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Prime indicazioni dall’INPS sulle nuove modalità di accertamento della disabilità

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Suggeriamo senz’altro la consultazione di un approfondimento curato dall’OMAR (Osservatorio Malattie Rare), riguardante il recente Messaggio dell’INPS che contiene le prime indicazioni legate alle nuova modalità di accertamento della disabilità

Com’è noto, il Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, ha introdotto una profonda riforma dei criteri e delle modalità di accertamento della condizione di disabilità, prevedendo una “Valutazione di Base” affidata in via esclusiva all’INPS su tutto il territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2026.
Nel frattempo, è già stata avviata dal 1° gennaio di quest’anno, e si protrarrà fino al 31 dicembre, una fase di sperimentazione riguardante nove Province italiane (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste).
La verifica degli esiti di applicazione della sperimentazione, che dovrà appunto portare ad un allargamento a tutta l’Italia, dovrà essere stabilita tramite un regolamento da adottare su iniziativa del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e con l’Autorità Politica delegata in materia di disabilità.
Nell’attesa, l’INPS, con il Messaggio numero 4465 prodotto il 27 dicembre scorso, ha diffuso le prime indicazioni legate alle nuova modalità di accertamento che l’OMAR (Osservatorio Malattie Rare) sintetizza in un approfondimento del quale suggeriamo senz’altro la consultazione (a questo link). (S.B.)

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Si conclude a Trieste il viaggio italiano della seconda edizione di “INCinema Film Festival”

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Si concluderà a Trieste, prima di continuare a Londra e a New York nei prossimi mesi, il viaggio in Italia della seconda edizione di “INCinema Film Festival”, Festival cinematografico fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali. Il 19 gennaio, nella città giuliana, verrà proiettata la versione accessibile del film “Il mio compleanno”, opera prima di Christian Filippi Una scena del film “Il mio compleanno” di Christian Filippi

Dopo le tappe di Firenze, Lecce, Roma, Torino, Udine e Milano, da noi seguite passo dopo passo, si concluderà domenica 19 gennaio a Trieste, prima di continuare a Londra e a New York nei prossimi mesi, il viaggio in Italia della seconda edizione di INCinema Film Festival, manifestazione ideata da Federico Spoletti e diretta da Angela Prudenzi, di cui Superando si onora di essere media partner sin dagli inizi.
Questo Festival, come abbiamo ampiamente riferito a suo tempo, si svolge sia in presenza al cinema, sia da remoto su piattaforma MYmovies One e soprattutto offre l’opportunità di vedere dei film in sala in modalità inclusiva anche a chi non può andare regolarmente al cinema. Si tratta infatti del primo evento del genere in Italia fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali, che solitamente non possono partecipare ai festival cinematografici. Una tappa decisamente importante nel cammino verso una piena accessibilità del settore cinematografico italiano, anche tenendo conto dell’ormai prossima entrata in vigore, nel mese di giugno, della nuova Direttiva Europea sull’Accessibilità (European Accessibility Act).

Nel pomeriggio del 19 gennaio, dunque, al Teatro Miela di Trieste (Piazza Duca degli Abruzzi, 3, ore 14.15) INCinema presenterà, grazie alla collaborazione con il Trieste Film Festival e con Alpe Adria Cinema, la versione accessibile del film Il mio compleanno, opera prima di Christian Filippi, presentato all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Biennale College.

I film presentati nell’ambito di INCinema, va ricordato, sono resi accessibili tramite i sottotitoli sullo schermo e l’audiodescrizione (applicazione gratuita Earcatch). Ma l’operazione di inclusività riguarda anche le varie attività collaterali alle proiezioni cinematografiche, quali le masterclass, gli incontri con autori, le Domande/Risposte con attori e registi, il tutto accompagnato da trascrizioni in tempo reale.
Il Festival è prodotto e organizzato da SUB-TI ACCESS, in collaborazione con l’Associazione Libero Accesso, con il sostegno del Comune e della Banca di Udine, e anche in collaborazione con MYmovies, Alice nella Città, la Cineteca di Milano, la Fondazione Sistema Toscana, il Museo del Cinema di Torino, il Festival del Cinema Europeo di Lecce, Trieste Film Festival e l’Associazione +Cultura Accessibile.
Si avvale inoltre del patrocinio dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), della FIADDA (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie), della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), dell’Associazione Aniridia Italiana e della Consulta Regionale delle Associazioni delle Persone con Disabilità e delle loro Famiglie del Friuli Venezia Giulia.
I partner tecnici sono Earcatch e EasyReading, i media partner, oltre a Superando, Fred Film Radio e Motto Podcast. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Martina Tonarelli (martina.tonarelli@fred.fm).

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La “nuova scuola” non dimentichi la partecipazione di alunni e alunne con disabilità

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«La nostra raccomandazione è che non si vada verso una scuola per pochi, che selezioni ed escluda, ma che ci sia sempre più spazio alla personalizzazione della didattica, per promuovere la partecipazione anche dei tanti studenti e studentesse con disabilità»: lo dicono dall’Associazione AIPD, commentando le notizie riguardanti la riforma dei programmi scolastici, delineata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara (Foto di AIPD Nazionale)

«Non spetta a noi entrare nel merito delle novità annunciate, ma la nostra raccomandazione è che non si vada verso una scuola per pochi, che selezioni ed escluda, ma che ci sia sempre più spazio alla personalizzazione della didattica, per promuovere la partecipazione anche dei tanti studenti e studentesse con disabilità»: lo dicono dall’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), commentando le notizie riguardanti la , delineata dal ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara.
«Da quarant’anni ci battiamo per l’inclusione scolastica – aggiungono dall’Associazione – che oggi preferiamo chiamare partecipazione, perché includere non basta: gli studenti e le studentesse con disabilità, sempre più numerosi nelle nostre classi, hanno bisogno di essere protagonisti attivi degli apprendimenti e delle competenze che ciascuno di loro può acquisire. Per questo, servono programmi personalizzati, ma soprattutto insegnanti specializzati, curricolari e di sostegno, che sappiamo cogliere in ciascun alunno il suo talento e valorizzarlo. Ben vengano il latino, la storia, la letteratura, la conoscenza delle proprie radici, ma si trovino i metodi, gli spazi, il linguaggio e le modalità perché l’apprendimento sia sempre attivo e la didattica favorisca la partecipazione di tutti».

«Invitiamo il ministro Valditara – è pertanto l’appello del presidente nazionale dell’AIPD Gianfranco Salbini – a coinvolgere le Associazioni che, come la nostra, hanno contribuito a creare, negli anni, una scuola di tutti. Insieme, possiamo rimettere mano non solo ai programmi, che certamente devono essere rivisti, ma soprattutto all’idea di scuola e di comunità educante, che deve essere riletta e riscritta, alla luce della realtà quotidiana che oggi vivono i ragazzi e le ragazze. Da parte nostra, saremo felici di mettere a disposizione le nostre competenze, le nostre esperienze e le nostre professionalità, per costruire una nuova scuola, che sia di tutti e per tutti». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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Ancora sul Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità

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Alcune ulteriori riflessioni sul Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, istituito dalla Legge Delega 227/21 in materia di disabilità e dal Decreto Legislativo 20/24, attuativo di essa, il cui collegio è stato definito nel dicembre scorso. Ad esprimerle è PERSONE, il Coordinamento Nazionale Contro la Discriminazione delle Persone con Disabilità di recente costituzione Loghi che rappresentano altrettante diverse forme di disabilità

Il Decreto Legislativo 20/24, istitutivo del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, stabilisce, all’articolo 2, comma 3, che «il presidente e i componenti del collegio sono scelti tra persone di notoria indipendenza e di specifiche e comprovate professionalità, competenze o esperienze nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani e in materia di contrasto delle forme di discriminazione nei confronti delle persone con disabilita».
Stando alle nomine recentemente rese note, nasce tuttavia spontanea una domanda: «Davvero non c’erano personalità caratterizzate da competenze specifiche e di innegabile indipendenza nell’intero panorama nazionale?». Infatti, pur essendo in possesso di curricula rispettabilissimi e di indubitabili competenze, riferibili però ad àmbiti disciplinari distanti dal ruolo istituzionale attribuito, i profili eletti non rispettano i criteri sopra elencati.

Non abbiamo motivo di dubitare dell’impegno personale nello svolgere il delicato incarico, ma ci chiediamo: può essere considerato autonomo e indipendente il capo di gabinetto della Ministra per le Disabilità? Inoltre, perché, proprio nel momento in cui dovremmo, finalmente, immergerci nel modello sociale della disabilità di cui è impregnata la Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, si nomina un medico nella commissione? Senza negare l’importanza degli aspetti medico-clinici che interessano le varie condizioni, riteniamo intollerabile ridurre l’esistenza di una persona al suo progetto di cura, tradendo lo spirito stesso della riforma.

Domande ineludibili, visto che le scelte non sono neutre, ma indicano, al contrario, la direzione intrapresa. Come previsto nel Decreto Legislativo 20/24, ci saremmo aspettati la presenza di competenze legate all’àmbito dei diritti delle persone con disabilità, dei fenomeni di segregazione, discriminazione e limitazione della libertà personale.

Consapevoli dunque che quello attuale sia un momento di svolta per le persone con disabilità e per i loro familiari, è con grande rispetto, ma con altrettanto spirito critico, che il nostro Coordinamento intende vigilare sull’evolversi degli avvenimenti, avendo scelto la strada dei diritti e della libertà personale come unica stella polare.

*personecoordnazionale@gmail.com. Nella pagina Instagram del Coordinamento (a questo link) sono presenti una serie di ulteriori informazioni sullo stesso.

All’operatività dal 1° gennaio 2025 dell’ufficio del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, il nostro giornale ha già dedicato i testi Fondamentale la collaborazione del Garante con le organizzazioni di persone con disabilità, Quanto potrà essere efficace l’azione di questo Garante? di Giampiero Griffo e Altre riflessioni sul Garante Nazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità di ANFFAS Nazionale.

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Sclerosi multipla, la riabilitazione è cura

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Inaugurato nei giorni scorsi, il progetto “Sclerosi multipla, la riabilitazione è cura!”, promosso dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e sostenuto da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con il CESVI, ha consentito di apportare una serie di interventi alla piscina riabilitativa del Servizio Riabilitazione AISM Liguria, per continuare a rispondere ai bisogni delle persone con sclerosi multipla e patologie correlate La piscina riabilitativa dell’AISM Liguria

È stato inaugurato nei giorni scorsi il progetto Sclerosi multipla, la riabilitazione è cura!, promosso dall’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e sostenuto da Intesa Sanpaolo, attraverso il Programma Formula, in collaborazione con il CESVI, iniziativa finanziata attraverso una raccolta fondi del 2023, sulla piattaforma di Intesa Sanpaolo dedicata a sostenibilità ambientale, inclusione sociale e accesso al mercato del lavoro per le persone in difficoltà, consentendo di apportare una serie di interventi alla piscina riabilitativa del Servizio Riabilitazione AISM Liguria, per continuare a rispondere ai bisogni delle persone con sclerosi multipla.
Grazie al progetto, infatti, è stato possibile garantire un adeguato microclima sia dell’aria che dell’acqua della piscina, garantendo benefìci a circa 1.400 persone con sclerosi multipla o patologie correlate, seguite dal Servizio Riabilitazione dell’AISM Liguria.

«Il polo specialistico dell’AISM di Genova -sottolinea Mario Alberto Battaglia, direttore generale dell’AISM e presidente della FISM, la Fondazione che opera a fianco dell’Associazione -, che è nato grazie anche al lascito di Filippo Malaponte, una persona con sclerosi multipla progressiva, risponde ai bisogni di chi convive con la sclerosi multipla, la neuromielite ottica (NMOSD), la MOGAD e patologie correlate. La riabilitazione è una vera e propria cura, essenziale per il benessere e l’autonomia delle persone e la riabilitazione in acqua facilita i movimenti e migliora l’equilibrio, permettendo attività che sarebbero difficili da svolgere fuori dall’acqua. Investire in strutture come questa significa costruire un futuro in cui nessuno resti indietro». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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Per far sì che l’inclusione non sia solo uno slogan

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«L’inclusione – scrive tra l’altro Gianfranco Vitale – non può essere ridotta a slogan né ad iniziative di facciata. Le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana» Una realizzazione grafica americana dedicata all’inclusione delle persone con disabilità

Negli ultimi anni, il termine “inclusione” è entrato sempre più spesso nel nostro linguaggio quotidiano. Iniziative, eventi e progetti dedicati a questo tema stanno crescendo, e ciò è senza dubbio un segnale positivo: indica che la società si sta muovendo verso una maggiore sensibilità e rispetto per le persone con disabilità.
Sbaglieremmo, tuttavia, a ignorare che dietro questa importante svolta si nascondono, a volte, limiti, errori e contraddizioni che rischiano di trasformare l’inclusione in semplice apparenza. Non sono poche, infatti, le iniziative che, pur muovendo da buone intenzioni, finiscono per rafforzare la separazione anziché superarla. In questi casi, innegabilmente, siamo più vicini a un’esclusione travestita che ad un’inclusione vera!

Un esempio emblematico è il Disability Day, organizzato da alcuni Comuni in “imbarazzanti” orari mattutini, con parchi divertimento riservati esclusivamente a persone con disabilità e alle loro famiglie. Anche se l’intento è lodevole, queste iniziative non rischiano di isolare ulteriormente i destinatari, invece di promuovere una reale integrazione?
La vera inclusione richiede che tutti (proprio tutti) partecipino alle stesse attività, nello stesso luogo e nello stesso momento. Nessuno pretende per i nostri cari la creazione di una nuova Disneyland, ma nemmeno è accettabile l’idea di realizzare una succursale di Disabilandia!
Il Disability Day non dovrebbe realizzarsi in tre ore al mattino, com’è ormai prassi, ma svilupparsi in tutto l’arco della giornata, tenendo conto che in quella stessa occasione tutti (proprio tutti) gli avventori dovrebbero anche “accontentarsi” di giostre rallentate, di musica ad un volume accettabile, di luci un po’ meno intermittenti…
Se non si comprende l’importanza di un simile percorso, la conseguenza è che più che includere si creino muri alti, spessi e difficilmente abbattibili, che nascondono varchi e crepe di ogni genere.
L’inclusione non può essere ridotta a slogan né ad iniziative di facciata. Le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana. Penso, esemplificando al massimo e riservandomi qualche approfondimento ad hoc, all’emarginazione scolastica; al mancato apprendimento di competenze sociali e di vita; alle esperienze affettive troppo spesso relegate all’esclusivo àmbito familiare; alla scarsa partecipazione alle attività di tempo libero; alla mancanza di un lavoro che sia altro rispetto a quello “retribuito” con mancette simboliche, che rasentano lo sfruttamento, da molte Cooperative ecc.

Proviamo ad analizzare, ad esempio, il contesto scolastico. Qui emerge un modello che spesso associa il concetto di inclusione a un mero adempimento burocratico. Se è vero che l’adozione di piani didattici personalizzati è fondamentale, è altrettanto vero che essa deve essere affiancata da un cambiamento culturale che eviti di etichettare gli studenti solo con sigle (BES, DSA, NAI, PDP…) o di catalogare ad ogni costo, con fantasiosi acronimi e diciture, ogni forma di disagio, a cominciare da quello cosiddetto sociofamiliare! L’etichettatura riduce le persone a diagnosi, trascurando colpevolmente le loro potenzialità.
È fondamentale che la scuola non trasformi le differenze tra gli studenti in disuguaglianze. Le risposte di tipo medico o terapeutico a problemi sociali non devono assolutamente prevalere sull’approccio pedagogico, che rappresenta il cuore del processo educativo.
Pur riconoscendo l’importanza di diagnosticare e affrontare le difficoltà specifiche degli studenti, occorre evitare il rischio che l’inclusione venga compromessa. Se è inconfutabile che alcune difficoltà richiedono una diagnosi e un supporto adeguato, è necessario evitare che l’inclusione si blocchi a causa di una medicalizzazione eccessiva, che oltretutto mortifica e depriva della loro identità professionale gli stessi docenti fino a renderli subalterni a psicologi e neuropsichiatri.
Non si tratta di criticare gli interventi individualizzati previsti e concordati nei Piani Educativi Individualizzati (PEI), ma è fondamentale condannare qualsiasi utilizzo improprio di strumenti che finiscono per creare esclusione ed emarginazione anziché favorire l’inclusione.
La scuola deve essere il luogo in cui le differenze vengono riconosciute e valorizzate, non trasformate in disuguaglianze. Occorre contrastare l’abuso di modelli che isolano gli studenti con disabilità, promuovendo invece ambienti autenticamente inclusivi, dove ogni alunno viene rispettato nella sua unicità.
Si pensi all’uso distorto che viene fatto, non di rado, delle “aule di sostegno”. Indicate come luoghi sereni e gioiosi, esse sono – nella realtà – spazi vuoti, deprimenti, altamente stigmatizzanti, perché separano gli allievi con disabilità dai loro coetanei, negando di fatto la piena partecipazione alla vita scolastica. Sono spazi che invece di abbattere segnano confini; nascondono e celano, oscurano alla vista e coprono alla mente.
Eppure questo falso modello inclusivo è ancora oggi promosso al rango di “laboratorio” da tanti dirigenti e ispettori scolastici che, incredibilmente, lo descrivono come “inclusivo”, pur sapendo, loro per primi, che è “riempito” di soli, e tanti, alunni con disabilità!

Promuovere davvero l’inclusione significa cambiare prospettiva: non considerare la disabilità come una malattia, ma riconoscerla come il risultato dell’interazione tra le caratteristiche della persona con disabilità e l’ambiente in cui vive, lavorando per eliminare le barriere che ostacolano la partecipazione.
Occorre rendere la disabilità una realtà che interagisce con altre realtà, perché la vera inclusione guarda oltre la disabilità come “problema personale” e si concentra sul contesto sociale, con l’obiettivo di abbattere le barriere culturali, fisiche e sociali che limitano le opportunità delle persone con disabilità.

In apparenza il nostro Paese ha dimostrato sensibilità nel disegnare processi e percorsi diretti a favorire la piena inclusione sociale delle persone con disabilità, ma, in verità, nonostante la ridondante produzione legislativa degli ultimi trent’anni, in tanti àmbiti di vita emergono e permangono significativi svantaggi delle persone con disabilità rispetto al resto della popolazione.
Questo significa che gli strumenti messi in campo non hanno ottenuto i risultati attesi, ma sono serviti, nella migliore delle ipotesi, ad attenuare le differenze o impedire che si amplificassero.
Una miriade di leggi, di cui lo Stato ipocritamente va fiero, non trova di fatto applicazione (ne cito, per brevità di esposizione, solo due, ma è bene sapere che il loro numero è almeno dieci volte più grande: la Legge 68 del 1999 su disabilità e lavoro, la Legge 328 del 2000 sul progetto di vita). Non dare attuazione alla Legge 68/99, ad esempio, da una parte ha significato tradire la possibilità di pensare alla persona con disabilità come individuo sociale, favorendone la piena integrazione sul territorio grazie a misure atte a trovare nuove motivazioni, sviluppare abilità, occasioni di socializzazione, attività formative, eccetera. Dall’altra ha significato rinnegare con brutalità e disprezzo il principio di una società equa e inclusiva.
Cosa c’è di più equo e inclusivo di un lavoro adeguato alle capacità individuali? Capirà mai questa classe politica, rozza e ignorante, che il lavoro non è solo un diritto ma è anche un potente strumento di autonomia e dignità? Fino a quando dovremo sopportare, anziché denunciare, la retorica di Servizi e Istituzioni che quando parlano di tutela dell’inclusione sociale delle persone con disabilità ricorrono solo a menzogne e omissioni?

A queste domande potrebbero e dovrebbero rispondere soprattutto le Associazioni, se per una volta fossero capaci di capire che su un tema così delicato e complesso come “l’inclusione”, oggettivamente trasversale a tutte le forme di disabilità, non ci si può ingenuamente dividere per la sola voglia di primeggiare come, in maniera infantile, avviene ogni giorno su tante altre questioni. È forse possibile distinguere tra l’inclusione della persona con disabilità fisica e quella della persona con disabilità psichica? No: l’inclusione riguarda tutti.
Per raggiungere una vera inclusione, le Associazioni, le famiglie e tanti cittadini perbene sensibili al problema devono unirsi in uno sforzo comune. Si lavori, allora, perché questo obiettivo diventi il collante capace di unire tutte le forze chiamate a fare fronte comune contro l’egoismo e la miopia di una classe politica brava solo a difendere e consolidare i suoi privilegi, ma completamente inaffidabile, insensibile e vergognosamente distante dai bisogni reali delle persone con disabilità (e, non dimentichiamolo mai, delle loro famiglie).
È tempo di superare divisioni e compromessi. La diversità è una risorsa straordinaria che arricchisce la società, e ogni persona con disabilità merita, a pieno titolo, di essere inclusa, accolta e valorizzata. Non si tratta di un privilegio, ma di un diritto primario che va difeso e promosso, in tutte le sedi, con coraggio e determinazione.

Alcune settimane fa ho promesso a Stefania Delendati, direttrice responsabile di Superando, che le avrei dedicato un articolo. Mantengo la promessa: quello che ho scritto qui è per Lei. (G.V.)

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Insieme, oltre il buio e il silenzio

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Cosa significa essere persone sordocieche nel nostro Paese? È una domanda che merita una riflessione profonda, perché chi non vede e non sente vive immerso in un mondo fatto di buio e silenzio. La Lega del Filo d’Oro ha lanciato la campagna “Insieme, oltre il buio e il silenzio” e ha realizzato la guida “Strumenti pratici per l’inclusione” per facilitare la comunicazione con le persone sordocieche e rendere diverse situazioni della vita quotidiana più confortevoli e inclusive L’attore Neri Marcorè, testimonial “storico” della Lega del Filo d’Oro, insieme a un giovane seguito da tale organizzazione

Da sessant’anni la Fondazione Lega del Filo d’Oro, organizzazione aderente alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), sostiene le persone sordocieche e con pluridisabilità psicosensoriale e le loro famiglie, supportandole nella complessa sfida di andare oltre il buio e il silenzio.
Con la campagna di sensibilizzazione Insieme, oltre il buio e il silenzio, al via lo scorso 13 gennaio, la Fondazione rilancia il proprio impegno nel promuovere un futuro più inclusivo e privo di barriere, che si può costruire solo grazie al supporto di tutti. Sul sito insiemeoltre.it, è disponibile la guida Strumenti pratici per l’inclusione, documento che raccoglie indicazioni utili e buone pratiche pensate per facilitare la comunicazione con le persone sordocieche e rendere diverse situazioni della vita quotidiana più confortevoli e inclusive.

Per dar voce alle loro istanze, la Fondazione ha realizzato il Manifesto delle Persone Sordocieche, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sui bisogni reali di chi non vede e non sente, promuovendo il pieno riconoscimento dei loro diritti. Il documento, presentato nel mese di marzo dello scorso anno alla Camera, parte dalla richiesta di aggiornamento della Legge 107/10 al fine di riconoscere tutte le persone che siano contemporaneamente cieche e sorde, a prescindere dall’età in cui sviluppano tali disabilità; in particolare, la Lega del Filo d’Oro pone l’attenzione su alcuni temi centrali per promuovere un reale cambiamento, chiedendo alle Istituzioni un maggiore impegno affinché ogni persona sordocieca venga riconosciuta e sostenuta, ovunque e sempre, con accesso a cure, interpreti e strumenti che possano davvero fare la differenza nella vita di tutti i giorni.

«Il Manifesto delle persone sordocieche rappresenta una visione collettiva: è il sogno di una società che abbraccia ogni individuo e celebra la diversità come una ricchezza – ha dichiarato Rossano Bartoli, presidente della Fondazione Lega del Filo d’Oro –. Da 60 anni il lavoro della Lega del Filo d’Oro è animato dalla passione e soprattutto dal coraggio di vedere e ascoltare “oltre” ciò che è possibile, per dare voce ai bisogni delle persone sordocieche e delle loro famiglie, fornire risposte concrete per migliorare la loro qualità di vita e promuovere maggiore inclusione. Tutti insieme possiamo contribuire a un reale cambiamento, impegnandoci a costruire un mondo più equo e accessibile, dove nessuno sia lasciato indietro».

L’inclusione scolastica, la mobilità autonoma, la possibilità di lavorare e di abitare in spazi pensati per le esigenze specifiche di chi non vede e non sente non sono solo diritti, ma passi fondamentali verso una società in cui nessuno venga lasciato indietro. Creare un mondo più accessibile, anche nei luoghi di sport e cultura, significa abbracciare la diversità e abbattere ogni barriera: la Lega del Filo d’Oro crede fermamente che con il sostegno di tutti si possano superare le sfide attuali per creare una società più equa e accessibile, capace di riconoscere il potenziale delle persone sordocieche come una risorsa preziosa per l’intera collettività. (C.C.)

Il comunicato integrale diffuso dalla Fondazione Lega del Filo d’Oro, in occasione della campagna Insieme, oltre il buio e il silenzio, è disponibile a questo link. Per maggiori informazioni: Virginia Matteucci (v.matteucci@inc-comunicazione.it).

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Quella norma da correggere nel nuovo Codice della Strada

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Le novità del nuovo Codice della Strada riguardanti la guida di chi abbia assunto sostanze stupefacenti o psicotrope rischiano di creare molti problemi alle persone con disabilità le cui patologie richiedano di assumere quel tipo di sostanze in dosi terapeutiche e che abbiano la patente di guida. «Risulta dunque necessario un correttivo alla normativa – scrive il presidente della Federazione FISH Falabella -, ed è in tal senso che ci muoveremo nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti»

Con l’entrata in vigore del nuovo Codice della Strada, tramite la Legge 177/24 (Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), sono state introdotte importanti novità per chi si mette alla guida dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope. Con la nuova disciplina, però, bisogna prestare adeguata attenzione anche all’uso di alcuni farmaci, che potrebbero determinare una falsa positività al test di controllo. Prima della riforma, infatti, la vecchia normativa puniva chi, dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, si metteva alla guida in stato di alterazione psicofisica. Ora invece, dopo la modifica dell’articolo 187 del Codice della Strada, viene punito «chiunque guidi dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope», facendo pertanto venir meno il requisito della necessità di verificare lo stato di alterazione psicofisica del conducente.
Questo significa che, in caso di controllo da parte degli organi competenti, le sanzioni scattano con la semplice positività al test antidroga, pur non essendovi alcuno stato di alterazione psicofisica.

Si tratta di una novità che crea non pochi problemi e dubbi a chiunque utilizzi determinati farmaci che possono essere ricompresi nella categoria delle sostanze psicotrope, e a maggior ragione per le persone con disabilità le cui patologie richiedano di assumere quel tipo di farmaci o di sostanze psicotrope in dosi terapeutiche (si pensi ad esempio ai cannabinoidi ad uso terapeutico) e che possedendo la patente di guida, si debbano muovere quotidianamente per raggiungere il posto di lavoro, i luoghi di cura e/ riabilitazione o semplicemente per usare l’autovettura per esigenze quotidiane. Come detto, infatti, secondo la nuova normativa, potrebbe essere punito anche chi assume farmaci con effetti psicotropi, pur essendo egli capace di guidare in piena sicurezza. E secondo il nuovo articolo 187 del Codice della Strada, è opportuno ricordare, la guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti è punita con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro e l’arresto da sei mesi ad un anno. Nel caso poi di accertamento del reato, vi è comunque la sospensione della patente da uno a due anni, con durata della sospensione stessa che viene raddoppiata quando il veicolo appartiene a una persona estranea al fatto.
Ma non solo, sempre l’articolo 187 del Codice della Strada stabilisce ora che la patente sia sempre revocata nel caso di recidiva nel triennio o se il reato sia commesso da una determinata categoria di conducenti prevista dalla lettera d) del comma 1 dell’articolo 186.
Infine, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta (anche se sia stata applicata la sospensione condizionale della pena), viene sempre disposta la confisca del veicolo con cui è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al fatto.

A questo punto appare evidente la necessità di affrontare il problema dei cosiddetti “falsi positivi” nei test antidroga, perché il rischio è quello di punire ingiustamente persone che assumono medicinali prescritti legittimamente.
Ad oggi non è stato formalmente elaborato un elenco di farmaci e sostanze che potrebbero determinare una falsa positività. E tuttavia, anche se solo a titolo di esempio, è possibile fare riferimento ai farmaci a base di morfina e sostanze analgesiche oppiacee, nonché ai medicinali a base di cannabis, benzodiazepine e barbiturici. Potrebbero inoltre esserci problemi anche nel caso di assunzione di antistaminici, antidolorifici, oppioidi (tra cui, come già detto, la cannabis terapeutica) ansiolitici e sedativi, farmaci per la pressione e antidepressivi triciclici: ossia medicinali, anche di uso comune, che possono avere controindicazioni sulla capacità di guida (come, ad esempio, sonnolenza e alterazione della concentrazione).

Alla luce dunque di quanto evidenziato, risulta necessario, un correttivo alla normativa, pur semplicemente aggiungendo una frase quale «…fatte salve le persone che assumano dette sostanze e farmaci per scopo terapeutico a fronte di precisa prescrizione medica e nei dosaggi previsti dalla stessa» ed è in tal senso che la nostra Federazione muoverà formalmente i propri passi nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

*Presidente della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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Le nuove Linee Guida per l’inclusione nelle Università

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Approvate nel settembre dello scorso anno, le nuove Linee Guida della CNUDD, la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA, sono composte da dieci capitoli e ne presentiamo oggi un’ampia analisi, con i passaggi che più evidenziano i diritti degli studenti con disabilità, DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e ulteriori BES (bisogni educativi speciali)

Pubblicamente presentate nei giorni scorsi (se ne legga anche su queste pagine), erano state approvate il 25 settembre dello scorso anno le nuove Linee Guida della CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA), documento di 24 pagine suddiviso in dieci capitoli, recepito dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), di cui riportiamo di seguito i passaggi che più evidenziano i diritti degli studenti con disabilità, DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e ulteriori BES (bisogni educativi speciali).

Come si legge nella premessa, «le Linee Guida vogliono essere un modello di riferimento comune volto a indirizzare le politiche e le buone prassi degli Atenei, stimolando scambi e sinergie nell’ottica di una sempre migliore qualificazione del diritto allo studio per tutte e tutti le/gli studenti e della realizzazione di comunità accademiche inclusive». Fonte normativa di tutto ciò è la Legge 17/99, che ha previsto l’istituzione in ogni università di un Delegato del Rettore per l’Inclusione.
Il documento, come sopra detto, riguarda non solo gli studenti con disabilità certificata, ma anche quelli con DSA e ulteriori BES.
Come si legge nel capitolo 2 (Principi ispiratori), «le intenzionalità e le azioni delle Università italiane a favore delle/degli studenti con disabilità e/o con DSA si ispirano ai principi di diritto allo studio, vita indipendente, cittadinanza attiva e inclusione nella società, che orientano più in generale le politiche di indirizzo del nostro tempo, il cui principale punto di riferimento è la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge n. 18 del 2009».

Le Indicazioni per una didattica inclusiva di cui al capitolo 2.2 prevedono comunicazione multimodale, materiali didattici accessibili, misure di flessibilità didattica, strumenti visivi, feedback continuo.

Il paragrafo 3.1 del terzo capitolo definisce quindi in tal modo i compiti del Delegato o Delegata del Rettore: «Il Delegato o la Delegata del Rettore o della Rettrice costituisce il punto di riferimento sui temi dell’inclusione, della disabilità e dei DSA sia verso l’esterno dell’Ateneo sia verso l’interno. Per quanto attiene all’esterno, è punto di riferimento verso tutte le realtà territoriali che si occupano di disabilità e DSA, tra le quali: gli enti regionali per il diritto allo studio, gli enti e gli organismi amministrativi territoriali, gli uffici scolastici decentrati, le istituzioni scolastiche, le associazioni, le imprese e le agenzie per il lavoro. Con riferimento all’interno dell’Ateneo, il Delegato o la Delegata ha il compito fondamentale di promuovere l’inclusione, in tutte le sue forme: sensibilizzazione ai temi della disabilità e dei DSA, tramite iniziative culturali (incluse le attività di ricerca), interventi mirati nelle strutture dell’istituzione, promozione di eventi informativi e formativi rivolti a studenti, personale docente e tecnico amministrativo e bibliotecario. La prospettiva dalla quale il Delegato o la Delegata procede è sempre quella di privilegiare interventi volti a valorizzare le persone con disabilità e DSA, a contrastare stereotipi abilisti ed ogni altra forma di discriminazione anche di tipo intersezionale. Inoltre, il/la Delegato/a sostiene l’autonomia e l’autodeterminazione delle/degli studenti, favorendone il successo formativo, nel rispetto della loro dignità e libertà personale. Spettano al Delegato o alla Delegata il coordinamento di tutte le attività del SDDA [Servizio Disabilità/DSA di Ateneo, N.d.R.], nonché il monitoraggio e l’autovalutazione della qualità dei servizi offerti, finalizzati al loro miglioramento. Il Delegato o la Delegata in collaborazione con altri/e docenti referenti dei Dipartimenti o dei Corsi di studio affianca il SDDA nell’importante fase dell’accoglienza dello/a studente che, per la prima volta, si rivolge all’Ateneo con l’intenzione di intraprendere un percorso di studi universitario. Deve inoltre farsi promotore o promotrice, anche tramite il SDDA o i/le docenti referenti delle strutture didattiche, di incontri periodici con le/gli studenti che usufruiscono dei servizi offerti, sia per ascoltarne l’opinione, sia per evidenziare nuove esigenze ed eventualmente pianificare la modifica di alcune procedure o la creazione di nuovi servizi. Di particolare rilievo il ruolo di mediazione tra lo/a studente e i/le docenti durante tutto il percorso formativo, e il supporto al corpo docente nella consapevolezza del quadro normativo di riferimento, dei diritti e dei bisogni educativi dello/a studente. Il Delegato o la Delegata sovrintende all’allocazione e all’utilizzo dei fondi assegnati a favore delle/degli studenti con disabilità e DSA e assicura che vengano portate a termine nelle scadenze previste le procedure ministeriali. Il Delegato o la Delegata entra di diritto a far parte della CNUDD, come previsto dall’art. 3 del Regolamento della stessa. Il Delegato o la Delegata mantiene un costante scambio con gli omologhi e le omologhe delle altre Università per affrontare e risolvere questioni emergenti o con carattere d’urgenza».

A livello organizzativo è previsto il già citato Servizio SDDA, che «costituisce il punto di riferimento per le/gli studenti e svolge un ruolo strategico di orientamento, accoglienza e di gestione dei servizi».
Fra i suoi compiti, di cui al paragrafo 3.2 del terzo capitolo, «la funzione di interfaccia fra il sistema università e le/gli studenti, considerando anche la possibilità di coinvolgimento dei servizi territoriali di riferimento; la possibilità di fornire informazioni in merito ai benefìci economici, ai servizi erogati e alla mediazione con i/le docenti; il raccordo con i servizi di Ateneo e, in particolare, con gli uffici di orientamento, in ingresso e in uscita (Ufficio Placement), con le segreterie studenti, gli uffici per la mobilità internazionale, gli uffici per gli stage e i tirocini; il supporto mirato all’acquisizione di maggiore autonomia e indipendenza nello studio; l’attività di supporto al/la Delegato/a e, laddove previsto, ai/alle singoli/e Docenti Referenti delle strutture di Ateneo; d’intesa con il/la Delegato/a, il monitoraggio e l’autovalutazione della qualità dei servizi offerti finalizzato al loro miglioramento; l’offerta di materiale didattico accessibile anche tramite il sistema bibliotecario di Ateneo».

La Legge 17/99 ha pure previsto la nomina, a spese dell’università, di tutor nella persona di studenti universitari da affiancare come sostegno agli studenti con disabilità o DSA. Tali tutor costituiscono il servizio di tutorato, di cui al paragrafo 4.1 del quarto capitolo, fondamentale per facilitare il successo universitario degli studenti affiancati. In particolare, «ogni servizio di tutorato ha lo scopo di supportare lo sviluppo dell’autonomia individuale nello studio e la partecipazione attiva lungo tutto il percorso accademico delle/degli studenti, predisponendo interventi mirati che garantiscano pari opportunità e una maggiore inclusività del contesto», e si distinguono inoltre «differenti dimensioni, che sottendono diversi ambiti di intervento: prestazioni di servizi e di supporto da parte di uno/una studente (tutor alla pari) […]; prestazioni di servizi e di supporto da parte di uno/una tutor specializzato/a: con competenze disciplinari (studenti senior, tirocinanti, laureati/e) […],con competenze in ambito psico-pedagogico didattico (individuale e/o per piccoli gruppi omogenei)».

Le Linee Guida dedicano pure particolare attenzione all’accessibilità dei locali universitari, come al paragrafo 4.2 del quarto capitolo, ove si scrive che «il monitoraggio dell’accessibilità degli edifici universitari e delle azioni necessarie al superamento delle barriere architettoniche e sensoriali è compito specifico del servizio tecnico di Ateneo, ma deve essere condiviso con il Servizio SDDA, al fine di pianificare e programmare interventi per il miglioramento dell’accessibilità e della fruibilità degli spazi e dei servizi. Il SDDA può fungere da preziosa interfaccia tra lo/a studente con disabilità e il servizio tecnico di Ateneo per la segnalazione diretta di criticità e la proposta di soluzioni efficaci per il loro superamento».
Segue quindi il riferimento all’uso e accessibilità delle nuove tecnologie, in cui si prevede fra l’altro che «il personale universitario deve essere sensibilizzato sull’utilità di questi strumenti, e formato per l’utilizzo appropriato degli stessi» e «l’accessibilità deve essere anche garantita per tutte le informazioni fornite dall’Ateneo attraverso i siti web».

Le Linee Guida si soffermano quindi accuratamente sulle modalità di svolgimento delle prove d’esame (paragrafo 4.4 del quarto capitolo): «A seguito della richiesta da parte dello/a studente con disabilità e/o con DSA, dell’analisi dei bisogni, il SDDA fornisce consulenza al fine di individuare modalità di supporto adeguate al singolo caso. Ove necessario, il/la docente può essere coinvolto/a fin dall’inizio nella definizione delle modalità di supporto. Sulla base di tali indicazioni, con congruo anticipo prima delle verifiche e delle prove d’esame, lo/a studente con disabilità e/o DSA segnala e/o presenta al/alla docente – con modalità diverse a seconda degli Atenei – le proprie esigenze. La certificazione non dà diritto ad ogni misura compensativa in modo indifferenziato, ma indica piuttosto un bisogno che occorre promuovere, affrontando le problematiche proprie della persona. Se non è pregiudizievole agli obiettivi dell’insegnamento, possono essere concessi uno o più strumenti compensativi, ad esempio: tempo aggiuntivo, strumenti tecnici (TIC e/o TA), suddivisione in moduli della disciplina, accesso ad appelli straordinari, utilizzo di mappe concettuali e mentali, affiancamento di un/una tutor con funzione di lettore/scrittore, di un/una assistente alla comunicazione, di un/una interprete LIS/LIST, ecc. Al/alla docente, in qualità di responsabile del percorso formativo disciplinare, compete la valutazione della idoneità delle misure rispetto al raggiungimento degli obiettivi formativi».
Per gli Esami di Stato, di cui al paragrafo successivo, resta previsto che «l’utilizzo di tali strumenti viene autorizzato dalla Commissione».

Viene pure presa in considerazione la mobilità internazionale con frequenza di università estere, rispetto alla quale il paragrafo 4.6 del quarto capitolo stabilisce fra l’altro che «in collaborazione con l’ufficio di Ateneo addetto alla mobilità internazionale, il SDDA dovrà valutare le reali necessità dello/a studente, facilitare i contatti con l’Università ospitante e, nei casi previsti, avviare le procedure per la richiesta di fondi aggiuntivi. Di particolare rilievo è l’azione di sensibilizzazione verso altri/e studenti che partecipano ai programmi di mobilità internazionale e che possono svolgere volontariamente, nei confronti dei colleghi e delle colleghe con disabilità e/o DSA, attività di tutoraggio alla pari».

Molto spazio viene poi dedicato all’orientamento (capitolo 5). Per l’orientamento in entrata si scrive che «il processo di orientamento è importante al fine di favorire la scelta dell’indirizzo di studi più adeguato volto a valorizzare le potenzialità presenti e a contrastare la dispersione e gli abbandoni in itinere. Sono infatti fornite allo/a studente, attraverso l’orientamento in ingresso, le informazioni relative al percorso formativo e al contesto universitario. Risultano utili al riguardo azioni di avvicinamento dello/a studente al contesto universitario già negli ultimi anni della scuola secondaria, in sinergia con le scuole e gli uffici scolastici-territoriali, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni o accordi di programma. Dopo il superamento dell’esame di maturità e prima dell’immatricolazione, occorre guidare lo/a studente nell’acquisire dimestichezza con l’ambiente universitario nelle sue diverse componenti e in particolare con i/le referenti dei Corsi di studio e delle strutture didattiche interessate. In seguito all’immatricolazione, il SDDA si attiverà, laddove richiesto dallo/la studente, per identificare i servizi individualizzati e approntare contesti accoglienti e promozionali rispetto alle diverse dimensioni: conoscitiva, relazionale, progettuale, didattica e organizzativa».
Per quanto riguarda invece l’orientamento in itinere: «Durante il percorso accademico, l’orientamento può svilupparsi sia attraverso interventi di counseling individuale e/o di gruppo (career counseling) sia mediante azioni rivolte all’interazione tra studente e contesto».
Infine, sull’orientamento in uscita: «Il compito dell’Università non si esaurisce con il conseguimento della laurea, ma deve prevedere anche strategie concrete per fornire un supporto adeguato alle/agli studenti con disabilità e/o con DSA nel momento della transizione al mondo del lavoro. Ogni azione va sviluppata in collaborazione con l’ufficio di Job Placement di Ateneo, anche attraverso attività di sensibilizzazione rivolte al mondo imprenditoriale che mettano in evidenza le opportunità lavorative consone alle professionalità acquisite dal/la singolo/a studente».

Fondamentale è ancora il capitolo 6, relativo ai test d’ingresso che gli studenti devono in alcuni casi svolgere: «Oltre ad un ambiente accessibile e all’applicazione del tempo aggiuntivo previsto (fino al 30% per candidati con DSA, fino al 50% per candidati con disabilità), le misure compensative possono riguardare: tutor con funzione di supporto nella lettura e/o nella scrittura; sintesi vocale; calcolatrice non scientifica; testo della prova adattato secondo le esigenze (caratteri ingranditi, contrasto figura/sfondo, ecc.); ambiente silenzioso; interprete in LIS/LIST. Non possono essere ammessi i seguenti strumenti: dizionario e/o vocabolario, formulario, tavola periodica degli elementi, mappa concettuale, personal computer, tablet, smartphone, smartwatch».

Mentre i capitoli dal primo al settimo riguardano quasi esclusivamente gli studenti con disabilità, il capitolo 8 è specificamente dedicato agli studenti con DSA, rispetto ai quali «l’Università ha l’obbligo di prevedere, come stabilito all’art. 5 della legge n. 170/2010, strumenti compensativi e approcci individualizzati nell’erogazione delle misure a tutela del diritto allo studio che supportino lo sviluppo delle competenze richieste, attraverso pratiche didattiche inclusive, sia nell’ambito del percorso di apprendimento sia per lo svolgimento delle prove di valutazione».
A titolo esemplificativo, viene fornito il seguente elenco: “Strumenti compensativi: PC con correttore ortografico; testo d’esame in formato digitale; programmi di lettore vocale / penna con OCR e di lettore vocale; presenza di tutor con funzione di lettore/lettrice, nel caso in cui non sia possibile fornire materiali d’esame in formato digitale; calcolatrice; tabelle e formulari; mappe concettuali; testo della prova con caratteri ingranditi; suddivisione della materia d’esame in più prove parziali; possibilità di interrogare il/la candidato/a in luoghi e tempi concordati in maniera personalizzata. Misure dispensative: tempo supplementare, fino a un massimo del 30%, per lo svolgimento della prova nel rispetto della privacy; per le prove scritte, riduzione quantitativa, ma non qualitativa, della prova stessa; possibilità di sostenere esami orali piuttosto che scritti o viceversa, tenendo conto anche del profilo individuale di abilità; laddove l’esame scritto venga ritenuto indispensabile, verificare se il formato scelto (a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, test a scelta multipla, o a risposta chiusa, ecc.), rappresenti un ostacolo e se possa essere sostituito da altre forme di valutazione scritta; valutazione dei contenuti piuttosto che della forma e dell’ortografia in relazione alla disciplina; in presenza di difficoltà nel calcolo, per quanto possibile, dare maggior rilievo al procedimento piuttosto che al risultato».

Indicazioni specifiche sono previste riguardo alle lingue straniere (paragrafo 8.4 dell’ottavo capitolo).

Il capitolo 9 è innovativo rispetto alle precedenti Linee Guida, ed è dedicato agli studenti con ulteriori BES (bisogni educativi speciali). Sono previste a tale riguardo due tipologie la prima delle quali è costituita da situazioni che richiedono una certificazione come la disabilità (disabilità e invalidità, disturbi specifici dell’apprendimento, altri disturbi del neurosviluppo, disturbi psichiatrici diagnosticati, condizioni mediche invalidanti), mentre il secondo gruppo concerne più specificamente quelli tradizionalmente considerati come casi di ulteriori BES, che non richiedono certificazione, quali «altre condizioni di bisogni educativi speciali. Rientrano in questa fattispecie tutte le condizioni che influenzano in modo particolarmente negativo gli apprendimenti e/o la partecipazione sociale. In questa categoria potrebbero ricadere, ad esempio, le condizioni di svantaggio socio-economico, linguistico e culturale particolarmente gravi qualora si ravvisi il loro impatto negativo relativamente persistente sugli apprendimenti e/o la partecipazione sociale (tenendo comunque conto delle altre misure che gli Atenei o altri enti, come ad esempio gli enti regionali per il diritto allo studio, mettono in campo per fronteggiare tali condizioni, come ad esempio borse di studio, riduzione delle tasse su base ISEE, corsi di lingua, ecc.). Tali condizioni possono essere segnalate da altri servizi di Ateneo o pervenire direttamente all’attenzione del SDDA».
Quanto agli esami di questi studenti, è prevista la stessa «adozione di accomodamenti ragionevoli individualizzati in sede di esame»; tuttavia, è da precisare che «tali misure, allo stato attuale, non sono al momento estendibili agli esami e ai test di ammissione che seguono indicazioni ministeriali su cui non ci sono margini di autonomia per gli Atenei».

Alcune osservazioni conclusive
Queste Linee Guida completano il sistema di Linee Guida riguardante tutto l’arco dell’inclusione scolastica, costituito dalle Linee Guida per l’inclusione nella scuola, emanate con Nota Ministeriale del 4 agosto 2009 e dalle Linee Guida allegate al Decreto Interministeriale 182/20 sui nuovi modelli di PEI (Piani Educativi Individualizzati), come integrato dal Decreto Ministeriale 153/23.
Il capitolo 10 delle Linee Guida or ora esaminate presenta l’elenco dei riferimenti normativi su cui esse si basano, manca però quello alle Linee Guida per gli alunni con ulteriori BES, trasmesse con Decreto Ministeriale del 12 luglio 2011. A proposito di questi studenti universitari, le presenti Linee Guida precisano, data la novità introdotta, che mancano attualmente appositi finanziamenti per poter prevedere tutor come avviene con gli studenti con disabilità e DSA. È pertanto da supporre che l’Ufficio Assistenza di Ateneo possa ottenere dei giovani del Servizio Civile Universale che sono forniti gratuitamente dallo Stato, per i quali bisogna pagare solo un piccolo contributo da parte dell’Università o degli interessati. Invero, gli studenti che le Linee Guida qualificano come con ulteriori BES, purché certificati, dovrebbero, secondo la normativa vigente per le scuole, rientrare nel gruppo degli studenti con disabilità, data la complessità delle situazioni elencate nel documento.
Da ricordare, infine, che le Linee Guida sono una tipologia di atti amministrativi piuttosto recenti, emanate inizialmente solo dalle nuove autorità che si sono affermate nel mondo amministrativo, come in questo caso la CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA), anche se il documento è stato recepito dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Comunque, anche a livello giurisprudenziale esse possono considerarsi sempre più fonte di diritti, rivendicabili dagli studenti che si trovano nelle condizioni da esse previste. E ciò vale anche per queste Linee Guida, pur non essendo state trasmesse con Decreto Ministeriale.

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