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La Roadmap dell’Unione Europea sui diritti delle donne includa le donne con disabilità!

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«La Roadmap (“tabella di marcia”) dell’Unione Europea sui diritti delle donne deve includere esplicitamente le donne con disabilità», ad affermarlo è stato l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, in vista delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo. Il Comitato delle Donne dell’EDF stesso specifica: «Se la Roadmap deve condurci a un futuro inclusivo, noi dovremmo certamente esserci!»

«La Roadmap dell’Unione Europea sui diritti delle donne deve includere esplicitamente le donne con disabilità», ad affermarlo è stato l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, in una nota diffusa in vista delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna, che ricorre, com’è ben noto, l’8 marzo di ogni anno.
«Più di 1 donna su 4 nell’Unione Europea ha una disabilità – scrivono dal Forum – e i loro diritti e bisogni sono spesso esclusi da leggi e politiche, comprese quelle relative alla disabilità e/o all’uguaglianza di genere. Ciò accade nonostante le donne con disabilità vengano discriminate in modo sproporzionato e siano soggette a violenza e abusi».

Nelle Linee Guida Politiche per la Commissione Europea 2024-2029, la presidente della Commissione stessa Ursula von der Leyen ha annunciato una nuova Roadmap (“tabella di marcia”) per i diritti delle donne, che sarà presentata il prossimo 8 marzo e che farà parte della Lettera di missione alla commissaria per l’Uguaglianza Hadja Lahbib.
Il Comitato delle Donne dell’EDF ha accolto con favore l’iniziativa, perché, «considerata la situazione dei diritti delle donne in Europa, sembra che non stiamo andando da nessuna parte, quindi abbiamo bisogno di una Roadmap e se quest’ultima deve condurci a un futuro inclusivo, noi dovremmo esserci».

In occasione di un incontro svoltosi il 21 e 22 febbraio scorsi, lo stesso Comitato delle Donne dell’EDF ha chiesto dunque alla citata commissaria europea per l’Uguaglianza Lahbib e ai servizi competenti della Commissione Europea di garantire che la Roadmap includa esplicitamente le donne con disabilità e nello specifico ha chiesto azioni immediate per promuovere i diritti delle donne con disabilità, quali, ad esempio:
°Proporre azioni per vietare e porre fine alla sterilizzazione forzata delle donne con disabilità e per garantire un recepimento e un’attuazione “ambiziosi” della Direttiva Europea sulla lotta alla violenza contro le donne del 2024 e della Convenzione di Istanbul (la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica).
°Stabilire azioni concrete e mirate per ridurre il livello di povertà in cui versano le donne con disabilità, anche attraverso misure per la parità di occupazione e retribuzione e garantendo che l’importo delle indennità legate alla condizione di disabilità ricevute dalle donne e dalle ragazze con disabilità venga mantenuto indipendentemente dalla situazione occupazionale o dalle risorse finanziarie dei loro partner e delle loro famiglie.
°Garantire il finanziamento di organizzazioni e progetti che sostengono l’emancipazione, la leadership e i diritti delle donne e delle ragazze con disabilità.
°Assicurare un’inclusione e una leadership significative nei processi decisionali a livello locale, nazionale ed europeo, anche potenziando le misure di accessibilità per la partecipazione delle donne e delle ragazze con disabilità a tutte le questioni e investendo appunto sulla loro leadership.
°Garantire una maggiore visibilità e consapevolezza di e per le donne e le ragazze con disabilità: i loro diritti, infatti, dovrebbero essere integrati e visibili nel lavoro dell’Unione Europea e in tutta Europa.

«È essenziale – concludono dal Forum – che le esigenze e le richieste delle donne con disabilità siano integrate nell’elaborazione delle politiche dell’Unione Europea e la Roadmap proposta è uno strumento essenziale per garantirlo. Le donne con disabilità, infatti, non possono più essere lasciate indietro e attraverso questa dichiarazione, desideriamo far sentire la nostra voce! Ci aspettiamo quindi di essere visibili nella Roadmap dell’Unione Europea sui diritti delle donne! Perché il nostro coinvolgimento è essenziale per garantire politiche efficaci seguendo il motto del nostro movimento: Niente su di Noi senza di Noi». (Simona Lancioni)

Per ulteriori informazioni: Ufficio Comunicazione dell’EDF (André Felix), andre.felix@edf-feph.org (scrivere in inglese).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con alcune modifiche dovute al diverso contenitore – per gentile concessione.

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L’accessibilità non è un lusso: decostruire l’abilismo nei nostri spazi

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Una denuncia lucida e impietosa di come l’abilismo sia inscritto nella progettazione degli spazi e delle strutture sociali, il tutto lontano da un’idea rassicurante che l’accessibilità sia solo una questione tecnica: il libro di Ilaria Crippi “Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo” smaschera le giustificazioni che rendono l’esclusione delle persone con disabilità un fatto accettabile e normalizzato

Una denuncia lucida e impietosa di come l’abilismo sia inscritto nella progettazione degli spazi e delle strutture sociali. Lontano da un’idea rassicurante che l’accessibilità sia solo una questione tecnica, Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo (Tamu Edizioni, 2024) di Ilaria Crippi è uno di quei libri capaci di smascherare le giustificazioni che rendono l’esclusione delle persone con disabilità un fatto accettabile e normalizzato [se ne legga già anche sulle nostre pagine, a questo e a questo link, N.d.R.]. Crippi ci costringe a interrogarci su chi abbia il diritto di attraversare liberamente gli spazi e su chi invece venga sistematicamente escluso, mettendo in discussione le priorità e i compromessi che la nostra società accetta senza troppi scandali.

Nata a Ferrara, classe 1988, Ilaria Crippi è un’attivista con disabilità che da anni e con grande energia si occupa di accessibilità, diritti delle persone con disabilità e giustizia sociale. Con una formazione come disability manager e progettista sociale, ha approfondito i Disability Studies e la ricerca emancipatoria, intrecciando prospettive sociologiche e giuridiche. Attraverso il suo lavoro, integra le tematiche legate alla disabilità con quelle del genere e dell’orientamento sessuale, offrendo una visione intersezionale che arricchisce il dibattito sull’inclusione. Questo suo bel saggio rappresenta una riflessione acuta sulla natura culturale e politica dell’accessibilità, sfidando l’idea comune che essa riguardi solo l’eliminazione di barriere fisiche o architettoniche e non piuttosto una più ampia struttura culturale che privilegia i corpi considerati “abili”. Gli spazi infatti, secondo l’autrice, non sono neutri: sono costruiti per corpi normativi, escludendo e marginalizzando chi si discosta da questa norma. La sua analisi si sofferma sulle radici culturali dell’abilismo, mostrando come la progettazione degli spazi, delle relazioni sociali e delle pratiche quotidiane perpetui discriminazioni sottili ma pervasive.
Le chiedo quali siano a suo avviso le barriere culturali più difficili da superare quando si parla di accessibilità. «Il problema di fondo – mi risponde – è che l’esclusione delle persone con disabilità è normalizzata. Significa che non genera scandalo pensare che esse abbiano un accesso limitato all’ambiente: la consideriamo una naturale conseguenza dell’avere un corpo-mente lontano dagli standard di normalità. E invece in molti casi l’esclusione deriva da barriere nell’ambiente che potrebbero essere rimosse».
«Quando si segnala un problema di accessibilità – prosegue – la risposta immediata non è una ricerca di soluzioni, ma piuttosto una giustificazione dell’esistente: la barriera c’è perché è troppo costoso rimuoverla, perché quel palazzo è antico, perché non ci sono abbastanza persone con disabilità da giustificare il cambiamento. Questi discorsi ci ingannano, fanno apparire l’esclusione come inevitabile e razionale, nascondendo quanto invece derivi da precise scelte e priorità che diamo per scontate. Ad esempio diamo per scontato che i costi legati all’accessibilità siano un di più da sostenere se e quando è possibile; non li vediamo come una parte del costo standard, ineliminabile e da prevedere quando si decide di utilizzare un certo edificio o di realizzare un evento».

Domando poi a Crippi quali responsabilità, a suo avviso, dovrebbero assumersi le Istituzioni e i professionisti della progettazione per garantire un reale cambiamento. «Il punto centrale – mi risponde subito – è smettere di vedere l’inaccessibilità come qualcosa di tollerabile. Ad oggi, l’accessibilità sembra sempre sacrificabile… ed è, infatti, sacrificata in caso di conflitti con altre priorità, siano esse tecniche, estetiche, politiche. Di conseguenza, oggi un progettista che non tiene conto dell’accessibilità non viene visto come uno che ha fatto qualcosa di estremamente grave, di inaccettabile per la sua professione. Dobbiamo iniziare a pensare che creare barriere è come progettare un ponte che poi crolla, e mettere a punto tutti i passaggi della filiera, per impedire o almeno limitare al massimo la possibilità di errori: formazione obbligatoria dei progettisti, presenza di esperti di accessibilità in ogni comune e raccordo costante con le associazioni, organismi di controllo e sanzioni applicate su chi progetta ed esegue lavori in modo errato».

«Un’altra questione chiave – sottolinea ancora – è mettersi d’accordo su cosa intendiamo per accessibilità. La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità chiarisce che l’accesso deve essere garantito «su base di eguaglianza con gli altri»: questo è un cambio di approccio rispetto alle norme sull’accessibilità abitualmente tenute come riferimento dai progettisti. Il punto non è offrire alle persone con disabilità un angolino dove possono arrivare, possibilmente senza disturbare troppo, ma garantire loro un’esperienza di pari qualità: senza complicazioni aggiuntive per ottenere un posto a un concerto, senza attese sotto la pioggia finché non si trova la rampa mobile, senza dover chiedere aiuto ad altri per comprare un biglietto del treno, perché la app non è accessibile. Accessibilità non è “farci arrivare lì in qualche modo purché sia”, ma farci avere un’esperienza altrettanto facile, snella e piacevole di quella degli altri, almeno per ciò che dipende dalle caratteristiche ambientali».

Provando per un istante a immaginare una società pienamente accessibile, chiedo a Crippi quali cambiamenti concreti auspicherebbe. «In una società pienamente inclusiva – dice -, l’accessibilità non sarebbe un’aggiunta facoltativa, ma un principio di base della progettazione di spazi e servizi. Non sarebbe accettabile svolgere un’attività aperta al pubblico in un posto non accessibile, così come non sarebbe accettabile aprire un ristorante o un museo in un edificio senza il tetto o l’elettricità. Studiare l’accessibilità sarebbe obbligatorio per architetti e ingegneri, ma anche per web-designer, programmatori, organizzatori di eventi, personale sanitario eccetera. E soprattutto, le persone con disabilità non verrebbero più viste come “eccezioni” da gestire tramite soluzioni speciali, ma come soggetti che potrebbero attraversare uno spazio al pari di chiunque altro. Come persone saremmo, insomma, previste».

Ilaria Crippi, tuttavia, ci invita a ripensare non solo le strutture fisiche, ma anche i modelli culturali che definiscono chi è incluso e chi no. Un aspetto cruciale del libro, infatti, è l’approccio intersezionale, con cui esplora come la discriminazione per disabilità si intrecci con altre forme di oppressione, come quelle basate sul genere e sull’orientamento sessuale. L’Autrice analizza come questi intrecci possano amplificare le difficoltà, ma anche offrire una prospettiva unica e creativa per immaginare spazi più inclusivi e pratiche più giuste. Si tratta di un approccio che rende il libro non solo una denuncia delle disuguaglianze esistenti, ma anche una proposta di trasformazione culturale profonda.
Il saggio si rivolge a un pubblico ampio: professionisti come architetti, designer e progettisti, ma anche attivisti, persone con disabilità e chiunque sia impegnato nel campo della giustizia sociale. Crippi vi utilizza un linguaggio diretto e coinvolgente, capace di alternare analisi teoriche a esempi concreti, rendendo il testo accessibile e stimolante anche per chi si avvicina a questi temi per la prima volta. La sua narrazione non si limita soltanto a denunciare l’abilismo, ma propone strumenti critici per riconoscerlo e superarlo, invitando a immaginare un mondo in cui gli spazi siano pensati per tutti, senza gerarchie implicite tra i corpi.
Lo spazio non è neutro è quindi un’opera importante che spinge a riconsiderare le fondamenta culturali della nostra società, evidenziando quanto sia necessario un cambiamento radicale per costruire una realtà veramente inclusiva.

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La Fondazione Telethon in prima linea per lo sviluppo di nuove cure

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Solo per il 5% delle oltre 7.000 Malattie Rare oggi conosciute è disponibile una terapia. Oltre 10 i progetti terapeutici che compongono la linea di sviluppo della Fondazione Telethon che, in occasione della recente Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio, ha voluto ricordare il proprio impegno nel cercare di trovare nuove cure grazie alla ricerca “More than you can imagine”, ovvero “Più di quanto tu possa immaginare”: è stato questo il messaggio lanciato a livello internazionale, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare 2025

Trovare nuove cure per le malattie genetiche rare grazie alla ricerca scientifica è l’impegno quotidiano della Fondazione Telethon, che in occasione della recente Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio (Rare Disease Day) ha fatto il punto sui suoi principali progetti terapeutici portati avanti.
Come sottolinea UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, ad oggi esiste una terapia solo per il 5% delle oltre 7.000 patologie rare conosciute e la ricerca scientifica rappresenta lo strumento principale per far aumentare le opportunità di cura. «Il nostro impegno è da sempre rivolto a trasformare la ricerca, realizzata grazie alle donazioni, in soluzioni effettivamente disponibili ai pazienti. Oggi il nostro contributo all’obiettivo comune di allargare l’accesso alla cura per questa comunità è concreto; una filiera che dalla ricerca di base arriva sino alla produzione e distribuzione di terapie»: lo ha dichiarato Ilaria Villa, direttore generale della Fondazione Telethon.

La stessa Fondazione Telethon è infatti da molti anni impegnata a trasformare in terapie fruibili i risultati della ricerca, in particolare quella condotta nei propri centri: l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-TIGET) di Milano e l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli.
«Ne è un esempio concreto – viene sottolineato – la prima terapia genica ex vivo approvata al mondo, quella per la rara immunodeficienza genetica ADA-SCID, frutto della ricerca dell’SR-TIGET di Milano. Di questa terapia, dal 2023, la nostra Fondazione è anche responsabile per la produzione e la distribuzione, posizionandosi come la prima charity al mondo ad essersi assunta l’impegno di garantire concretamente l’accesso ai pazienti. La stessa determinazione caratterizza il percorso anche di un’altra rara malattia genetica del sistema immunitario, la sindrome di Wiskott-Aldrich, per la quale l’SR-TIGET ha messo a punto una terapia genica: in questo caso ci siamo fatti carico anche del percorso regolatorio per portare il farmaco all’approvazione, sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti».
Sono questi due esempi che fanno parte della visione più ampia della Fondazione: sviluppare cioè una linea (pipeline) di prodotti, includendo diverse strategie terapeutiche, dalla terapia genica all’editing genetico, fino al riposizionamento di farmaci già disponibili per indicazioni attualmente orfane.
Quella pipeline comprende terapie già approvate e disponibili, come quella già citata per l’ADA-SCID e quella per la leucodistrofia metacromatica, gravissima malattia metabolica che colpisce il sistema nervoso già nell’infanzia: in questo caso, grazie a una partnership tra la Fondazione e l’Ospedale San Raffaele con un’azienda farmaceutica, questa terapia è arrivata sul mercato sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti. Ma poiché essa è efficace se somministrata prima dell’esordio della malattia, è fondamentale che quanto prima venga esteso a tutti i neonati lo screening neonatale, che al momento attuale, in Italia, è disponibile soltanto in Toscana e in Lombardia grazie a due studi pilota.

Sempre grazie all’alleanza con partner esterni, è anche in corso la sperimentazione di due terapie geniche messe a punto dai ricercatori del TIGEM e dell’SR-TIGET, rispettivamente per una rara forma di cecità associata a sordità, la sindrome di Usher 1B, e la mucopolisaccaridosi di tipo 1H, grave malattia metabolica che colpisce diversi organi.
La Fondazione, infine, è in procinto di avviare studi clinici per valutare nei pazienti nuove strategie terapeutiche messe a punto dai ricercatori dei propri istituti, tra cui una terapia genica per una rara forma di osteopetrosi e un approccio terapeutico basato sull’editing genetico per una rara immunodeficienza, la sindrome da iper IgM. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Chiara Longhi (chiara.longhi@havaspr.com).

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L’accessibilità, l’inclusione e il futuro del turismo nel Veneto

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Avrà un focus su accessibilità, inclusione e sviluppo sostenibile l’evento dedicato al futuro del turismo veneto, in programma il prossimo 11 marzo, a Bibione (Venezia), promosso da Village for all (V4A®) la rete specializzata in ospitalità accessibile Uno scorcio del litorale di Bibione

Avrà un focus su accessibilità, inclusione e sviluppo sostenibile l’evento dedicato al futuro del turismo veneto, in programma il prossimo 11 marzo, alle 10, a Bibione (Venezia), presso la Sala Convegni della Delegazione Comunale (Via Maja, 84). Ricordiamo che la nota località balneare veneta ha già aderito al progetto di Village for all (V4A®), la rete specializzata in ospitalità accessibile, realizza ogni anno per illustrare tutta l’offerta e le esperienze della località.
Accessibilità, Inclusione e Demografia: 3 anni di innovazione per il turismo veneto è il titolo dell’evento dedicato a professionisti, imprese, amministratori e cittadini, per illustrare i dati dell’indagine economica svolta su oltre 100 aziende dell’ospitalità della costa veneta e riflettere insieme sui risultati di tre anni di progetti.
«Un’occasione importante per capire come rispondere ai nuovi trend di sviluppo turistico e sociale, assicurando un futuro inclusivo e competitivo a tutto il territorio e dando vita alla costa italiana accessibile più lunga e inclusiva d’Europa», affermano gli organizzatori. (C.C.)

Incontro aperto al pubblico con ingresso libero. Qui la locandina. Per ulteriori informazioni: Village4All (stampa@villageforall.net).

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Special Olympics: ancora pochi giorni al grande evento italiano di sport e inclusione

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Dall’8 al 15 marzo il Piemonte accoglierà 1.500 atleti e atlete con e senza disabilità intellettive, per i Giochi Mondiali Invernali di Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato appunto da persone con disabilità intellettive. Su questo grande evento di sport e inclusione, ma anche su altri temi, proponiamo un’intervista con Alessandro Palazzotti, fondatore e vicepresidente vicario di Special Olympics Italia

Ultimi giorni di vigilia per i Giochi Mondiali Invernali di Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettive, in programma dall’8 al 15 marzo a Torino, che vedranno il nostro Paese accogliere 1.500 atleti/atlete con e senza disabilità intellettive, in rappresentanza di 101 delegazioni provenienti da 100 Paesi di tutti i continenti e pronti a gareggiare in quattro località piemontesi e in otto discipline (sci alpino, sci nordico, danza sportiva, pattinaggio artistico, floorball, snowboard, racchette da neve e short track). Più di 1.000, inoltre, saranno i coach e i delegati, 2.000 i volontari, 2.000 i membri dell’Area Famiglie, 1.300 gli ospiti d’onore, 100 i Giovani Leader, oltre 500 media accreditati e migliaia di spettatori attesi sugli spalti e negli impianti di gioco.
Su questo grande evento di sport e inclusione, l’Ufficio Comunicazione di Special Olympics Italia ci propone un’intervista con Alessandro Palazzotti, fondatore e vicepresidente vicario della stessa Special Olympics Italia, cui ben volentieri diamo spazio qui di seguito.

«Eravamo in un bar di Bardonecchia con i sindaci impegnati nell’organizzazione dei Giochi Nazionali di Special Olympics del 2019 – ricorda Alessandro Palazzotti – e presi dall’entusiasmo della Cerimonia di Apertura appena conclusa, si cominciò a parlare della possibilità di portare sulla neve piemontese un grande evento internazionale. Dietro la battuta c’era una grande speranza e la consapevolezza di potercela fare, unendo le forze».
La voce del “papà di Special Olympics Italia” è piena di soddisfazione, perché in queste ore tutte le strade dell’inclusione portano ai Giochi Mondiali Invernali Special Olympics di Torino 2025. Delegazioni di cento Paesi di tutto il mondo stanno raggiungendo il Piemonte per vivere l’evento sportivo inclusivo più importante dell’anno. Ma se tutto questo si sta per concretizzare, è grazie alla capacità di dare forma a quello che inizialmente poteva sembrare solo un sogno.
«Sapendo quanto sia difficile e complessa l’organizzazione di una manifestazione mondiale – sottolinea Palazzotti – inizialmente ero scettico sull’effettiva possibilità che l’Italia si imbarcasse in questa avventura. Ma quegli amministratori facevano sul serio. Mi hanno incoraggiato. Volevano provarci. Il CONI con Giovanni Malagò, il Comune di Torino con l’allora sindaco Chiara Appendino, la Regione con Alberto Cirio, hanno creato i presupposti per la nostra candidatura, una proposta che puntava forte su due fattori: i giovani e l’ambiente. Special Olympics International ha subito visto con favore il nostro progetto. Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto i conti con tre cadute di governi e con lo sforzo di dover ricominciare a portarlo all’attenzione dei vertici dello Stato. L’arrivo del ministro dello Sport e i Giovani Andrea Abodi, già membro del Consiglio di Special Olympics Italia, ci ha permesso di sensibilizzare ancor più il Governo a sostenere l’impegno nel creare le condizioni per organizzare Torino 2025, anche grazie alla sensibilità della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli»

Alessandro Palazzotti, per chi conosce Special Olympics, è semplicemente “il Prof”. Ed è nel mondo della scuola che affondano le radici del cambiamento…
«Quando ero un insegnante di educazione fisica, gli studenti con disabilità erano esonerati obbligatoriamente dalle lezioni. Si pensava che l’attività sportiva non fosse adatta a loro. Oggi viene riconosciuta come un diritto di tutti dall’articolo 33 della Costituzione, che ne afferma in un nuovo comma il valore educativo, sociale e di promozione del benessere.
Ho accompagnato con tutto il mio impegno questo cambiamento, anche con la creazione della FISHa, Federazione Italiana Sport Handicappati, poi Federdisabili, attualmente CIP (Comitato Italiano Paralimpico). Organizzare i Giochi Mondiali rappresenta un’enorme opportunità per l’Italia, per continuare a ispirare questo cambio di prospettiva, affinché la legge si trasformi in azioni concrete, opportunità di espressione e di crescita per tutti. E questo può e deve coinvolgere persone di buona volontà in tutto il mondo».

Alessandro Palazzotti, il “papà di Special Olympics Italia”

L’attenzione per tutti è una delle vocazioni di Special Olympics e Torino 2025 ne sarà testimone.
«È vero, Special Olympics dedica un programma sportivo pensato per atleti con disabilità intellettive gravi e con elevati bisogni di supporto. È uno degli appuntamenti a cui tengo di più ai Giochi [dimostrazione di “Adapted Skiing” il 10 marzo a Bardonecchia ed evento dimostrativo al Pala Asti di Torino l’11 marzo, N.d.R.] perché dà il senso vero dell’attività svolta dal nostro movimento. Ognuno vive lo sport come una sfida con se stesso e il compagno o l’avversario sono un sostegno per puntare a una crescita personale.
Altro tema di rilievo è che il floorball e la danza sportiva si svolgeranno in modalità unificata per atleti con e senza disabilità intellettive. Così come la quasi totalità degli sport di squadra estivi».

L’eredità principale dei Giochi, quindi, sarà la condivisione di un forte messaggio inclusivo?
«La Community Run che in tutte le Regioni ha celebrato l’accensione della Fiamma che illuminerà il tripode nel corso della Cerimonia di Apertura ce l’ha insegnato. Bisogna vivere il messaggio rivoluzionario dei Giochi Mondiali in ogni territorio, anche laddove non ci sono ancora Atleti coinvolti. L’Italia ha partecipato in ogni sua Regione alla festa dell’arrivo della torcia olimpica. Accoglierla significa vivere i princìpi che animano Special Olympics, per offrire maggiori opportunità ovunque, a tutti e tutte. Si tratta di un messaggio semplice da diffondere, ma ci troviamo di fronte ancora a tanti pregiudizi, figli della paura e della non conoscenza. Siamo portati a vedere ancora lo sport quasi esclusivamente come espressione agonistica, ma se ci limitiamo a cercare solo il più forte, ci perdiamo i valori più sani, che sono un diritto di tutti».

Anche il mondo della politica potrebbe e dovrebbe prendere spunto dagli Atleti Special Olympics?
«La fretta o gli interessi particolari spesso possono distogliere l’attenzione dalle cose che contano. Se il mondo della politica mi chiedesse come poter accelerare il cambiamento della nostra società perché sia più attenta ai diritti delle persone con disabilità intellettive, proporrei di parlare direttamente con i nostri Atleti, che con la loro semplicità indicherebbero le priorità, i bisogni, la loro voglia di felicità che passa attraverso le opportunità».

Per ulteriori informazioni: Ufficio Comunicazione Special Olympics Italia (Giampiero Casale), stampa@specialolympics.it.

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Lorenzo e Nicolas, vittime civili della guerra

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Lorenzo Bernard, che ha inaugurato il medagliere italiano alle Paralimpiadi di Parigi dello scorso anno, e l’amico Nicolas Marzolino, recentemente insignito dal Presidente della Repubblica del titolo di Cavaliere, sono due vittime civili della seconda guerra mondiale e questa è la loro storia Lorenzo Bernard (a sinistra) e Nicolas Marzolino alle Paralimpiadi di Parigi 2024

«Quando penso alla guerra provo rabbia, per tutte le persone che perdono la vista. Vengono mutilate. Muoiono»: a dirlo è il canottiere e paraciclista piemontese Lorenzo Bernard, classe 1997, che nell’estate dello scorso anno a Parigi ha aperto il medagliere paralimpico italiano con la medaglia di bronzo nell’inseguimento individuale 4.000 metri. La medaglia numero 600 per l’Italia, da quando, nel 1960, andarono in scena a Roma i primi Giochi Paralimpici. Un bronzo prezioso, che però non può non portare alla mente altri metalli, altre schegge. Come quelle che vengono usate per rendere granate e bombe ancora più letali. Lorenzo Bernard, infatti, non è nato cieco né lo è diventato a causa di una malattia. Ma è una vittima civile della seconda guerra mondiale che – seppur finita ottant’anni fa – continua a reclamare il suo tributo in termini di vite e sangue.
«Era un sabato pomeriggio del marzo 2013 – racconta – e, assieme a due amici, stavamo preparando un campo vicino a casa, in Val di Susa, per piantare le patate». Bernard, allora quindicenne, era con gli amici Nicolas Marzolino e Stefano, suoi coetanei. Marzolino dice: «Volevamo mettere in pratica le conoscenze apprese all’Istituto Agrario per poi rivendere le patate alla fiera del paese. L’idea era di usare il ricavato per comprare il motorino». A un certo punto, la zappa ha cozzato contro qualcosa di rosso. «Ho preso in mano lo strano oggetto per capire cosa fosse e in pochi secondi quello è esploso, accecandomi e portandomi via una mano». Bernard, che gli era accanto, ha perso la vista. Stefano, che si trovava più indietro, ha riportato ferite superficiali. Solo più tardi, i tre adolescenti avrebbero capito che si trattava di un ordigno risalente alla seconda guerra mondiale.
«I mesi successivi – continua Bernard – furono difficili. Dentro e fuori dagli ospedali, con tante operazioni da affrontare. Io e Nicolas, però, eravamo sempre insieme. Ci facevamo forza a vicenda e potevamo contare sulle nostre famiglie e su un gruppo di amici che ci hanno sempre trattato con normalità, aiutandoci a credere che si potesse andare avanti anche così».
Il padre di Marzolino propone di tornare a fare sport. «Ci ha messi sugli sci, facendoci scoprire il mondo dello sport paralimpico. Vedere la felicità di quegli atleti ci ha dato una grande carica».

Negli anni, Bernard ha praticato diverse discipline, lo sci alpino, l’atletica leggera, con il lancio del disco, del peso e i 100 metri. E poi il canottaggio. Lì, capisce di avere i numeri per partecipare alle Paralimpiadi e – dando tutto se stesso – ci riesce.
Nel 2019, partecipa alla Quattro con mix (due ragazze, due ragazzi con timoniere) ai Mondiali in Austria e si qualifica per le Paralimpiadi di Tokyo. Poi arriva il Covid. «Parlando con altri atleti, possiamo dire di aver vissuto quella Paralimpiade in Giappone in bianco e nero. La pandemia e la conseguente necessità di stare chiusi dentro il villaggio, di non poter contare sul calore del pubblico hanno sbiadito lo spirito olimpico». Torna a casa con un quinto posto e l’obiettivo di andare a medaglia in occasione dei successivi giochi a cinque cerchi.
Nel frattempo, si appassiona al ciclismo e intraprende una nuova avventura in tandem, con la guida Davide Plebani. «Ci siamo conosciuti a un ritiro nazionale e abbiamo instaurato in un tempo breve un rapporto quasi fraterno». Ed ecco che, insieme, nel marzo 2024, arrivano le prime medaglie mondiali e la convocazione a Parigi.
«Questa volta lo spirito olimpico si percepiva eccome e, sugli spalti, c’era tutta la mia famiglia e anche il mio amico Nicolas a sostenermi. Aprire il medagliere per l’Italia con la 4.000 di inseguimento su pista è stata per me e Davide una grande emozione. E, una volta tornato in Val di Susa, ho trovato ad aspettarmi davanti a casa tutto il paese, che aveva organizzato una festa a sorpresa».

Ora, il campione punta a Los Angeles 2028 e, nel frattempo, si allena per gli imminenti Mondiali su Pista, in questo mese di marzo, e per quelli su strada nel prossimo mese di settembre. Senza trascurare l’impegno con l’ANVCG (Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra), di cui sia lui che Marzolino sono parte attiva. Quest’ultimo – che nel frattempo ha intrapreso una carriera nella massofisioterapia e si sta specializzando in osteopatia – ricopre la carica di consigliere e presidente della Sezione Valle d’Aosta e Piemonte dell’Associazione e proprio nei giorni scorsi è stato insignito dal presidente ella Repubblica Mattarella del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica”, per il suo impegno di sensibilizzazione con l’ANVCG stessa.
«Il nostro incidente – spiegano i due – sembra assurdo. E invece non è un caso isolato. Solo l’anno scorso, in Italia, cinque persone sono morte e otto sono rimaste ferite a causa di ordigni risalenti al primo o al secondo conflitto mondiale».
I due portano spesso la loro testimonianza nelle scuole e invitano i giovani a far propri i valori della pace e dello sport, come la cooperazione, il concetto dell’aiutare e del farsi aiutare e il rispetto reciproco. «Noi – concludono – abbiamo vissuto parte della guerra sulla nostra pelle. Eppure, nella tragedia, siamo stati fortunati. Abbiamo potuto essere curati, ci siamo ricostruiti una vita. Ma cosa sarebbe successo se dopo l’incidente fossimo stati operati senza anestesia? E, una volta dimessi, non avessimo più avuto una casa o una famiglia a cui tornare, perché entrambe erano state distrutte da un bombardamento, come succede ai tanti civili vittime dei conflitti oggi aperti nel mondo?».

*Il presente contributo è già apparso nella testata «Oltre gli Ostacoli” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Autonomia delle persone con disabilità: se ne parlerà a Oderzo

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“Autonomia delle persone con disabilità”: questo il titolo di un incontro in programma per il 7 marzo a Oderzo (Treviso), allo scopo, come viene spiegato, di «accendere un faro su un tema che interessa moltissime famiglie e volontari, nonché gli operatori del servizio sanitario sia pubblico che privato, perché la disabilità non ha età ed è indispensabile quindi parlarne in maniera trasversale affinché ogni aspetto abbia la giusta importanza»

Autonomia delle persone con disabilità: questo il titolo dell’incontro in programma per la serata del 7 marzo a Oderzo, in provincia di Treviso (Palazzo Foscolo, Via Garibaldi, 65, ore 20.15), voluto dalla deputata Marina Marchetto Aliprandi, che lo introdurrà e lo modererà, allo scopo, come viene spiegato, di «accendere un faro su un tema che interessa moltissime famiglie e volontari, nonché gli operatori del servizio sanitario sia pubblico che privato, perché la disabilità non ha età ed è indispensabile quindi parlarne in maniera trasversale affinché ogni aspetto abbia la giusta importanza. Riportare la “persona” al centro del dibattito sociale e politico passa infatti anche attraverso contesti come questo, ampliando la platea di interlocutori e creando le migliori condizioni di discussione per un più ampio e importante lavoro di sensibilizzazione di cui ognuno di noi, istituzioni, politici, membri della società civile, del terzo settore, deve farsi promotore».

Parteciperanno all’incontro Francesco Benazzi, direttore generale dell’ULSS 2 Marca Trevigiana, cui saranno affidate le conclusioni; Rodolfo Dalla Mora, presidente della SIDIMA (Società Italiana Disability Manager) e dell’AIDIMA (Associazione Italiana Disability Manager), che presenterà tra l’altro il proprio libro Equazione delle 4 A – Autonomia; Mauro Vettorello, presidente dell’Associazione Oltre l’indifferenza (Vivere insieme, crescere autonomi); Mara Ovelli, presidente dell’Associazione I Bambini della Casa del Sorriso (Autonomia nell’età evolutiva del bambino); Daniele Furlan, presidente dell’associazione Il Melograno (Disabilità e parità di condizione); Barbara Turcolin, presidente dell’Associazione Culturale Zona Franca (La valorizzazione dell’unicità della persona); Alan Semenzin, tecnico titolare della Judo Opitergium (Inclusione sportiva: un valore per tutti, una necessità per alcuni). (S.B.)

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Un ambulatorio ginecologico rivolto a donne con disabilità al Gemelli di Roma

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È stato inaugurato il 3 marzo scorso, in corrispondenza non casuale con il sedicesimo anniversario della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, un ambulatorio ginecologico rivolto a donne con disabilità, presso il Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma, con l’obiettivo di «garantire a tutte le donne il diritto alla prevenzione, eliminando qualsiasi forma di discriminazione» I partecipanti all’incontro inaugurale dell’ambulatorio ginecologico

È stato inaugurato il 3 marzo scorso, in corrispondenza non casuale con il sedicesimo anniversario della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge 18/09), un ambulatorio ginecologico rivolto a donne con disabilità, presso il Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma (esattamente al nono piano, ala O della struttura).

A introdurre l’incontro promosso per l’occasione è stato Daniele Franco, presidente della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS, cui è seguito l’intervento del direttore generale della Fondazione stessa Marco Elefanti. «In questa giornata il primo pensiero va al compianto professor Giovanni Scambia, scomparso il 20 febbraio scorso, che anche oggi ricordiamo e ringraziamo e che ha fatto crescere la Ginecologia e Ostetricia del Gemelli, rendendola un’eccellenza internazionale. Il nostro ospedale è un classico tipo di Women Hospital che ha molto investito nella medicina di genere in tutti i settori e non solo in quello ginecologico, dall’assistenza specialistica avanzata alla ricerca; anche grazie alla lungimiranza del professor Scambia e del professor Eugenio Mercuri abbiamo realizzato questo nuovo servizio che va incontro ai bisogni di cura delle donne con disabilità e alle loro famiglie».
«L’iniziativa di oggi – ha sottolineato dal canto suo la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, presente all’incontro – non è semplicemente l’inaugurazione di uno spazio per la prevenzione e la salute delle donne con disabilità, ma il segno di un’attenzione che insieme dobbiamo promuovere con sempre più coraggio a tutti i livelli. Ringrazio davvero di cuore il Gemelli e tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile questo nuovo servizio».
L’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, monsignor Claudio Giuliodori, ha quindi affermato che «un ospedale come il nostro che nasce al servizio di tutti i malati non poteva non maturare questa sensibilità che costituisce un rafforzamento con la realtà sociale. Al Gemelli operano quaranta Associazioni che sono l’anima dei reparti, perché la relazione umana è parte integrante della cura».
«L’ambulatorio ginecologico per donne con disabilità – ha sottolineato Eugenio Mercuri, direttore del Dipartimento Scienze della Salute della Donna, del Bambino e di Sanità Pubblica della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS, nonché ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università Cattolica del Sacro Cuore – è concepito per garantire a tutte le donne il diritto alla prevenzione, eliminando qualsiasi forma di discriminazione. Il servizio risponde alle specifiche esigenze delle persone che convivono con patologie complesse grazie ad un approccio multidisciplinare, a un servizio personalizzato e inclusivo a beneficio di centinaia di donne che convivono con una patologia complessa».
«Nella vita di una donna – ha dichiarato infine Antonia Testa, direttrice della Ginecologia Ambulatoriale e Preventiva al Gemelli, associata di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica – è importante avere un luogo in cui poter confidare, affrontare, gestire quella parte più raccolta, intima e personale che è quella ginecologica. Un luogo dove si possano offrire servizi su misura, adatti alle necessità delle donne con disabilità. Un luogo che, da oggi, è una realtà tangibile all’interno del nostro Policlinico».

All’incontro, moderato dalla giornalista e conduttrice RAI Benedetta Rinaldi, hanno portato la loro testimonianza anche Sonia Del Vecchio, giovane donna con la SMA (atrofia muscolare spinale) e Silvia Cutrera, coordinatrice del Gruppo Donne della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), alla presenza anche di specialisti, realtà associative e aziende impegnate nel campo della salute della donna e delle patologie complesse. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ginecologiaambulatoriale@policlinicogemelli.it.

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Positivo incontro tra la FISH Sardegna e CTM, che gestisce il trasporto pubblico a Cagliari e dintorni

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Nel corso di un positivo incontro tra la Federazione FISH Sardegna e la Società CTM, che gestisce il trasporto pubblico operante a Cagliari e nei paesi limitrofi, si sono affrontati numerosi temi che influenzano l’esperienza di viaggio vissuta principalmente dalle persone in situazione di svantaggio per la propria mobilità, ridotta per ragioni motorie, sensoriali e/o psichiche Il servizio “Amicobus” di Cagliari

Si è tenuto nei giorni scorsi un incontro tra la FISH Sardegna (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e la Società CTM, che gestisce il trasporto pubblico operante a Cagliari e nei paesi limitrofi, attraverso un servizio di linea dedicato a tutti e uno porta a porta, destinato a quella fascia di popolazione che può beneficiare dell’Amicobus.
All’incontro hanno partecipato i vertici della Società, con i quali la FISH Sardegna ha affrontato svariati temi che influenzano l’esperienza di viaggio vissuta principalmente dalle persone in situazione di svantaggio per la propria mobilità, ridotta per ragioni motorie, sensoriali e/o psichiche.

Si è trattato di un momento di confronto che ha consentito di apprezzare come CTM operi con attenzione e rispetto sui temi cari alla FISH, mettendo in evidenza come il proprio operato sia pianificato e condizionato anche dalle informazioni raccolte attraverso le testimonianze dirette dall’utenza, cercando di progredire verso un modello di eccellenza che adotti le soluzioni ideali per colmare ogni aspetto suscettibile di miglioramento.
L’appuntamento, va detto, è stato voluto per cercare di dare un riscontro alle molteplici richieste arrivate dagli iscritti alle Associazioni federate alla FISH sarda, che hanno prodotto una serie di osservazioni rispetto alle singole esperienze vissute nell’utilizzo dei mezzi di trasporto di CTM.
Su alcune segnalazioni presentate, la Società ha informato di avervi già posto rimedio, attraverso un’attività svolta autonomamente con gli altri Enti coinvolti, adottando una soluzione che permetterà di usufruire in maniere più capillare ed efficiente dell’Amicobus, e di rispondere alla crescente richiesta degli utenti che a tale servizio fanno affidamento per le proprie esigenze di mobilità.
Quest’ultimo, va ricordato, è nato quasi vent’anni fa per rispondere appunto alle particolari esigenze di trasporto delle persone con disabilità e si è consolidato nel tempo come una soluzione alla quale molte persone non possono rinunciare, che ha visto crescere il numero di chi vi ricorre perché in grado di rispondere a molte delle necessità richieste dalle varie forme di disabilità.

Su altre segnalazioni, invece, riferite ad aspetti generali, CTM ha sottolineato di esserne già a conoscenza di lavorare per porvi rimedio, con la consapevolezza di come alcune situazioni producano uno svantaggio ulteriore alle persone con disabilità.
Sulle segnalazioni residue, infine, i rappresentanti della Società ne hanno preso atto, manifestando chiaramente come ci sia la volontà e l’attitudine a integrare il servizio con tecnologie all’avanguardia, in grado di rispondere efficacemente e rapidamente a dei bisogni particolari.

A conclusione dell’incontro, Giuseppe Martini, membro del Consiglio Direttivo Regionale della FISH Sardegna e presidente dell’Associazione RP Sardegna, delegato a partecipare da Pierangelo Cappai, presidente della Federazione sarda, ha dichiarato: «L’incontro è andato oltre le mie aspettative. Ho trovato persone attente e pronte su temi che a volte risultano essere distanti da chi non li vive in prima persona, ma capisco come una realtà importante quale CTM, che svolge un servizio rivolto a chiunque, abbia sviluppato capacità notevoli per garantire che i propri utenti possano fare affidamento ad uno standard elevato. Dal confronto ho trovato la massima disponibilità e apertura ad ascoltare il nostro punto di vista e ci siamo lasciati con la volontà di organizzare un incontro pratico che ci permetterà di segnalare aspetti che solo attraverso l’esperienza diretta possono essere colti. Ringrazio vivamente CTM per questo incontro e restiamo a disposizione per ogni necessità che possa richiedere un nostro supporto».
Dal canto suo, Pierangelo Cappai ha affermato: «Conosco CTM e conosco le persone che lo compongono. Con l’Associazione Diversamente, da me presieduta, ho avuto modo di provare con mano come abbiano a cuore i temi che ci riguardano, e come Federazione che si occupa di disabilità, ci tengo a ringraziarli per questa ennesima riprova di come sappiano sedersi a un tavolo di confronto con altre realtà. Non è la prima volta che dialoghiamo con importanti realtà che gestiscono servizi pubblici, e anche in questo caso il riscontrato è stato più che positivo, perché avvenuto in un clima collaborativo, aperto e di particolare rispetto sui temi affrontati. CTM non è estraneo a queste attenzioni e Amicobus è il fiore all’occhiello di una Società inclusiva, che manifesta una concreta attenzione ai riguardi delle persone che vivono uno svantaggio legato alla propria disabilità». (R.O. e S.B.)

Per ulteriori informazioni: posta@fishsardegna.org.

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Autismo: puntare sul valore di ogni persona

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A margine del convegno “Autismo: il valore di ogni persona”, organizzato dal Ministero per le Disabilità a Treviso, la ministra Locatelli è tornata a parlare anche della Riforma della disabilità e ha dichiarato: “Va avanti e non si ferma”

Al convegno di Treviso Autismo: il valore di ogni persona, promosso nei giorni scorsi dal Ministero per le Disabilità (se ne legga anche la nostra presentazione), sono intervenute le principali organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti delle persone con disturbo dello spettro autistico.
«Abbiamo parlato di autismo, di Progetto di vita, di caregiver e di Riforma della disabilità. È indispensabile ribaltare il paradigma, non solo mettendo al centro la persona, ma investendo sulle potenzialità e non osservando i limiti, valorizzando i talenti e le competenze di ogni persona», ha affermato la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli a margine del convegno.
«Il Decreto Legislativo 62/24 – ha aggiunto – e in particolare il Progetto di vita, è l’occasione che abbiamo adesso per attuare questo cambiamento profondo, nella consapevolezza che insieme possiamo fare di più e che da soli non andiamo lontano. Siamo tutti coinvolti in questo percorso che è un salto di qualità per le nostre comunità e per tutto il Paese. Si tratta di una riforma che va avanti e non si ferma e che entrerà in vigore in modo progressivo, per evitare il fallimento e per accompagnare al cambiamento radicale di approccio tutti coloro che si occupano della presa in carico della persona con disabilità».

All’evento hanno portato i saluti istituzionali Marcello Gemmato, sottosegretario di Stato alla Salute, Manuela Lanzarin, assessora alla Sanità, ai Servizi Sociali e alla Programmazione Socio-Sanitaria del Veneto e Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente del’ANCI Veneto (Associazione Nazionale Comuni Italiani).
Sono poi seguiti gli interventi di Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie); Nazaro Pagano, presidente della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità; Stefania Ruggiero dell’ANGSA Treviso (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo); Graziella Lazzari Peroni dell’ANFFAS Veneto (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo); Ruggero Mason, presidente di Gruppo Asperger.

Sono intervenuti quindi: Paolo Bandiera, esperto nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle persone con disabilità sul Progetto di vita; Roberto Keller, responsabile del Centro Regionale Piemonte Disturbo Spettro Autistico in Età Adulta, Dipartimento Salute Mentale ASL Città di Torino (Abilitare in ambienti naturali: dal cammino alla vela); Leonardo Zoccante, direttore dell’Unità Operativa Complessa Infanzia, Adolescenza, Famiglia e Consultori (Distretto 1-2, Azienda ULSS 9 Scaligera), su Autismo ed arte connettiva; Massimo Molteni, direttore sanitario centrale dell’Associazione La Nostra Famiglia-IRCCS Medea (La neurodiversità); Paolo Moderato, docente emerito di Psicologia, presidente di IESCUM, Italian Chapter ABA International (Autismo: oltre gli interventi precoci); Pierangelo Spano, responsabile della Direzione Servizi Sociali della Regione Veneto (Disturbi dello spettro autistico e disabilità intellettive scenari della programmazione integrata e ruolo della Regione dopo l’approvazione del d.lgs. n. 62/24); Michela Gatta, che dirige l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedale-Università di Padova (Oltre quello che è visibile. Esperienze in Neuropsichiatria Infantile ospedaliera).

E ancora, hanno portato la loro testimonianza Francesco Maria Chiodaroli e Diego Blanchetti per la Fondazione Danelli; Mario Paganessi, presidente della Fondazione Oltre il Labirinto; Cristina Franzin per Sport Life Montebelluna; Monica Rigotti, presidente della Cooperativa Sociale MIND the KIDS; Chiara Cesaro, psicologa, supervisore ABA; Eleonora Bedin, direttrice del Centro Autismo per l’Infanzia e di Villa Berta di Padova per l’Associazione Viviautismo; Marco Caverzan e Luciano Morello per l’Associazione Oltre. (C.C.)

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Ernst, Picasso e Legér per “Doppio Senso”, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

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Max Ernst, Pablo Picasso e Fernand Léger saranno gli artisti al centro dei prossimi appuntamenti del programma di accessibilità “Doppio Senso: percorsi tattili alla Collezione Peggy Guggenheim”, con il quale il noto museo di Palazzo Venier dei Leoni a Venezia ha aperto ormai da anni il proprio patrimonio artistico anche al pubblico con disabilità visive Max Ernst, “Giovane donna a forma di fiore”, 1944 (fusione del 1957), Venezia, Collezione Peggy Guggenheim

Max Ernst, Pablo Picasso e Fernand Léger saranno gli artisti al centro dei prossimi appuntamenti del programma di accessibilità Doppio Senso: percorsi tattili alla Collezione Peggy Guggenheim, con il quale il noto museo di Palazzo Venier dei Leoni a Venezia ha aperto ormai da anni il proprio patrimonio artistico – come abbiamo raccontato in diverse occasioni sulle nostre pagine – anche al pubblico con disabilità visive, iniziando un processo di sensibilizzazione alla conoscenza dell’arte attraverso il tatto, grazie a una serie di visite guidate e laboratori per non vedenti, ipovedenti e vedenti.

L’8 marzo, dunque, il focus sarà sull’opera Giovane donna a forma di fiore di Max Ernst, scultura in cui l’artista fonde elementi del mondo umano con altri del mondo vegetale, esposta nel giardino delle sculture della Collezione Peggy Guggenheim.
Il 5 aprile, invece, la giornata sarà dedicata al Busto di uomo in maglie a righe, dipinto realizzato da Pablo Picasso nel 1939, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Il 17 maggio, infine, sarà dedicato a Uomini in città di Fernand Léger, opera in cui vengono rappresentati corpi meccanicizzati totalmente spersonalizzati che sembrano robot.

Ognuno degli appuntamenti sarà condotto da Valeria Bottalico, ideatrice e curatrice del programma Doppio Senso, e corredato da laboratori con Felice Tagliaferri, scultore con disabilità visiva. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Maria Rita Cerilli (mrcerilli@guggenheim-venice.it).

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Intelligenza artificiale e disabilità: né rifiuto ideologico né esaltazione passiva

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Sono ancora pochi gli esempi di utilizzo concreto dell’intelligenza artificiale come ausilio informatico. Persona con disabilità, pedagogista e già presidente di cooperativa sociale, Maurizio Cocchi, riporta in questo approfondimento la sua esperienza di affiancamento a due giovani con disabilità, ove sta sperimentando la possibilità di utilizzare appunto l’intelligenza artificiale per migliorare le performance di scrittura e creative delle persone con disabilità

Disabilità e computer
Tutto quello che viene fatto di speciale in materia di computer e di mondo digitale, in favore delle persone con disabilità, è teso a favorire l’accessibilità ad un set di comandi pensato e strutturato per un presunto mondo di “normodotati”: tastiere alternative, screen readers, barre Braille, agli albori dell’informatica di massa quando il computer capiva solo il testo. Poi arriva la grafica, un’opportunità in più e un mare di guai per molte persone con disabilità, soprattutto con disabilità visiva. Lo schermo diventa una finestra bellissima, entro la quale ci può stare di tutto, ma la sua forma è piatta e non è intelligibile al tatto. Fa poi capolino il riconoscimento vocale, in mezzo a mille errori e confusioni, per individuare in quei puntini colorati un barlume di lettera e un insieme di parole con un senso. Il mouse, se è un oggetto incomprensibile per i non vedenti, dà del filo da torcere anche a chi non ha una perfetta manualità.
Tutto questo si aggrava, se mai ce ne fosse stato bisogno, con l’arrivo del web, con tutte quelle schede e finestre, parti delle pagine che vanno su e giù e altre che stanno ferme: che confusione per chi ha problemi, soprattutto per le persone con disabilità visiva!
A tutto questo si è cercato di porre rimedio con vari accorgimenti hardware e software, che hanno reso effettivamente più accessibili le procedure informatiche e la possibilità di lavorare in maniera simile ai “normodotati”. Infatti, la scena a cui abbiamo assistito e che tuttora non è più di tanto cambiata, è quella che vede me disabile di fronte al computer cercare di fare quello che fanno gli altri, con uno strumento non pensato per me, ma appena appena adattato. In altre parole, sempre un po’ tontolone, spesso con scarsa istruzione, mi devo sforzare come un matto per adattarmi ad uno strumento che non è fatto per me e che, per molti aspetti, mi è ostile.

Un uragano di nome intelligenza artificiale
Ora abbiamo questo salto di paradigma, l’introduzione delle intelligenze artificiali. Sono su Office 365 e il mio Copilot mi dice che l’intelligenza artificiale (d’ora in poi spesso indicata come IA), in materia di accessibilità e ausilio per le persone con disabilità, offre le seguenti opportunità:
° Assistenti virtuali: strumenti come Siri, Google Assistant e Alexa che rispondono ai comandi vocali e possono eseguire una vasta gamma di compiti.
° Riconoscimento immagini e OCR: tecnologia che permette di trasformare il contenuto visivo in testo leggibile, utile per chi ha problemi di vista.
° Software di traduzione in tempo reale: programmi che possono tradurre la Lingua dei Segni in testo o parlato e viceversa.
° Elaborazione del linguaggio naturale (NLP): IA che comprendono e generano linguaggio naturale, rendendo le interazioni con i computer più intuitive e naturali.
° Protesi intelligenti e dispositivi di controllo neurale: strumenti avanzati che permettono alle persone con disabilità motorie di controllare il computer attraverso il pensiero o dispositivi indossabili.
Beh, se proprio devo essere sincero, potendo scegliere un copilota preferirei Chewbecca, secondo pilota del Millennium Falcon e amico fraterno di Jan Solo (Harrison Ford) in Guerre Stellari, anche se con tutto quel pelo dovrebbe puzzare un bel po’: onesto, sincero, di poche parole e affidabile molto più delle attuali intelligenze artificiali.
Tutti i prodotti, testi e immagini che per il momento ho fatto fare all’intelligenza artificiale, mi hanno dato un senso di nausea. Attualmente, infatti, quei prodotti sono qualcosa di rifatto, che non ti appartiene, con un vago sapore di stantio per quelle parole fritte e rifritte, con quei disegni dai colori sempre e per forza intonati, visti e stravisti in tutti i fumetti e in tutte le riviste.
Eppure… Eppure, è innegabile la potenza produttiva e facilitatrice di questo strumento, capace di fare molto lavoro al posto tuo, di suggerire possibilità, di proporti conoscenze a cui non avevi mai neanche pensato, di scrivere, disegnare, comporre musica, realizzare algoritmi.
Possiamo forse rifiutarci di usarlo, perché ferisce il nostro orgoglio e strapazza il nostro amor proprio, sino a mettere in discussione la nostra stessa personalità? Ma soprattutto possiamo permettercelo? Possiamo nasconderci dietro a un dito e dire che è tutta una roba che non ci riguarda, che è tutto un pallone pieno di elio, che presto scoppierà?

Mario e il giocatore di hockey in carrozzella
Mario (si tratta di un nome di fantasia) è un giovane con disabilità inserito nel Centro Socio-Occupazionale (CSO) della Cooperativa Virtual Coop di Bologna, con l’obiettivo di valutarne le capacità lavorative nell’àmbito delle attività di ufficio. Concordo dunque con il personale educativo e tecnico di proporgli l’apprendimento delle principali funzioni di base di word.
Lui è un ragazzo con una disabilità motoria, che pure gli consente di camminare col suo carrello anche se in modo abbastanza precario, e inoltre presenta un lieve deficit intellettivo, che se gli permette di essere allegro e gioviale, gli rende più difficile memorizzare, avere un pensiero rapido e fluido. tale da poter svolgere attività minimamente complesse e poter agire in maniera autonoma nell’ambito di normali attività di ufficio.
Con un’ora di lezione al martedì e una al giovedì in pochi mesi riesco a fare tutto word di base fino ai grafici. Tuttavia, poiché vedo che fra un incontro e l’altro tende a dimenticare i comandi e soprattutto sembra far fatica a riprendere il filo del ragionamento che comporta ogni comando, gli dico che deve esercitarsi molto, fintanto che word non diventi per lui come una seconda pelle.
In occasione di una lunga pausa estiva gli chiedo di scrivere un racconto di fantasia. Finite le ferie mi presenta un testo di una paginetta con una storia un po’ sempliciotta, come per altro è nel suo stile. Il racconto si articola abbastanza bene, con qualche inciampo, qualche zona oscura e varie imprecisioni.
Preso da furore innovativo, decido di far correggere il testo da Chat GPT, ossia dall’intelligenza artificiale. Il software si attiva con un tono misurato e fondamentalmente rispettoso dell’elaborato originale, quasi fosse una maestrina, un po’ petulante, che oltre a fare la correzione ortografica e grammaticale, interviene sullo stile del racconto, facendone un testo da «Sorrisi e Canzoni TV» (per capire meglio si legga l’allegato a questo link).
Non ho più avuto occasione di fargli vedere la trasposizione che Chat GPT ha fatto del suo racconto e non so se Mario sarebbe stato contento del risultato o se magari sarebbe inorridito dall’invasione di campo che ha fatto una macchina nei suoi pensieri. Credo comunque che avrebbe avuto un atteggiamento abbastanza indifferente, con molto meno problemi di quelli che mi metto io.
Sì, perché io di problemi me ne metto. Forse esagero, ma in qualche modo mi sembra di fargli una qualche forma di violenza, trasformando il suo racconto originale in una bella copia, scritta bene con tutta la punteggiatura al suo posto e il discorso che scorre come un libro stampato.
Insomma, ho preso qualcosa fatto da lui e che come tale gli apparteneva, l’ho messo in una macchina, che l’ha triturato per normalizzarlo come un qualsiasi testo da rivista patinata.
Ma non è forse la nostra principale aspirazione di persone con disabilità: quella di fare ed essere considerati come persone normali?…

I libretti di Enrico
Anche Enrico (altro nome di fantasia) è inserito nel CSO di Virtual Coop e presenta una paralisi spastica, derivante da qualche casino genetico, che gli blocca l’apparato oro-faringeo e gli impedisce di parlare, anche se mangia come un ludro. Cammina a stento, traballando attaccato al carrello, usa una sola mano e un solo dito per digitare sulla tastiera e sul cellulare. Comunica indicando le lettere su un fogliaccio di carta tutto stropicciato, dove indica le lettere. Tuttavia, riesce ad usare una normale tastiera da computer e usa le funzioni touch screen del suo smartphone; come puntatore usa un joystick.
Il suo compito al CSO è quello di rilanciare sui social gli articoli pubblicati sul magazine della Cooperativa, con una presenza in sede di una mattina alla settimana, il resto dovrebbe farlo da remoto.
L’attività gli fa veramente schifo. Un po’ fa fatica a scrivere, sia pure quei testi brevi, ma soprattutto non gliene frega niente del giornale online, degli argomenti che tratta e un po’ di tutto quello che circola al Centro. Il personale mi chiede di portarlo verso le attività che vengono svolte e fare qualcosa che lo induca a socializzare di più con il gruppo ed evitare che passi tutte le giornate sui videogiochi. Vengo presentato come esperto in intelligenza artificiale (sic!), incarico che io accetto nella più totale ignoranza e arroganza. Per fortuna accetta il mio affiancamento come scrittore o quanto meno come uno che sa scrivere, e non come esperto in IA.
È difficile capire cosa frulli per la testa di Enrico, se sia uno stupido credulone, che cerca strategie per raggiungere facili obiettivi, senza fare troppa fatica e senza impegnarsi più di tanto, come sembrano credere quelli che hanno cercato di fargli fare qualcosa, oppure se siamo di fronte a un giovane disabile disorientato, con una formazione approssimativa, dovuta all’handicap e agli ambienti formativi frequentati, che cerca con grande difficoltà e un po’ di confusione mentale una propria strada verso l’autonomia e la vita.
Subito mi rendo conto che non è molto importante quello che è lui, a un disabile grave sui vent’anni bisogna concedere un po’ di disorientamento e dargli il tempo di recuperare, ma quello che veramente importa è cosa voglio fare io con lui.
Lavoriamo esclusivamente in videoconferenza, e questo è molto apprezzato da lui, perché si sente libero e capace di esprimersi al meglio. Siamo una coppia perfetta: lui con il suo dito scrive sulla tastiera, io detto con Dragon NaturallySpeaking e tutti e due i testi finiscono in chat. Fra una comunicazione e l’altra, passa un po’ di tempo, ma chi se ne frega, nessuno dei due ha mediazioni e necessità di confrontarsi con altri per comunicare.
Mi dice subito che ha un progetto: vuole fare dei libretti di istruzione tecnica su vari argomenti, da vendere su Amazon. Per farmi capire mi manda un link, dove un altro giovanotto, un imbonitore da strapazzo, spiega come si individua un argomento che fa vendere più libri su Amazon; è possibile fare libretti di quel tipo, metterli sugli scaffali virtuali e aspettare che i pirla abbocchino.
Anche trascurando il fatto che questo “sparare nel mucchio”, per un motivo puramente statistico, può dare effettivamente dei risultati, accetto di lavorare con Enrico, perché comunque l’elaborazione dei libretti porta sicuramente ad imparare un sacco di cose e ad utilizzare l’intelligenza artificiale per uno scopo preciso.
La prima cosa che chiede a Chat GPT è quali siano gli argomenti dei libri che vendono di più sul grande store on-line. L’IA fra un breve elenco delle categorie librarie e lui sceglie Riparazioni e upcycling. Poi chiede di dargli cinque titoli, con relativi sottotitoli per possibili pubblicazioni. La macchina risponde:
1. Titolo:
“L’Arte di Riparare: Trasforma i Tuoi Oggetti in Tesori”
Scopri come aggiustare e reinventare vecchi oggetti con tecniche di riparazione creative e sostenibili.
2. Titolo:
“Upcycling per Principianti Da Rifiuti a Capolavori”
Guida pratica per trasformare materiali comuni in progetti innovativi e originali.
3. Titolo:
“Fai da Te Sostenibile: Riparazioni e Upcycling Facili”
Trucchi e idee per ridare vita agli oggetti inutilizzati, risparmiando e rispettando l’ambiente.
4. Titolo:
“Riciclare con Stile: Progetti di Upcycling per la Casa”
Ispirazioni uniche per decorare e organizzare casa con oggetti riciclati e personalizzati.
5. Titolo:
“Riparare è Meglio che Buttare: Manuale per un Mondo Zero Sprechi”
Una guida per allungare la Vita dei tuoi oggetti.

Enrico sceglie il Titolo 5 e subito chiede di proporre i titoli dei capitoli, eccoli qua di seguito:
1. Introduzione al Mondo Zero Sprechi
2. La Cultura del Riuso: Perché Riparare è un Atto Rivoluzionario
3. Strumenti e Materiali Essenziali per le Riparazioni Domestiche
4. Come Riparare Elettrodomestici e Gadget Tecnologici
5. Vestiti e Tessuti: Dare Nuova Vita al Tuo Guardaroba
6. Mobili e Arredamento: Soluzioni Creative per Piccoli e Grandi Problemi
7. Giocattoli e Oggetti dei Bambini: Un Tesoro da Recuperare
8. Automobili, Biciclette e Trasporto Sostenibile
9. La Magia del Kintsugi: Riparare con Bellezza e Significato
10. Sostenibilità e Creatività: Upcycling e Nuove Idee dal Vecchio
11. Riparazioni di Emergenza: Come Gestire gli Imprevisti
12. Costruire una Comunità del Riparo: Condivisione di Abilità e Risorse
13. Il Risparmio Economico di Riparare: Calcolo dei Benefici sul Lungo Termine
14. Zero Sprechi per le Generazioni Future: Educare e Sensibilizzare
15. Conclusione: Riparare per Vivere Meglio

Lui vorrebbe chiudere la partita in un colpo solo, lanciare un prompt per sviluppare il contenuto di tutti i capitoli in un colpo solo. Su mio suggerimento, chiede a Chat GPT di buttare giù un testo per ogni capitolo, per far sì che l’algoritmo possa lavorare con più precisione e avere una maggiore possibilità di controllo. Ma anche in questo caso, in men che non si dica, ottiene la bellezza di 47 pagine scritte in un italiano fluido e ben orchestrato, più che sufficienti per una “pubblicazione spazzatura”.
Rileggendo il malloppo ci accorgiamo che cita attrezzi e materiali, che per un principiante del fai-da-te possono risultare di difficile comprensione e così decidiamo di illustrare il testo con immagini che rappresentino gli strumenti citati, come indispensabile per affrontare le attività descritte.
Ed è qui che scatta il colpo di genio, l’intervento umano non previsto dall’IA, ma capace di dare un senso compiuto e originale all’opera in via di costruzione. L’individuazione, la ricerca, la creazione e l’inserimento delle immagini nel testo rappresentano tutti elementi di forte personalizzazione del testo prodotto semi-automaticamente.
A ciò occorre aggiungere la minuziosa correzione dello scritto, la verifica che non siano stati utilizzati brani di opere fatte da altri autori, il confezionamento del libretto (impaginazione, creazione della copertina ecc.), le scelte relative alle modalità di vendita e di sviluppo del marketing, ovvero tutte personalizzazioni e interventi che richiedono conoscenze approfondite e brillantezza di idee da parte dell’autore, che vanno molto oltre l’accettazione passiva del testo commissionato a Chat GPT.
Quanto tempo ci avrebbe messo il nostro amico a scrivere un testo di quella lunghezza? Un’infinità. E quanto questo tempo avrebbe influito sulla sua autostima e sulla sua possibilità di fornire una performance sufficiente per realizzare un prodotto di quel tipo?
Ricordo di un amico, un caro amico, ora non più fra noi, che utilizzava per scrivere al computer un unico tasto che doveva premere al momento giusto per scegliere una lettera, mentre l’alfabeto scorreva in una striscia grafica. Un editore compiacente gli diede il testo di un libro da correggere, non so quanti mesi impiegò per quelle 2-3 ore che riusciva a lavorare al giorno, né ho mai saputo quanti errori gli fossero sfuggiti, vista la difficoltà di usare quel particolare strumento di input. Di sicuro so che in seguito non gli furono più proposti lavori simili.

Cavalcare le tecnologie
L’intelligenza artificiale può lavorare per noi persone con disabilità, ma noi dobbiamo insegnarle a lavorare e soprattutto a fare quello che vogliamo e abbiamo in mente.
Ci sono due atteggiamenti sbagliati che possiamo avere di fronte a questa potente tecnologia che non ci aiutano per niente: il rifiuto ideologico e la sua esaltazione passiva. Francesco Guccini cantava: «Bisogna saper scegliere il tempo, non arrivarci per contrarietà». Questo non significa seguire stupidamente ogni moda che passa, significa guardare, capire, discernere e fare nostro quello che ci aiuta a perseguire i nostri obiettivi.
Certo, la tentazione è forte: ho qualcuno che scrive per me, lasciamolo scrivere. Proviamo a guardarci attorno, quante parole inutili ci circondano e ci stanno soffocando in un mare di niente. Un mondo scriteriato nella produzione di testi e di altri ammennicoli (immagini, musica, sensazioni ecc.) non può che soffocarci e rendere inutile la comunicazione. Occorre bucare questa cortina di inutilità con pensieri originali, frutto di un lavoro, di esperienza elaborata in maniera caotica, fuori dall’ordinamento degli algoritmi, filtrata dalla storia, dall’etica, dal sentimento e dall’empatia.
Ma come facciamo a fare tutto questo? Tiriamo fuori dalla storia penna e calamaio, la vecchia lettera 36 o andiamo nelle grotte scavate nelle ere industriali armati di gessetto a scimmiottare le pitture rupestri? No, siamo fuori strada. Per disegnare il nostro futuro dobbiamo utilizzare quello che c’è e quello che c’è sono le intelligenze artificiali.
Quello che ci aspetta nei prossimi anni, se non addirittura nei prossimi mesi, è un grande lavoro, volto ad impossessarci di questi strumenti e, alla fine di tutte le fiere, poco importa come sono fatti, quello che veramente conta sono i risultati che danno e come noi impariamo ad usarli.
Il lavoro da fare è soprattutto educativo e formativo, solo una persona ben formata e con una personalità strutturata può affrontare i problemi che pone la personalizzazione di queste tecnologie.
I giovani con disabilità fisica e sensoriale hanno davanti a loro intere autostrade da percorrere, ma anche per le persone con disabilità intellettiva e psicologica si aprono nuove vie, sicuramente più strette ed impervie, ma che con l’aiuto di educatori e figure adulte è possibile percorrere.

Maurizio Cocchi è interessato ad aprire un dialogo permanente con tutti coloro che abbiano fatto o intendono fare esperienze di utilizzo di intelligenze artificiali a fini educativi e di empowerment con persone con disabilità, per creare una community capace di sperimentare un uso creativo di queste tecnologie. Gli si può scrivere direttamente a info@mauriziococchi.net.
Riteniamo importante anche segnalare, su linee analoghe a quelle tratteggiate da Maurizio Cocchi, il progetto denominato Empowered by AI, esposto dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, volto a rafforzare le capacità (empowerment) delle persone con disabilità. Se ne legga ampiamente a questo link e per informazioni, scrivere (in inglese) a: roberta.lulli@edf-feph.org.

Maurizio Cocchi
Nato a Sala Bolognese (Bologna) nel 1952, è da sempre una persona con disabilità motoria che si muove in carrozzina. Laureato in Pedagogia nel 1979, nello stesso anno ha fondato assieme ad altri la Spep Coop, una Cooperativa di servizi alla persona, divenendone il primo presidente. A cavallo tra gli Anni Ottanta e Novanta è stato vicepresidente del Quartiere San Vitale a Bologna. Nel 1991 ha curato la pubblicazione del libro collettivo Protagonisti dell’Handicap, edito da Il Pensiero Scientifico (Roma), con prefazione di Giovanni Berlinguer. Nel 1996 è stato tra i fondatori della Virtual Coop, divenendone il presidente, fino al pensionamento nel 2023. Attualmente, seguendo la propria passione per l’informatica, sta approfondendo le potenzialità dell’intelligenza artificiale, come strumento di accessibilità digitale e potente occasione di empowerment per le persone con disabilità.

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Quando un diritto rischia di essere cancellato da un tratto di penna

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Grazie alla mobilitazione delle Associazioni di persone con disabilità e di tutta la società civile dell’Argentina, il governo guidato da Javier Milei ha ritirato la Delibera del 14 gennaio scorso, di cui avevamo dato ampia notizia anche sulle nostre pagine, ove, in riferimento alle persone con disabilità intellettiva, si utilizzavano termini come “idiota”, “imbecille” e “gravemente handicappato mentale”

Una buona notizia arriva dall’Argentina: grazie infatti alla mobilitazione delle Associazioni di persone con disabilità e di tutta la società civile argentina, il governo guidato dall’ultraliberista Javier Milei ha ritirato una Delibera pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 14 gennaio che, per riferirsi alle persone con disabilità intellettiva, utilizzava termini come “idiota”, “imbecille” e “gravemente handicappato mentale”[se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
La Delibera, secondo quanto riferiscono i quotidiani internazionali di lingua spagnola, ha come obiettivo quello di stabilire i criteri di valutazione in base ai quali le persone con disabilità possono accedere o continuare a percepire le pensioni di invalidità.
A seguito dunque delle proteste, il 28 febbraio l’ANDIS, l’Agenzia Nazionale che si occupa di disabilità, ha pubblicato una nota in cui ha dichiarato che l’uso di questi termini (contenuti in una nota allegata alla delibera) è stato un errore e ha negato che vi fosse un intento discriminatorio. «Si è trattato di un errore dovuto all’uso di concetti appartenenti a una terminologia obsoleta», ha fatto sapere l’Agenzia, annunciando che il testo verrà modificato «secondo gli attuali standard medici e normativi».

Questa notizia aveva trovato ampio spazio sui media di tutto il mondo, compresi quelli italiani. Come LEDHA vogliamo innanzitutto esprimere la nostra vicinanza e solidarietà alle Associazioni argentine per i diritti delle persone con disabilità, costrette a mobilitarsi per ottenere il rispetto di un principio fondamentale sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Argentina nel 2008.
Quanto avvenuto in Argentina nelle ultime settimane mette in evidenza come l’impegno quotidiano delle Associazioni di persone con disabilità e la loro mobilitazione di fronte a episodi specifici di discriminazione siano strumenti preziosi per la tutela e la promozione dei diritti.

Di questa vicenda si è parlato molto anche sui nostri media, perché parole così violente e così discriminatorie sono state riconosciute come tali da larga parte dell’opinione pubblica, anche tra i “non addetti ai lavori”. In quest’ottica, condividiamo l’analisi espressa su queste stesse pagine dal presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), Vincenzo Falabella, ossia che il lavoro svolto per decenni dalle Associazioni ha portato all’adozione di leggi che tutelano i diritti delle persone con disabilità (su tutte la ratifica della Convenzione ONU) e a una maggiore consapevolezza su questi temi.
Ma questo ci mette al sicuro da possibili derive? O dal ritorno a un passato in cui era perfettamente accettabile definire una persona con disabilità “ritardato” o “imbecille”? Assolutamente no. Tutti noi – dai singoli cittadini alle Associazioni – dobbiamo tenere alta la guardia perché i discorsi d’odio e contro l’inclusione stanno prendendo piede anche da noi, tanto nella vita reale quanto nel mondo digitale dietro lo schermo di uno smartphone.
Come sa bene chiunque sia impegnato all’interno di un’Associazione, la lotta per acquisire un diritto richiede anni di lavoro, di impegno, di dialogo e mobilitazione. Ma come dimostra quello che è successo in Argentina per cancellare un diritto può bastare un tratto di penna. Per questo continueremo a vigilare. Anche su quello che succede dall’altra parte del mondo.

*La LEDHA è la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Il Forum del Terzo Settore lancia “Terzo”, premio dedicato a Claudia Fiaschi

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A disposizione 1.500 euro per la miglior tesi di laurea magistrale e 2.500 euro per la miglior tesi di dottorato di ricerca discusse nel 2024 sul valore e l’impatto del Terzo Settore: l’iniziativa del Forum del Terzo Settore in ricordo della sua ex portavoce Claudia Fiaschi, scomparsa lo scorso anno, personalità di assoluto rilievo nel mondo del sociale Claudia Fiaschi (1965-2024)

Un riconoscimento alle migliori tesi di laurea magistrale e di dottorato sui temi del Terzo Settore e dedicato a Claudia Fiaschi, scomparsa lo scorso anno: dal 10 febbraio è disponibile il bando di Terzo-Premio Claudia Fiaschi, che mette a disposizione 1.500 euro e 2.500 euro rispettivamente per la miglior tesi di laurea magistrale e la miglior tesi di dottorato di ricerca discusse nel corso del 2024, sul valore e l’impatto del Terzo Settore.

Il Forum Nazionale del Terzo Settore, dunque, in collaborazione con «Corriere Buone Notizie», rafforza e rinnova l’iniziativa di premiare i migliori lavori accademici di approfondimento e ricerca sul Terzo Settore. E lo fa onorando la memoria di Claudia Fiaschi,  cooperatrice sociale, ex portavoce del Forum stesso e personalità di assoluto rilievo nel mondo del Terzo Settore, scomparsa prematuramente lo scorso anno.

Le tematiche a cui si presterà maggiore attenzione, anche in ragione dell’impegno profuso nel corso della sua vita da Fiaschi, saranno, tra le altre: soluzioni di welfare di comunità; innovazione nei servizi educativi e nel contrasto alla povertà educativa; parità di genere e leadership femminile nello scenario dell’economia sociale; finanza e sostenibilità per l’ecosistema del Terzo Settore; comunicazione sociale; impiego dell’intelligenza artificiale per il bene comune.

Le domande verranno valutate da un Comitato Scientifico composto da Luca Gori, Stefano Granata, Vanessa Pallucchi, Elisabetta Soglio, Paolo Venturi e Stefano Zamagni. Il bando resterà aperto fino al 17 marzo e gli esiti verranno resi noti a partire dal 12 maggio sul sito del Forum Nazionale del Terzo Settore e in «Corriere Buone Notizie».

«Claudia Fiaschi – sottolinea Vanessa Pallucchi, attuale portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore – è stata, tra le altre cose, un’innovatrice nel mondo del Terzo Settore e una donna sempre attenta alle idee dei giovani e ai nuovi fenomeni sociali. L’idea di legare a lei l’iniziativa di un Premio per i lavori accademici di neo-laureati e neo-dottori di ricerca è stata naturale e immediata. Ci auguriamo così di contribuire a far crescere la circolazione e la condivisione e di idee e saperi su un comparto socio-economico sempre più importante per il nostro Paese». (C.C.)

La locandina del premio. Per maggiori informazioni: stampa@forumterzosettore.it.

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