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Come contribuire a “liberare” i dati sulla disabilità

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«Liberiamo i dati sulla disabilità! Scarica la guida per aiutarci a rispondere alle domande: “Quante sono le persone con disabilità?”, “Quali sono i loro bisogni e il loro potenziale inespresso?”»: è l’invito della Fondazione FightTheStroke e della sua partecipata FTS, che hanno elaborato il toolkit “The CANDY Model”, finalizzato appunto a promuovere la raccolta e la diffusione di dati aperti e accessibili sulla disabilità, replicando nel contesto europeo quanto realizzato in Italia con il progetto “Disabled Data” Particolare di elaborazione grafica di immagini dal portale “Disabled Data”, che rappresenta diverse schermate del portale dati, a cura di Maurizio Piacenza

 

Dopo il lancio, nell’ottobre 2022, di cui avevamo riferito anche sulle nostre pagine, del progetto Disabled Data in Italia, piattaforma digitale promossa dalla Fondazione FightTheStroke e progettata da Sheldon.studio, con il supporto di onData, per aprire i dati a un pubblico più ampio, dal primo semestre dello scorso anno la stessa Fondazione FightTheStroke ha avviato il progetto DDEEP (acronimo che sta per Disabled Data European Engagement Path).

In sostanza, DDEEP, guidato dalla società partecipata FTS, ha provato a standardizzare un approccio basato sulle pratiche di innovazione e ricerca responsabili (ORRI), esaminando le esigenze di dati sulla disabilità in tutta Europa e proponendo buone pratiche per replicare il progetto italiano in altri Paesi. Il tutto ha visto il coinvolgimento diretto di Francesca Fedeli e Francesca Folda per FTS, che nel corso del 2024 hanno appunto studiato come replicare l’approccio ai dati di Disabled Data per l’elaborazione delle politiche europee. E questo con un duplice obiettivo: da un lato ampliare il set di dati disponibile, dall’altro stimolare la società civile e i beneficiari diretti a richiedere dati equi, corretti, aperti e accessibili sulla disabilità al di là l’Italia, ovvero a livello europeo.

Proprio nell’àmbito del progetto DDEEP è stato elaborato il toolkit (kit di strumenti) denominato The CANDY Model (scaricabile a questo link), al fine di fornire guida e supporto con un linguaggio semplice e accessibile a tutte le categorie di stakeholder (soggetti interessati): persone con disabilità, caregiver, rappresentanti di associazioni non profit che si occupano di disabilità con molteplici prospettive (comunicazione, raccolta fondi, ricerca, assistenza diretta…), medici, ricercatori sanitari, funzionari della Sanità Pubblica, statistici e rappresentanti degli Uffici Statistici Nazionali e internazionali, rappresentanti dei governi locali, ricercatori internazionali sulla raccolta dati sulla disabilità, esperti di dati aperti, designer.

«Liberiamo i dati sulla disabilità! Scarica il toolkit per aiutarci a rispondere a queste domande: Quante sono le persone con disabilità? Quali sono i loro bisogni? Qual è il loro potenziale inespresso?», è questo l’invito che arriva dalla Fondazione FightTheStroke e FTS. E ancora: «Le disabilità sono ovunque e nel corso della vita, almeno temporaneamente, riguardano ciascuno di noi. Ma la mancanza di dati coerenti, completi, accessibili, aperti, non consente di vederle e di affrontarle. Promuovi la raccolta e la diffusione di dati aperti e accessibili sulla disabilità sul modello che la Fondazione Fight The Stroke ha proposto con DisabledData».

Un’iniziativa importante e ambiziosa, dunque, perché senza dati sulla disabilità, le stesse persone con disabilità non esistono nella definizione delle politiche. Per questo, in conclusione, invitiamo tutti e tutte a partecipare e a scaricare il toolkit The CANDY Model, ricordando ancora il link di riferimento. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Giulia Lamarca: viaggi, maternità e la sfida quotidiana contro le barriere (anche mentali)

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Psicologa, formatrice aziendale e travel blogger, moglie e madre di due bambini, Giulia Lamarca è una giovane donna con disabilità motoria, che ha saputo trasformare le sfide della vita in opportunità. Abbiamo approfondito direttamente con lei il suo percorso, le difficoltà che affronta quotidianamente e il messaggio che desidera trasmettere Giulia Lamarca

Psicologa, formatrice aziendale e travel blogger, moglie e madre di due splendidi bambini, Giulia Lamarca è una giovane donna, dalla tempra forte, che ha saputo trasformare le sfide della vita in opportunità. La sua storia prende una svolta significativa nel 2011, quando un incidente in motorino segna il suo incontro con la carrozzina, cambiando improvvisamente il corso della sua vita. Lungi dal lasciarsi abbattere, ha intrapreso un percorso di resilienza e determinazione, diventando un’attivista digitale che sensibilizza il pubblico sulle tematiche legate alla disabilità.
Insieme al marito, fisioterapista e compagno di viaggio, ha girato il mondo, documentando le loro avventure nel blog My Travels: The Hard Truth e sui social media, dove conta oltre mezzo milione di followers. Giulia è anche autrice del libro Prometto che ti darò il mondo (De Agostini, 2021), in cui racconta la propria esperienza di vita e di viaggio.
Abbiamo approfondito direttamente con lei il suo percorso, le difficoltà che affronta quotidianamente e il messaggio che desidera trasmettere.

Lei, Giulia, ha trasformato un evento traumatico in un’opportunità per ispirare e sensibilizzare. Qual è stata la spinta che l’ha portata a condividere la sua storia e a diventare una voce così influente sui social?
«Avevo voglia di condividere per poter essere utile a qualcuno, ma allo stesso tempo volevo esplorare me stessa e farmi conoscere per quella che sono. Molto spesso, quando le persone vedono la disabilità, pensano che tu sia solo quello. Desideravo farmi conoscere per tutto il resto. Ho pensato: lo faccio online, così non devo lottare poi tutti i giorni con quello stereotipo. Da lì è partito tutto».

Il viaggio è sempre stato una parte centrale della sua vita e del suo percorso professionale. Quali sono le principali difficoltà che incontra quando viaggia e come riesce a superarle? E il nostro è un Paese accessibile rispetto ad altri in cui le è capitato di andare?
«Le difficoltà principali sono i luoghi. Devi sempre indagare se sono accessibili e quanto lo sono. Poi gli spostamenti, che sono sempre difficili. I bagni sono sempre chiusi o non ci sono. Il nostro Paese non è il peggiore, ma deve fare molto di meglio. Secondo me, insomma, per l’Italia è arrivato il momento di costruire meglio».

Essere madre e donna in carrozzina porta con sé sfide e pregiudizi. Quali sono le difficoltà maggiori che ha affrontato e come le ha superate nel suo ruolo di mamma?
«Non saprei dire quali siano le difficoltà maggiori, perché sono le stesse che affronto come donna con disabilità, ma con una differenza fondamentale: ora, se qualcuno discrimina me, discrimina anche mio figlio ed è un aspetto di cui si parla poco, ma che ha un impatto enorme. Quando diventi madre, infatti, non sei più solo responsabile di te stessa, ma anche di un’altra vita e se il mondo non è pronto ad accettare te, automaticamente non è pronto ad accettare tuo figlio accanto a te.
Significa dover affrontare sguardi di stupore o diffidenza, domande fuori luogo, il pregiudizio di chi pensa che una madre in carrozzina non possa essere all’altezza del proprio ruolo. Le barriere, poi, non sono solo architettoniche, ma anche culturali. Per esempio, ci si aspetta sempre che io abbia bisogno di aiuto per accudire i miei figli, anche quando non è così. Oppure si dà per scontato che la mia maternità sia stata una scelta “coraggiosa” o “difficile”, quando in realtà è semplicemente la mia vita, proprio come per qualsiasi altra madre.
Quello che vorrei far capire è che una madre con disabilità non è meno madre delle altre, ma spesso è costretta a lottare più di loro per vedersi riconosciuto questo ruolo senza se e senza ma».

Ha mai avuto difficoltà nel trovare una nuova casa adatta alle sue esigenze a causa delle barriere architettoniche? E crede che in Italia si stia facendo abbastanza per garantire l’accessibilità abitativa?
«Per trovare la casa dove abitiamo adesso ci avevo messo un anno e mezzo, ora abbiamo bisogno di una casa più grande e sono due anni che la cerchiamo, ma nulla.
No, in Italia siamo messi malissimo sulle case: sono vecchie, con barriere, e la legge non ci è d’aiuto. Non è possibile mettere un montascale ovunque e, comunque, occorre tempo per installarne uno. Per altro, anche molte case di nuova costruzione non sono comunque realmente accessibili».

Lei è anche formatrice aziendale: secondo la sua esperienza, il mondo del lavoro è realmente pronto ad accogliere la diversità e l’inclusione o c’è ancora da fare in questo senso?
«Io spero di sì e credo di sì. Mi spaventa però questo periodo storico in cui alcuni chiedono di togliere le politiche di inclusione. Quindi sì, c’è ancora tantissimo da fare e spero in aziende coraggiose e lungimiranti».

Nel suo libro Prometto che ti darò il mondo, racconta il suo percorso e le sue esperienze. C’è un messaggio particolare che vorrebbe trasmettere a chi sta affrontando una situazione di difficoltà simile alla sua?
«Di cercare la felicità, di trovare qualcosa che li renda felici davvero. Spesso, quando affrontiamo una difficoltà grande, che sia una disabilità o un momento complicato della vita, rischiamo di chiuderci in noi stessi e di convincerci che certe cose non siano più alla nostra portata. È facile lasciarsi frenare dalla paura, dal giudizio degli altri o dalle limitazioni che la società ci impone. Ma la felicità non è qualcosa che arriva da sola, va cercata attivamente. Significa non smettere di sognare, di fare progetti, di credere che ci sia ancora spazio per noi nel mondo, anche quando tutto sembra dire il contrario. A volte la felicità si trova in posti inaspettati, in nuove strade che prima non avevamo considerato. Il messaggio che voglio trasmettere, quindi, è di non precludersi nulla da soli. Non dobbiamo essere noi i primi a porci dei limiti, perché la vita ha sempre qualcosa da offrirci, anche nei momenti più difficili. E soprattutto, meritiamo di essere felici, senza per questo doverci giustificare o sentire in difetto».

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Giornata per le Malattie Neuromuscolari: 19 incontri, 40 Centri di Ricerca e 30 Associazioni

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Offrire un aggiornamento sullo stato dell’arte a livello nazionale, regionale e territoriale sulla diagnosi, la terapia e la presa in carico delle persone con malattie neuromuscolari: è lo scopo dell’ottava Giornata per le Malattie Neuromuscolari, evento rivolto ai pazienti e alle loro famiglie, che il 22 marzo si articolerà su 19 incontri in contemporanea in altrettante città italiane, coinvolgendo 40 Centri di Ricerca e 30 Associazioni

19 incontri in contemporanea in altrettante città italiane (l’elenco in calce), con 40 Centri di Ricerca e 30 Associazioni coinvolte: sarà tutto questo, il 22 marzo, l’ottava Giornata per le Malattie Neuromuscolari (distrofie muscolare, atrofia muscolare spinale, miotonie. miastenie ecc.), evento che grande successo ha ottenuto negli anni scorsi, frutto di un progetto ideato e sostenuto dalle Associazioni laiche e dalle Associazioni scientifiche (AIM-Associazione Italiana di Miologia e ASNP-Associazione Italiana per lo Studio del Sistema Nervoso Periferico) che si occupano appunto di malattie neuromuscolari e che è rivolto ai pazienti e alle loro famiglie.

Scopo dell’iniziativa è segnatamente quello di offrire un aggiornamento sullo stato dell’arte a livello nazionale, regionale e territoriale sulla diagnosi, la terapia e la presa in carico delle persone con malattie neuromuscolari, sempre partendo dal presupposto che una diagnosi tempestiva e una gestione multispecialistica appropriata siano fondamentali per migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Il tutto prevede il coinvolgimento, nei vari incontri, di neurologi, fisiatri, medici di medicina generale, medici pediatri di famiglia e pediatri, neuropsichiatri infantili, fisioterapisti, biologi, genetisti, infermieri, psicologi, caregiver e tutti coloro i quali quotidianamente prendono parte alla gestione globale delle persone con malattie neuromuscolari. (S.B.)

Queste le città coinvolte nell’ottava Giornata per le Malattie Neuromuscolari: Ancona; Bari; Bologna; Brescia; Cagliari; Chieti; Genova; Messina; Milano; Napoli; Padova (con Verona); Palermo; Parma; Pisa; Roma; Siena; Torino; Trento; Trieste (con Udine).
A questo link sono disponibili i programmi di tutti gli incontri previsti, a quest’altro link un approfondimento su quello di Bologna, a cura di Deborah Annolino.

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In questa scuola che non capisco

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«C’è l’amaro in bocca – scrive Paola Di Michele – per chi si occupa di inclusione scolastica da tanto tempo e lavora da decenni per una scuola e un mondo più giusti, vedere l’inclusione stessa distorta in molti, troppi modi. La sensazione crescente è quella di chi è impossibilitato a comprendere perché la retorica politica e la furbizia sconfiggano così a mani basse una certa idea di giustizia sociale, sempre più fuori moda»

Ferve in questi giorni il dibattito sul cosiddetto “Decreto Continuità” (Decreto Ministeriale 32/25), che consente alle famiglie, previa approvazione del Dirigente Scolastico, di chiedere la continuità dell’insegnante di sostegno “precario”.
Due considerazioni preliminari; la prima riguarda la precarietà strutturale per cui il nostro sistema scolastico è in procedura di infrazione presso l’Unione Europea, ovvero l’avere docenti che continuano ad essere utilizzati annualmente con più di tre anni di servizio.
La seconda questione riguarda l’amplissimo uso delle cosiddette “cattedre in deroga”, ovvero quei posti che esistono ma non fanno parte dell’organico. Tanto per comprendere la dimensione del fenomeno, i recenti “concorsi PNRR hanno messo a bando poco più di duecento cattedre nella prima tornata e solo dodici nella seconda per la Regione Lazio. Ora, bisogna comprendere che, nella sola città di Roma, lavorano almeno 3.000 docenti con cattedra annuale in deroga. Ovvero, la precarietà strutturale che è la vera ragione della mancanza di continuità.

Detto questo, non è difficile per nessuno comprendere perché i genitori degli studenti con disabilità abbiano disperato bisogno di continuità dell’insegnante di sostegno ma è altrettanto semplice da comprendere che, “se il popolo ha fame, la soluzione non sono le brioches”!
Ovvero, bisogna evitare nel modo più assoluto di creare contrapposizioni assolutamente nocive fra le famiglie (e i loro sacrosanti diritti) e la categoria degli insegnanti, i quali giustamente, a mio parere, stanno mobilitando i sindacati di categoria contro un provvedimento che offre la stura non solo a violazioni in tema di trasparenza amministrativa, ma crea un forte vulnus nella necessaria distanza insita nella relazione educativa.

Rispetto alla trasparenza, appare evidente che i posti “richiesti” dovranno essere accantonati dagli Uffici Scolastici Provinciali prima di far partire il “sistemone” dell’algoritmo, il quale assegna le cattedre in modo automatico e secondo una serie di criteri complessi (il numero di richieste per una data scuola, la posizione mutevole in graduatoria ecc.), e in modo che non può essere modificato dall’esterno. Per inciso, chi scrive, ormai da quattro anni, compila la domanda delle 150 scuole per le supplenze sempre al medesimo modo e il “sistemone” la assegna ogni volta a scuole diverse.
Un’altra questione fondamentale riguarda un tema che non è stato discusso abbastanza, ovvero la qualità dell’inclusione scolastica, che avrebbe dovuto essere valutata in base al Decreto Legislativo 66/17 dall’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa), ma che non ha mai visto la luce.
Per chi fosse a digiuno di tecnica della valutazione, essa dovrebbe basarsi su ipotesi chiare, con variabili definite e una raccolta dati condotta in un determinato modo. Non basta cioè l’osservazione dell’“uomo della strada” (ciò che in psicologia viene chiamata “valutazione ingenua”) per definire se l’inclusione sia efficace ed efficiente oppure no. I meccanismi di scelta avvengono nei modi più disparati e spesso si basano su criteri istintivi. Qualcuno ci piace perché ha un bel sorriso o perché ci dà sempre ragione.
Ecco dunque il rischio più evidente di questo Decreto, di cui, in forma diversa ho già parlato su queste stesse pagine. La scelta avviene su criteri personalistici, e riguarda solo uno specifico insegnante, come se l’inclusione (e per questo abbiamo lottato e continuiamo a farlo) riguardasse esclusivamente il docente specializzato su sostegno e non tutto il corpo docente, gli assistenti all’autonomia e comunicazione, i collaboratori scolastici, la scuola tutta, in base a quel bellissimo concetto pedagogico che è la comunità educante.

Quando mi è capitato di fare lezione agli studenti del TFA (Tirocinio Formativo Attivo), ho spesso affermato che è necessaria una deontologia dell’insegnante che purtroppo è lasciata spesso alla volontà del singolo. Questa deontologia dovrebbe iniziare proprio dal rapporto con i genitori: da comunicazioni chiare e bidirezionali (con uso di mail istituzionale e non di telefono personale, ad esempio) che coinvolgano tutti i docenti di classe, per evitare i noti meccanismi di delega. E, ancora di più, i meccanismi affettivi che gioco forza si creano (è del tutto comprensibile l’investimento emotivo, la preoccupazione e a volte la sfiducia dei genitori nell’affidare i figli a dei perfetti estranei) rischiano di sfociare in rapporti squilibrati, di familismo e collusione.
Il rischio più grande è che l’insegnante, per compiacere e non scontentare il genitore (non necessariamente per piaggeria, ma anche per genuina volontà di fare “bene”), passi sopra i propri doveri professionali e al sacrosanto principio di autonomia didattica.
Non bisogna dimenticare mai che il progetto educativo riguarda lo studente, e che a volte sono necessarie scelte difficili, da valutare in scienza e coscienza lontani da condizionamenti e ragionando in équipe con tutti i docenti curricolari.

Vorrei ricordare che, purtroppo nel totale silenzio di docenti, pedagogisti e psicologi, un meccanismo simile di scelta privatistica del professionista già avviene ed è col meccanismo di accreditamento del servizio di assistenza all’autonomia e comunicazione presente in diversi territori. Non ho alcuna difficoltà a testimoniare che ci sono stati casi di Cooperative che hanno chiesto ai propri lavoratori di distribuire volantini pubblicitari davanti alle scuole; o casi ancora più estremi in cui alcune famiglie abbiano indicato il nome di qualche familiare per svolgere il servizio.
Il rischio di violazioni c’è ed è alto; questo non si può ignorare.

Resta l’amaro in bocca di chi si occupa di inclusione da tanto tempo e la vede distorta in molti, troppi modi: dalla scelta privatista del solo insegnante di sostegno, alla mancanza di una vera e scientifica valutazione della qualità dell’inclusione scolastica; per finire con i recenti scandali legati alle graduatorie “intossicate” dai titoli culturali a pagamento, per cui, per avere la certezza di insegnare basta acquistare titoli su titoli, come nel mercato davanti alla Sinagoga, terminando con i “concorsi-lotteria” fatti di domandine mnemoniche neanche troppo ben scritte.
Ecco, per chi, come me, lavora da decenni per una scuola e un mondo più giusti, la sensazione crescente è quella di chi è impossibilitato a comprendere perché la retorica politica e la furbizia sconfiggano così a mani basse una certa idea di giustizia sociale, sempre più fuori moda.

*Insegnante di sostegno, già assistente all’autonomia e alla comunicazione.

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Corriamo insieme per salvare le Unità Spinali!

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«Per rendere ancora più incisiva la ricorrenza del 4 aprile, Giornata Nazionale della Persona con Lesione al Midollo Spinale, abbiamo deciso quest’anno – dicono dalla Federazione FAIP – di collaborare con la SIMS (Società Italiana di Midollo Spinale), nel promuovere l’evento “Corriamo insieme per salvare le Unità Spinali Codice 28 Alta Specialità Riabilitativa”, a sottolineare l’importanza di preservare e rafforzare in tutta Italia strutture essenziali quali sono le Unità Spinali Persone con lesione midollare

Indetta per il 4 aprile di ogni anno dal Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 28 novembre 2008, su formale istanza della FAIP, ovvero di quella che è oggi la Federazione delle Associazioni Italiane di Persone con Lesione al Midollo Spinale, la Giornata Nazionale della Persona con Lesione al Midollo Spinale ha certamente contribuito in questi anni a sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni sui temi della lesione midollare e della riabilitazione, rappresentando un’occasione importante per porre al centro dell’agenda politica le problematiche e le necessità delle persone coinvolte in queste situazioni.
«Per rendere ancora più incisiva la ricorrenza – spiegano dalla FAIP -, abbiamo deciso quest’anno di collaborare con la SIMS (Società Italiana di Midollo Spinale), nel promuovere l’evento denominato Corriamo insieme per salvare le Unità Spinali Codice 28 Alta Specialità Riabilitativa, a sottolineare l’importanza di preservare e rafforzare in tutta Italia queste strutture essenziali che sono appunto le Unità Spinali, ai fini della riabilitazione e dell’assistenza alle persone con lesione midollare».

Sostenuto dunque anche dalla Fondazione Serena Olivi e con la partecipazione del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), l’appuntamento centrale è previsto per il 4 aprile a Roma, presso la Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio e vi prenderanno parte Vincenzo Falabella, presidente della FAIP, Adriana Cassinis, presidente della SIMS, Luca Pancalli, presidente del CIP, la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, il ministro della Salute Orazio Schillaci e (in attesa di conferma), un referente della Conferenza delle Regioni.
Per favorire poi un ampio coinvolgimento, vi sarà un collegamento via Zoom con tutte le Unità Spinali del Paese, «ciò che permetterà – afferma il Presidente della FAIP – di fare emergere le criticità esistenti in queste strutture, che da troppo tempo si trovano ad affrontare problematiche legate alla carenza di risorse, al sovraffollamento e alla mancanza di personale specializzato. Durante l’evento, dunque, sarà fondamentale dare visibilità a queste difficoltà, impegnando direttamente i Ministri coinvolti a intervenire con politiche adeguate e misure concrete per rilanciare le stesse Unita Spinali, garantendo così una risposta sanitaria appropriata e tempestiva alle migliaia di persone con lesione al midollo spinale che vivono in Italia. È indispensabile, infatti, che le Istituzioni si facciano carico della situazione, mettendo in campo risorse e azioni per assicurare una riabilitazione di alta qualità a chi ne abbia necessità».

Da ricordare, infine, che in segno di adesione all’evento, verranno anche distribuite cinquanta magliette con il logo ufficiale della Giornata Nazionale 2025, ai Centri e alle Unità Spinali che parteciperanno all’evento. (S.B.)

Per ogni ulteriore informazione: segreteria@faiponline.it. A questo link è disponibile un documento di approfondimento sulle Unità Spinali, curato congiuntamente da FAIP e SIMS.

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A Napoli si corre la dodicesima “Walk of Life” per sostenere la ricerca Telethon

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Si rinnoverà il 23 marzo per le strade di Napoli l’appuntamento con “Walk of Life”, l’iniziativa organizzata dalla Fondazione Telethon a sostegno della ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare. Sarà un’occasione di incontro tra sport, divertimento e solidarietà  Un’immmagine riguardante una precedente edizione della “Walk of Life” a Napoli

A Napoli, il 23 marzo, si correrà per sostenere la ricerca: tornerà infatti la Walk of Life, l’iniziativa di sport e solidarietà organizzata dalla Fondazione Telethon per supportare la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare.
Giunto alla XII edizione e presentato nel corso di una conferenza stampa nella Sala Giunta del Comune di Napoli, l’evento rappresenta un momento di grande sostegno e vicinanza alle persone che convivono con una patologia rara, e un’occasione per raccogliere fondi da destinare alla ricerca.

La Walk of Life 2025 comprenderà diversi percorsi che partiranno dalla Rotonda Diaz: una corsa competitiva e non competitiva di 9,9 chilometri, con partenza alle 9 e una passeggiata di 3 chilometri con partenza alle 10.30.
Anche quest’anno, già da sabato 22 verrà allestito presso Rotonda Diaz il Villaggio di Fondazione Telethon, dove sarà possibile ritirate il pettorale e il pacco gara e iscriversi alla passeggiata. Per l’occasione saranno presenti anche stand di partner, con animazione ed esibizioni sul palco che proseguiranno per tutto il pomeriggio.

La Walk of Life rinnoverà dunque l’ormai tradizionale occasione di incontro tra sport, divertimento e solidarietà, unendo i cittadini e le cittadine nel sostegno a tutte le persone nate con una malattia genetica rara. La città di Napoli, infatti, è particolarmente legata alla ricerca, ospitando sul proprio territorio il TIGEM di Pozzuoli (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), eccellenza a livello internazionale mondiale nel campo della ricerca scientifica, capace, grazie ai suoi risultati, di attrarre ricercatori di assoluto valore di tutto il mondo.

La quota di iscrizione alla Walk of Life sarà di 15 euro per la corsa competitiva e di 10 euro per la non competitiva e la passeggiata. I fondi raccolti serviranno a sostenere la ricerca scientifica promossa dalla Fondazione Telethon che dal 1990 ad oggi, va ricordato, ha investito 698 milioni di euro, finanziando oltre 3.000 progetti con 1.771 ricercatori coinvolti e 637 malattie studiate.

Da segnalare in conclusione che l’evento è stato organizzato con il supporto di Fondazione Ferrarelle, BNL BNP Paribas, Union Gas e Luce, La Molisana, Doemi, Ambrosoli, Matese, Zeus Sport, Icam, Mulino Caputo, Poliass, Finaide, Over Security, La Fiammante, Opportunity, Bava, Unity Original, Università Napoli Suor Orsola. L’organizzazione tecnica della manifestazione sportiva è stata curata dall’Associzione Soportiva Dilettantistica Napoli Running. (C.C.)

Per informazioni e iscrizioni, accedere a questo link.

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Basket unificato: domenica a Rivalta il torneo “Giocare insieme cambia”

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Domenica 23 marzo, a Rivalta, in provincia di Torino, si giocherà a basket unificato. Nel segno dell’inclusività, il Distretto Lions 108 Ia1 e la Fondazione Time2 presenteranno infatti il torneo “Giocare insieme cambia”, a cui parteciperanno atleti con e senza disabilità

Domenica prossima, il 23 marzo, a Rivalta, in provincia di Torino, si giocherà a basket unificato. Nel segno dell’inclusività, il Distretto Lions 108 Ia1 e la Fondazione Time2 presenteranno infatti il torneo di basket unificato Giocare insieme cambia, a cui parteciperanno atleti con e senza disabilità.
Tre le squadre che giocheranno il 23 marzo: Sport Time2, Asad Biella e Pandha Torino, dalle 9 alle 17, presso O.A.S.I. (Via Laura Vicuna 8, Rivalta).

«Un’iniziativa che nasce per stimolare il dialogo su disabilità ed inclusione, nel contesto dello sport di squadra. Una giornata per praticare insieme attività ludico-motorie e sportive e abbattere sul campo le differenze», commenta dal Distretto Lions 108 Ia1 Gabriella Gastaldi.
«Lo sport è un diritto di tutte le persone. Con Sport Time2 vogliamo creare spazi e opportunità in cui ogni persona possa praticare l’attività sportiva, mettendo al centro il valore delle diversità. Il torneo di domenica ne è un esempio», afferma Samuele Pigoni, segretario generale della Fondazione Time2.

Il basket unificato è una disciplina sportiva che prevede la partecipazione di persone con e senza disabilità intellettive, favorendo l’integrazione e la cooperazione. Le squadre sono miste (senza differenza di genere) e ogni atleta ha un ruolo che si adatta alle sue caratteristiche. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Ufficio Stampa Duepunti (carbone@duepunti-srl.it).

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Una guida turistica per un Abruzzo accessibile e inclusivo

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Quattro itinerari per scoprire le città storiche dell’Abruzzo, tracciati e narrati da quattro turisti d’eccezione, persone con disabilità che lavorano nella Cooperativa Sociale Raggio di Luce. È “Percorsi d’Abruzzo”, guida turistica diversa dalle solite guide in circolazione e che sarà presentata il 21 marzo all’Aquila. L’iniziativa nasce nell’àmbito del progetto “Uno sguardo oltre il tangibile”, finanziato dal PNRR (“NextGenerationEU”) Un particolare della città di Chieti

Quattro itinerari per scoprire le città storiche dell’Abruzzo, tracciati e narrati da quattro turisti d’eccezione, persone con disabilità che lavorano nella Cooperativa Sociale Raggio di Luce. È Percorsi d’Abruzzo, guida turistica diversa dalle solite guide in circolazione e che verrà presentata domani, 21 marzo, all’Aquila, presso l’Auditorium del Parco (Renzo Piano), durante un evento dedicato alla valorizzazione del patrimonio culturale abruzzese e all’inclusione sociale.

La guida, prodotta, come detto, con il coinvolgimento di giovani con disabilità, racconta dunque le città dell’Aquila, di Chieti, Pescara e Teramo in chiave di accessibilità per tutti i turisti ed è disponibile anche in formato digitale.
L’iniziativa nasce nell’àmbito del progetto Uno sguardo oltre il tangibile, finanziato dal PNRR (NextGenerationEU), con l’obiettivo di sostenere e promuovere forme di turismo inclusivo e sostenibile, rilanciando i settori culturali e creativi dell’Abruzzo.

In occasione della presentazione, verranno inoltre proiettati quattro cortometraggi, dando vita a una sorta di piccolo festival sul tema, finalizzato proprio alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale delle città della Regione.
La giornata, inoltre, offrirà momenti di confronto sulle buone prassi in tema di accessibilità e pari opportunità, con la proiezione di video di approfondimento. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Raggio di Luce – Società Cooperativa Sociale (info@coopraggiodiluce.it).

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Quell’emendamento è in contrasto con il diritto fondamentale alla salute

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«Quell’emendamento – scrivono tra l’altro dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale, commentando l’emendamento n. 13.0.400 al Disegno di Legge su “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria” interviene su prestazioni in cui la componente sanitaria e quella sociale sono da considerarsi tra loro inscindibili, e si pone in totale contrasto con il diritto fondamentale alla salute riconosciuto dalla Costituzione»

Diamo spazio qui di seguito a una sintesi ampia della nota di commento e approfondimento redatta dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale, riguardante l’emendamento n. 13.0.400 al Disegno di Legge su Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria, tema rispetto al quale abbiamo già pubblicato altri contributi di riflessione (a questo e a questo link). Il testo integrale dell’approfondimento curato dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS è disponibile a questo link.

Il primo comma dell’emendamento n. 13.0.400 al Disegno di Legge su Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria ha il palese obiettivo di circoscrivere nettamente il perimetro (e, quindi, il finanziamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale) delle “attività” sanitarie da tutto ciò che ha non una rilevanza prettamente sanitaria.
Tale previsione, oltre a non essere minimamente attuabile, intervenendo proprio su quelle prestazioni in cui la componente sanitaria e quella sociale sono da considerarsi tra loro inscindibili, e quindi, fino ad oggi, interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, si pone in totale contrasto con il diritto fondamentale alla salute riconosciuto dalla Costituzione, nonché garantito da norme primarie a cui si è saldamente ancorata anche la copiosa giurisprudenza intervenuta in materia.

Occorre inoltre porre la massima attenzione sul fatto che nel nostro Paese occorrerebbe compiere una seria, attenta, precisa e costante azione di verifica e monitoraggio circa l’effettiva attuazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), per esempio in relazione all’articolo 21 del relativo DPCM del 12 gennaio 2017 sui percorsi assistenziali integrati), sul Piano Nazionale per la Non Autosufficienza 2022-2024 (per esempio in relazione al LEPS-Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali di processo, sul percorso assistenziale integrato), sull’effettiva consistenza delle azioni che avrebbero dovuto essere poste in essere a seguito dell’entrata in vigore della Legge 33/23 (Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane), che nel Capo II dispone le azioni di sistema anche in materia di persone non autosufficienti.
Non solo, ma proprio in relazione alle politiche e alle programmazioni rivolte alla non autosufficienza, l’ANFFAS ha da sempre posto in evidenza la necessità di dotare tali politiche e programmi di risorse adeguate, oggi invece largamente distanti dalle effettive necessità di milioni di cittadini e cittadine.

Crediamo che si debba ancora evidenziare un elemento di politica sociale che da tempo denunciamo come non compreso e non affrontato da parte del nostro Paese. Si tratta della condizione di svantaggio socio-economico in cui le persone con disabilità, le persone non autosufficienti e i loro familiari, vivono in termini di aumento del rischio di impoverimento. Un rischio generato sia dalla permanente condizione di svantaggio e discriminazione di tante persone, rispetto all’accesso al lavoro (e quindi al reddito), dalla necessità dei familiari di destinare tempo, energie e risorse (anche economiche) ai bisogni di sostegno del proprio figlio/a o parente, dal fatto che tali necessità non sono ad oggi ancora adeguatamente coperte e sostenute dalle norme in materia di caregiver familiari, e infine, dal fatto che perdurano in tanti Comuni Italiani criteri di determinazione della compartecipazione al costo dei servizi che appaiono illegittimi rispetto alle norme vigenti (DPCM 159/13).

Riteniamo quindi che questi siano gli elementi cardine di un sistema di welfare che appare ancora distante e inadeguato rispetto alle necessità di sostegno di milioni di cittadini e cittadine. In tal senso il ruolo dei soggetti di Terzo Settore (inclusi i gestori di unità d’offerta sociali, sanitarie e sociosanitarie) assume rilevanza e anzi dovrebbe essere da tutti difeso e promosso in termini di coinvolgimento verso la costruzione di quel clima di amministrazione condivisa, sancito da tempo dal Codice del Terzo Settore (nonché dalla Sentenza 131/20 della Corte Costituzionale), ma di fatto, su questi aspetti, in buona parte ancora disatteso, evitando che su tali enti si scarichino direttamente o indirettamente gli aspetti distorsivi di un siffatto sistema potenzialmente dirompente anche sulla loro tenuta di equilibrio gestionale ed economico finanziario, laddove dovesse continuare a permanere l’attuale quadro di incertezza o addirittura acuirsi all’esito dei previsti provvedimenti.

Un ulteriore aspetto di criticità è dato dal fatto che, stante la difficile, e quasi impossibile, differenziazione di tali prestazioni, sono del tutto prevedibili possibili conflitti tra il sistema sociale e quello sanitario, con la logica conseguenza di insorgenza di nuovi contenziosi, mentre un altro elemento di fortissima preoccupazione da parte delle persone con disabilità, delle loro famiglie e delle loro Associazioni maggiormente rappresentative, è dato dal fatto che tale emendamento, che sembra nascere con riferimento alle cosiddette RSA per le persone non autosufficienti, per effetto del richiamo all’articolo 30 del DPCM del 12 gennaio 2017, potenzialmente sembra estendersi anche ad altre strutture e servizi di natura sociosanitaria, tra le quali quelle, appunto, per le persone con disabilità.

Si tratta in conclusione di un emendamento che ancora una volta, agendo in una modalità “spot” e senza alcuna visione complessiva, rischia di comprimere e, addirittura, annullare i diritti dei cittadini che fruiscono o fruiranno di prestazioni strumentali al godimento di diritti fondamentali come quelle sopra richiamate, sia in termini di qualità, causando la frammentazione di prestazioni inscindibili, sia in termini di effettiva garanzia del diritto.

*L’ANFFAS è l’Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo (nazionale@anffas.net).

Sul tema trattato nel presente contributo di riflessione, segnaliamo anche, sempre sulle nostre pagine, i testi Per una riforma organica e coerente del sistema sociosanitario (a questo link) e Emendamenti normativi e diritti delle persone non autosufficienti (a questo link) di ULCES.

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Le persone con la sindrome di Down hanno un obiettivo condiviso: l’autonomia e la vita indipendente

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Sono caratterizzati da un obiettivo condiviso, l’autonomia e la vita indipendente, i vari supporti richiesti e ritenuti necessari dalle persone dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), protagoniste della campagna di comunicazione lanciata da tale Associazione in occasione della Giornata Mondiale della Sindrome di Down di domani, 21 marzo Persone dell’AIPD di Venezia Mestre (©AIPD)

Emanuele ha 20 anni e vive in provincia di Latina: quello che più lo fa arrabbiare è che a scuola non ha un insegnante che lo segua con continuità ed è questo quindi il supporto che chiede di migliorare. Roberta ha 26 anni e vive in provincia di Campobasso: quello che la fa arrabbiare è non riuscire a spostarsi autonomamente con i trasporti pubblici ed è questo il supporto che chiede allo Stato. E ancora, Gianni vive a Brindisi e inizia ad avere qualche capello grigio: sarà per questo che non dice la sua età, ma chiede una Sanità più efficiente e che per una visita medica si debba aspettare meno tempo: è la richiesta per la quale sollecita maggiori supporti. Sergio, infine, vive a Napoli e ha 38 anni. È bravo a ballare, ma non ha ancora un lavoro. Allo Stato, quindi, chiede lavoro per tutti!
Sono solo alcuni dei protagonisti della campagna di comunicazione che l’AIPD, l’Associazione Italiana Persone Down aderente alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), ha lanciato in occasione della Giornata Mondiale della Sindrome di Down di domani, 21 marzo (World Down Syndrome Day), come abbiamo riferito nei giorni scorsi anche sulle nostre pagine, «una campagna – viene spiegato dall’Associazione – partita diversi giorni prima della ricorrenza, per dare la parola al maggior numero di persone, giovani e meno giovani, uomini e donne, da Nord a Sud Italia, passando per il Centro. Sono loro, le persone con sindrome di Down che frequentano le nostre Sezioni a prendere la parola, per declinare e tradurre in richieste concrete lo slogan della Giornata Mondiale, Improve Our Support Systems, ossia “Migliorare i nostri sistemi di supporto”, con i nostri social (Facebook) e (Instagram) già letteralmente invasi da una “pioggia” di testimonianze, brevi video in cui si indicano i problemi e i supporti necessari per risolverli, fino al video conclusivo, che sarà diffuso domani, 21 marzo».

«La nostra Associazione – sottolinea Gianfranco Salbini, presidente nazionale dell’AIPD – è da sempre convinta che il protagonismo delle persone con sindrome di Down sia necessario e fondamentale per costruire un mondo migliore per loro e per tutti, una convinzione che si è rafforzata quando, durante la nostra assemblea del 2023, proprio le persone con sindrome di Down di diverse Sezioni territoriali ci hanno presentato una mozione con le loro richieste. Ci è parso più che mai evidente quanto fosse forte e legittimo questo bisogno di prendere la parola. In questa occasione, quindi, in cui la comunità internazionale accende i riflettori sui supporti di cui le persone con sindrome di Down hanno bisogno, non potevamo non dare a loro la parola. Non è più tempo di parlare al posto loro e di fare progetti senza farci guidare dalle loro indicazioni: la partecipazione e il protagonismo devono essere princìpi irrinunciabili e denominatori comuni di ogni nostra azione e campagna. Dietro ogni richiesta, infatti c’è una persona, dietro ogni appello c’è una vita. Sono queste persone e le loro vite che abbiamo voluto raccontare, con i video della campagna di quest’anno».

Per quanto riguarda i vari supporti richiesti e ritenuti necessari, essi, come spiegano dall’Associazione, hanno un obiettivo condiviso, l’autonomia e la vita indipendente. «Certo – aggiunge Salbini – siamo consapevoli che non tutte le persone con sindrome di Down sono in grado di vivere da sole: per loro e per le loro famiglie sono necessari supporti che possano assicurare la migliore qualità della vita, oggi e domani. Al tempo stesso, però, siamo consapevoli che tante persone con sindrome di Down potrebbero conquistare la vita indipendente: devono tittavia essere accompagnate e incoraggiate. Ed è quello che cerchiamo di fare ogni giorno, con i nostri corsi, i seminari, le attività, le pubblicazioni dedicate a questo tema».
In occasione di questo 21 marzo, ad esempio, l’AIPD ha lanciato il corso online Ali – Vita indipendente, disponibile gratuitamente (previa registrazione) nel sito dell’EDSA (European Down Syndrome Association), iniziativa nata grazie alla collaborazione tra la stessa EDSA, l’AIPD Potenza, Down Syndrom Czech e Trisomie 21 Luxembourg, rivolta in particolare a familiari, professionisti e caregiver, articolandosi su cinque lezioni e i relativi test di verifica, per insegnare a creare percorsi educativi nei confronti di giovani e adulti con sindrome di Down, utilizzando i contenuti e le metodologie offerte.
Un altro strumento utile per supportare la conquista dell’autonomia, realizzato dall’AIPD è dato dai volumi della collana Laboratori per le autonomie di Erickson, dieci pubblicazioni che insegnano, con “linguaggio facile da leggere e da comprendere”, le abilità fondamentali per l’autonomia a ragazzi/e e adolescenti con disabilità intellettiva. grazie a materiali semplificati, esempi concreti ed esercitazioni. Alcuni di essi sono stati recentemente tradotti in diverse lingue e diffusi a livello internazionale.

Da ricordare, in conclusione, che la campagna promossa dall’AIPD è stata realizzata grazie alla collaborazione dell’AANT (Accademia Arti e Nuove Tecnologie), dei docenti Matteo Quarta di Halibut film, Chiara Catalani e Assunta Squitieri di Anema District e degli studenti delle classi di grafica e di videomaking. (S.B.)

A questo link vi è l’elenco degli eventi organizzati dall’AIPD a livello territoriale, per il 21 marzo di quest’anno. Per ogni ulteriore informazione: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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Una guida per i concerti inclusivi

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Rendere la musica dal vivo più accessibile e inclusiva: è online un kit gratuito e pronto all’uso che fornisce strumenti e consigli per migliorare la comunicazione e la realizzazione degli eventi di musica dal vivo, con un focus su accessibilità, inclusione sociale e rappresentazione

È online un nuovo kit gratuito e pronto all’uso per migliorare l’accessibilità dei concerti, alla cui realizzazione hanno contribuito anche la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), insieme a Equaly e il CSV Milano (Centro di Servizio per il Volontariato).
Tale documento di buone pratiche ha l’obiettivo di fornire strumenti e consigli per migliorare la comunicazione e la realizzazione degli eventi di musica dal vivo, con un focus sull’accessibilità, l’inclusione sociale e la rappresentazione.

Dopo un percorso di analisi dei pubblici della musica dal vivo, effettuato tramite la somministrazione di questionari, focus group, incontri di co-progettazione e workshop, la Società Cooperativa BAM! Strategie Culturali, che ha curato il vademecum, ha raccolto in un unico documento alcune idee e buone prassi che possono essere adattate e applicate nei festival.
L’indagine sui pubblici dei Live Club e dei Festival, realizzata nell’ambito del progetto Il Concerto Che Vorrei e condotta nel 2023, ha restituito la percezione delle persone rispetto agli eventi musicali dal vivo e ai loro specifici bisogni in termini di accessibilità, rappresentazione e inclusione. In particolare, a partire da alcune istanze emerse nell’àmbito della comunicazione e della mediazione, è risultato che la completezza e la chiarezza delle informazioni di un evento sono una guida di scelta fondamentale per il pubblico, troppe volte per niente o scarsamente preso in considerazione. (C.C.)

È possibile scaricare liberamente il kit di cui si parla nel presente contributo a questo link.

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Per un programma di educazione affettiva e sessuale nelle scuole

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«Riteniamo – scrivono dal Forum Permanente sulla Sessualità delle Persone con Disabilità o con Disagio Mentale – che la causa dell’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità o con disagio mentale che tende a negare loro il diritto ad una sessualità libera e consapevole risieda nell’assenza di un’educazione affettiva e sessuale nel nostro Paese. Per questo chiediamo di sottoscrivere questo nostro Appello di denuncia»

In quanto rappresentanti del Forum Permanente sulla Sessualità delle Persone con Disabilità o con Disagio Mentale, da tempo lottiamo contro l’evidente atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità o con disagio mentale che tende a negare loro il diritto ad una sessualità libera e consapevole. Riteniamo che la causa di questa situazione sia da imputare all’assenza di un’educazione affettiva e sessuale nel nostro Paese.
La Legge di Bilancio per il 2025 [Legge 207/24, N.d.R.], accogliendo un emendamento delle opposizioni, ha stanziato un fondo di 500.000 euro per promuovere, nei «piani triennali formativi scolastici, interventi educativi e corsi di educazione e di prevenzione sulle tematiche della salute sessuale e dell’educazione sessuale e affettiva» per gli studenti delle scuole medie di primo e secondo grado. Purtroppo tale fondo, con inammissibile forzatura, è stato invece destinato ad interventi di formazione sulla “prevenzione dell’infertilità”.
Quella dunque che già appariva come una minima apertura del Governo sul tema dell’educazione sessuale è stata di fatto annullata, stravolgendo completamente la volontà del Parlamento. Siamo convinti che sia necessario reagire e denunciare la “marcia indietro” del Governo rispetto al testo normativo approvato.

Non è più tollerabile che l’Italia sia uno dei pochi Paesi europei dove non è previsto un programma di educazione affettiva e sessuale nelle scuole.
Il nostro Forum, quindi, con le Associazioni aderenti, chiede a tutti i cittadini, enti e associazioni interessate di sottoscrivere il presente Appello di denuncia e di dichiarare la propria disponibilità a collaborare all’organizzazione di un’Assemblea pubblica che affronti il tema dell’educazione affettiva e sessuale nella scuola, coinvolgendo i principali soggetti interessati (studenti, professori, rappresentanti del mondo associativo impegnato nel sociale, forze politiche), per formulare una proposta che possa produrre, finalmente, un risultato concreto: l’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nella scuola.

*A questo link la pagina Facebook del Forum.

Le adesioni di realtà associative, ma anche individuali, all’appello contenuto nel presente contributo, vanno comunicate a: forum.sessualita21@gmail.com. A questo link è presente l’elenco di Enti, Associazioni, singoli cittadini o cittadine che hanno già aderito.

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