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“Vite indegne” e “silenzio assordante”, due pericolosi ossimori

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«“Grazie” al Presidente degli Stati Uniti – scrive Stefania Delendati – e a chi, con il suo “silenzio-assenso”, ne ha suffragato le parole discriminatorie e offensive nei confronti delle persone con disabilità, abbiamo fatto molti passi indietro che minacciano le conquiste degli ultimi decenni e i programmi di pari opportunità. Obiettivi degli Stati devono essere il rispetto reciproco e la rimozione di ogni forma di discriminazione, perché l’unica cosa che può davvero migliorare il mondo è l’inclusione» Jovita Grigaliunaite, “Desperation – Experiments with Fovism” (particolare), 2014 (©fineartamerica)

Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute è il titolo di un monologo di Marco Paolini, poi diventato un libro, che racconta la storia dello sterminio di massa conosciuto come Aktion T4, la pianificazione a tavolino del regime nazista che portò alla morte circa 300.000 persone con disabilità fisiche e intellettive, un primo Olocausto sepolto per anni dalla Storia.
Ho rivisto quel monologo pochi giorni prima del 27 gennaio, Giorno della Memoria, lo rivedo ogni tanto, è straziante quanto utile ripercorrere quel passato neanche tanto lontano. Lo ribadiamo su queste pagine ogni volta che trattiamo l’argomento, ricordare è necessario perché quei fatti non si ripetano, ma in fondo in fondo il nostro cuore ci dice che tanto orrore non è possibile che torni, non è immaginabile che nel XXI secolo qualcuno, memore di ciò che è stato, possa di nuovo concepire su base ideologica l’annientamento programmato di migliaia di persone ritenute inutili, improduttive, una zavorra per la società.

“Vite indegne” è un ossimoro, due parole accostate che esprimono concetti opposti. La vita è degna, sempre, non esistono esistenze indegne, inadeguate. Sono sincera, pur sapendo che l’inclusione sociale delle diversità (e nel termine le includo tutte, non soltanto la disabilità) è una mèta ancora lontana e irta di ostacoli, non ritenevo possibile che oggi un capo di Stato democraticamente eletto riuscisse a pronunciare un discorso discriminatorio, offensivo e soprattutto molto pericoloso.
Lo ha fatto il neoeletto Presidente degli Stati Uniti all’indomani del disastro aereo di Washington del 30 gennaio. Senza uno straccio di prova, senza dati, quando le indagini erano a malapena iniziate, prima di ripescare dal fiume Potomac le scatole nere dei velivoli coinvolti, il comandante in capo della nazione più potente del mondo, quello che per la carica che ricopre è considerato l’uomo più potente del mondo, si è scagliato in maniera violenta e sconsiderata su quelli che lui ritiene senza dubbio i colpevoli della tragedia: le persone con disabilità assunte con le politiche sull’inclusione avviate dai suoi predecessori. Politiche che l’attuale Presidente non ha mai nascosto di considerare dannose e che sono state tra i primi bersagli colpiti e affondati nella raffica di provvedimenti firmati subito dopo l’insediamento alla Casa Bianca, allo scopo di cancellare quanto compiuto dalle precedenti Amministrazioni.
Non si è limitato a questo, sull’onda emotiva del disastro aereo ha affermato l’indicibile, puntando il dito sulla presunta incompetenza delle persone con disabilità incluse nel mondo lavorativo, in questo caso assunte come controllori di volo. In un momento di smarrimento e dolore per la morte di 67 persone, ha trovato un capro espiatorio sul quale dirottare la rabbia dei cittadini elettori, una categoria di “diversi” presumiamo invisa a una consistente parte di americani, quella parte che l’ha votato almeno.
È vero che sono implicati con responsabilità controllori di volo con disabilità? Non lo sappiamo, ma che importa, ciò che conta è insinuarlo in maniera strumentale e con una tale sicumera da far credere che sia altamente probabile, con l’unico scopo di legittimare l’annullamento delle politiche inclusive che sarebbero, secondo questa logica illogica, un pericolo per la sicurezza del Paese.

A questo punto mi sono tornati in mente Ausmerzen e Aktion T4. Anche allora iniziò tutto con la propaganda, le persone con disabilità vennero rappresentate come un peso per la collettività e private della loro dignità; perfino i compiti di matematica proposti agli alunni nelle scuole contemplavano il costo del mantenimento delle “vite indegne di essere vissute” in rapporto allo stipendio medio di un tedesco. L’opinione pubblica, non tutta ma quasi, reagì passivamente, girandosi dall’altra parte, influenzata dalla narrazione distorta del regime. Per questo le dichiarazioni dell’inquilino della Casa Bianca riaprono scenari inquietanti, rafforzano il pregiudizio ancora diffuso secondo cui le persone con disabilità sono prive di capacità, ancora giudicate per i loro “limiti” e non come cittadini e cittadine.
Uno stigma di questo tipo uscito dalla bocca del Presidente degli Stati Uniti d’America è una bomba, mi aspettavo che deflagrasse sui mass-media con un rumore fragoroso. Invece no, “silenzio assordante”, o quasi, il secondo ossimoro che fa paura.
Nei giorni successivi all’incidente aereo, infatti, ho seguito con attenzione i telegiornali e i programmi di informazione. Non tutti, è impossibile, ma nessuno tra quelli che ho guardato ha segnalato anche con un breve commento quanto affermato sulla “disabilità colpevole del disastro”. Insomma, se avessi voluto sapere qualcosa delle ultime prodezze dei Ferragnez ogni due per tre avrei trovato un giornalista, magari con i suoi ospiti in studio, a interrogarsi sulle vicende della ex coppia vip, ma sulle frasi contro le persone con disabilità nulla. Nessuno ha speso due parole per stigmatizzare queste dichiarazioni, silenzio assordante anche dalla politica italiana, niente neppure dai Dicasteri che di disabilità si occupano in via prioritaria.
Ripeto, non ho potuto guardare tutto su tutte le reti, può essermi sfuggita la tanto agognata presa di distanza e di posizione, me lo auguro, pertanto se qualcuno ha sentito ciò che mi aspettavo ce lo segnali, saremo ben contenti di darne notizia.

Un po’ diversa la situazione online dove le edizioni dei maggiori organi di stampa hanno dato risalto al discorso del neoeletto Presidente, sottolineando in diversi casi la gravità delle sue esternazioni, e hanno continuato a farlo anche nei giorni successivi. Da rilevare, però, che ancora dopo quattro giorni dal disastro una testata è uscita con il titolo Washington. Solo una persona a vigilare a causa dei tagli e del gender, rincarando la dose poche righe più sotto dove si legge: «Dai dialoghi prima dell’incidente emergono tragiche carenze nello staff. Aggravate dalle scelte di Biden e dal programma di diversità».
C’è chi per avere un’idea di un fatto si ferma alla lettura del titolo e delle prime righe del pezzo, chi ha letto questo titolo e questa sintesi è portato a credere che i programmi a favore dell’inclusione delle diversità siano un errore.

Non è finita, purtroppo. Trascorrono ancora alcuni giorni e arriva un’altra notizia: tutti gli articoli scientifici in corso di pubblicazione da parte dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention), importanti organismi di controllo della sanità pubblica negli Stati Uniti, devono passare al vaglio di un commissario politico prima di essere autorizzati, perché non devono contenere termini sgraditi al governo statunitense.
La scienza e la medicina non sono apolitiche come si potrebbe pensare, come dovrebbero essere, tornano anche in questo caso Ausmerzen e Aktion T4. Lo sterminio delle persone con disabilità e dei “diversi” in generale si basava infatti su pseudo teorie scientifiche che sostenevano la necessità di migliorare la qualità genetica della razza umana. Soltanto i più “adatti” potevano sopravvivere, gli altri andavano eliminati. La scienza non era più uno strumento per il bene dell’umanità, ma un mezzo per raggiungere uno scopo politico, la potremmo chiamare “biopolitica”, che pian piano si insinuò nella società, alimentando i pregiudizi culturali e dando origine alla convinzione che soltanto un corpo e una mente “abili” avessero diritto di esistere in quanto “superiori”.

Il cammino per l’uguaglianza e la promozione dei diritti delle persone con disabilità è lungo e ancora in divenire, ma non mancano tappe che hanno segnato dei punti fermi. Penso alla Convenzione ONU del 2006 che promuove, protegge e garantisce il pieno godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, per arrivare alla Carta di Solfagnano, sottoscritta il 16 ottobre dello scorso anno in occasione del primo G7 al mondo su Disabilità e Inclusione.
La strada tracciata è chiara, dunque, e deve essere accompagnata da un profondo ripensamento culturale che deve passare anche dalla politica e dal modo in cui chi esercita il potere tratta e parla di disabilità.
“Grazie” al Presidente degli Stati Uniti e a coloro che con il loro “silenzio-assenso” hanno suffragato le sue parole, abbiamo fatto molti passi indietro che minacciano le conquiste degli ultimi decenni e i programmi di pari opportunità. Obiettivi degli Stati devono essere il rispetto reciproco e la rimozione di ogni forma di discriminazione, qui invece assistiamo ad un declino che porta inesorabilmente alla marginalizzazione.
L’inclusione è l’unica cosa che può davvero migliorare il mondo, l’inclusione è un diritto e non un favore, il problema sono coloro che negano questa verità, pericolosi quanto quelli che restano in silenzio. Silenzio assordante di fronte a chi continua a ritenere gli uomini e le donne con disabilità “vite indegne di essere vissute”.

*Direttrice responsabile di Superando.

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Sindrome di Down. Cosa fare (e non): una guida per insegnanti delle scuole primarie

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Un agile manuale pensato per insegnanti ed educatori in genere, quale strumento pratico per affrontare le sfide attuali più comuni riguardanti la sindrome di Down, comprendendo meglio le situazioni e adottando uno sguardo analitico e approfondito: è “Sindrome di Down. Cosa fare (e non). Scuola primaria. Guida rapida per insegnanti”, pubblicato da Erickson e di cui sono autrici Monica Induni-Pianezzi e Angelica Jäggli dell’Associazione della Svizzera Italiana Avventuno

È stato pubblicato recentemente, per i tipi di Erickson, il libro Sindrome di Down. Cosa fare (e non). Scuola primaria. Guida rapida per insegnanti. Ne sono autrici Monica Induni-Pianezzi, co-fondatrice e direttrice dell’Associazione della Svizzera Italiana Avventuno, e Angelica Jäggli, che nella medesima organizzazione è responsabile dell’Educazione e dell’Inclusione.

«Nonostante la sindrome di Down sembri conosciuta e sia associata a una certa simpatia spontanea – si legge nella presentazione editoriale -, è ancora facile imbattersi in preconcetti che derivano da vecchie informazioni e visioni superate. Le più aggiornate ricerche e le linee guida evidence-based [basate sull’evidenza] confermano invece l’assunto di base che la trisomia 21 non comporta una compromissione omogenea dello sviluppo, bensì un profilo specifico con punti forti e punti di difficoltà. Con il giusto supporto, dunque, molte persone con sindrome di Down possono sviluppare a pieno il proprio potenziale, costruendo una vita autodeterminata e il più possibile autonoma. Si tratta di una nuova prospettiva che deve tradursi in un’evoluzione della visione educativa generale e in un ambiente che consideri il loro diritto alla partecipazione e alla costruzione di tale vita: Sindrome di Down. Cosa fare (e non) è un agile manuale pensato dunque per insegnanti ed educatori in genere quale strumento pratico per affrontare le sfide più comuni, comprendendo meglio le situazioni e adottando uno sguardo analitico e approfondito».

Il libro è composto da dodici capitoli, che analizzano situazioni comuni di difficoltà alla scuola primaria, suddivise in tre macro-sezioni (Competenze adattive e sociali; Comunicazione e apprendimenti; Competenze adattive e sociali). Ogni capitolo è introdotto da alcuni spunti di riflessione in cui vengono sintetizzate le possibili cause di un determinato comportamento e da esempi pratici di buone prassi che permettono di leggere, prevenire e risolvere le situazioni presentate. Segue una spiegazione dettagliata dei fattori che favoriscono l’insorgere delle difficoltà presentate, così come alcune proposte ed esempi pratici per affrontarle nell’immediato e favorirne una risoluzione a lungo termine. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Lisa Oldani (Ufficio Stampa Erickson), lisa.oldani@erickson.it.

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In provincia di Frosinone e Biella il “Premio Diana Lorenzani” per il 2024

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L’Istituto Comprensivo Riccardo Gulia di Sora (Frosinone) e il Liceo del Cossatese e Valle Strona di Cossato (Biella) si sono classificati rispettivamente al primo e al secondo posto per il 2024, nell’àmbito del “Premio Diana Lorenzani”, iniziativa rivolta dal MAC (Movimento Apostolico Ciechi) alle scuole e agli Enti di Terzo Settore che abbiano messo in atto azioni e progetti allo scopo di favorire la promozione e l’inclusione di persone con disabilità complessa L’Istituto Comprensivo Riccardo Gulia di Sora (Frosinone) si è classificato al primo posto per il 2024, nell’ambito del “Premio Diana Lorenzani”

Le scuole di ogni ordine e grado e gli Enti di Terzo Settore che abbiano messo in atto nell’ultimo anno azioni e progetti allo scopo di favorire la promozione e l’inclusione di persone con disabilità complessa: sono loro i destinatari del Premio Diana Lorenzani, indetto sin dal 2011 dal MAC (Movimento Apostolico Ciechi), grazie a un lascito ricevuto a suo tempo e intitolato ad una benefattrice dell’organizzazione.
All’inizio di gennaio il Comitato di Valutazione del Premio ha assegnato i riconoscimenti per l’anno 2024 all’Istituto Comprensivo Riccardo Gulia di Sora (Frosinone) e al Liceo del Cossatese e Valle Strona di Cossato (Biella), classificatisi rispettivamente al primo e al secondo posto. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: mac@movimentoapostolicociechi.it.

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PDTA e riabilitazione per una presa in carico integrata delle persone con sclerosi multipla in Piemonte

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L’implementazione nell’intero territorio regionale di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) efficace e personalizzato e il rafforzamento della riabilitazione in stretta integrazione con la rete dei Centri Clinici presso le Neurologie: sono gli strumenti chiave per garantire una presa in carico completa, accessibile e sostenibile, che risponda ai bisogni delle persone con sclerosi multipla e patologie correlate, emersi durante un convegno regionale promosso in Piemonte dall’AISM Un’immagine del convegno tenutosi presso la sede della Regione Piemonte

Al centro del convegno regionale sulla sclerosi multipla e patologie correlate, tenutosi nei giorni scorsi presso la sede di Torino della Regione Piemonte, sono emerse due priorità fondamentali: l’implementazione nell’intero territorio regionale di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) efficace e personalizzato e il rafforzamento della riabilitazione in stretta integrazione con la rete dei Centri Clinici presso le Neurologie. Entrambi, infatti, rappresentano strumenti chiave per garantire una presa in carico completa, accessibile e sostenibile, che sappia rispondere alle esigenze delle persone con sclerosi multipla e patologie correlate e delle loro famiglie, con un ruolo chiave dell’Associazione di riferimento, l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla).
Promosso nell’àmbito del ciclo di incontri AISM a tu per tu con le Istituzioni, il confronto tra esperti, rappresentanti istituzionali e referenti associativi presenti al convegno di Torino ha evidenziato dunque i bisogni emergenti a livello regionale, indicando azioni concrete per colmare le difficoltà di integrazione dei percorsi di cura nelle diverse fasi di malattia e l’accesso ai servizi riabilitativi.

Come detto inizialmente, è stato evidenziato che il PDTA Regionale, in fase di revisione, rappresenta uno strumento fondamentale per garantire il potenziamento della rete dei Centri Clinici per la Sclerosi Multipla, all’insegna di un’integrazione tra ospedale, territorio e servizi di riabilitazione, anche rispetto alle nuove sfide poste dalla riforma della disabilità – dettata dalla Legge Delega 227/21 in materia di disabilità e conseguenti Decreti Attuativi -, con la nuova valutazione della disabilità e i Progetti di Vita.
A tal proposito, Paolo Bandiera, direttore degli Affari Generali e Relazioni Istituzionali dell’AISM, ha dichiarato: «La revisione del PDTA deve essere accompagnata da un’implementazione pratica che coinvolga tutti gli attori del sistema sanitario regionale e della rete dei servizi e di comunità, anche rispetto alle nuove sfide poste dalla riforma della disabilità, di cui è partita da gennaio 2025 la fase di sperimentazione», il tutto sottolineando anche il ruolo strategico dell’AISM nell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità.
Dal canto suo, Franco Ripa, responsabile per la programmazione sanitaria della Regione Piemonte, ha delineato durante l’incontro le prospettive per un Piano Regionale dedicato alla sclerosi multipla e alle patologie correlate, con l’obiettivo di strutturare una rete di servizi accessibili e sostenibili.

In parallelo, il rafforzamento dei modelli di riabilitazione – sia ambulatoriale che domiciliare – rappresenta un obiettivo prioritario per rispondere alle esigenze delle circa 10.000 persone con sclerosi multipla in Piemonte, con una necessità di ulteriore valorizzazione del ruolo dell’AISM nei processi di co-programmazione e co-progettazione e partecipazione strutturata al sistema integrato della rete dei servizi.
Su tale tema si è soffermato in particolare Giampaolo Brichetto, direttore sanitario dei Servizi Riabilitativi AISM in Liguria, nel presentare la riabilitazione come parte integrante del percorso sanitario, sottolineando l’importanza di un modello che integri assistenza ambulatoriale e domiciliare. In tal senso, Brichetto ha presentato il modello di presa in carico riabilitativa sviluppato in Liguria quale esempio di buone pratiche replicabili anche in Piemonte.

Nel dettaglio dei dati riguardanti il Piemonte, tale Regione appare essere tra i territori chiave del nostro Paese per affrontare la complessità della sclerosi multipla in Italia, con 10.000 persone colpite e circa 250 nuovi casi diagnosticati ogni anno (una media di quasi 1 nuovo caso al giorno). Attualmente circa 800 persone con sclerosi multipla restano escluse dalla presa in carico strutturata, ciò che rende necessario rafforzare l’accessibilità ai servizi.
Nonostante poi una discreta integrazione con i servizi sociali e residenziali, il Piemonte deve affrontare sfide importanti: solo una quota limitata di Centri per la Sclerosi Multipla, infatti, adotta PDTA e il 42% delle persone con la malattia segnala difficoltà nell’accesso alla riabilitazione. Queste lacune sottolineano appunto l’urgenza di potenziare l’offerta riabilitativa e di integrarla nella rete sanitaria.
Per quanto poi concerne l’impatto economico della sclerosi multipla in Piemonte, esso non è certo trascura bile, se è vero che i costi sociali complessivi della patologia nella Regione ammontano a circa mezzo miliardo di euro all’anno, circa la metà di tale cifra complessivamente a carico dei servizi pubblici e più in generale dello Stato. Costi che tuttavia aumentano molto all’aumentare della disabilità, con il sistema dei servizi che non riesce a rispondere in modo adeguato ai bisogni di chi è più grave, costringendo le famiglie e la collettività, in questi casi, a sobbarcarsi circa i due terzi dei costi stessi, soprattutto con l’assistenza dei caregiver familiari.

La cornice nazionale in cui si è collocato l’evento regionale piemontese è stata sottolineata da Francesco Vacca, presidente nazionale dell’AISM, che ha affermato: «La Settimana Nazionale della Sclerosi Multipla ha evidenziato i nostri temi prioritari, e grazie al lavoro svolto nel mese di novembre dello scorso anno, la Camera dei Deputati ha adottato quattro importanti mozioni sulla sclerosi multipla. Questo rappresenta un momento cruciale per l’attenzione politica nazionale verso le nostre priorità, perché è solo attraverso azioni coordinate che potremo garantire diritti e opportunità alle persone con sclerosi multipla».
Quindi Paolo Trenta, presidente dell’AISM Piemonte, ha ribadito l’impegno della rete associativa sul territorio regionale: «La nostra presenza capillare – ha dichiarato – e la collaborazione con le Istituzioni locali sono fondamentali per migliorare la qualità della vita delle persone con sclerosi multipla. Eventi come questo sono un’occasione per condividere strategie e creare sinergie che possano tradursi in azioni concrete sul territorio, per costruire risposte adeguate ai bisogni delle persone con la malattia».

Mentre Federica Riccio, direttrice della Medicina Territoriale e delle Reti di Patologia di Azienda Zero, ha illustrato il ruolo del coordinamento delle reti cliniche per la gestione della cronicità, e autorevoli clinici quali Marco Capobianco, Alessia Di Sapio e Paola Cavalla hanno discusso le esperienze e le sfide dei Centri piemontesi per la sclerosi multipla, Mario Alberto Battaglia, presidente della FISM, la Fondazione che opera a fianco dell’AISM e direttore generale di quest’ultima, ha ribadito, in conclusione, «l’importanza di una stretta collaborazione tra Istituzioni, professionisti sanitari e Associazioni, non solo per dare piena attuazione all’Agenda della Sclerosi Multipla e Patologie Correlate 2025, ma anche per avviare una visione strategica verso l’Agenda 2030». Ha ricordato inoltre che «l’integrazione tra neurologia e riabilitazione è fondamentale per migliorare la qualità di vita delle persone con sclerosi multipla, se è vero che lavorare insieme su modelli di governance condivisa e sostenibile è la strada da seguire, per garantire diritti, autonomia e salute alle persone con sclerosi multiple e patologie correlate come la neuromielite ottica (NMO) e la MOGAD». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Amministrazione di sostegno e trattamenti sanitari vitali: un interessante pronunciamento giudiziario

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Tramite un Decreto del 27 dicembre scorso, il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato la richiesta di autorizzazione al rifiuto di trattamenti sanitari vitali avanzata dall’amministratore di sostegno per la persona beneficiaria in stato di compromissione cognitiva. Si tratta di un pronunciamento rilevante sia perché affronta temi eticamente sensibili, sia perché individua dei limiti alla rappresentanza esclusiva che può essere conferita agli amministratori di sostegno in àmbito sanitario

Nei giorni scorsi il Gruppo Solidarietà ha pubblicato un’interessante notizia relativa ad un recente pronunciamento con il quale il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato la richiesta di autorizzazione al rifiuto di trattamenti sanitari vitali avanzata dall’amministratore di sostegno per la persona beneficiaria in stato di compromissione cognitiva. Il Decreto in questione è stato emesso il 27 dicembre 2024 ed è reperibile a questo link.
Si tratta di un pronunciamento rilevante sia perché affronta temi eticamente sensibili, sia perché individua dei limiti alla rappresentanza esclusiva che può essere conferita agli amministratori di sostegno in àmbito sanitario. Vediamo qualche dettaglio.

Il Tribunale di Ascoli Piceno è stato chiamato ad esprimersi sulla vicenda di una persona sottoposta ad amministrazione di sostegno dal 2008 che, essendo stata ricoverata nel reparto di rianimazione dell’Ospedale locale, in seguito ad un’insufficienza respiratoria acuta, era stata inizialmente sottoposta a intubazione orotracheale e a ventilazione meccanica, ma successivamente, al fine di stabilizzarne il quadro clinico, aveva necessità di un intervento di tracheostomia. Tuttavia il Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno (il fratello della persona beneficiaria) non conteneva l’autorizzazione ad esprimere il consenso/dissenso ai trattamenti sanitari vitali (come la tracheotomia), ma solo la possibilità, tra le altre, di «prestare consenso agli accertamenti medici di routine che siano necessari per la cura della salute del beneficiario».
Poiché però gli interventi sanitari non possono essere eseguiti senza il consenso informato della persona, l’Azienda Sanitaria Locale (in dissenso con l’amministratore di sostegno) ha richiesto al Giudice Tutelare di pronunciarsi in merito alla questione.
Davanti a questa richiesta il Giudice Tutelare, avendo constatato nel beneficiario una compromissione cognitiva tale da non renderlo capace di autodeterminarsi in materia di cure, ha provveduto a modificare d’ufficio il Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, riconoscendo a quest’ultimo il potere di rappresentanza esclusiva in àmbito sanitario, ma escludendo che detto potere potesse essere esercitato con riferimento al rifiuto delle cure e ai trattamenti sanitari vitali.
In risposta a questa modifica, l’amministratore di sostegno, agendo sulla base della convinzione che il beneficiario non avrebbe autorizzato tale tipo di trattamento, ha rivolto al Giudice Tutelare una specifica richiesta di essere autorizzato a rifiutare l’intervento di tracheostomia. Ma il Giudice, dopo essersi recato personalmente all’Ospedale per verificare le condizioni della persona, dopo avere tentato un dialogo con la stessa, dopo avere sentito gli ulteriori componenti del suo nucleo familiare, nonché i responsabili della struttura residenziale di cura che ospitava da tempo la persona, e dopo avere raccolto ulteriori testimonianze e documentazione, non essendo riuscito a ricostruire la volontà della persona per quel che riguarda il rifiuto dei trattamenti sanitari (e nello specifico della tracheotomia), ha rigettato la richiesta di autorizzazione avanzata dall’amministratore di sostegno.

Nell’argomentare il rigetto il Giudice ha richiamato in particolare la Legge 219/17 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), e ha evidenziato come il diritto al rifiuto al trattamento sanitario vitale sia riconosciuto tanto alle persone capaci di autodeterminarsi in modo libero e consapevole, quanto «al soggetto non capace di autodeterminarsi in àmbito sanitario».
In questo contesto l’amministrazione di sostegno si configura come «l’istituto di protezione ed eguaglianza finalizzato a porre su un medesimo piano di libertà la persona capace di autodeterminarsi, anche nel rifiuto al trattamento vitale, e la persona a ciò incapace». E tuttavia, facendo riferimento a diverse Sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, il Giudice ha osservato che il carattere personalissimo del diritto alla salute della persona incapace comporta che l’istituto della rappresentanza legale non trasferisca a chi la esercita un potere “incondizionato” di disporre della salute della persona stessa in stato di totale e permanente incoscienza, e che nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla sua prosecuzione sulla persona incapace sussista un duplice vincolo: che si agisca nell’esclusivo interesse della persona e che, nel ricercare il best interest (“miglior interesse”), non si debba decidere “al posto” della persona, né “per” la persona, ma “conla persona, e che dunque si debba cercare di ricostruire la volontà della persona riguardo allo specifico trattamento sanitario espressa prima che divenisse impossibilitata ad esprimerla.
Ne consegue che il Giudice potrebbe autorizzare la disattivazione di un presidio sanitario vitale solo sulla base di due presupposti: quando la condizione di stato vegetativo sia irreversibile (ossia quando non vi sia alcun fondamento medico-scientifico che lasci supporre la benché minima possibilità di recupero dello stato di coscienza); e quando, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, sia possibile affermare che fosse realmente questa l’istanza espressa dalla persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il Giudice deve negare l’autorizzazione.

Nel caso in esame, dunque, il Giudice ha rilevato come dalla documentazione medica acquisita ed esaminata non sia emersa con chiarezza e in modo inequivocabile l’irreversibilità della condizione di non autodeterminazione della persona in merito ai trattamenti sanitari. Al contempo, dalle indagini condotte non è inequivocabilmente emersa nemmeno una volontà di rifiuto, quanto meno consapevole degli esiti mortali, del trattamento di tracheotomia di per sé considerato.
Per questi motivi la richiesta di autorizzazione avanzata dall’amministratore di sostegno di rifiutare l’esecuzione del trattamento è stata rigettata, e sia l’amministratore di sostegno che il personale sanitario sono stati invitati ad assumere le determinazioni di competenza nell’interesse della persona. (Simona Lancioni)

Nota: in più passaggi del Decreto prodotto dal Tribunale di Ascoli Piceno è utilizzata l’espressione “incapace” per riferirsi alla persona con disabilità. Nel presente testo, onde evitare di discostarci troppo dal linguaggio utilizzato nel provvedimento, abbiamo utilizzato “persona incapace”. Tuttavia riteniamo opportuno evidenziare che il linguaggio corretto è quello utilizzato nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Mamma anziana, “orfana” di figlia con disabilità: dove posso essere inserita?

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«Sono una donna anziana – scrive Marina Cometto – che ha assistito per 50 anni, 24 ore su 24, una figlia con una disabilità devastante che due anni ci ha lasciato. Dovendo compilare dei moduli, mi è stato chiesto quale fosse la mia professione e ho pensato: non ho potuto tornare a lavorare, perché la malattia di mia figlia si è mostrata subita con la sua gravità e non ho diritto a nessuna pensione, quindi non posso scrivere “pensionata”. E quindi, in quale categoria posso essere inserita?» Ruthy Gold, “Invisible Woman”” (©Saatchi Art)

Sono una donna anziana che ha assistito per 50 anni, ventiquattr’ore su ventiquattro, una figlia con una disabilità devastante; due anni fa il suo fisico ha detto basta e ci ha lasciato. Probabilmente, se non fosse stato per la mia assidua e amorevole assistenza, nell’aiutarla a superare ogni ostacolo che la malattia, la sindrome di Rett, ci presentava ogni giorno, mia figlia avrebbe ceduto molto prima.
Oggi, dovendo compilare per alcune pratiche dei moduli, mi è stato chiesto quale fosse la mia professione e sono rimasta per un attimo a pensare: non ho potuto tornare a lavorare, perché la malattia di mia figlia si è mostrata subita con la sua gravità e non ho diritto a nessuna pensione, quindi non posso scrivere “pensionata”, perché dichiarerei il falso.
Ho 75 anni e molte limitazioni fisiche dovute alla totale devozione verso mia figlia, ciò che non mi ha permesso di curarmi adeguatamente negli anni passati. Solo chi vive questa realtà capisce bene di cosa parlo, notti insonni, ore scandite nella giornata per somministrare medicinali, sostituire gli specialisti della riabilitazione per le giornate in cui non sono presenti, somministrare pasti con molta attenzione per evitare complicazioni polmonari da inalazione di cibo, assistenza notturna per controllare i vari ausili, supporto alla respirazione CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), ossigeno, tracheo… insomma, occhi sempre aperti, mai un attimo di cedimento nonostante la stanchezza. E quindi, in quale categoria posso essere inserita?
Siamo invisibili due volte, una a causa dell’indifferenza verso la disabilità, la seconda a causa dell’età.

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Accessibilità al quadrato: l’audiodescrizione di “All Blinds – Il baseball come non lo avete mai visto”

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Seguiamo passo dopo passo, nel racconto di chi l’ha curata, l’audiodescrizione del docufilm “All Blinds – Il baseball come non lo avete mai visto”, che dà visibilità alla Roma All Blinds, squadra agonistica di baseball composta da giocatori ciechi e ipovedenti. «È un’opera che dà speranza – scrive Laura Giordani -, facendoci conoscere il baseball per ciechi anche da un punto di vista più tecnico, senza privarci di uno sguardo nelle storie e nelle esperienze di vita dei membri e collaboratori di questa squadra» La squadra “Roma All Blinds”, protagonista del docufilm “All Blinds – Il baseball come non lo avete mai visto”

Ogni forma d’arte, nelle sue varie espressioni, si prefigge sempre un messaggio da comunicare. La sottoscritta, che lavora nel settore del cinema dal 1987 (come adattatrice per doppiaggio, e come audiodescrittrice dal 2009), si augura di coglierlo in ogni lavorazione commissionata al fine di rendere al meglio dal punto di vista professionale. Anche nella “settima arte” il messaggio è essenziale. Nell’opera audiovisiva della quale parlerò qui– di cui ho curato l’audiodescrizione – l’obiettivo sensibilizzatore ne incarna lo spirito (che è quello dell’inclusione e dell’accessibilità), trasferendolo a un altro settore, quello dello sport.
Andiamo quindi a conoscere All Blinds – Il baseball come non lo avete mai visto (2024), docufilm prodotto da ESP e Marvin Film, col supporto dell’AIBXC (Associazione Italiana Baseball Giocato Da Ciechi) [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Alla regia, il filmmaker Matteo Alemanno, che negli ultimi dieci anni ha prodotto e realizzato diversi reportage e film documentari monografici, incentrati su temi sociali come la disabilità, la sostenibilità, i diritti e l’uguaglianza di genere, il diritto alla casa e al lavoro.

Questo lungometraggio ci porta alla scoperta di una lodevolissima realtà della mia Roma: una squadra agonistica di baseball interamente composta da giocatori ciechi e ipovedenti. È un’opera che dà speranza, facendoci conoscere la disciplina del baseball per ciechi anche da un punto di vista più tecnico, senza privarci di uno sguardo nelle storie e nelle esperienze di vita dei membri e collaboratori della Roma All Blinds: Marco Corazza, Alfonso Somma, Martina Pasquali, Matteo Caruso, Yeraldyn Patiño Rivera, Anna Lombardi, Jacopo Scandurra, Moutie Abidi, Giuseppe Checchi e Andrea Crescenzi.
L’audiodescrizione è prima di tutto un ausilio: interviene nel settore dell’accessibilità per rendere i contenuti audiovisivi fruibili alle persone con disabilità visiva. Lo fa missando alla colonna audio originale di un’opera una traccia secondaria inserita nei buchi di dialogo, senza mai sovrapporcisi. Evita inoltre di coprire suoni o musiche importanti che contribuiscono alla narrazione filmica ideata dal regista, per le cui intenzioni l’audiodescrittore deve serbare sempre il massimo rispetto.
L’opera in questione può essere unica o seriale, un lungometraggio o un cortometraggio e può appartenere a qualsiasi genere. E ognuna cela in sé difficoltà diverse che richiedono ricerca, pazienza ed esperienza in materia di cinema e linguaggio filmico.

Le caratteristiche principali di All Blinds – Il baseball come non lo avete mai visto sono legate innanzitutto agli aspetti tecnici della disciplina del baseball per ciechi, e il copione del testo descrittivo ha dovuto tenerne conto. A seguire, un esempio: «A Perugia, gli All Blinds sfidano gli Umbria Redskins. I giocatori sono sul diamante. Inizia la prima partita di campionato. (clacson) Dopo aver tirato, Moutie batte la palla e arriva in seconda base. Alfonso batte e raggiunge la seconda base, Moutie arriva in terza. Giuseppe batte e Moutie arriva a casa base segnando il punto. Andrea batte e Alfonso arriva a casa base segnando un punto. (Punto!) Il tabellone segna 9 a 2 per gli Umbria Redskins. (Buona!) La Roma non riesce a eliminare i giocatori avversari che segnano punti. Moutie non riesce a raggiungere la seconda base».
Si notino l’elemento tecnico del “diamante”, ovvero il campo da gioco del baseball, e delle varie “basi” dislocate agli angoli del suo perimetro. Basi che i giocatori devono conquistare se stanno giocando in attacco o difendere se sono in fase difensiva. In questo caso, l’audiodescrizione si è avvicinata – quanto meno nella sostanza – a una telecronaca sportiva, senza però dimenticare la presenza costante e irrinunciabile di rigidi criteri che assicurano la professionalità e la “scientificità” di quello che rimane un ausilio di accessibilità. Nel concreto, però, l’obiettivo rimane quello di rendere conto di una partita, seppur per motivi e destinatari diversi.

Altri passaggi, al contrario, fanno uso di vocaboli che fanno riferimento a oggetti e strumenti che scandiscono la routine di ciechi e ipovedenti, dal momento che li aiutano nelle funzioni di ogni giorno: «Una donna bionda sulla cinquantina, occhiali scuri, scrive in Braille su un foglio con punteruolo e tavoletta. Registra un vocale. // Per strada, una donna col bastone bianco a braccetto con un uomo».
In altri contesti più specialistici, l’uso di parole più specifiche – atte a descrivere oggetti comuni solo a una fetta della popolazione – avrebbe richiesto un inciso a chiarirne l’entità, o a sostenere la figurazione mentale dell’oggetto in questione nell’immaginario dell’ascoltatore. Ma in questo caso specifico, dal momento che gli stessi fruitori appartengono al mondo riprodotto sullo schermo (ma anche per mere questioni tecniche di mancanza di spazio e dialoghi serrati), non era necessario soffermarsi nella spiegazione di elementi come il bastone bianco, il punteruolo e la tavoletta per scrivere in Braille.

Questo lungometraggio, quindi, è particolarmente votato all’ascolto dei fruitori ciechi e ipovedenti perché approfondisce più aspetti a loro cari, dal momento che i protagonisti sono persone con disabilità visiva. Uno dei temi toccati è quello dell’arte tattile: «Un’elegante sessantenne accoglie Anna e Alfonso in un’esibizione di tele sensibili al tatto. Anna e Alfonso tastano una tela raffigurante uno spicchio di luna. Ne tastano un’altra, tonda, raffigurante un tramonto. Le varie stratificazioni distinguono il cielo dalle montagne. Alfonso tasta con attenzione un cerchio liscio e argentato. Anche Alfonso tasta la tela: raffigura un plenilunio».
In questo senso, i fruitori ciechi e ipovedenti sono doppiamente invitati a godere di quest’opera, perché mette su schermo la loro quotidianità e le espressioni di accessibilità che fortunatamente esistono nei loro confronti.

Tecnicismi e tanta ricerca sono stati essenziali anche in clip che esulano dal mondo del baseball per ciechi, ma che riguardano un’altra disciplina praticata da un membro della squadra: «Al centro del campo di pattinaggio, Moutie si rannicchia su se stesso. Si rialza e distendendo le braccia, pattina con fare elegante. Oscilla le braccia. Poi si china, distende le braccia e una gamba in avanti, eseguendo la mossa della caffettiera. Mantenendo la posizione, fa una curva a bordo campo. Si rialza, con le braccia ben divaricate. Conclude la sequenza in equilibrio sulla gamba sinistra».
In questo caso, l’inciso chiarificatore dell’elemento gergale (la mossa della caffettiera) lo ha preceduto, con la descrizione diretta dei movimenti di braccia e gambe che hanno portato alla realizzazione della mossa di pattinaggio.

In conclusione, al di là di ogni aspetto tecnico-stilistico che riguarda l’audiodescrizione, posso affermare con assoluta onestà che audiodescrivere questo docufilm per me è stato non solo un onore ma soprattutto un progetto arricchente, perché mi ha dato la possibilità di approfondire e conoscere un’altra sfaccettatura di questo mondo che provo ad assistere con il mio lavoro di audiodescrittrice.
L’accessibilità è stata curata dall’Associazione Blindsight Project, la voce narrante del testo dell’audiodescrizione è quella di Raffaella Castelli, mentre i sottotitoli sono stati curati da Barbara Paradiso. Era doveroso rendere accessibile questo lungometraggio affinché una quantità sempre maggiore di fruitori con disabilità visiva potesse entrare in contatto con storie così ispiranti e, se possibile, rivoluzionare la propria vita. D’altronde, come recita il cartello iniziale del docufilm, «Nella vita non è importante quello che ti viene tolto, ma tutto quello che ti rimane». Marco, Alfonso, Martina, Matteo, Yeraldyn, Anna, Jacopo, Moutie, Giuseppe e Andrea ne sono la prova grazie al baseball, ma noi ci auguriamo che presto tutto possa essere accessibile. Nel frattempo, questo docufilm lo è.
Concedetevi dunque l’ascolto di un vero e proprio progetto di accessibilità al quadrato!

*Adattatrice di dialoghi, audiodescrittrice, docente universitaria. Ne segnaliamo anche, sempre sulle nostre pagine (a questo e a questo link), i recenti contributi intitolati “La buona audiodescrizione di un ‘teen drama’” e “L’audiodescrizione del film ‘Sei nell’anima’, che racconta l’ascesa di Gianna Nannini”.

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L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità non fa cadere gli aerei!

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«Gli incidenti possono accadere e accadono, ma è inaccettabile che diventino un pretesto per mettere in discussione un diritto fondamentale come quello dell’inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità»: lo dichiara Gianfranco Salbini, presidente dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), unendosi in tal modo alle prese di posizione dei giorni scorsi, conseguenti alle affermazioni del presidente degli Stati Uniti Trump, dopo il disastro aereo di Washington del 30 gennaio Giovani della rete AIPD in partenza per uno stage lavorativo in Spagna, grazie al progetto europeo “Mobilità all’estero 2024“ (“Erasmus Plus”) (©AIPD Nazionale)

«Gli incidenti possono accadere e accadono, ma è inaccettabile che diventino un pretesto per mettere in discussione un diritto fondamentale come quello dell’inclusione lavorativa e sociale, che da oltre quarant’anni la nostra Associazione difende e rivendica»: lo dichiara in una nota Gianfranco Salbini, presidente nazionale dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), unendosi in tal modo alle prese di posizione dei giorni scorsi, tra cui quelle di FISH, ANFFAS e CoorDown, di cui abbiamo riferito sulle nostre pagine, a proposito delle affermazioni del presidente degli Stati Uniti Trump, dopo il disastro aereo di Washington del 30 gennaio. «Pretendere e affermare pubblicamente che un aereo cada per colpa di lavoratori con disabilità – aggiunge Salbini – significa avere una visione miope, che si rifiuta di riconoscere un modello di società partecipativo, in cui ciascuno trova il suo posto: un modello più equo, giusto e produttivo per tutti. Per questo, come Associazione che ogni giorno lavora per promuovere e favorire l’inclusione lavorativa delle persone con sindrome di Down, ci sentiamo in dovere di rivendicarne l’importanza e il valore positivo, nel nostro Paese e non solo».

Dall’AIPD si ricorda inoltre «che non si è di fronte a un privilegio concesso, come alcuni sembrano pretendere, ma a uno strumento che fa bene a tutta la comunità: infatti, dati in possesso al nostro Osservatorio sul Mondo del Lavoro dimostrano chiaramente che i lavoratori e le lavoratrici con disabilità, se inseriti/e nel giusto contesto e messi/e nelle condizioni di svolgere le mansioni loro affidate, riportano livelli di produttività praticamente allineati con quelli dei lavoratori senza disabilità. Non solo: è acclarato che ambienti di lavoro inclusivi migliorano il clima aziendale, aumentano la produttività e favoriscono la creatività. Inoltre, una società che valorizza tutti i suoi cittadini è una società più equa e coesa».

«Strumentalizzare episodi per altro drammatici come questo – conclude il Presidente dell’AIPD -, per cavalcare una propaganda che ha il solo obiettivo di solleticare le frange più estremiste e intolleranti, significa voler tornare a tempi lontani, quando le persone con disabilità non avevano accesso ad alcun diritto di cittadinanza. Lavorare significa autodeterminazione, crescita, dignità. È su questo, quindi, che dobbiamo concentrarci, garantendo, ogni giorno di più, che tutte le persone con disabilità possano avere un’opportunità vera e concreta. Il nostro impegno, come Associazione, è quello di supportare sia le persone con disabilità che le aziende, affinché l’inclusione sia un processo efficace e sostenibile per tutti. La strada è tracciata: inclusione significa progresso, per le persone. per il Paese, per il mondo intero». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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Gli Ultrasuoni Focali nella malattia di Parkinson

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Il 6 febbraio vi sarà un tema medico-scientifico (“Novità sulla Ultrasuoni Focali (FUS) nella malattia di Parkinson”) al centro del nuovo incontro online nell’àmbito di “Non siete soli”, ciclo di webinar a partecipazione gratuita e aperto a tutti, nato da un’idea della Confederazione Parkinson Italia e della Fondazione Fresco Parkinson Institute, rivolgendosi alle persone con la malattia di Parkinson, nonché ai loro familiari e ai caregiver

Nuovo appuntamento il 6 febbraio per Non siete soli, il ciclo di incontri online a partecipazione gratuita e aperti a tutti, iniziativa nata a suo tempo da un’idea della Confederazione Parkinson Italia e della Fondazione Fresco Parkinson Institute, rivolgendosi alle persone con la malattia di Parkinson, nonché ai loro familiari e ai caregiver, con l’obiettivo di informare e migliorare la loro qualità di vita, accrescendone le competenze legate alla gestione degli aspetti clinici, psicologici e sociali della malattia.
Giovedì 6 ottobre, quindi (ore 17), il tema affrontato, di àmbito strettamente medico-scientifico, sarà Novità sulla Ultrasuoni Focali (FUS) nella malattia di Parkinson, con la moderazione del geriatra e fisiatra Daniele Volpi e l’intervento del neurologo Roberto Eleopra. (S.B.)

Per iscriversi al webinar del 6 febbraio e per ulteriori informazioni: segreteria@parkinson-italia.it; info@frescoparkinsoninstitute.it.

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Istituzionalizzazione e progetti di vita delle persone con disabilità: serve un dibattito serrato

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Grandi istituti, assistenza integrata a domicilio, piccole case famiglie, progetti di vita personalizzati: sono i temi di riflessione proposti da Salvatore Nocera, prendendo spunto da alcuni interventi apparsi in Superando. E sulle risorse finanziarie necessarie, per riuscire ad applicare concretamente il progetto di vita delle persone con disabilità, previsto dal Decreto 62/24, Nocera chiede «un ampio dibattito, prima che quello stesso Decreto diventi operativo e generalizzato dal 2026»

Ho letto in Superando l’interessante articolo di Marta Migliosi su violenze e soprusi nelle RSA (Violenze e soprusi nelle RSA: non un fatto eccezionale, ma sistemico), un contributo interessante perché non difende né il “dogma” della piena tutela dei diritti delle persone fragili da assistere a domicilio, né quello opposto della necessità di sussistenza delle RSA e RSD (Residenze Sanitarie Assistite e Residenze Sanitarie Disabili). Migliosi giustamente osserva che si può anche avere segregazione in forme di assistenza domiciliare che non siano rispettose dei bisogni, dei desideri e delle aspirazioni delle persone da assistere, come invece prevede il progetto di vita “personalizzato e partecipato” previsto dal Decreto Legislativo 62/24, sul quale ho scritto a suo tempo un lungo commento pubblicato anche su queste pagine [“Progetto di Vita: anatomia di un Decreto”, N.d.R.].
Contemporaneamente, Migliosi stigmatizza i danni e le violazioni dei diritti che avvengono troppo frequentemente in talune RSA ed RSD. Mi ha comunque colpito una sua frase, che riporto: «D’altra parte, se sostenessimo le persone con disabilità assumendo una prospettiva emancipatoria, tale che possano vivere nei contesti dai quali ora vengono – veniamo – esclusi, questi servizi si svuoterebbero, venendo meno il loro mandato principale e quindi la ragione stessa della loro esistenza». Ma è proprio vero che la “tesi emancipatoria” non sia totalmente realizzabile con la vita a domicilio o in piccole case famiglia? È proprio vero che non sia possibile la deistituzionalizzazione totale con la chiusura degli istituti? Ovviamente, realizzata tramite assistenza integrata domiciliare ove possibile, e assistenza in piccole case famiglia sostenute l’una e l’altra dalla rete territoriale dei servizi di cui abbiamo letto recentemente in un interessante approfondimento di Fausto Giancaterina pubblicato su queste stesse pagine [“Ragionando su quel progetto di vita personalizzato”, N.d.R.].

La permanenza dei grandi istituti, purtroppo, genera patologicamente casi di violenza agli “ospiti” da parte di taluni operatori. Né le nuove funzioni del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, istituito con il Decreto Legislativo 20/24, potranno garantire la cessazione di tali terribili episodi. Infatti, il Garante, tra i vari poteri, ha anche quello di poter visitare senza preavviso e a qualunque ora le istituzioni “segreganti”, ma di quanti “vigilanti” avrebbe bisogno per poter intervenire su tutti questi grandi istituti purtroppo ancora esistenti in Italia? Potrebbe il solo fatto di sapere che l’Ufficio del Garante ha tali poteri costituire una remora al ripetersi degli episodi disumani frequentemente oggetto di cronaca? Certo che no, data la notoria esiguità di personale che l’Ufficio stesso avrà a disposizione. Inoltre, data la scarsità di risorse finanziarie destinate attualmente ai servizi sociali e i crescenti tagli alla spesa sanitaria e a quelli ulteriormente previsti a causa del possibile aumento delle spese militari, nutro dei dubbi circa la piena e immediata attuazione generalizzata dei bellissimi progetti di vita previsti dal citato Decreto Legislativo 62/24, che diverrà pienamente operativo nel 2026.
A tal fine, da taluni viene prospettata l’ipotesi di destinare ad incremento del “budget di progetto” di ciascun interessato la riconversione della costosa retta attualmente pagata dagli Enti Locali per la degenza nelle RSD e nelle RSA. Solo così, si pensa, si potrebbe avere per ciascuno un budget di progetto sufficiente.
Certamente, tutto questo è oggetto di riflessione da parte di molti. Ma potrebbe anche diventare oggetto di dibattito su queste stesse pagine, specie da parte delle organizzazioni aderenti alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), prima che il Decreto 62/24 divenga operativo nel 2026?

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Essenziale riconoscere l’assistente all’autonomia e alla comunicazione, ma anche il tiflologo è necessario!

Superando -

«Oltre al riconoscimento del profilo dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione – scrive Gianluca Rapisarda – è necessario anche che venga riconosciuto il profilo del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, operatore strategico ed essenziale per una proficua inclusione degli alunni e studenti con disabilità visiva»

 

“Ritratto di Omero”, Roma, Musei Capitolini

Chi scrive saluta con entusiasmo la recente Memoria presentata dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), su richiesta della 7ª e della 10ª Commissione del Senato, nell’àmbito dell’esame del Testo Unificato AS 236, AS 793, AS 1141 (Modifiche al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, in materia di promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità) [se ne legga sulle nostre pagine a questo link, N.d.R.].
Tra le più rilevanti proposte avanzate dalla FISH nella predetta Memoria, ritengo realmente “strategiche”, ai fini di un’efficace processo d’inclusione degli alunni-studenti con disabilità, oltreché l’ormai indifferibile riconoscimento della figura professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, con una definizione chiara del ruolo, delle competenze e della formazione necessaria, anche e soprattutto l’introduzione di specifiche aree di specializzazione per gli assistenti stessi, «includendo competenze per il supporto a studenti con disabilità visiva, sordi oralisti e con disabilità intellettive o del neurosviluppo».
Se tali sacrosante richieste della FISH fossero recepite dal Senato, infatti, si creerebbero finalmente quelle condizioni favorevoli per assicurare concretamente il passaggio dall’attuale distorta logica della “delega” al solo docente per il sostegno della presa in carico degli allievi con disabilità a quella del “sostegno diffuso”, che è il reale pilastro portante della nostra vigente normativa inclusiva. E a mio modesto avviso, ciò sarà possibile soltanto garantendo contesti veramente “flessibili”, dotati di ambienti, strumenti e materiali resi accessibili anche grazie alla presenza costante di figure educative di riferimento.

Proprio per tale motivo, avendo ricoperto il ruolo di direttore scientifico dell’IRIFOR dell’UICI (Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), come ho scritto nel mio ultimo libro Breve storia della Tiflologia (Erickson), ho recentemente rielaborato una proposta formativa cui ho contribuito insieme agli esperti del NIS (Network per l’Inclusione Scolastica) dell’UICI, basata su Master Universitari di Primo e Secondo Livello, per fornire un’efficace e appropriata preparazione rispettivamente agli assistenti alla comunicazione e ai pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche, nell’auspicio di poterla esportare nei principali Atenei italiani e attivare un’apposita laurea triennale in Scienze Tiflologiche.
Tale proposta formativa è scaturita dall’amara considerazione che attualmente gli assistenti alla comunicazione (previsti dall’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92) e i tiflologi operano in condizioni di precarietà di ruolo, funzionale e di formazione, a causa del loro mancato riconoscimento giuridico all’interno del nostro Sistema Nazionale di Istruzione. Ma mentre per il riconoscimento dell’assistente alla comunicazione, dopo ben trentatré anni di estenuante e spasmodica attesa, con il succitato Disegno di Legge pare che il Ministero stia cercando ultimamente di dare risposta, definendo una bozza di nuovo profilo (come tra l’altro previsto dall’articolo 3 del Decreto Legislativo 66/17), per l’inquadramento del tiflologo la strada sembra invece ancora lunga, a causa dell’assenza di una norma specifica che ne disciplini il ruolo e il percorso formativo.
Come se non bastasse, in seguito alla perdurante crisi dell’Istituto Augusto Romagnoli di Roma – unica scuola di metodo tiflologico del nostro Paese – paghiamo oggi pure lo scotto della mancanza di una vera e propria “generazione” di esperti in Tiflologia, cui occorre porre necessariamente rimedio.
La soluzione può e deve consistere solo nell’“istituzionalizzazione” della nuova figura professionale dell’esperto in Scienze Tiflologiche il quale – integrandosi con quella altrettanto preziosa dell’assistente alla comunicazione, e salvaguardando e sanando le conoscenze e competenze acquisite in questi anni dagli operatori degli Istituti dei Ciechi e dei Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e della Biblioteca per i Ciechi Regina Margherita di Monza – possa essere maggiormente al passo con i tempi e possedere una formazione più adeguata e idonea a promuovere il processo di inclusione degli alunni/studenti con disabilità visiva.

A questo punto l’appello accorato che rivolgo al presidente della FISH Falabella e all’amico Nocera è che – in sede di discussione al Senato del citato Testo Unificato AS 236, AS 793, AS 1141 -, si possano effettuare interventi correttivi al predetto provvedimento, affinché venga riconosciuto pure il profilo del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, operatore strategico ed essenziale per una proficua inclusione degli alunni e studenti con disabilità visiva.
Anche in vista dell’imminente Giornata del Braille del 21 febbraio, sottolineare l’esigenza di riconoscere il pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche non significa certo voler eliminare i docenti per il sostegno o ridimensionare l’insostituibile ruolo “inclusivo” dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione, quanto piuttosto riproporre e riaffermare definitivamente la necessità della specificità tiflologica nel processo di educazione e di istruzione delle persone con disabilità visiva. Ed è certamente questa la nuova e più esaltante sfida che si presenta innanzi alla scuola italiana, per garantire un’inclusione davvero di qualità ai ciechi e agli ipovedenti del Terzo Millennio.

*Dirigente scolastico con disabilità visiva.

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Factory Compagnia Transadriatica, punto di riferimento per il teatro inclusivo

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Dalle riscritture pop dei classici di Molière e Shakespeare alle produzioni originali portate in scena in àmbito internazionale, la Factory Compagnia Transadriatica, che ha sede a Lecce, rappresenta da oltre dieci anni un punto di riferimento per il teatro inclusivo. In questo mese di febbraio ne andranno in scena a Milano “(H)amleto” e “Diario di un brutto anatroccolo”, in cui i protagonisti sono Fabrizio Tana e Francesca De Pasquale, persone con sindrome di Down Una scena dell'”(H)amleto” rappresentato dalla Factory Compagnia Transadriatica. A sinistra Fabrizio Tana, nella parte di Amleto (©Giovanni William Palmisano)

Dalle riscritture pop dei classici di Molière e Shakespeare alle produzioni originali portate in scena in àmbito internazionale, la Factory Compagnia Transadriatica, che ha sede a Lecce, ha costruito un percorso entusiasmante che unisce tradizione e innovazione e che rappresenta da oltre dieci anni un punto di riferimento per il teatro inclusivo. Con spettacoli che parlano al cuore di tutti, la compagnia di Tonio De Nitto si conferma una delle realtà teatrali più significative del panorama contemporaneo.
Fondata da artisti provenienti da diverse esperienze professionali, questa compagnia ha scelto di creare un percorso comune, costruendo una vera e propria factory di progetti che ne rappresenta l’identità e la visione artistica. Il lavoro della Transadriatica si muove tra la reinterpretazione dei classici e un impegno costante nell’inclusione sociale, rivolgendosi a pubblici di tutte le età e provenienze.

In questo mese di febbraio andranno in scena al Teatro Franco Parenti di Milano due spettacoli, vale a dire (H)amleto (10-11 febbraio) e Diario di un brutto anatroccolo (15-16 febbraio). Quest’ultimo si ispira alla celebre fiaba di Andersen ed esplora i temi dell’inadeguatezza e della crescita personale.
La rappresentazione, che ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo, è stata ideato per coinvolgere spettatori di ogni età, mostrando con delicatezza le fragilità che ci accomunano.
La protagonista è una ballerina con sindrome di Down, che incarna la trasformazione del brutto anatroccolo in un essere capace di trovare il proprio spazio nel mondo. Attraverso il lavoro, l’amore e la vita in città, lo spettacolo racconta il percorso di riscatto e accettazione di sé, in cui ognuno può riconoscersi.

Partendo invece dal classico di Shakespeare, l’(H)amleto della Factory Compagnia Transadriatica è una riscrittura audace e poetica che esplora la mente del protagonista.
Lo spettacolo nasce da un laboratorio creativo, durante il quale gli attori hanno elaborato il testo partendo da una domanda centrale: cosa significa essere Amleto? Il progetto ha preso forma grazie al sostegno del Ministero della Cultura e della Fondazione Sipario Toscana, trasformandosi in una produzione corale con 13 attori, di cui 8 con disabilità.
Il ruolo di Amleto è affidato a Fabrizio Tana, attore con sindrome di Down, che ha portato sul palco una reinterpretazione unica del principe di Danimarca.
Già collaboratore della compagnia, Fabrizio si è autocandidato per il ruolo, inviando messaggi agli ideatori, in cui mescolava la sua vita personale con il dramma shakespeariano. Questo processo ha dato vita a un testo originale, caratterizzato da una scrittura profondamente poetica e personale.
Con la voce narrante di Lorenzo Paladini e un cast inclusivo, (H)amleto diventa uno spettacolo universale, capace di parlare a tutti e tutte, affrontando temi di fragilità, forza interiore e identità.

*Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Da Shakespeare a Andersen, la Trasadriatica [in realtà Transadriatica] mette in scena l’inclusione”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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