenzis.com).

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“Luminoso. La città autistica”: il ruolo della fragilità come risorsa per la comunità

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Un ciclo di esperienze rivolte alla cittadinanza, «per riflettere sui corpi e la loro fragilità e indagarne una nuova declinazione nel rapporto con la polis-città»:  il Settore Musei Civici Bologna, in collaborazione con il Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni, ha presentato il progetto “LUMINOSO. La città autistica, ispirato all’omonimo libro. Previsti laboratori dal 11 al 13 aprile, con l’obiettivo di indagare il ruolo della fragilità come risorsa per la comunità

Un ciclo di esperienze che esplora il rapporto tra corpo, fragilità e spazio urbano: si rivolge a cittadini e cittadine «di ogni età, capacità, abilità, provenienza» il progetto LUMINOSO. La città autistica, ideato dal coreografo Virgilio Sieni e promosso dal Settore Musei Civici Bologna, in collaborazione con il Centro Nazionale di Produzione della Danza.

Virgilio Sieni in un laboratorio di danza

Ispirato al libro La città autistica di Alberto Vanolo (ne parliamo approfonditamente in questo nostro pezzo), il progetto propone una riflessione su inclusione, democrazia e partecipazione attraverso il linguaggio della danza: dall’11 al 13 aprile, tra il Museo Civico Archeologico e il Museo Civico Medievale di Bologna, si terranno laboratori sul gesto, performance site-specific, incontri con pensatori e lezioni pubbliche.
Ogni giornata sarà dedicata ad esplorare nuove prospettive sul corpo e sulla città, promuovendo il benessere emotivo e mentale attraverso la cultura.

Il progetto – che fa parte delle iniziative del Settore Musei Civici per promuovere accessibilità e salute – sottolinea come la danza possa diventare uno strumento di cura e connessione, trasformando i musei in spazi di inclusione e accoglienza, capaci di migliorare la qualità della vita e combattere solitudine e isolamento. (C.C.)

Per ogni ulteriore informazione: Ufficio Stampa Musei Civici Bologna (ufficiostampabolognamusei@comune.bologna.it).

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Screening neonatale per l’atrofia muscolare spinale in Campania e Puglia: esperienze a confronto

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In Puglia e in Campania lo screening neonatale ha permesso di identificare bambini affetti da SMA (atropfia muscolare spinale) e di trattarli precocemente. Per stimolare il dialogo tra professionisti di settore, ricercatori e famiglie alla presenza delle Istituzioni, l’OMaR, in collaborazione con l’Associazione Famiglie SMA, ha organizzato per l’11 aprile a Napoli il convegno “Screening neonatale per la SMA in Campania e Puglia. Due esperienze regionali a confronto”, fruibile anche online Lo screening neonatale si attua in modo del tutto non invasivo, tramite un semplice prelievo di sangue dal piedino del neonato

Per una malattia neuromuscolare come la SMA (atrofia muscolare spinale), la diagnosi precoce è fondamentale per migliorare le prospettive di trattamento e garantire una qualità della vita migliore per chi ne soffre. In tale quadro, lo screening neonatale riveste un’importanza ancor più determinante, consentendo di identificare i neonati affetti da SMA già nei primi giorni di vita, ciò che offre offrendo loro l’opportunità di accedere a trattamenti innovativi e potenzialmente salvavita. Nelle Regioni Puglia e Campania lo screening neonatale ha permesso infatti di identificare bambini affetti da SMA e di trattarli precocemente.

Con l’obiettivo dunque di stimolare il dialogo tra professionisti di settore, ricercatori e famiglie alla presenza delle Istituzioni, l’OMaR (Osservatorio Malattie Rare), in collaborazione con l’Associazione Famiglie SMA, ha organizzato il convegno denominato Screening neonatale per la SMA in Campania e Puglia. Due esperienze regionali a confronto, in programma per l’11 aprile a Napoli (Holiday Inn, Centro Direzionale, Isola E6, Via Domenico Aulisio, dalle 9.30), ma fruibile anche online (fare riferimento a questo link), durante il quale rappresentanti delle due Regioni coinvolte condivideranno esperienze e successi e discuteranno delle sfide legate all’implementazione dello screening per la SMA. (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del convegno. Per ulteriori informazioni: Rossella Melchionna (melchionna@rarelab.eu).

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Il potere dello sport nel creare inclusione

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L’inclusione delle persone con disabilità nello sport non è solo una questione di accesso, ma un’affermazione di pari diritti e opportunità: di questo si parla in “Diritto e sport per le persone con disabilità”, documento elaborato per il CNEL da Vincenzo Falabella, consigliere dello stesso CNEL e presidente della Federazione FISH, insieme a Maria Paola Monaco, docente universitaria di Diritto del Lavoro. Ne abbiamo parlato con lo stesso Falabella Vincenzo Falabella

L’inclusione delle persone con disabilità nello sport non riguarda solo l’accessibilità, ma rappresenta una piena affermazione di diritti e opportunità: è questo il cuore del documento Diritto e sport per le persone con disabilità, elaborato per il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) da Vincenzo Falabella, consigliere dello stesso CNEL, al cui interno coordina l’Osservatorio Inclusione e Accessibilità, nonché presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e da Maria Paola Monaco, docente associata di Diritto del Lavoro all’Università di Firenze (se ne legga già anche una nostra ampia presentazione a questo link).
Nell’interviusta che segue, analizziamo con lo stesso Vincenzo Falabella i cambiamenti culturali e normativi necessari per garantire una partecipazione equa e paritaria delle persone con disabilità allo sport, affrontando questioni legate all’accessibilità delle strutture, alla trasformazione dello stigma culturale e alla costruzione di un sistema multidisciplinare più integrato. Un contributo che mostra come lo sport possa diventare un potente strumento di inclusione reale e universale.

Sport come diritto universale, non più inteso come mero strumento riabilitativo: è un concetto che viene spesso sottolineato nella vostra pubblicazione. Le chiedo: come garantire l’effettiva inclusione delle persone con disabilità nello sport? Quali passi sono ancora necessari per superare la mentalità assistenzialistica e promuovere modelli sportivi più inclusivi e accessibili?
«Per garantire l’inclusione reale delle persone con disabilità nello sport, è necessario agire su più livelli, che di seguito cerco di elencare per punti:
° Accessibilità strutturale, ossia piste, piscine, palestre e attrezzature che devono essere progettate per tutti e tutte, seguendo il principio dell’Universal Design (“progettazione universale”). Ad esempio, in Norvegia, molte stazioni sciistiche offrono sit-ski gratuiti e percorsi accessibili.
° Formazione degli operatori: allenatori e staff devono essere formati su disabilità e adattamenti, non solo in ottica riabilitativa, ma anche agonistica.
° Superare lo stigma culturale: spesso si vede lo sport per persone con disabilità come “terapia” e non come competizione o passione. Servono dunque campagne mediatiche che normalizzino atleti paralimpici (come Bebe Vio o Alex Zanardi) e li mostrino come professionisti, non come “eroi per forza”.
° Modelli ibridi: esempi come il basket in carrozzina misto (atleti con disabilità e atleti non in condizione di disabilità) o il para-cycling dimostrano che l’inclusione può essere realmente sportiva e non solo simbolica».

La riforma introdotta dal Decreto Legislativo 36/21 (consultabile a questo link) ha affrontato temi importanti come il riconoscimento delle carriere sportive e gli accomodamenti ragionevoli. Quali sono, secondo lei, gli aspetti più innovativi di questa riforma e quali le principali lacune ancora da colmare?
«Finalmente si considera l’atleta paralimpico alla stregua di quello olimpico, con diritti pensionistici e tutele. Poi c’è l’obbligo di adeguare strutture e regolamenti (ad esempio, tempi più lunghi per le qualifiche se necessari) e pari opportunità negli incentivi, in quanto i fondi statali devono sostenere equamente progetti paralimpici e olimpici. Questi sono tutti aspetti innovativi.
Per quanto riguarda le lacune, ne individuo tre: mancano sanzioni efficaci per chi non applica le norme (ad esempio, palestre che rifiutano atleti con disabilità), la scarsa copertura finanziaria per protesi e attrezzature sportive high-tech, ancora a carico del singolo, e infine lo scarso coinvolgimento delle Regioni, con disparità territoriali nell’offerta sportiva inclusiva».

Nel documento elaborato per il CNEL si fa riferimento alle protesi sportive come strumenti di lavoro e alla loro erogazione pubblica. Quali benefìci concreti sono previsti per gli atleti con disabilità?
«Se le protesi fossero erogate dal Servizio Sanitario Nazionale come “strumenti di lavoro” (per atleti professionisti o amatoriali), si avrebbe una riduzione del divario economico – basti pensare che una protesi da corsa può costare decine di migliaia di euro, escludendo molti talenti -, ma anche un miglioramento prestazionale, in quanto attrezzature adeguate (ad esempio, lame per atletica o stabilizzatori per sci) permettono di competere alla pari; infine, protesi ben calibrate evitano infortuni da sovraccarico, un problema comune per chi usa dispositivi inadatti. In Germania, il sistema sanitario copre il 90% del costo delle protesi sportive se riconosciute necessarie per l’attività».

Sempre in Diritto e sport per le persone con disabilità si sottolinea l’importanza di una cabina di regia multidisciplinare e di una rete attiva sul territorio. Quali strategie servono per un’effettiva collaborazione tra enti pubblici, servizi sanitari e associazioni sportive?
«Per una rete efficace tra enti pubblici, sanitari e associazioni occorrono tavoli permanenti, ovvero creare gruppi di lavoro con medici, allenatori, atleti e politici, per co-progettare interventi (ad esempio il modello dei PARA Sport Hub nel Regno Unito). Poi dati condivisi: una banca dati unica su impianti accessibili, finanziamenti e buone prassi eviterebbe dispersione. E ancora, penso ad incentivi fiscali, premiando le società sportive che investono in inclusione con sgravi per palestre con corsi misti. Infine, sanità e sport devono essere integrati: in altre parole, fisiatri e ortopedici dovrebbero prescrivere l’attività sportiva come parte del percorso di cura, non solo la riabilitazione passiva».

Lei pratica sport?
«Prima della lesione midollare sono stato uno sportivo professionista, dopo la lesione midollare mi sono dedicato con impegno concreto a rivendicare e a difendere i diritti delle persone con disabilità. Questo mio ruolo oggi mi porta via moltissimo tempo, non riesco a conciliare le due cose. Oggi, pur dedicandomi principalmente alla tutela dei diritti, continuo a coltivare la mia passione per lo sci durante l’inverno, trovando in questa disciplina non solo un momento di svago, ma anche un’importante fonte di benessere e di riconnessione con la mia identità di sportivo».

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Pieno diritto all’assistenza e alla comunicazione anche per alunni con disabilità grave

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Tramite una recente Ordinanza, il Tribunale Civile di Marsala in Sicilia ha garantito in via d’urgenza il numero di ore di assistenza per l’autonomia e la comunicazione ad un alunno con disabilità di Mazara del Vallo al quale il Comune lo aveva negato Un’assistente all’autonomia e alla comunicazione insieme a un bimbo con disabilità visiva

Tramite l’Ordinanza n. 2799 del 2 aprile scorso, il Tribunale Civile di Marsala (Trapani) ha garantito in via d’urgenza il numero di ore di assistenza per l’autonomia e la comunicazione ad un alunno con disabilità di Mazara del Vallo al quale il Comune lo aveva negato. La famiglia dell’alunno, assistita dall’avvocata Chiara Garacci, aveva interposto ricorso in via d’urgenza per discriminazione ai sensi della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), poiché il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione) del giugno 2024 aveva assegnato all’alunno certificato con disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della Legge 104/92, quindici ore di assistenza all’autonomia e comunicazione, mentre il Comune le aveva negate, sostenendo di essere in dissesto finanziario e di non potere quindi soddisfare le richieste di assistenza degli alunni certificati tramite l’articolo 3, comma 1 della Legge 104, limitandosi solo a quelli certificati con articolo 3, comma 3.

Durante l’udienza svolta per discutere sull’ammissione di un provvedimento di urgenza, il Tribunale ha rilevato dunque l’esistenza delle due condizioni necessarie a provvedere e a pronunciare un’ordinanza provvisoria di questo tipo favorevole al ricorrente, in attesa della decisione definitiva del merito. Infatti, sussistono sia il fumus boni iuris che il periculum in mora, ossia il primo per la fondata probabilità dell’esistenza del diritto richiesto, giacché l’alunno certificato con articolo 3, comma 1 della Legge 104, al pari di quello certificato con articolo 3, comma 3, ha un diritto non solo riconosciuto dalle Leggi della Regione Siciliana (68/81, 15/04, 29/21), ma anche costituzionalmente garantito, come affermato a partire dalla Sentenza 25011 del 2014 della Corte di Cassazione e anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità. Giurisprudenze secondo le quali il numero di ore indicate nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) dal GLO non può essere ridotte neppure per motivi di bilancio.
Sussiste altresì anche la seconda condizione, il periculum in mora, cioè il rischio che il diritto non possa essere in concreto goduto se la Sentenza interviene troppo tardi, poiché il processo era già giunto a marzo e quindi oltre la metà dell’anno scolastico.

Quanto infine alla discriminazione denunciata ai sensi della Legge 67/06, essa sussiste, poiché l’omissione o riduzione di ore di assistenza viola le pari opportunità di istruzione tra l’alunno con disabilità e i compagni senza disabilità. Tale discriminazione non vi sarebbe invece se contemporaneamente anche ai compagni fosse ridotto un eguale numero di ore di insegnamento, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione.
Pertanto, anche un alunno certificato con articolo 3, comma 1 della Legge 104/92 ha diritto al numero di ore di assistenza indicate nel PEI.

*Il presente contributo è già apparso in «La Tecnica della Scuola» e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Il valore delle persone con disabilità: un convegno promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede

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“Scoprire, tutelare e sviluppare il valore delle persone con disabilità” è il titolo del convegno promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede oggi, 9 aprile. «Chiedo all’Ambasciatore di farsi portavoce affinché la Santa Sede possa recepire la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, con tutte le eccezioni ritenute necessarie su eventuali articoli»: lo ha dichiarato Vincenzo Falabella, presidente della Federazione FISH, intervenendo all’evento Il presidente della FISH Falabella e la ministra per le Disabilità Locatelli al convegno promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede

Scoprire, tutelare e sviluppare il valore delle persone con disabilità è il titolo del convegno promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede oggi, 9 aprile.
«Chiedo all’Ambasciatore di farsi portavoce affinché la Santa Sede possa recepire la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, con tutte le eccezioni necessarie su eventuali articoli. Siamo qui assieme per lavorare uniti», lo ha dichiarato Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), intervenendo all’evento. «Fondamentale è valorizzare ogni persona nella sua interezza – ha proseguito -, riconoscendo le sue potenzialità e il suo diritto ad essere trattata con dignità e rispetto, senza discriminazioni. L’inclusione, infatti, non è solo una questione di accesso, ma di cambiamento culturale: solo attraverso una riflessione collettiva possiamo costruire una società veramente equa, dove ogni individuo possa esprimere liberamente il proprio potenziale. Siamo nell’Anno Giubilare. Ci aspetta la sfida di accogliere i pellegrini con disabilità. Lo faremo con dedizione».

Nella sessione d’apertura, dopo il saluto di benvenuto dell’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Di Nitto, e l’intervento istituzionale della ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, sono intervenuti suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), il citato Vincenzo Falabella e Nazaro Pagano, presidente della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità).
Nel panel successivo, denominato Dall’autoimprenditorialità al lavoro cooperativo, è intervenuto Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo) e si sono susseguite le testimonianze di Marco Bartoletti (BB Holding), Dalila Russo (AISM-Associazione Italiana Sclerosi Multipla), Katia Mignogna (Arte e Libro ONLUS), Andrea Bonsignori (BreakCotto). Ha moderato Giovanni Battista Iannuzzi, presidente del CIDU (Comitato Interministeriale per i Diritti Umani).

All’ultimo panel, infine, su Sport e attività ricreative: opportunità per conoscere e sostenere se stessi e gli altri, è intervenuta la senatrice Giusy Versace e vi sono state le testimonianze di Bruno Molea, presidente della FICTUS (Federazione Italiana degli enti Culturali, Turistici e Sportivi) e dell’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport), Giampaolo Mattei, presidente di Athletica Vaticana, Sara Vargetto, atleta della stessa Athletica Vaticana, Lorenzo Mancino ed Eros Zanotti, atleti di Special Olympics Italia. Ha moderato Serafino Corti, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulle Condizioni delle Persone con Disabilità.
Le conclusioni sono state a cura della giornalista Fausta Speranza. (C.C. e S.B.)

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Misoginia, abilismo, antisemitismo: come l’odio si diffonde sui social in Italia

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L’odio online si sta espandendo e polarizzando: è quanto emerge dall’ottava edizione della “Mappa dell’Intolleranza” di VOX, l’Osservatorio Italiano sui Diritti. Per quanto riguarda i contenuti social legati all’abilismo, ovvero lo stigma e la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità, «l’uso del linguaggio offensivo contro le persone con disabilità si è andato via via allargando, ampliando sia il suo utilizzo originario sia il suo significato, più ampio e meno specifico»

Ormai da un po’ di anni VOX, l’Osservatorio Italiano sui Diritti, analizza il fenomeno dell’odio diffuso sui social in Italia. La nuova edizione recentemente pubblicata della Mappa dell’Intolleranza, appunto l’ottava del progetto ideato da Vox in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari e l’Università La Sapienza di Roma (disponibile integralmente a questo link), evidenzia come l’odio online si stia espandendo e polarizzando. I dati, già allarmanti negli anni precedenti, continuano infatti a peggiorare.

Su due milioni di post pubblicati su X (l’ex Twitter), fra gennaio e novembre 2024, la metà contiene messaggi d’odio rivolti principalmente alle donne, che risultano il “bersaglio” più colpito. Ma andiamo nel dettaglio delle percentuali dell’intolleranza sui social per il 2024: il 50% dei tweet negativi hanno un carattere misogino, il 27% esprimono antisemitismo (valore quadruplicato rispetto al 2022), l’11% xenofobia, seguita per il 5% da islamofobia, per il 4% da abilismo e per il 3% da omotransfobia.

Dalla guerra in Ucraina e a Gaza, dalle elezioni americane a fenomeni populisti nel mondo: il periodo esaminato è stato storicamente parlando un’epoca di forti turbolenze, incertezze e fragilità, che si sono riverberate – spiegano ricercatrici e ricercatori di Vox – nel quotidiano delle persone, creando un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. «Oggi l’odio online è attore fondamentale nella rappresentazione della polarizzazione e i social si configurano come la cinghia di trasmissione tra i mass media tradizionali, la politica e alcune sacche di forte malcontento, che trovano sfogo ed espressione proprio nelle praterie dei social».

La mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa secondo sei diverse categorie: misoginia, antisemitismo, islamofobia, xenofobia, abilismo, omotransfobia. Roma è al primo posto per discorsi omofobi e antisemiti, Milano capitale di quelli xenofobi e misogini, dove a firmarli sono per buona parte donne stesse.

Riguardo all’abilismo, in particolare, come viene sottolineato anche da Elisa Marino dell’Ufficio Legislativo FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità), emerge che «l’uso del linguaggio offensivo contro la condizione di disabilità si è andato allargando sempre di più, ampliando anche il suo utilizzo, che risulta essere più ampio e meno specifico». In altre parole, si stanno usando sempre di più parole descrittive della disabilità come strumenti di insulto, dando loro un significato dispregiativo.
Si è rilevato, inoltre, che i picchi di odio verso le persone con disabilità ci sono stati in occasione della diffusione di notizie di cronaca che hanno visto persone con disabilità vittime di aggressioni e violenza. «Altro dato allarmante presente nella Mappa – aggiungono da HandyLex – è quello relativo al contenuto dei tweet che presentano al loro interno il termine “disabile”. Dallo studio di questi ultimi, infatti, affiora la presenza ancora oggi dello stereotipo della persona con disabilità come “bisognosa” e come qualcuno da curare/assistere, oltre, naturalmente, all’idea che definire qualcuno “disabile” oppure “persona con disabilità” sia un insulto».

Quali esempi di stereotipi mappati, in merito all’abilismo, sono ripostati i seguenti: «È solo un povero handicappato. Non a caso hanno scelto lui come burattino». «Solo un cerebroleso sceglie di pagare il 60% di tasse potendo pagarne meno». «L’85% degli italiani si è rotto i coglioni di leggere minorati mentali come te, questa è la realtà!!». Va per altro notato che nel ripostare queste notizie vengono utilizzate le espressioni «affetti da sordità» e «affetta da disabilità», entrambe scorrette e riconducibili al modello medico della disabilità, che è stato superato da oltre vent’anni.

Dato che ormai la letteratura ha evidenziato – e la ricerca ha confermato negli anni – che il discorso d’odio è sempre più spesso governato da account falsi in grado di scatenare le cosiddette shitstorm, ciò che importa studiare e rilevare è soprattutto il potenziale di viralizzazione dei discorsi discriminatori, attraverso il fenomeno delle echo chambers, che si basa proprio sugli stereotipi. (C.C.)

Ricordiamo ancora il link al quale è consultabile l’ottava Mappa dell’Intolleranza di Vox.

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Importante il ritiro di quegli emendamenti, per le Persone con disabilità e per la Sanità Pubblica

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«Fin dall’inizio avevamo preso posizione contro quegli emendamenti che rischiavano di limitare l’accesso alle prestazioni sanitarie per le persone con disabilità»: lo dicono dalla Federazione FISH, guardando ora con estremo favore al ritiro da parte del Senato di quegli stessi emendamenti al Disegno di Legge su “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria”, ritenuto come «un segnale importante per la tutela dei diritti e per la giustizia sociale» Il Senato della Repubblica

«Esprimiamo forte preoccupazione per quell’emendamento i cui contenuti potrebbero avere implicazioni gravi per i diritti dei soggetti vulnerabili, in particolare le persone con disabilità, e per il funzionamento stesso del sistema sanitario nazionale»: lo si era letto anche su queste pagine, in riferimento a una nota diffusa a metà marzo dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), riguardante in realtà non uno, ma due emendamenti al Disegno di Legge su Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria (Atto del Senato n. 1241). «La salute e la tutela sociosanitaria delle persone con disabilità – aveva dichiarato per l’occasione il presidente della FISH Vincenzo Falabella – non possono essere messe in discussione con interventi normativi parziali e poco chiari. È fondamentale, infatti, che qualsiasi intervento legislativo in materia sanitaria e sociale rispetti e rafforzi i principi di universalità, equità e accessibilità, poiché solo in questo modo si potrà assicurare che ogni persona, indipendentemente dalle sue condizioni, abbia diritto alla stessa qualità di assistenza e protezione».
A quella presa di posizione, la FISH ne aveva fatto seguire altre, ribadendo la necessità di difendere la Sanità Pubblica e di garantire pari opportunità di accesso alle cure per tutte e tutti.

Ebbene, ora la Federazione guarda con grande favore al ritiro di quegli emendamenti, ritenuto come «un segnale importante per la tutela dei diritti e per la giustizia sociale».
«Esprimiamo soddisfazione – si legge infatti in una nota – per il ritiro di due emendamenti che avrebbero introdotto modifiche dannose alle forme di assistenza sanitaria integrativa, compromettendo i diritti delle persone con disabilità. Fin dall’inizio, infatti, avevamo preso posizione contro un provvedimento che rischiava di limitare l’accesso alle prestazioni sanitarie per le persone con disabilità, mettendo in discussione il principio di equità su cui si fonda il nostro sistema sanitario. In un momento in cui la Sanità Pubblica dev’essere rafforzata e tutelata come diritto universale, quegli interventi rappresentavano un pericoloso passo indietro, con ricadute dirette sull’autonomia e sulla qualità della vita delle persone con disabilità».

«La bocciatura di quegli emendamenti – commenta Falabella – conferma le fondate preoccupazioni sollevate dalla nostra Federazione nell’ultimo mese. Sostenendo la nostra posizione, a tutela dei diritti delle persone con disabilità, i Senatori hanno evitato l’approvazione di un provvedimento che avrebbe compromesso l’accesso alle cure per una parte vulnerabile della popolazione». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Non perdiamoci di vista

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Una rete di supporto che permetta alle persone con disabilità visiva di vivere in autonomia e partecipare attivamente alla società: è l’obiettivo del progetto campano “Non perdiamoci di vista”, iniziativa cofinanziata dalla Regione Campania, che mira appunto ad agevolare il superamento delle barriere immateriali e materiali che ostacolano le persone con disabilità visiva, e in particolare quelle di tipo comunicativo e informativo

«Vogliamo creare una rete di supporto che permetta alle persone con disabilità visiva di vivere in autonomia e partecipare attivamente alla società. Ci aspettiamo una forte partecipazione e un cambiamento positivo, non solo per loro, ma per l’intera comunità, che avrà l’opportunità di crescere in un ambiente più inclusivo». «Il nostro obiettivo è chiaro: costruire un futuro in cui la disabilità visiva non sia più un ostacolo, ma un punto di partenza per nuove possibilità di crescita e realizzazione. L’autonomia e l’accesso al lavoro non sono solo strumenti di indipendenza personale, ma anche elementi essenziali per una società equa e sostenibile»: lo dicono Luca Mauriello e Giuseppe Fornaro, presidenti rispettivamente di Projenia SCS, il primo, dello Sportello CIVES e dell’Associazione Real Vesuviana il secondo, presentando il progetto campano denominato Non perdiamoci di vista, iniziativa cofinanziata dalla Regione Campania nell’àmbito dell’Avviso Pubblico per la selezione di interventi volti a favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità sensoriale, con l’obiettivo di agevolare il superamento delle barriere immateriali e materiali, in particolare di tipo comunicativo e informativo.

Sviluppato su quattro macroaree tematiche (Autonomia e Mobilità; Formazione inclusiva; Inclusione lavorativa; Cultura, Sport e Turismo) e articolato su 14 sotto-azioni lungo tutto il 2025 e fino al mese di giugno del 2026, il progetto, rivolto a persone cieche e ipovedenti residenti in Campania, avvierà le proprie attività alla metà di questo mese di aprile e verrà presentato ufficialmente nel corso di una serie di eventi inaugurali, il primo dei quali in programma per il pomeriggio del 10 aprile (ore 17.30), presso la Sala Consiliare del Comune di Sant’Anastasia (Napoli), e successivamente in altre tappe, tra cui Benevento.
Soggetto capofila è la citata Projenia SCS di Campizze di Rotondi (Avellino) e gli altri partner sono l’Associazione SannioIrpinia Lab, l’UNIVOC di Benevento (Unione Italiana Volontari Pro Ciechi), l’Associazione Real Vesuviana, l’ADAC di Pompei (Associazione Diversamente Abili Campania), l’Associazione Einstein Non Sa Leggere di Somma Vesuviana (Napoli) e l’ANVPI di Giugliano (Napoli) (Associazione Nazionale Privi della Vista ed Ipovedenti). (S.B.)

Per ulteriori informazioni: segreteriacives@gmail.com.

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Il “Premio Inclusione 3.0” dell’Università di Macerata accende i riflettori sull’inclusione che funziona

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Un premio internazionale, riconoscimenti nel settore scolastico, nel campo della cultura, della musica e delle arti performative, in àmbito di inclusione lavorativa e vita indipendente, fino ad alcuni premi speciali: vediamo come si è conclusa l’ottava edizione del “Premio Inclusione 3.0”, l’ormai tradizionale iniziativa promossa dall’Università di Macerata, che dà visibilità all’inclusione che funziona Foto di gruppo per la cerimonia conclusiva a Macerata del “Premio Inclusione 3.0”

«In un momento in cui si parla di muri, dazi, divisioni, la nostra Settimana dell’Inclusione, al contrario, mette al centro la comunità. Ritroviamo a Macerata tanti amici e colleghi che lavorano in questo campo nel sociale, nella ricerca, nella didattica. Sono progetti meravigliosi, modelli da seguire, uno stimolo per tutti noi. Sarebbero inutili gli eventi pubblici se non ci fosse poi l’implementazione nella nostra quotidianità. Dobbiamo cercare di essere inclusivi nel nostro modo di porci, di pensare l’Università»: lo ha dichiarato John Mc Court, rettore dell’Università di Macerata, nel corso della cerimonia conclusiva del Premio Inclusione 3.0, ottava edizione di un’iniziativa divenuta ormai tradizionale, promossa dall’Ateneo marchigiano.
Vediamo dunque a chi sono andati quest’anno i riconoscimenti.

Il Premio Internazionale è stato assegnato al Centro per le disabilità della Kansas University, ritenuta «un’eccellenza a livello mondiale, per l’impegno globale su ricerca, formazione e inclusione».
Per quanto poi riguarda il settore scolastico, numerosi progetti si sono distinti, coniugando didattica, impresa e creatività. Si tratta di Il serpe da inzuppo dell’IPSEOA Varnelli di Cingoli (Macerata), percorso formativo inclusivo attorno a un biscotto brevettato; La parola nascosta del Liceo Artistico Cantalamessa di Macerata, gioielli ispirati al Braille; Esplorare per comunicare dell’Istituto Comprensivo Piazza Filattiera 84 di Roma, riguardante la comunicazione multimodale per disabilità complesse; Veder oltre dell’Istituto Comprensivo di Simaxis Villaurbana in Sardegna, spazio multisensoriale per l’infanzia; Aiutami a ricordare dell’Istituto Orioli di Viterbo con l’asilo nido Cuccioli, in àmbito di continuità educativa scuola-lavoro; Inclusivamente sicuri dell’Istituto Alberghiero Martini di Montecatini Terme (Pistoia), basato sulla formazione alla sicurezza accessibile attraverso la Lingua dei Segni e la CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa).

Nel campo della musica e delle arti performative si sono distinti esattamente tre progetti, vale a dire Orchestra per la pace e l’inclusione dell’Associazione Algos di Catania, iniziativa di musica collettiva interculturale; Gli amici di Damiano della Cooperativa Sirio di Campobasso, in favore di concerti senza barriere; Teatrinsieme della Fondazione Franco Moschini al Politeama di Tolentino (Macerata), centrato sul teatro accessibile e multimediale.

Anche l’inclusione culturale è stata al centro di iniziative innovative, quali Fuori dal centro dell’Università di Perugia con la ONLUS Atlas (percorsi universitari personalizzati); Il CoccoMiao della Cooperativa PromoCultura (libri illustrati con Comunicazione Aumentativa Alternativa); Museo per tutti dell’Associazione L’abilità di Milano (46 musei accessibili per persone con disabilità intellettive).

Per quanto poi concerne l’inclusione lavorativa e la vita indipendente, il Premio Inclusione 3.0 ha voluto dare visibilità a progetti capaci di costruire reti solidali e opportunità concrete, quali Per non lavarsene le mani dell’Associazione La Tana del Bianconiglio di Torino (tirocini per giovani adulti); Tuttincluso a Macerata, bar dove lavorano giovani con disabilità; App Vite vere della Cooperativa Vite Vere Down DADI di Padova (supporto per l’autonomia, segnalato da Google a prestarsi a Las Vegas; Tempo libero senza barriere della Cooperativa L’Integrazione di Lecce (turismo accessibile).

E infine, una serie di premi speciali con i quali riconoscere l’originalità di esperienze capaci di ridefinire l’accessibilità attraverso la tecnologia e la co-progettazione, ovvero: kandINskij, ideato da dottorandi dell’Università di Macerata (arte tattile in realtà aumentata); Plurilinguismo nella scuola dell’infanzia, iniziativa all’insegna della convivenza linguistica e culturale, realizzata in collaborazione con la Scuola dell’Infanzia Ricci di Macerata e con la supervisione dell’Università di Macerata; Incluseum di PlayMarche e Università di Macerata (museo accessibile co-progettato da persone con disabilità); Il mercato intergenerazionale di Civitas Benefit San Terenzio e Associazione Nonno Mino di Vallefoglia (Pesaro-Urbino), per la memoria e l’inclusione tra generazioni. (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: ufficiostampa@unimc.it.

L'articolo Il “Premio Inclusione 3.0” dell’Università di Macerata accende i riflettori sull’inclusione che funziona proviene da Superando.

Vorrei un sistema che sapesse garantire diritti, autonomia e inclusione reale alle persone con disabilità

Superando -

È il presidente della Consulta Regionale del Lazio per la tutela dei diritti della persona con problemi di disabilità, che costituisce per la Regione Lazio un organo primario di consultazione e di promozione per la piena inclusione delle persone con disabilità nella vita sociale e lavorativa. Impegnato da molti anni sul fronte dei diritti, Umberto Emberti Gialloreti, ingegnere, è il protagonista dell’intervista che presentiamo oggi Umberto Emberti Gialloreti

Ingegner Gialloreti, può raccontarci del suo percorso professionale e di come è nato il suo interesse per il mondo della disabilità?
«Il mio percorso professionale è lungo e articolato, ma cercherò di sintetizzarlo. Mi sono laureato in Ingegneria Mineraria nel 1973 e, quasi subito, sono stato assunto dall’AGIP Mineraria di San Donato Milanese, esperienza che mi ha portato a girare il mondo e ad entrare in contatto con numerosi àmbiti dell’ingegneria. Nel corso degli anni ho lavorato in diversi settori, accumulando esperienze preziose e diversificate. Verso la fine del secolo scorso ho dovuto confrontarmi con una condizione che avevo inconsapevolmente portato fin dalla nascita: una degenerazione retinica che, progressivamente, ha iniziato a limitarmi. A quel punto ho deciso di abbandonare la mia posizione di dirigente d’azienda, pur continuando per qualche tempo la libera professione, finché non mi è stato possibile interromperla del tutto.
Il passaggio alla nuova condizione di non vedente è stato un momento di grande sconvolgimento e disagio, ma anche l’inizio di un percorso di riabilitazione volto a imparare a convivere con questa realtà. Personalmente, non condivido l’idea di “accettazione” nel senso tradizionale del termine, perché ritengo che implichi una rassegnazione che per me non è accettabile.
Un punto di svolta importante è avvenuto quando il Presidente dell’UICI di Roma (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) mi ha chiesto di rappresentare l’Associazione in un organismo storico, la Consulta Cittadina Permanente sui Problemi delle Persone Handicappate, istituita nel 1981 dall’allora sindaco Petroselli, per monitorare e valutare le politiche di integrazione. Questo incarico mi ha permesso di entrare in contatto con rappresentanti di diverse disabilità e di confrontarmi su tematiche fondamentali per l’inclusione sociale.
Il vero inizio della mia “nuova” vita nel mondo del volontariato è arrivato intorno al 2010. Da allora, ho avuto l’onore di essere eletto prima vicepresidente e, nel 2014, presidente della Consulta Romana. Nel 2021, poi, sono stato eletto come presidente della Consulta Regionale, incarico riconfermatomi nel mese di luglio dello scorso anno. Questo percorso nel volontariato mi ha permesso non solo di contribuire attivamente al miglioramento delle politiche per le persone con disabilità, ma anche di vivere una rinascita personale e professionale, impegnandomi quotidianamente per un’inclusione più autentica e partecipata».

Quali sono, a suo avviso, le principali sfide che le persone con disabilità devono affrontare quotidianamente in Italia?
«Sono molteplici e di natura estremamente variegata. Un’espressione che uso spesso è: quando in una famiglia si manifesta una disabilità – e ciò può avvenire in ogni momento e nei modi più inaspettati – inizia un “viaggio con una valigia vuota”. Con queste parole intendo dire che, oltre allo sconcerto e allo sconforto iniziale, le famiglie si trovano improvvisamente a dover affrontare una carenza di informazioni essenziali per gestire questo passaggio epocale. Non dovrebbe essere un amico o un social network a fornire il supporto necessario, ma dovrebbe intervenire un’Amministrazione, con la A maiuscola, capace di dire: “Non preoccuparti, ci penso io!”. È indispensabile che le Istituzioni offrano un supporto concreto, fornendo informazioni chiare e accessibili su tutte le opportunità, i diritti e i servizi disponibili, trasformando così un percorso ad ostacoli in un cammino alla portata di tutti.
È proprio per questo impegno che mi dedico a diffondere informazioni e a promuovere una maggiore consapevolezza, affinché ogni famiglia, in un momento così delicato, possa sentirsi accompagnata e supportata, senza dover affrontare da sola un sistema troppo spesso complesso e poco trasparente».

Ha collaborato con diverse organizzazioni e istituzioni nel campo della disabilità. Può condividere alcune esperienze significative e i risultati ottenuti?
«Riassumere quindici anni di attività in poche righe non è semplice, ma alcuni risultati ottenuti a Roma sono particolarmente significativi. Ad esempio, la riforma dell’assistenza domiciliare del dicembre 2012 ha introdotto il diritto di scelta dell’utente tra assistenza diretta, indiretta o mista – un diritto, purtroppo, che nella pratica viene spesso negato. Un altro intervento fondamentale è stato la revisione del sistema di trasporto per le persone con ridotta o impedita mobilità, realizzata nel dicembre 2018. Questo servizio, che dal 1984 rappresentava un punto di forza per la nostra città, essendo inizialmente riservato ai ciechi e alle persone in carrozzina, è stato esteso anche ad altre disabilità, sebbene, anche a causa del particolare momento giubilare, permangano ancora diversi limiti.
Un ulteriore cambiamento importante riguarda la modalità di accreditamento per gli enti erogatori del servizio OEPAC, che garantisce l’assistenza scolastica fino alla scuola media inferiore. Con questo nuovo sistema, è stato possibile superare il proliferare di bandi municipali caratterizzati da difformità inaccettabili, assicurando così maggiore uniformità e qualità per i nostri ragazzi.
A livello regionale, abbiamo avuto l’opportunità di contribuire attivamente, durante il passaggio tra le due Giunte regionali (dal 2021 al 2024), per favorire la pubblicazione del Libro Verde sul sistema “Dopo di Noi”, strumento essenziale per affrontare le angosce delle famiglie e rivedere le modalità di intervento in questo àmbito. Infine, più recentemente, abbiamo partecipato ai lavori della 7ª Commissione Regionale, che ha approvato il primo Piano Regionale sull’Autismo, segnando un ulteriore passo avanti verso politiche più inclusive e mirate alle reali esigenze delle persone con disabilità».

Come valuta l’attuale legislazione italiana in materia di disabilità? Ci sono aspetti che ritiene debbano essere migliorati?
«La legislazione italiana in materia di disabilità, sulla carta, appare estremamente avanzata e ricca di buone intenzioni. Tuttavia, nella pratica si evidenzia un netto divario tra il testo normativo e la sua effettiva applicazione. La mancanza di provvedimenti attuativi, la cronica insufficienza delle risorse finanziarie e il continuo rinvio delle riforme promesse rendono difficile trasformare in realtà quanto previsto dalla legge.
Un esempio emblematico è rappresentato dal provvedimento definito “epocale”, noto anche con il nomignolo di “Riformona”, il quale, a causa di innumerevoli proroghe, è stato posticipato per almeno un anno. Questo episodio sottolinea come l’intenzione di innovare e migliorare il sistema debba essere supportata da un impegno concreto da parte delle Istituzioni, affinché la normativa possa tradursi in benefìci tangibili per le persone con disabilità».

L’accessibilità è un tema cruciale per l’inclusione. Quali passi concreti dovrebbero essere intrapresi per rendere le nostre città più accessibili?
«L’accessibilità non deve essere ridotta esclusivamente all’aspetto architettonico. È stato giusto evitare di “aggettivarla”, perché troppo spesso si è parlato delle barriere fisiche, come se, una volta abbattute, tutto fosse risolto. In realtà, esistono numerose altre barriere che devono essere superate: quelle digitali e, soprattutto, quelle culturali. Queste ultime, infatti, ci ricordano ogni giorno quanto sia ancora necessario un profondo cambiamento nel modo in cui concepiamo l’inclusione.
Per rendere le nostre città realmente accessibili, occorre adottare un approccio integrato che preveda interventi infrastrutturali (non solo abbattere gradini, ma ripensare gli spazi urbani per renderli fruibili da tutti); soluzioni digitali (promuovere tecnologie e servizi online accessibili, affinché ogni cittadino e cittadina possa beneficiare pienamente delle risorse digitali); cambiamento culturale (educare la società per superare stereotipi e pregiudizi, affinché l’inclusione diventi parte integrante della nostra cultura).
Solo con un impegno su tutti questi fronti potremo garantire un accesso equo e una partecipazione piena alla vita sociale per ogni individuo».

Nel contesto educativo, quali strategie ritiene siano più efficaci per favorire l’inclusione degli studenti con disabilità?
«Il diritto allo studio rappresenta, a mio avviso, l’ultimo diritto soggettivo realmente garantito, nonostante negli ultimi anni si siano verificati attacchi che avrebbero potuto sconvolgere persino figure di rilievo, come l’onorevole Falcucci, ricordata per avere eliminato, nel 1977, le cosiddette “classi differenziali”, un vero vanto italiano. La scuola, infatti, non è solo un luogo di istruzione, ma rappresenta il contesto sociale più decisivo per l’inclusione degli studenti con disabilità.
In quest’ottica, le strategie più efficaci per favorire l’inclusione sono molteplici e vanno ben oltre il semplice aspetto didattico: trasporto e assistenza: è essenziale, cioè, garantire un trasporto adeguato e servizi di assistenza specifici che permettano agli studenti di raggiungere la scuola e partecipare attivamente alle attività educative senza barriere; comunicazione e tecnologie: l’utilizzo di nuove tecnologie e tecniche di Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) è essenziale per creare ambienti di apprendimento accessibili e per superare le difficoltà comunicative che possono insorgere; sostegno in classe: il supporto didattico personalizzato e il sostegno diretto in classe sono determinanti per rispondere alle esigenze specifiche di ogni studente, garantendo così un percorso formativo completo; formazione dei docenti e del personale: la formazione continua e specializzata di docenti e operatori educativi è indispensabile per affrontare le sfide legate all’inclusione, assicurando competenze aggiornate e metodologie efficaci; integrazione sociale: infine, la scuola dev’essere un ambiente in cui si promuove la partecipazione attiva e l’integrazione sociale, affinché ogni studente, indipendentemente dalle proprie capacità, possa sentirsi parte integrante della comunità scolastica.
Solo attraverso un impegno congiunto e il costante investimento di risorse e professionalità, le Istituzioni potranno realmente garantire un’educazione inclusiva, capace di rispondere alle esigenze di una società che si proclama attenta, proiettata verso il futuro e moderna».

La tecnologia sta avanzando rapidamente. In quale modo le innovazioni tecnologiche possono supportare le persone con disabilità?
«Le nuove tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale, rappresentano oggi un’opportunità straordinaria che, se utilizzata con la giusta attenzione, può davvero costituire un nuovo paradigma per il supporto alle persone con disabilità. Tuttavia, è essenziale evitare quelle “sbornie” moderniste non ben valutate, che rischiano di proporre soluzioni appariscenti, ma non sempre efficaci o adatte alle reali esigenze degli utenti.
I progressi medico-scientifici resi possibili da queste innovazioni offrono speranze concrete: la tecnologia può infatti contribuire a diagnosticare e trattare tempestivamente patologie comuni, le cui incidenze aumentano con l’allungarsi della vita media delle persone con disabilità. È essenziale, ripeto, che tali strumenti vengano sviluppati e implementati con cautela, affinché anche quei casi definiti “non collaboranti” – termine che uso con una certa riserva, ma che serve a descrivere situazioni di particolare complessità – possano beneficiare di interventi adeguati.
Un esempio significativo è il Progetto Tobia, avviato presso l’Ospedale San Camillo di Roma e ora presente in cinque ospedali romani, che ha rivoluzionato l’approccio nei nosocomi laziali. Questo progetto dimostra come la tecnologia possa essere integrata nel sistema sanitario per migliorare la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento, offrendo un supporto più mirato e tempestivo alle persone con disabilità.
Se le innovazioni tecnologiche saranno maneggiate con cura e prudenza, esse potranno davvero contribuire a trasformare il modo in cui affrontiamo le sfide legate alla disabilità, migliorando la qualità della vita e favorendo un’inclusione sociale concreta, ricordando che l’approccio umano degli operatori, se autenticamente empatico, rende tutto possibile».

Può parlarci del ruolo delle famiglie e delle comunità nel supporto alle persone con disabilità?
«Il ruolo delle famiglie e delle comunità nel supporto alle persone con disabilità è esistenziale, direi, e complementare. Come accennato in precedenza con l’analogia della “valigia vuota”, quando una famiglia si confronta per la prima volta con una disabilità, si ritrova improvvisamente priva degli strumenti e delle informazioni necessarie per affrontare questa sfida. In questo momento, la comunità dei pari diventa una sorta di nuova famiglia allargata, con cui i “nuovi” membri entrano in contatto fin da subito. Spesso, subito dopo la scoperta del problema, si osserva un iniziale forte coinvolgimento da parte di familiari e amici. Tuttavia, questo supporto tende a scemare con il tempo, lasciando spazio alla necessità di creare legami con altre famiglie che condividono esperienze simili. Questi contatti rappresentano un conforto reale e una fonte di sostegno continuo, poiché chi vive quotidianamente le stesse difficoltà sa bene cosa significa affrontare tali sfide.
I soggetti più intraprendenti e disponibili spesso si organizzano attivamente, dando vita ad associazioni, gruppi e iniziative che non solo offrono un supporto pratico ed emotivo, ma avanzano anche proposte e rivendicazioni significative per migliorare le condizioni di vita dei propri cari e dell’intera comunità. In questo modo, la collaborazione tra le famiglie e la comunità diventa un elemento chiave per creare una rete solida e inclusiva, capace di rispondere in modo efficace alle esigenze di tutti. Spetta a noi accogliere tutte queste realtà e integrarle in un sistema accessibile a tutti».

Lei è stato riconfermato alla Presidenza della Consulta per la Disabilità della Regione Lazio. Qual è il ruolo di questo organismo e quali sono le iniziative più importanti che sta portando avanti?
«Il ruolo della Consulta, come definito dalla Legge della Regione Lazio 36/03 è principalmente quello di stimolare, monitorare e commentare con attenzione i provvedimenti che la Regione intende adottare in una vasta gamma di settori. Tra questi rientrano:
– Sanità: dalle diagnosi precoci alla riabilitazione.
– Istruzione: dalla scuola all’università, per garantire un reale diritto allo studio.
– Assistenza: inclusa l’assistenza domiciliare, con un focus sulla personalizzazione dei servizi.
– Mobilità: migliorare il trasporto per le persone con ridotta o impedita mobilità.
– Lavoro: per promuovere l’inclusione lavorativa e combattere le discriminazioni.
– Sport, cultura e tempo libero: affinché le persone con disabilità possano partecipare pienamente alla vita sociale.
– “Dopo di Noi”: con una fase preparatoria di “Durante Noi”, finalizzata a garantire un futuro dignitoso alle persone con disabilità anche quando i familiari non potranno più occuparsene.
Uno dei temi più impegnativi e rilevanti è quello della vita indipendente, sancito dall’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. È interessante notare che, nella versione originale inglese, il concetto non è independent, ma independently, ossia un’idea più profonda che indica l’autonomia nonostante la disabilità, affermando il diritto di vivere secondo le proprie scelte, indipendentemente dalla condizione fisica o mentale.
Un’altra battaglia importante riguarda l’articolo 12 della stessa Convenzione ONU, che protegge il patrimonio delle persone con disabilità. L’obiettivo è impedire la spoliazione dei loro beni e garantire che il patrimonio familiare venga equamente distribuito tra tutti i figli, evitando discriminazioni e prevenendo la richiesta di compartecipazioni economiche ingiuste per le spese assistenziali.
La Consulta si batte per la tutela integrale delle persone con disabilità, affinché nessun diritto venga lasciato indietro e affinché ogni intervento regionale sia realmente inclusivo e rispettoso della dignità di ogni individuo».

A livello regionale, ci sono Proposte di Legge o iniziative in Commissione che potrebbero migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità? E quali sono i principali ostacoli alla loro approvazione?
«Un tema determinante e atteso da tempo a livello regionale è la vera integrazione socio-sanitaria. Molte delle attività rivolte alle persone con disabilità, infatti, oscillano tra l’àmbito sociale e quello sanitario, con una prevalenza a volte dell’uno, a volte dell’altro, ma sempre con elementi di entrambi. La proposta chiave consiste nel mettere in comune i budget di questi due comparti, razionalizzando le risorse, evitando sprechi e distorsioni. L’obiettivo, in sostanza, è dare concreta attuazione all’articolo 14 della Legge 328 del 2000, che prevede: la stesura del Piano Individuale, un progetto personalizzato che accompagni la persona con disabilità, adattandosi ai cambiamenti delle sue esigenze nel tempo; la predisposizione del budget di progetto, con le risorse che confluiscano tutte in un unico portafoglio vincolato, alimentato da diverse fonti, tra cui INPS (invalidità e accompagnamento), Stato (fiscalità generale), Sanità Distrettuale, Ente Locale (con assistenze), Famiglie, Enti del Terzo Settore e sponsorizzazioni e fondi come il 5 per mille.
L’idea è semplice ma potente: ognuno cede una parte del proprio budget – sociale o sanitario – per creare un fondo unico, trasparente e ben definito, da destinare al progetto individuale della persona con disabilità. Il Nuovo Piano Regolatore Sociale Regionale, attualmente in fase di approvazione, tocca questo tema, ma – ed è qui il punto critico – mancano modalità e tempistiche certe. È tuttavia improrogabile che le intenzioni non restino solo parole, ma si traducano in obiettivi chiari e misurabili.
I principali ostacoli sono la resistenza burocratica a far dialogare Sanità e Sociale, comparti spesso bloccati in una logica di competenze separate; la mancanza di una regia unitaria che garantisca l’effettivo coordinamento delle risorse; il rischio che tutto resti su carta, senza una reale attuazione operativa.
Le mie speranze e aspettative per il futuro sono, in fondo, semplici: che le persone con disabilità possano essere felici e serene, vivendo una vita dignitosa e rispettata, sostenuta da un sistema che non le lasci sole e che sappia garantire diritti, autonomia e inclusione reale».

Infine, quale messaggio vorrebbe trasmettere a Lettori e Lettrici per sensibilizzarli sul tema della disabilità?
«Il messaggio è chiaro: non guardiamo alle persone con disabilità solo attraverso la lente distorta che li mostra come “geni” o “eroi” – come accade spesso per le figure sportive o di successo – ma riconosciamole per quello che sono: persone normali, con le loro esperienze, desideri e difficoltà, esattamente come chiunque altro. La vera inclusione passa dal trattare ogni individuo con cura ed empatia, senza mitizzazioni né pietismi, ma con il rispetto dovuto a ogni cittadino. Solo così potremo costruire una società realmente equa e accogliente».

*Umberto Emberti Gialloreti è presidente della Consulta Regionale del Lazio per la tutela dei diritti della persona con problemi di disabilità. La presente intervista è già apparsa in «Paese Sera.it», con il titolo “Un viaggio con una valigia vuota: il cammino della disabilità secondo l’Ing. Umberto Emberti Gialloreti” e viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contenitore e diverso titolo, per gentile concessione.

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