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“Toccare per Leggere”: sei giorni a tu per tu con il Braille

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In corrispondenza con la Giornata Nazionale del Braille e nel 200° anniversario dell’ideazione del sistema Braille, le Biblioteche Civiche Torinesi e il Servizio Disabilità Sensoriali della Città di Torino promuovono il programma “Toccare per Leggere” (seconda edizione), organizzato con l’UICI di Torino e le Associazioni APRI e ConTatto, che il 21 febbraio prevede un incontro sulla storia e l’attualità del Braille, con particolare attenzione alla notazione musicale

In corrispondenza con la ventottesima Giornata Nazionale del Braille del 21 febbraio e nel 200° anniversario dell’ideazione del sistema Braille (1825), le Biblioteche Civiche Torinesi e il Servizio Disabilità Sensoriali della Città di Torino promuovono in questi giorni la seconda edizione del programma denominato Toccare per Leggere, ossia una settimana di attività e iniziative organizzate insieme all’UICI di Torino (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e all’APRI (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti), in collaborazione con l’Associazione ConTatto.

Già dal 17, dunque, e fino al 22 febbraio le Biblioteche Civiche torinesi e la sede della Biblioteca Braille (Via Nizza 151, Torino) ospiteranno punti informativi, letture, laboratori e incontri con le scuole, per promuovere e far conoscere il sistema Braille.
L’appuntamento principale si avrà proprio il 21 febbraio, presso la Biblioteca Civica Centrale (Via della Cittadella, 5, ore 16-18, ingresso libero), con un pomeriggio dedicato alla storia e all’attualità del Braille e una particolare attenzione alla notazione musicale. «Il sistema ideato da Louis Braille, musicista egli stesso, consente infatti – sottolineano dall’APRI – l’accesso alla notazione musicale da parte delle persone con disabilità visiva, permettendo di leggere con il tatto tutti gli elementi di uno spartito».
Dopo i saluti istituzionali, sarà Marco Bongi dell’APRI a illustrare il percorso dall’alfabeto allo spartito musicale di Louis Braille, mentre Angelo Panzarea dell’UICI (U.I.C.I.) presenterà il Braille musicale oggi e il fondo della Biblioteca Braille della Città di Torino. I loro interventi saranno intervallati dalle esecuzioni dal vivo per violoncello e chitarra dei musicisti Lorenzo Montanaro e Roberto Turolla.

Una settimana realmente propizia, quindi, per scoprire come il sistema Braille possa superare ogni barriera e per confermare il ruolo delle biblioteche come luoghi di cultura inclusiva e accessibile. (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo del programma “Toccare per Leggere”. In calce poi al nostro articolo denominato Giornata Nazionale del Braille: l’inclusione abita nel linguaggio (a questo link), vi è un’ampia nota biografica dedicata a Louis Braille.

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“L’Accuditrice”: un corto per dare voce a chi vive per prendersi cura degli altri

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Carmela ha sessant’anni e si prende cura dell’anziana madre Virginia, non più autosufficiente. La quotidianità di Carmela è scandita da responsabilità sempre più gravose, che ne minano l’identità e la salute. Questa storia non è solo un racconto di finzione, il cortometraggio “L’Accuditrice”, ma una realtà condivisa da milioni di persone, i caregiver (e soprattutto le caregiver). Per portare a termine il cortometraggio è stata avviata anche una campagna di raccolta fondi

L’obiettivo è realizzare un corto «per dare voce a chi, ogni giorno, si prende cura degli altri, senza che nessuno si prenda cura di lui/lei»: è stata lanciata pochi giorni fa una campagna di crowdfunding (raccolta foni nel web) su Produzioni dal Basso, per il cortometraggio L’Accuditrice, che affronta una delle più gravi lacune del sistema di welfare italiano, più volte denunciata su queste pagine, ossia l’assenza di riconoscimento per i caregiver familiari.

Diretto da Martina Monaco e prodotto da BeDi Produzioni, il film ha già ottenuto il sostegno della Calabria Film Commission e il patrocinio dell’Associazione CARER.
L’Accuditrice racconta una realtà che coinvolge milioni di persone in Italia, persone che, spesso senza avere avuto la possibilità di scegliere, si trovano a prendersi cura di un familiare non autosufficiente, senza supporto istituzionale né garanzie di tutela lavorativa e previdenziale.

Carmela ha sessant’anni e si prende cura dell’anziana madre Virginia, non più autosufficiente. La quotidianità di Carmela è scandita da responsabilità sempre più gravose, che ne minano l’identità e la salute. Virginia, non accettando la sua condizione, riversa sulla figlia rabbia e frustrazione, trasformando ogni gesto di cura in un peso insopportabile. Quando un incidente la mette di fronte a una verità impossibile da ignorare, Carmela si trova costretta a prendere una decisione dolorosa che la lascerà con interrogativi irrisolti sulla natura dell’amore e dell’accudimento.

«In meno di una settimana, quasi d’istinto, avevo buttato giù una prima, caotica versione della sceneggiatura. Non era perfetta, ma sentivo l’urgenza bruciante di mettere su carta alcune immagini strazianti che non riuscivo a togliermi dalla mente. Era come se avessi bisogno di liberarmene, di dar loro un senso», racconta Martina Monaco.
«Dopo avere scritto, mi sono fermata a riflettere su ciò che avevo visto e vissuto. Quelle immagini non rappresentavano solo un dolore personale: erano la testimonianza di una realtà più grande, più complessa. Ho capito che avevo raccontato uno spaccato di società dimenticata, una realtà inerme e invisibile che gridava di essere riconosciuta. Quello che mia zia aveva vissuto con mia nonna per anni, nel silenzio e nella solitudine, aveva finalmente un nome, un volto, una voce», continua la regista.

Secondo stime attendibili, in Italia oltre 8 milioni e mezzo di individui si prendono cura di un familiare malato o con disabilità, di cui la maggioranza sono donne che spesso sacrificano carriera, vita sociale e salute mentale senza alcuna tutela. L’Italia resta uno dei pochi Paesi in Europa a non avere una legislazione dedicata a questa figura indispensabile, che ha un carico di lavoro invisibile enorme, spesso ignorato anche dai sistemi istituzionali, e che porta molti a soffrire di stress cronico, ansia e depressione senza che ci siano tutele o aiuti adeguati. (C.C.)

Per ulteriori informazioni: accuditrice@gmail.com.

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Al Museo Omero “M’illumino di meno” in Braille

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In occasione della Giornata Nazionale del Braille del 21 febbraio e nel segno della nota campagna “M’illumino di meno”, promossa ormai da molti anni dal programma radiofonico “Caterpillar”, il Museo Tattile Statale Omero di Ancona organizza proprio per il 21 febbraio un evento per vivere totalmente l’esperienza multisensoriale connessa alla mostra “L’ombra vede” di Enzo Cucchi Enzo Cucchi, “Senza titolo”

In occasione della Giornata Nazionale del Braille del 21 febbraio e nel segno della nota campagna M’illumino di meno, promossa ormai da molti anni dal programma radiofonico Caterpillar, il Museo Tattile Statale Omero di Ancona organizza un evento per vivere totalmente l’esperienza multisensoriale connessa alla mostra L’ombra vede di Enzo Cucchi (ne abbiamo raccontato l’apertura in questo pezzo).
«Per comprendere appieno un’opera – racconta lo stesso Enzo Cucchi – bisogna vederla solo al buio; perché le cose si conservano all’ombra e al buio» e per guardare il mondo, aggiunge, «si dovrebbe mettere la testa per terra, come le zucche, e le mani sulle cose».

Nel pomeriggio del 21 febbraio, dunque, dalle 17.30, «attraverseremo al buio una grotta, per esplorare tre sculture solo con le mani, e poi ci soffermeremo nell’aia per ascoltare il brano Il grano», raccontano gli organizzatori dell’evento. A leggere il brano, trascritto in Braille, saranno due persone cieche.
Si tratta, ricordiamo, di una breve testimonianza del padre dell’artista, Giuseppe Cucchi, raccolta da Brunella Antomarini. Il padre narra la propria vita di contadino nelle campagne di Morro D’Alba (Ancona), con la sua ritualità, fatica e sensorialità. Si potranno al contempo vivere in semi oscurità tutte le altre opere esposte: 4 disegni inediti e 38 sculture realizzate con materiali diversi: bronzo, marmo, ceramica, legno. (C.C.)

Per maggiori informazioni:  redazione@museoomero.it.

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Inquietanti notizie continuano ad arrivare dagli Stati Uniti sul piano dei diritti

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Un’ulteriore inquietante notizia proveniente dagli Statri Uniti, sul piano dei diritti, è riportata da un lancio dell’Agenzia AGI, secondo il quale «l’Amministrazione Trump ha dato due settimane di tempo a scuole e college americani, per eliminare i programmi di inclusione verso afroamericani, latinos, disabili, gay e transgender, altrimenti perderanno i contributi federali» Una realizzazione grafica che recita “Disability Rights are Human Rights” (“I diritti delle persone con disabilità sono diritti umani”)

Non cessano purtroppo di arrivare notizie quanto meno inquietanti dagli Stati Uniti, sul piano dei diritti. Abbiamo infatti già ampiamente riferito, in queste settimane, dello smantellamento, da parte dell’Amministrazione Trump, del Programma DEI (Diversity, Equity and Inclusion), che da decenni rappresenta un pilastro della sicurezza sociale americana, sia a livello nazionale che internazionale. Si tratta, lo ricordiamo, di un insieme di strumenti concreti per garantire pari opportunità e abbattere le barriere che limitano milioni di cittadini negli Stati Uniti e, attraverso l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), per sostenere le comunità più vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo.
Abbiamo inoltre registrato un altro provvedimento che congela i fondi federali a favore dell’inclusione delle persone statunitensi con disabilità, si spera momentaneamente, come sottolineato su queste pagine dall’Associazione sammarinese Attiva-Mente.

Da un lancio di agenzia prodotto nella notte scorsa dall’AGI, apprendiamo ora, come si può leggere testualmente, che «l’Amministrazione Trump ha dato due settimane di tempo a scuole e college americani, per eliminare i programmi di inclusione verso afroamericani, latinos, disabili, gay e transgender, altrimenti perderanno i contributi federali».
Tale comunicazione è arrivata tramite una nota inviata dal Dipartimento dell’Istruzione, costringendo dunque le scuole e i college del proprio Paese «a decidere entro 14 giorni se difendere princìpi in cui credono o rinunciare per non perdere i fondi».

«Il Programma DEI – conclude la nota dell’Agenzia AGI -, acronimo che sta per “Diversità, Equità e Inclusione”, è servito a dare sostegno alle minoranze e alle fasce deboli nell’accettazione nei college, per riequilibrare la partecipazione dominante degli studenti bianchi. L’Amministrazione USA vuole che dai programmi scolastici spariscano lezioni e corsi che parlano dello schiavismo, della ghettizzazione dei neri e delle discriminazioni razziali e per genere». (S.B.)

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In scena “Il silenzio del vento”: la Resistenza, la condizione della donna e la disabilità uditiva

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Lo spettacolo teatrale “Il silenzio del vento” racconta lo scontro sul Monte San Martino (Varese) tra partigiani e tedeschi nel novembre del 1943 da una prospettiva particolare: quello delle “sordomute povere” che erano ospitate in una casa di villeggiatura su quel monte. Andrà in scena il 21 febbraio a Milano, con il contributo del Pio Istituto dei Sordi

Nel novembre del 1943, sul Monte San Martino, nei pressi di Varese, viene combattuta una delle prime battaglie della Resistenza. A battersi contro i nazifascisti è un gruppo di partigiani che va oltre le differenti ideologie: ci sono soldati, studenti, operai. Ma sul Monte San Martino c’è anche Villa San Giuseppe, una casa di soggiorno estivo per giovani donne, le allieve dell’“Istituto Sordomute Povere di Milano” il cui destino si incrocia con quello della battaglia.
A raccontare questa storia, attraverso la prospettiva unica delle “sordomute povere”, ospitate in quella casa di villeggiatura, ci pensa uno spettacolo teatrale, Il silenzio del vento, che andrà in scena nella serata di venerdì 21 febbraio al Centro Culturale Asteria di Milano (Piazza Francesco Carrara, 17, ore 21).

Proposto nell’anno in cui ricorre l’ottantesimo anniversario della Liberazione, Il silenzio del vento è un affresco di quei giorni drammatici e tocca tre argomenti diversi tra loro: la Resistenza, cercando di dare la giusta importanza a un episodio che non ha ancora avuto la doverosa visibilità; la condizione della donna in quei giorni; e naturalmente la disabilità uditiva.
Scritto con i moderni canoni del teatro narrazione, lo spettacolo racconta dunque molte storie: quella di una battaglia, quella di ideali che in quei giorni oscuri sembravano perduti, quella della rassegnazione e della forzata emarginazione sociale di giovani donne cui il destino aveva riservato una vita senza suoni. E poi la storia di un’educatrice, di una donna messa dal destino di fronte a scelte drammatiche.
Alla fine della battaglia, quando ogni rumore sarà svanito, resterà solo il vento, il cui soffio cercherà di portare via tutto quanto, lasciando uno spiraglio di luce dove sembrano esserci soltanto ombre e buio. La speranza che non tutto, alla fine, sia davvero perduto.

Il progetto è stato realizzato con il contributo del Pio Istituto dei Sordi di Milano in occasione delle celebrazioni per il suo 170° anniversario e con la collaborazione del Centro Culturale Asteria. I testi sono di Antonio Zamberletti, l’interprete è Elisa Baio, le musiche originali e la regia sono di Daniele Cortese. (C.C.)

Lo spettacolo sarà accessibile alle persone con disabilità uditiva mediante servizio di sovratitolazione in italiano. La presentazione dello spettacolo stesso sarà accessibile mediante sottotitolazione in diretta e interpretariato LIS. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Per ulteriori informazioni: attivita@pioistitutodeisordi.org.

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Il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità!

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«Anche quest’anno – scrivono dalla LEDHA – sul palco del Festival di Sanremo si è parlato di disabilità e purtroppo, come spesso è già accaduto in passato, lo si è fatto male. Per questo, dunque, abbiamo lanciato una raccolta firme su Change.org, per chiedere che il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità e che, approfittando di questa pausa, gli autori del Festival stesso si prendano il tempo per studiare e informarsi meglio su questo tema»

Anche quest’anno ci siamo lasciati alle spalle il Festival di Sanremo. La più importante vetrina della musica italiana è un evento totalizzante: oltre alla diretta su RaiUno, i quotidiani e i loro siti internet, le radio e i social fanno a gara per pubblicare quanti più contenuti possibile (interviste, retroscena, meme e gossip) su cantanti, ospiti e conduttori. Nel bene e nel male, dunque, ignorare Sanremo è impossibile.
Anche quest’anno sul palco dell’Ariston si è parlato di disabilità. Purtroppo, come spesso è già accaduto in passato, lo si è fatto male. Prima con un ricordo di Sammy Basso, presentato come «essere umano meraviglioso» che «nonostante tutto amava la vita» e poi con uno spettacolo del Teatro Patologico i cui attori sono stati presentati come «persone affette da disabilità» da Carlo Conti. Ed è stato detto che «senza di loro la vita sarebbe una noia mortale».

Già durante la serata tante persone con disabilità attente ai temi del linguaggio hanno stigmatizzato questi episodi, soprattutto sui loro profili social. Per Lisa Noja, avvocato e consigliera regionale in Lombardia, il modo in cui Conti ha presentato il Teatro Patologico «è un concentrato da manuale di abilismo indecente».
Iacopo Melio, consigliere regionale in Toscana, ha stigmatizzato sia l’uso della storia di Sammy Basso come «inspiration porn» sia l’infantilizzazione degli attori del Teatro Patologico.
E ancora, la giornalista Marina Cuollo ha sottolineato come il «purché se ne parli» non possa più essere «un alibi per comunicare la disabilità senza una reale competenza».

Le persone con disabilità e le loro storie meritano rispetto, meritano di essere raccontate con dignità, senza paternalismo e senza pietismo. Soprattutto, le loro storie non devono essere ridotte a “modelli” di coraggio, di sopportazione, di “capacità di superare le barriere”. Le persone con disabilità non devono “ispirare” nessuno. Non sono modelli di determinazione per il semplice fatto di alzarsi al mattino, andare a scuola o all’università, lavorare, fare sport e così via.
Per questo la nostra Federazione [LEDHA] lancia una raccolta firme su Change.org, per fare una richiesta al direttore generale della Rai, Roberto Sergio, all’amministratore delegato Rai, Giampaolo Rossi, e al direttore artistico di Sanremo, Carlo Conti: nell’edizione 2026 del Festival di Sanremo non occupatevi di disabilità. Non invitate persone con disabilità sul palco, a meno che in gara non ci sia un cantante con disabilità, ovviamente. Niente monologhi, niente celebrazioni, niente testimonianze. Niente.
Chiediamo che il Festival di Sanremo si prenda “un anno sabbatico” dalla disabilità. E che, approfittando di questa pausa, gli autori del Festival si prendano il tempo per studiare e informarsi meglio su questo tema, ascoltando – ad esempio – le parole di Franco Bomprezzi e il Ted Talk della giornalista inglese Stella Young (I’m not your inspiration, thank you very much).
Li invitiamo a parlare con i giornalisti che si occupano da anni di questi argomenti e lo fanno con grande attenzione alle parole e alla rappresentazione delle persone con disabilità. Li invitiamo a confrontarsi con le Associazioni di persone con disabilità, siamo qui anche per questo.

*Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

Sul medesimo tema qui trattato, segnaliamo anche, sulle nostre pagine, il testo Teatro Patologico: attori e attrici, non persone che “soffrono di disabilità”! (a questo link).

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Un corso teorico pratico sulla respirazione glossofaringea nella distrofia muscolare

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Si terrà il 22 febbraio ad Ancona, organizzato dalla Fondazione Dr. Dante Paladini, il corso teorico pratico sul tema “Respirazione glossofaringea (GPB): risorsa naturale per l’autonomia ventilatoria nella persona affetta da distrofia muscolare con insufficienza respiratoria restrittiva”

Ci sono ancora posti disponibili per il corso teorico pratico sul tema Respirazione glossofaringea (GPB): risorsa naturale per l’autonomia ventilatoria nella persona affetta da distrofia muscolare con insufficienza respiratoria restrittiva, organizzato dalla Fondazione Dr. Dante Paladini di Ancona, in programma per il 22 febbraio presso l’Hotel Europa del capoluogo marchigiano.
Coordinatore scientifico dell’iniziativa sarà Carlo Bianchi, consulente e vicepresidente della UILDM di Varese (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e interverrà anche Michela Coccia, direttore clinico del Centro NeMO Ancona (NeuroMuscular Omnientre). Nella seconda parte del corso, inoltre, è prevista una larga finestra di pratica con alcuni pazienti. (S.B.)

Per il programma dettagliato e l’iscrizione, fare riferimento a cliccare questo link. Per ulteriori informazioni: info@fondazionepaladini.it.

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Un’“authority” della Tiflologia per superare il docente di sostegno

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«In vista della Giornata Nazionale del Braille del prossimo 21 febbraio – scrive Gianluca Rapisarda -, ritengo indispensabile sottolineare l’importanza dell’educatore alla comunicazione e del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, perché significa riaffermare e riproporre finalmente la necessità della specificità tiflologica per un proficuo processo di inclusione degli alunni/studenti ciechi e ipovedenti del terzo millennio» Il Museo Tiflológico della ONCE a Madrid

Pur rispettando la proposta avanzata nei giorni scorsi su queste stesse pagine da Salvatore Nocera di collegare strettamente la figura del tiflologo all’Istituto Augusto Romagnoli di Roma, che potrebbe assumere il ruolo importante del riconoscimento governativo come scuola di specializzazione post-laurea al fine di effettuare master che ne sostanzierebbero i contenuti della preparazione, anche per il tramite di una Convenzione con le Università, chi scrive non si sente di condividerla. Infatti, la dispersione delle competenze tiflologiche degli ultimi anni e la mancanza di un percorso formativo tiflologico universitario sono state causate, oltre che dalla morte prematura di Augusto Romagnoli (fondatore della Tiflologia italiana) e di quella, recente, di Luciano Paschetta, autentico “faro” della tiflologia in Italia nella seconda metà del Novecento, anche dalla graduale crisi negli Anni Novanta dell’unica scuola di metodo tiflologica del nostro Paese, lo stesso Istituto Augusto Romagnoli.
A mio avviso, proprio tali forti criticità hanno indotto l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) a definire recentemente la proposta formativa alla quale io stesso ho contribuito, basata sulle due figure professionali degli educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e dei pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche, fondata su Master Universitari di Primo e Secondo Livello.
Il problema è che, negli ultimi anni, la scarsa presenza in Italia degli alunni con disabilità sensoriali (circa 4.000 quelli ciechi e 5.000 i sordi, e cioè meno del 2% del totale degli allievi con disabilità) nella «scuola di tutti”, ha fatto crescere l’idea della formazione polivalente e “general-generalista” e della necessità di superare le specializzazioni dei docenti di sostegno. È avvenuto cioè che all’interno dei programmi dei TFA (Tirocini di Formazione Attiva) per gli insegnanti specializzati, manchino ormai paradossalmente le aree per la specificità, quali elementi di tiflologia, di sociologia, di psicologia, ma specialmente e incredibilmente l’insegnamento del Braille. Auspicherei, quindi, che, anche restando fermo il principio dei corsi polivalenti, venissero arricchiti gli ambiti della specializzazione, ovvero che si trattasse, ad esempio, dei processi dell’età evolutiva, della pedagogia speciale e della didattica speciale a seconda della tipologia di minorazione, e che per quella visiva fosse imprescindibile e obbligatorio l’apprendimento del metodo Braille.
D’altra parte, anche l’emanazione del recente DPCM applicativo della Legge 79/22 (conversione del Decreto Legge 36/22 su Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza), relativamente alla formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria, prevede solo 10 Crediti Formativi su 60 sulla pedagogia e la didattica, con il rischio, quindi, che quelli sulla pedagogia e la didattica speciale si riducano a un numero insignificante e che la “montagna abbia partorito il solito topolino” della delega del processo d’inclusione scolastica al solo docente per il sostegno, tra l’altro scarsamente preparato sulle singole disabilità.

In questo clima culturale, ai sensi dell’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92, l’attenzione alle specificità per ciechi e sordi viene demandata all’assistenza alla comunicazione, senza però che siano stati definiti né il profilo professionale, né il percorso formativo degli stessi assistenti alla comunicazione, con l’inevitabile conseguenza che anche questi ruoli sono stati sovente affidati a educatori privi di competenze specifiche.
Oggi, i bisogni educativi sono sempre in aumento e con essi anche le risorse strumentali si sono perfezionate e moltiplicate. Pertanto, gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, in virtù del loro obiettivo specialistico, non possono essere ignari delle nozioni più attuali di pedagogia e didattica speciale, e la loro formazione non può restare affidata al caso o all’autoformazione rapportata a un’offerta sporadica e spesso d’incerta matrice.
Di qui l’indifferibile necessità di avviare le due tipologie di master sopracitate, grazie ad apposite convenzioni tra l’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI), ente riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito quale riferimento per la formazione scolastica sulle tematiche della disabilità visiva e accreditato per l’erogazione di formazione al personale docente (Decreto Ministeriale 177/00), e le Università, nella prospettiva lungimirante di far diventare lo stesso IRIFOR una vera e propria “authority” scientifica nazionale, capace di esportare il modello dei Master di Primo Livello per educatori alla comunicazione e di Secondo Livello per esperti in scienze tiflologiche ai principali Atenei del nostro Paese.
Un esempio importante in proposito è stato rappresentato negli anni scorsi dalla convenzione tra l’IRIFOR e l’Università di Modena e Reggio Emilia, per il primo “storico” Master per educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e io credo che si possa e si debba proseguire in questa direzione, essendo questa l’unica “via” possibile per un’inclusione davvero di qualità per i ragazzi italiani privi della vista, in quanto garantita anche dal “contesto” e da figure adeguatamente “specializzate” e non solo ed erroneamente da impreparati docenti di sostegno.
Tali Master di Primo e Secondo Livello sono rivolti prevalentemente a coloro che sono in possesso di un titolo di laurea almeno triennale in Scienze della Formazione e in Scienze dell’Educazione o di Educatore Professionale e di quella in Pedagogia, nonché agli insegnanti nella scuola del primo e del secondo ciclo di istruzione e formazione (con particolare riferimento a chi ha funzioni e/o esperienze di lavoro nel campo dei BES-Bisogni Educativi Speciali). Una speciale deroga potrà essere concessa a tutti i consulenti tiflologi operanti presso i 19 Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT) della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e della Biblioteca per i Ciechi Regina Margherita di Monza.

I Master di educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e di pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche si articolano in varie attività in presenza, a distanza e sul campo (1.500 ore con il rilascio di 60 Crediti Formativi Universitari), per un totale di 150 ore di docenza a distanza (videolezioni, webinar, seminari e workshop online), 250 frontali, 600 di project work (studio di casi, studio guidato, studio individuale o distribuito in gruppi, progettazione operativa, discussione della tesi e prova finale in presenza), 300 sul campo (tirocinio formativo, di cui almeno 50 ore presso istituzioni scolastiche), 50 ore di seminari (in presenza) e 150 di laboratori (di cui almeno 100 ore in presenza).
Proprio per questo motivo, quando chi scrive ricopriva il ruolo di direttore scientifico dell’IRIFOR nel 2017, l’Istituto ha trasformato i propri Albi Nazionali, centrandoli sulle figure degli Educatori alla Comunicazione per persone con disabilità visiva e uditiva e degli Esperti in Scienze Tiflologiche, deputati alla presa in carico del progetto globale delle persone con disabilità visiva di ogni età e anche con disabilità aggiuntive. Il tutto con l’auspicio che rinasca finalmente in Italia la Tiflologia.

In definitiva, come scriveva nel 2016 il compianto Luciano Paschetta  «Oggi, constatato il livello assolutamente insoddisfacente dell’inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità visiva, partendo proprio da queste riflessioni sui suoi punti di debolezza, dobbiamo trovare il coraggio di andare oltre. Dobbiamo aver il coraggio di dire ai genitori dei ragazzi non vedenti e ipovedenti che, per migliorare la qualità dell’istruzione dei loro figli, non serve l’insegnante di sostegno, né serve aumentarne le ore».
In altre parole, dobbiamo avere il coraggio di dire che non servono gli insegnanti specializzati, per il cui riconoscimento e “diritto” le famiglie degli studenti con minorazione della vista ricorrono spesso persino ai giudici se, come sovente avviene, essi sono impreparati, hanno una formazione solo “indifferenziata” e, conseguentemente, non possiedono competenze specifiche di tipo tiflopedagogico e tiflodidattico. Come previsto dalla nostra normativa inclusiva, occorre invece garantire agli allievi con disabilità visiva il “sostegno del contesto”, con la fornitura di servizi di supporto efficaci e funzionali al successo formativo, la flessibilità del curricolo, la personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento, una metodologia individualizzata che tenga conto dei loro reali ed effettivi bisogni educativi e, ancor di più, la formazione di figure professionali specifiche deputate al loro processo d’inclusione.
In proposito, l’equivoco che vorrei sfatare è che, attraverso la succitata proposta formativa dell’UICI dei due Master per educatori alla comunicazione per persone con disabilità sensoriale e dei pedagogisti esperti in Scienze Tiflologiche, rielaborata anche nel mio ultimo recente libro Breve storia della Tiflologia (Erickson), non mi sono certo posto l’obiettivo di alimentare “moltiplicazioni” e aumentare le figure a supporto dell’inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità visiva o, ancor peggio, di medicalizzarne l’educazione-istruzione.
In vista infatti della Giornata Nazionale del Braille del prossimo 21 febbraio, sottolineare l’importanza dell’educatore alla comunicazione e del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, è per chi scrive “irrinunciabile” e indispensabile, perché significa riaffermare e riproporre finalmente la necessità della specificità tiflologica per un proficuo processo di inclusione degli alunni/studenti ciechi e ipovedenti del terzo millennio. Forse, chissà, in siffatto modo potremo finalmente ritrovare quell’autorevolezza scientifica che in questi decenni ci è mancata, facendo entrare la Tiflologia a pieno titolo all’interno delle aule universitarie e ottenendo un’apposita laurea specialistica in Scienze Tiflologiche.

*Dirigente scolastico con disabilità visiva.

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