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Per far sì che l’inclusione non sia solo uno slogan

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«L’inclusione – scrive tra l’altro Gianfranco Vitale – non può essere ridotta a slogan né ad iniziative di facciata. Le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana» Una realizzazione grafica americana dedicata all’inclusione delle persone con disabilità

Negli ultimi anni, il termine “inclusione” è entrato sempre più spesso nel nostro linguaggio quotidiano. Iniziative, eventi e progetti dedicati a questo tema stanno crescendo, e ciò è senza dubbio un segnale positivo: indica che la società si sta muovendo verso una maggiore sensibilità e rispetto per le persone con disabilità.
Sbaglieremmo, tuttavia, a ignorare che dietro questa importante svolta si nascondono, a volte, limiti, errori e contraddizioni che rischiano di trasformare l’inclusione in semplice apparenza. Non sono poche, infatti, le iniziative che, pur muovendo da buone intenzioni, finiscono per rafforzare la separazione anziché superarla. In questi casi, innegabilmente, siamo più vicini a un’esclusione travestita che ad un’inclusione vera!

Un esempio emblematico è il Disability Day, organizzato da alcuni Comuni in “imbarazzanti” orari mattutini, con parchi divertimento riservati esclusivamente a persone con disabilità e alle loro famiglie. Anche se l’intento è lodevole, queste iniziative non rischiano di isolare ulteriormente i destinatari, invece di promuovere una reale integrazione?
La vera inclusione richiede che tutti (proprio tutti) partecipino alle stesse attività, nello stesso luogo e nello stesso momento. Nessuno pretende per i nostri cari la creazione di una nuova Disneyland, ma nemmeno è accettabile l’idea di realizzare una succursale di Disabilandia!
Il Disability Day non dovrebbe realizzarsi in tre ore al mattino, com’è ormai prassi, ma svilupparsi in tutto l’arco della giornata, tenendo conto che in quella stessa occasione tutti (proprio tutti) gli avventori dovrebbero anche “accontentarsi” di giostre rallentate, di musica ad un volume accettabile, di luci un po’ meno intermittenti…
Se non si comprende l’importanza di un simile percorso, la conseguenza è che più che includere si creino muri alti, spessi e difficilmente abbattibili, che nascondono varchi e crepe di ogni genere.
L’inclusione non può essere ridotta a slogan né ad iniziative di facciata. Le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana. Penso, esemplificando al massimo e riservandomi qualche approfondimento ad hoc, all’emarginazione scolastica; al mancato apprendimento di competenze sociali e di vita; alle esperienze affettive troppo spesso relegate all’esclusivo àmbito familiare; alla scarsa partecipazione alle attività di tempo libero; alla mancanza di un lavoro che sia altro rispetto a quello “retribuito” con mancette simboliche, che rasentano lo sfruttamento, da molte Cooperative ecc.

Proviamo ad analizzare, ad esempio, il contesto scolastico. Qui emerge un modello che spesso associa il concetto di inclusione a un mero adempimento burocratico. Se è vero che l’adozione di piani didattici personalizzati è fondamentale, è altrettanto vero che essa deve essere affiancata da un cambiamento culturale che eviti di etichettare gli studenti solo con sigle (BES, DSA, NAI, PDP…) o di catalogare ad ogni costo, con fantasiosi acronimi e diciture, ogni forma di disagio, a cominciare da quello cosiddetto sociofamiliare! L’etichettatura riduce le persone a diagnosi, trascurando colpevolmente le loro potenzialità.
È fondamentale che la scuola non trasformi le differenze tra gli studenti in disuguaglianze. Le risposte di tipo medico o terapeutico a problemi sociali non devono assolutamente prevalere sull’approccio pedagogico, che rappresenta il cuore del processo educativo.
Pur riconoscendo l’importanza di diagnosticare e affrontare le difficoltà specifiche degli studenti, occorre evitare il rischio che l’inclusione venga compromessa. Se è inconfutabile che alcune difficoltà richiedono una diagnosi e un supporto adeguato, è necessario evitare che l’inclusione si blocchi a causa di una medicalizzazione eccessiva, che oltretutto mortifica e depriva della loro identità professionale gli stessi docenti fino a renderli subalterni a psicologi e neuropsichiatri.
Non si tratta di criticare gli interventi individualizzati previsti e concordati nei Piani Educativi Individualizzati (PEI), ma è fondamentale condannare qualsiasi utilizzo improprio di strumenti che finiscono per creare esclusione ed emarginazione anziché favorire l’inclusione.
La scuola deve essere il luogo in cui le differenze vengono riconosciute e valorizzate, non trasformate in disuguaglianze. Occorre contrastare l’abuso di modelli che isolano gli studenti con disabilità, promuovendo invece ambienti autenticamente inclusivi, dove ogni alunno viene rispettato nella sua unicità.
Si pensi all’uso distorto che viene fatto, non di rado, delle “aule di sostegno”. Indicate come luoghi sereni e gioiosi, esse sono – nella realtà – spazi vuoti, deprimenti, altamente stigmatizzanti, perché separano gli allievi con disabilità dai loro coetanei, negando di fatto la piena partecipazione alla vita scolastica. Sono spazi che invece di abbattere segnano confini; nascondono e celano, oscurano alla vista e coprono alla mente.
Eppure questo falso modello inclusivo è ancora oggi promosso al rango di “laboratorio” da tanti dirigenti e ispettori scolastici che, incredibilmente, lo descrivono come “inclusivo”, pur sapendo, loro per primi, che è “riempito” di soli, e tanti, alunni con disabilità!

Promuovere davvero l’inclusione significa cambiare prospettiva: non considerare la disabilità come una malattia, ma riconoscerla come il risultato dell’interazione tra le caratteristiche della persona con disabilità e l’ambiente in cui vive, lavorando per eliminare le barriere che ostacolano la partecipazione.
Occorre rendere la disabilità una realtà che interagisce con altre realtà, perché la vera inclusione guarda oltre la disabilità come “problema personale” e si concentra sul contesto sociale, con l’obiettivo di abbattere le barriere culturali, fisiche e sociali che limitano le opportunità delle persone con disabilità.

In apparenza il nostro Paese ha dimostrato sensibilità nel disegnare processi e percorsi diretti a favorire la piena inclusione sociale delle persone con disabilità, ma, in verità, nonostante la ridondante produzione legislativa degli ultimi trent’anni, in tanti àmbiti di vita emergono e permangono significativi svantaggi delle persone con disabilità rispetto al resto della popolazione.
Questo significa che gli strumenti messi in campo non hanno ottenuto i risultati attesi, ma sono serviti, nella migliore delle ipotesi, ad attenuare le differenze o impedire che si amplificassero.
Una miriade di leggi, di cui lo Stato ipocritamente va fiero, non trova di fatto applicazione (ne cito, per brevità di esposizione, solo due, ma è bene sapere che il loro numero è almeno dieci volte più grande: la Legge 68 del 1999 su disabilità e lavoro, la Legge 328 del 2000 sul progetto di vita). Non dare attuazione alla Legge 68/99, ad esempio, da una parte ha significato tradire la possibilità di pensare alla persona con disabilità come individuo sociale, favorendone la piena integrazione sul territorio grazie a misure atte a trovare nuove motivazioni, sviluppare abilità, occasioni di socializzazione, attività formative, eccetera. Dall’altra ha significato rinnegare con brutalità e disprezzo il principio di una società equa e inclusiva.
Cosa c’è di più equo e inclusivo di un lavoro adeguato alle capacità individuali? Capirà mai questa classe politica, rozza e ignorante, che il lavoro non è solo un diritto ma è anche un potente strumento di autonomia e dignità? Fino a quando dovremo sopportare, anziché denunciare, la retorica di Servizi e Istituzioni che quando parlano di tutela dell’inclusione sociale delle persone con disabilità ricorrono solo a menzogne e omissioni?

A queste domande potrebbero e dovrebbero rispondere soprattutto le Associazioni, se per una volta fossero capaci di capire che su un tema così delicato e complesso come “l’inclusione”, oggettivamente trasversale a tutte le forme di disabilità, non ci si può ingenuamente dividere per la sola voglia di primeggiare come, in maniera infantile, avviene ogni giorno su tante altre questioni. È forse possibile distinguere tra l’inclusione della persona con disabilità fisica e quella della persona con disabilità psichica? No: l’inclusione riguarda tutti.
Per raggiungere una vera inclusione, le Associazioni, le famiglie e tanti cittadini perbene sensibili al problema devono unirsi in uno sforzo comune. Si lavori, allora, perché questo obiettivo diventi il collante capace di unire tutte le forze chiamate a fare fronte comune contro l’egoismo e la miopia di una classe politica brava solo a difendere e consolidare i suoi privilegi, ma completamente inaffidabile, insensibile e vergognosamente distante dai bisogni reali delle persone con disabilità (e, non dimentichiamolo mai, delle loro famiglie).
È tempo di superare divisioni e compromessi. La diversità è una risorsa straordinaria che arricchisce la società, e ogni persona con disabilità merita, a pieno titolo, di essere inclusa, accolta e valorizzata. Non si tratta di un privilegio, ma di un diritto primario che va difeso e promosso, in tutte le sedi, con coraggio e determinazione.

Alcune settimane fa ho promesso a Stefania Delendati, direttrice responsabile di Superando, che le avrei dedicato un articolo. Mantengo la promessa: quello che ho scritto qui è per Lei. (G.V.)

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Insieme, oltre il buio e il silenzio

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Cosa significa essere persone sordocieche nel nostro Paese? È una domanda che merita una riflessione profonda, perché chi non vede e non sente vive immerso in un mondo fatto di buio e silenzio. La Lega del Filo d’Oro ha lanciato la campagna “Insieme, oltre il buio e il silenzio” e ha realizzato la guida “Strumenti pratici per l’inclusione” per facilitare la comunicazione con le persone sordocieche e rendere diverse situazioni della vita quotidiana più confortevoli e inclusive L’attore Neri Marcorè, testimonial “storico” della Lega del Filo d’Oro, insieme a un giovane seguito da tale organizzazione

Da sessant’anni la Fondazione Lega del Filo d’Oro, organizzazione aderente alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), sostiene le persone sordocieche e con pluridisabilità psicosensoriale e le loro famiglie, supportandole nella complessa sfida di andare oltre il buio e il silenzio.
Con la campagna di sensibilizzazione Insieme, oltre il buio e il silenzio, al via lo scorso 13 gennaio, la Fondazione rilancia il proprio impegno nel promuovere un futuro più inclusivo e privo di barriere, che si può costruire solo grazie al supporto di tutti. Sul sito insiemeoltre.it, è disponibile la guida Strumenti pratici per l’inclusione, documento che raccoglie indicazioni utili e buone pratiche pensate per facilitare la comunicazione con le persone sordocieche e rendere diverse situazioni della vita quotidiana più confortevoli e inclusive.

Per dar voce alle loro istanze, la Fondazione ha realizzato il Manifesto delle Persone Sordocieche, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sui bisogni reali di chi non vede e non sente, promuovendo il pieno riconoscimento dei loro diritti. Il documento, presentato nel mese di marzo dello scorso anno alla Camera, parte dalla richiesta di aggiornamento della Legge 107/10 al fine di riconoscere tutte le persone che siano contemporaneamente cieche e sorde, a prescindere dall’età in cui sviluppano tali disabilità; in particolare, la Lega del Filo d’Oro pone l’attenzione su alcuni temi centrali per promuovere un reale cambiamento, chiedendo alle Istituzioni un maggiore impegno affinché ogni persona sordocieca venga riconosciuta e sostenuta, ovunque e sempre, con accesso a cure, interpreti e strumenti che possano davvero fare la differenza nella vita di tutti i giorni.

«Il Manifesto delle persone sordocieche rappresenta una visione collettiva: è il sogno di una società che abbraccia ogni individuo e celebra la diversità come una ricchezza – ha dichiarato Rossano Bartoli, presidente della Fondazione Lega del Filo d’Oro –. Da 60 anni il lavoro della Lega del Filo d’Oro è animato dalla passione e soprattutto dal coraggio di vedere e ascoltare “oltre” ciò che è possibile, per dare voce ai bisogni delle persone sordocieche e delle loro famiglie, fornire risposte concrete per migliorare la loro qualità di vita e promuovere maggiore inclusione. Tutti insieme possiamo contribuire a un reale cambiamento, impegnandoci a costruire un mondo più equo e accessibile, dove nessuno sia lasciato indietro».

L’inclusione scolastica, la mobilità autonoma, la possibilità di lavorare e di abitare in spazi pensati per le esigenze specifiche di chi non vede e non sente non sono solo diritti, ma passi fondamentali verso una società in cui nessuno venga lasciato indietro. Creare un mondo più accessibile, anche nei luoghi di sport e cultura, significa abbracciare la diversità e abbattere ogni barriera: la Lega del Filo d’Oro crede fermamente che con il sostegno di tutti si possano superare le sfide attuali per creare una società più equa e accessibile, capace di riconoscere il potenziale delle persone sordocieche come una risorsa preziosa per l’intera collettività. (C.C.)

Il comunicato integrale diffuso dalla Fondazione Lega del Filo d’Oro, in occasione della campagna Insieme, oltre il buio e il silenzio, è disponibile a questo link. Per maggiori informazioni: Virginia Matteucci (v.matteucci@inc-comunicazione.it).

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Quella norma da correggere nel nuovo Codice della Strada

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Le novità del nuovo Codice della Strada riguardanti la guida di chi abbia assunto sostanze stupefacenti o psicotrope rischiano di creare molti problemi alle persone con disabilità le cui patologie richiedano di assumere quel tipo di sostanze in dosi terapeutiche e che abbiano la patente di guida. «Risulta dunque necessario un correttivo alla normativa – scrive il presidente della Federazione FISH Falabella -, ed è in tal senso che ci muoveremo nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti»

Con l’entrata in vigore del nuovo Codice della Strada, tramite la Legge 177/24 (Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), sono state introdotte importanti novità per chi si mette alla guida dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope. Con la nuova disciplina, però, bisogna prestare adeguata attenzione anche all’uso di alcuni farmaci, che potrebbero determinare una falsa positività al test di controllo. Prima della riforma, infatti, la vecchia normativa puniva chi, dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, si metteva alla guida in stato di alterazione psicofisica. Ora invece, dopo la modifica dell’articolo 187 del Codice della Strada, viene punito «chiunque guidi dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope», facendo pertanto venir meno il requisito della necessità di verificare lo stato di alterazione psicofisica del conducente.
Questo significa che, in caso di controllo da parte degli organi competenti, le sanzioni scattano con la semplice positività al test antidroga, pur non essendovi alcuno stato di alterazione psicofisica.

Si tratta di una novità che crea non pochi problemi e dubbi a chiunque utilizzi determinati farmaci che possono essere ricompresi nella categoria delle sostanze psicotrope, e a maggior ragione per le persone con disabilità le cui patologie richiedano di assumere quel tipo di farmaci o di sostanze psicotrope in dosi terapeutiche (si pensi ad esempio ai cannabinoidi ad uso terapeutico) e che possedendo la patente di guida, si debbano muovere quotidianamente per raggiungere il posto di lavoro, i luoghi di cura e/ riabilitazione o semplicemente per usare l’autovettura per esigenze quotidiane. Come detto, infatti, secondo la nuova normativa, potrebbe essere punito anche chi assume farmaci con effetti psicotropi, pur essendo egli capace di guidare in piena sicurezza. E secondo il nuovo articolo 187 del Codice della Strada, è opportuno ricordare, la guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti è punita con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro e l’arresto da sei mesi ad un anno. Nel caso poi di accertamento del reato, vi è comunque la sospensione della patente da uno a due anni, con durata della sospensione stessa che viene raddoppiata quando il veicolo appartiene a una persona estranea al fatto.
Ma non solo, sempre l’articolo 187 del Codice della Strada stabilisce ora che la patente sia sempre revocata nel caso di recidiva nel triennio o se il reato sia commesso da una determinata categoria di conducenti prevista dalla lettera d) del comma 1 dell’articolo 186.
Infine, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta (anche se sia stata applicata la sospensione condizionale della pena), viene sempre disposta la confisca del veicolo con cui è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al fatto.

A questo punto appare evidente la necessità di affrontare il problema dei cosiddetti “falsi positivi” nei test antidroga, perché il rischio è quello di punire ingiustamente persone che assumono medicinali prescritti legittimamente.
Ad oggi non è stato formalmente elaborato un elenco di farmaci e sostanze che potrebbero determinare una falsa positività. E tuttavia, anche se solo a titolo di esempio, è possibile fare riferimento ai farmaci a base di morfina e sostanze analgesiche oppiacee, nonché ai medicinali a base di cannabis, benzodiazepine e barbiturici. Potrebbero inoltre esserci problemi anche nel caso di assunzione di antistaminici, antidolorifici, oppioidi (tra cui, come già detto, la cannabis terapeutica) ansiolitici e sedativi, farmaci per la pressione e antidepressivi triciclici: ossia medicinali, anche di uso comune, che possono avere controindicazioni sulla capacità di guida (come, ad esempio, sonnolenza e alterazione della concentrazione).

Alla luce dunque di quanto evidenziato, risulta necessario, un correttivo alla normativa, pur semplicemente aggiungendo una frase quale «…fatte salve le persone che assumano dette sostanze e farmaci per scopo terapeutico a fronte di precisa prescrizione medica e nei dosaggi previsti dalla stessa» ed è in tal senso che la nostra Federazione muoverà formalmente i propri passi nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

*Presidente della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

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Le nuove Linee Guida per l’inclusione nelle Università

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Approvate nel settembre dello scorso anno, le nuove Linee Guida della CNUDD, la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA, sono composte da dieci capitoli e ne presentiamo oggi un’ampia analisi, con i passaggi che più evidenziano i diritti degli studenti con disabilità, DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e ulteriori BES (bisogni educativi speciali)

Pubblicamente presentate nei giorni scorsi (se ne legga anche su queste pagine), erano state approvate il 25 settembre dello scorso anno le nuove Linee Guida della CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA), documento di 24 pagine suddiviso in dieci capitoli, recepito dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), di cui riportiamo di seguito i passaggi che più evidenziano i diritti degli studenti con disabilità, DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e ulteriori BES (bisogni educativi speciali).

Come si legge nella premessa, «le Linee Guida vogliono essere un modello di riferimento comune volto a indirizzare le politiche e le buone prassi degli Atenei, stimolando scambi e sinergie nell’ottica di una sempre migliore qualificazione del diritto allo studio per tutte e tutti le/gli studenti e della realizzazione di comunità accademiche inclusive». Fonte normativa di tutto ciò è la Legge 17/99, che ha previsto l’istituzione in ogni università di un Delegato del Rettore per l’Inclusione.
Il documento, come sopra detto, riguarda non solo gli studenti con disabilità certificata, ma anche quelli con DSA e ulteriori BES.
Come si legge nel capitolo 2 (Principi ispiratori), «le intenzionalità e le azioni delle Università italiane a favore delle/degli studenti con disabilità e/o con DSA si ispirano ai principi di diritto allo studio, vita indipendente, cittadinanza attiva e inclusione nella società, che orientano più in generale le politiche di indirizzo del nostro tempo, il cui principale punto di riferimento è la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge n. 18 del 2009».

Le Indicazioni per una didattica inclusiva di cui al capitolo 2.2 prevedono comunicazione multimodale, materiali didattici accessibili, misure di flessibilità didattica, strumenti visivi, feedback continuo.

Il paragrafo 3.1 del terzo capitolo definisce quindi in tal modo i compiti del Delegato o Delegata del Rettore: «Il Delegato o la Delegata del Rettore o della Rettrice costituisce il punto di riferimento sui temi dell’inclusione, della disabilità e dei DSA sia verso l’esterno dell’Ateneo sia verso l’interno. Per quanto attiene all’esterno, è punto di riferimento verso tutte le realtà territoriali che si occupano di disabilità e DSA, tra le quali: gli enti regionali per il diritto allo studio, gli enti e gli organismi amministrativi territoriali, gli uffici scolastici decentrati, le istituzioni scolastiche, le associazioni, le imprese e le agenzie per il lavoro. Con riferimento all’interno dell’Ateneo, il Delegato o la Delegata ha il compito fondamentale di promuovere l’inclusione, in tutte le sue forme: sensibilizzazione ai temi della disabilità e dei DSA, tramite iniziative culturali (incluse le attività di ricerca), interventi mirati nelle strutture dell’istituzione, promozione di eventi informativi e formativi rivolti a studenti, personale docente e tecnico amministrativo e bibliotecario. La prospettiva dalla quale il Delegato o la Delegata procede è sempre quella di privilegiare interventi volti a valorizzare le persone con disabilità e DSA, a contrastare stereotipi abilisti ed ogni altra forma di discriminazione anche di tipo intersezionale. Inoltre, il/la Delegato/a sostiene l’autonomia e l’autodeterminazione delle/degli studenti, favorendone il successo formativo, nel rispetto della loro dignità e libertà personale. Spettano al Delegato o alla Delegata il coordinamento di tutte le attività del SDDA [Servizio Disabilità/DSA di Ateneo, N.d.R.], nonché il monitoraggio e l’autovalutazione della qualità dei servizi offerti, finalizzati al loro miglioramento. Il Delegato o la Delegata in collaborazione con altri/e docenti referenti dei Dipartimenti o dei Corsi di studio affianca il SDDA nell’importante fase dell’accoglienza dello/a studente che, per la prima volta, si rivolge all’Ateneo con l’intenzione di intraprendere un percorso di studi universitario. Deve inoltre farsi promotore o promotrice, anche tramite il SDDA o i/le docenti referenti delle strutture didattiche, di incontri periodici con le/gli studenti che usufruiscono dei servizi offerti, sia per ascoltarne l’opinione, sia per evidenziare nuove esigenze ed eventualmente pianificare la modifica di alcune procedure o la creazione di nuovi servizi. Di particolare rilievo il ruolo di mediazione tra lo/a studente e i/le docenti durante tutto il percorso formativo, e il supporto al corpo docente nella consapevolezza del quadro normativo di riferimento, dei diritti e dei bisogni educativi dello/a studente. Il Delegato o la Delegata sovrintende all’allocazione e all’utilizzo dei fondi assegnati a favore delle/degli studenti con disabilità e DSA e assicura che vengano portate a termine nelle scadenze previste le procedure ministeriali. Il Delegato o la Delegata entra di diritto a far parte della CNUDD, come previsto dall’art. 3 del Regolamento della stessa. Il Delegato o la Delegata mantiene un costante scambio con gli omologhi e le omologhe delle altre Università per affrontare e risolvere questioni emergenti o con carattere d’urgenza».

A livello organizzativo è previsto il già citato Servizio SDDA, che «costituisce il punto di riferimento per le/gli studenti e svolge un ruolo strategico di orientamento, accoglienza e di gestione dei servizi».
Fra i suoi compiti, di cui al paragrafo 3.2 del terzo capitolo, «la funzione di interfaccia fra il sistema università e le/gli studenti, considerando anche la possibilità di coinvolgimento dei servizi territoriali di riferimento; la possibilità di fornire informazioni in merito ai benefìci economici, ai servizi erogati e alla mediazione con i/le docenti; il raccordo con i servizi di Ateneo e, in particolare, con gli uffici di orientamento, in ingresso e in uscita (Ufficio Placement), con le segreterie studenti, gli uffici per la mobilità internazionale, gli uffici per gli stage e i tirocini; il supporto mirato all’acquisizione di maggiore autonomia e indipendenza nello studio; l’attività di supporto al/la Delegato/a e, laddove previsto, ai/alle singoli/e Docenti Referenti delle strutture di Ateneo; d’intesa con il/la Delegato/a, il monitoraggio e l’autovalutazione della qualità dei servizi offerti finalizzato al loro miglioramento; l’offerta di materiale didattico accessibile anche tramite il sistema bibliotecario di Ateneo».

La Legge 17/99 ha pure previsto la nomina, a spese dell’università, di tutor nella persona di studenti universitari da affiancare come sostegno agli studenti con disabilità o DSA. Tali tutor costituiscono il servizio di tutorato, di cui al paragrafo 4.1 del quarto capitolo, fondamentale per facilitare il successo universitario degli studenti affiancati. In particolare, «ogni servizio di tutorato ha lo scopo di supportare lo sviluppo dell’autonomia individuale nello studio e la partecipazione attiva lungo tutto il percorso accademico delle/degli studenti, predisponendo interventi mirati che garantiscano pari opportunità e una maggiore inclusività del contesto», e si distinguono inoltre «differenti dimensioni, che sottendono diversi ambiti di intervento: prestazioni di servizi e di supporto da parte di uno/una studente (tutor alla pari) […]; prestazioni di servizi e di supporto da parte di uno/una tutor specializzato/a: con competenze disciplinari (studenti senior, tirocinanti, laureati/e) […],con competenze in ambito psico-pedagogico didattico (individuale e/o per piccoli gruppi omogenei)».

Le Linee Guida dedicano pure particolare attenzione all’accessibilità dei locali universitari, come al paragrafo 4.2 del quarto capitolo, ove si scrive che «il monitoraggio dell’accessibilità degli edifici universitari e delle azioni necessarie al superamento delle barriere architettoniche e sensoriali è compito specifico del servizio tecnico di Ateneo, ma deve essere condiviso con il Servizio SDDA, al fine di pianificare e programmare interventi per il miglioramento dell’accessibilità e della fruibilità degli spazi e dei servizi. Il SDDA può fungere da preziosa interfaccia tra lo/a studente con disabilità e il servizio tecnico di Ateneo per la segnalazione diretta di criticità e la proposta di soluzioni efficaci per il loro superamento».
Segue quindi il riferimento all’uso e accessibilità delle nuove tecnologie, in cui si prevede fra l’altro che «il personale universitario deve essere sensibilizzato sull’utilità di questi strumenti, e formato per l’utilizzo appropriato degli stessi» e «l’accessibilità deve essere anche garantita per tutte le informazioni fornite dall’Ateneo attraverso i siti web».

Le Linee Guida si soffermano quindi accuratamente sulle modalità di svolgimento delle prove d’esame (paragrafo 4.4 del quarto capitolo): «A seguito della richiesta da parte dello/a studente con disabilità e/o con DSA, dell’analisi dei bisogni, il SDDA fornisce consulenza al fine di individuare modalità di supporto adeguate al singolo caso. Ove necessario, il/la docente può essere coinvolto/a fin dall’inizio nella definizione delle modalità di supporto. Sulla base di tali indicazioni, con congruo anticipo prima delle verifiche e delle prove d’esame, lo/a studente con disabilità e/o DSA segnala e/o presenta al/alla docente – con modalità diverse a seconda degli Atenei – le proprie esigenze. La certificazione non dà diritto ad ogni misura compensativa in modo indifferenziato, ma indica piuttosto un bisogno che occorre promuovere, affrontando le problematiche proprie della persona. Se non è pregiudizievole agli obiettivi dell’insegnamento, possono essere concessi uno o più strumenti compensativi, ad esempio: tempo aggiuntivo, strumenti tecnici (TIC e/o TA), suddivisione in moduli della disciplina, accesso ad appelli straordinari, utilizzo di mappe concettuali e mentali, affiancamento di un/una tutor con funzione di lettore/scrittore, di un/una assistente alla comunicazione, di un/una interprete LIS/LIST, ecc. Al/alla docente, in qualità di responsabile del percorso formativo disciplinare, compete la valutazione della idoneità delle misure rispetto al raggiungimento degli obiettivi formativi».
Per gli Esami di Stato, di cui al paragrafo successivo, resta previsto che «l’utilizzo di tali strumenti viene autorizzato dalla Commissione».

Viene pure presa in considerazione la mobilità internazionale con frequenza di università estere, rispetto alla quale il paragrafo 4.6 del quarto capitolo stabilisce fra l’altro che «in collaborazione con l’ufficio di Ateneo addetto alla mobilità internazionale, il SDDA dovrà valutare le reali necessità dello/a studente, facilitare i contatti con l’Università ospitante e, nei casi previsti, avviare le procedure per la richiesta di fondi aggiuntivi. Di particolare rilievo è l’azione di sensibilizzazione verso altri/e studenti che partecipano ai programmi di mobilità internazionale e che possono svolgere volontariamente, nei confronti dei colleghi e delle colleghe con disabilità e/o DSA, attività di tutoraggio alla pari».

Molto spazio viene poi dedicato all’orientamento (capitolo 5). Per l’orientamento in entrata si scrive che «il processo di orientamento è importante al fine di favorire la scelta dell’indirizzo di studi più adeguato volto a valorizzare le potenzialità presenti e a contrastare la dispersione e gli abbandoni in itinere. Sono infatti fornite allo/a studente, attraverso l’orientamento in ingresso, le informazioni relative al percorso formativo e al contesto universitario. Risultano utili al riguardo azioni di avvicinamento dello/a studente al contesto universitario già negli ultimi anni della scuola secondaria, in sinergia con le scuole e gli uffici scolastici-territoriali, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni o accordi di programma. Dopo il superamento dell’esame di maturità e prima dell’immatricolazione, occorre guidare lo/a studente nell’acquisire dimestichezza con l’ambiente universitario nelle sue diverse componenti e in particolare con i/le referenti dei Corsi di studio e delle strutture didattiche interessate. In seguito all’immatricolazione, il SDDA si attiverà, laddove richiesto dallo/la studente, per identificare i servizi individualizzati e approntare contesti accoglienti e promozionali rispetto alle diverse dimensioni: conoscitiva, relazionale, progettuale, didattica e organizzativa».
Per quanto riguarda invece l’orientamento in itinere: «Durante il percorso accademico, l’orientamento può svilupparsi sia attraverso interventi di counseling individuale e/o di gruppo (career counseling) sia mediante azioni rivolte all’interazione tra studente e contesto».
Infine, sull’orientamento in uscita: «Il compito dell’Università non si esaurisce con il conseguimento della laurea, ma deve prevedere anche strategie concrete per fornire un supporto adeguato alle/agli studenti con disabilità e/o con DSA nel momento della transizione al mondo del lavoro. Ogni azione va sviluppata in collaborazione con l’ufficio di Job Placement di Ateneo, anche attraverso attività di sensibilizzazione rivolte al mondo imprenditoriale che mettano in evidenza le opportunità lavorative consone alle professionalità acquisite dal/la singolo/a studente».

Fondamentale è ancora il capitolo 6, relativo ai test d’ingresso che gli studenti devono in alcuni casi svolgere: «Oltre ad un ambiente accessibile e all’applicazione del tempo aggiuntivo previsto (fino al 30% per candidati con DSA, fino al 50% per candidati con disabilità), le misure compensative possono riguardare: tutor con funzione di supporto nella lettura e/o nella scrittura; sintesi vocale; calcolatrice non scientifica; testo della prova adattato secondo le esigenze (caratteri ingranditi, contrasto figura/sfondo, ecc.); ambiente silenzioso; interprete in LIS/LIST. Non possono essere ammessi i seguenti strumenti: dizionario e/o vocabolario, formulario, tavola periodica degli elementi, mappa concettuale, personal computer, tablet, smartphone, smartwatch».

Mentre i capitoli dal primo al settimo riguardano quasi esclusivamente gli studenti con disabilità, il capitolo 8 è specificamente dedicato agli studenti con DSA, rispetto ai quali «l’Università ha l’obbligo di prevedere, come stabilito all’art. 5 della legge n. 170/2010, strumenti compensativi e approcci individualizzati nell’erogazione delle misure a tutela del diritto allo studio che supportino lo sviluppo delle competenze richieste, attraverso pratiche didattiche inclusive, sia nell’ambito del percorso di apprendimento sia per lo svolgimento delle prove di valutazione».
A titolo esemplificativo, viene fornito il seguente elenco: “Strumenti compensativi: PC con correttore ortografico; testo d’esame in formato digitale; programmi di lettore vocale / penna con OCR e di lettore vocale; presenza di tutor con funzione di lettore/lettrice, nel caso in cui non sia possibile fornire materiali d’esame in formato digitale; calcolatrice; tabelle e formulari; mappe concettuali; testo della prova con caratteri ingranditi; suddivisione della materia d’esame in più prove parziali; possibilità di interrogare il/la candidato/a in luoghi e tempi concordati in maniera personalizzata. Misure dispensative: tempo supplementare, fino a un massimo del 30%, per lo svolgimento della prova nel rispetto della privacy; per le prove scritte, riduzione quantitativa, ma non qualitativa, della prova stessa; possibilità di sostenere esami orali piuttosto che scritti o viceversa, tenendo conto anche del profilo individuale di abilità; laddove l’esame scritto venga ritenuto indispensabile, verificare se il formato scelto (a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, test a scelta multipla, o a risposta chiusa, ecc.), rappresenti un ostacolo e se possa essere sostituito da altre forme di valutazione scritta; valutazione dei contenuti piuttosto che della forma e dell’ortografia in relazione alla disciplina; in presenza di difficoltà nel calcolo, per quanto possibile, dare maggior rilievo al procedimento piuttosto che al risultato».

Indicazioni specifiche sono previste riguardo alle lingue straniere (paragrafo 8.4 dell’ottavo capitolo).

Il capitolo 9 è innovativo rispetto alle precedenti Linee Guida, ed è dedicato agli studenti con ulteriori BES (bisogni educativi speciali). Sono previste a tale riguardo due tipologie la prima delle quali è costituita da situazioni che richiedono una certificazione come la disabilità (disabilità e invalidità, disturbi specifici dell’apprendimento, altri disturbi del neurosviluppo, disturbi psichiatrici diagnosticati, condizioni mediche invalidanti), mentre il secondo gruppo concerne più specificamente quelli tradizionalmente considerati come casi di ulteriori BES, che non richiedono certificazione, quali «altre condizioni di bisogni educativi speciali. Rientrano in questa fattispecie tutte le condizioni che influenzano in modo particolarmente negativo gli apprendimenti e/o la partecipazione sociale. In questa categoria potrebbero ricadere, ad esempio, le condizioni di svantaggio socio-economico, linguistico e culturale particolarmente gravi qualora si ravvisi il loro impatto negativo relativamente persistente sugli apprendimenti e/o la partecipazione sociale (tenendo comunque conto delle altre misure che gli Atenei o altri enti, come ad esempio gli enti regionali per il diritto allo studio, mettono in campo per fronteggiare tali condizioni, come ad esempio borse di studio, riduzione delle tasse su base ISEE, corsi di lingua, ecc.). Tali condizioni possono essere segnalate da altri servizi di Ateneo o pervenire direttamente all’attenzione del SDDA».
Quanto agli esami di questi studenti, è prevista la stessa «adozione di accomodamenti ragionevoli individualizzati in sede di esame»; tuttavia, è da precisare che «tali misure, allo stato attuale, non sono al momento estendibili agli esami e ai test di ammissione che seguono indicazioni ministeriali su cui non ci sono margini di autonomia per gli Atenei».

Alcune osservazioni conclusive
Queste Linee Guida completano il sistema di Linee Guida riguardante tutto l’arco dell’inclusione scolastica, costituito dalle Linee Guida per l’inclusione nella scuola, emanate con Nota Ministeriale del 4 agosto 2009 e dalle Linee Guida allegate al Decreto Interministeriale 182/20 sui nuovi modelli di PEI (Piani Educativi Individualizzati), come integrato dal Decreto Ministeriale 153/23.
Il capitolo 10 delle Linee Guida or ora esaminate presenta l’elenco dei riferimenti normativi su cui esse si basano, manca però quello alle Linee Guida per gli alunni con ulteriori BES, trasmesse con Decreto Ministeriale del 12 luglio 2011. A proposito di questi studenti universitari, le presenti Linee Guida precisano, data la novità introdotta, che mancano attualmente appositi finanziamenti per poter prevedere tutor come avviene con gli studenti con disabilità e DSA. È pertanto da supporre che l’Ufficio Assistenza di Ateneo possa ottenere dei giovani del Servizio Civile Universale che sono forniti gratuitamente dallo Stato, per i quali bisogna pagare solo un piccolo contributo da parte dell’Università o degli interessati. Invero, gli studenti che le Linee Guida qualificano come con ulteriori BES, purché certificati, dovrebbero, secondo la normativa vigente per le scuole, rientrare nel gruppo degli studenti con disabilità, data la complessità delle situazioni elencate nel documento.
Da ricordare, infine, che le Linee Guida sono una tipologia di atti amministrativi piuttosto recenti, emanate inizialmente solo dalle nuove autorità che si sono affermate nel mondo amministrativo, come in questo caso la CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati all’Inclusione degli Studenti con Disabilità e con DSA), anche se il documento è stato recepito dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Comunque, anche a livello giurisprudenziale esse possono considerarsi sempre più fonte di diritti, rivendicabili dagli studenti che si trovano nelle condizioni da esse previste. E ciò vale anche per queste Linee Guida, pur non essendo state trasmesse con Decreto Ministeriale.

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Personale ATA – Esiti individuazioni ai fini del conferimento di supplenze – profilo collaboratore scolastico – a.s. 2024/2025 – LIBERATORIA PER INDIVIDUAZIONE DA GRADUATORIA D’ISTITUTO PER IL PROFILO DI COLLABORATORE SCOLASTICO

Ultime da A.T.P. Catanzaro -

►All’esito delle convocazioni di giorno 13/01/2025, giusto avviso AOOUSPCZ0000162 dell’8.01.2025, si pubblica il prospetto del personale, profilo C.S., incluso nella graduatoria provinciale di II FASCIA ...

“Per noi non c’è spazio nel mondo del lavoro. Come possiamo realizzare i nostri sogni nel cassetto?”

Superando -

I giovani e le giovani con disabilità che hanno intervistato la ministra per le Disabilità Locatelli nella trasmissione radiofonica Jolly Roger lo hanno fatto nell’àmbito del progetto Aracne – La Rete che Include, iniziativa che punta a promuovere la piena inclusione sociale di 200 minori con disabilità e in condizioni di povertà educativa che vivono nel III Municipio di Roma. Un progetto selezionato dall’Impresa Sociale Con i Bambini L’immagine-simbolo del progetto “Aracne – La Rete che Include”

Damiano vorrebbe lavorare ma non trova nessuno che lo assuma; Luca vuole capire cosa si intende per “disabilità”, dato che siamo tutti diversi; Matteo chiede cosa fa il Ministero per le Disabilità per la sua famiglia e Alice vorrebbe realizzare il sogno nel cassetto di lavorare nel settore della moda, ma per il momento riempie le sue giornate frequentando un centro diurno lontanissimo da casa «dove sono tutti anziani».
La recente intervista alla ministra per le Disabilità Locatelli fatta dai giovani speaker con disabilità della “redazione inclusiva di Jolly Roger” è solo l’ultimo tassello del progetto Aracne – La Rete che Include, progetto selezionato dall’Impresa Sociale Con i Bambini nell’àmbito del Fondo per il Contrasto alla Povertà Educativa Minorile.

ll progetto Aracne – La Rete che Include è nato per promuovere nel complesso ed eterogeneo territorio del III Municipio di Roma la piena inclusione sociale di 200 minori con disabilità e in condizioni di povertà educativa. Si tratta di una rete di realtà territoriali che promuove l’inclusione attraverso laboratori e servizi che si snodano intorno al “Polo Inclusivo Sperimentale” all’interno dell’Istituto Comprensivo Carlo Levi e che toccano i nodi periferici diffusi sul territorio: dalla sede della Cooperativa Idea Prisma 82, a quella del Brutto Anatroccolo e di Insieme per Fare, dal Brancaleone, alle scuole IC Filattiera e IC Montessori, nonché l’istituto di formazione professionale CIOFS.

«Aracne è anche presa in carico personalizzata orientata al progetto di vita, tramite percorsi di tutoraggio e inclusione lavorativa, percorsi di orientamento all’autonomia personale e sociale, corsi espressivi e ricreativi, laboratori sportivi senza barriere, web radio e laboratori di archeologia. Particolare attenzione viene inoltre dedicata all’accessibilità culturale, con iniziative rivolte alle scuole medie e superiori del territorio, che potranno usufruire anche di percorsi narrativi, didattiche alternative, art-terapia, laboratori di orientamento al successo formativo e di teatro»: questo si legge nel sito del sito del progetto, il cui simbolo è una ragnatela, che diventa «timone, emblema di stabilità e capacità di mantenere la rotta, è pronto a iniziare a tessere la sua ragnatela inclusiva».

Partita nel mese di ottobre dello scorso anno, l’iniziativa intende da ultimo coinvolgere e sostenere le famiglie tramite gruppi di mutuo aiuto, punti di ascolto, percorsi di sostegno, attività ludiche e promozione di reti di famiglie solidali. Né mancano incontri, dibattiti, seminari ed eventi, rivolti a tutta la comunità educante, per sensibilizzare e creare una rete solida e realmente integrata sul territorio. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Chiara Di Paola (aracne@ideaprisma.it).

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Che cosa giustifica ancora il “soggiorno obbligato” delle persone con disabilità?

Superando -

Cresce il numero di persone con disabilità che vivono in ambienti segreganti, ad esempio in Francia, in Polonia, ma anche in Italia. Il volume Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, scritto a più voci, raccoglie strumenti analitici e operativi per prevenire e contrastare l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità nel nostro Paese. Ne abbiamo intervistato il curatore Ciro Tarantino, professore di Sociologia del Diritto presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Può sembrare un paradosso. Da una parte cresce il numero di persone con disabilità che vivono in ambienti segreganti ad esempio in Francia, in Polonia, ma anche in Italia, come evidenzia un recente studio di Eurofound, agenzia dell’Unione Europea del quale ci siamo già occupati recentemente, dall’altra, diventa sempre più urgente la sfida della vita indipendente per le persone con disabilità.

Il curatore del volume, il professor Ciro Tarantino

Tra le mani ci è capitato lo scorso anno, e se n’è parlato anche sulle nostre pagine, un libro scritto a più voci e di libero accesso nel web (a questo link), che può aiutarci a capire: è Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, edito dal Mulino, che raccoglie strumenti analitici e operativi per prevenire e contrastare l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità in Italia.
Abbiamo intervistato il curatore del volume, Ciro Tarantino, professore di Sociologia del Diritto presso l’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, dove insegna Sociologia della Disabilità ed Etica Sociale.

Come è possibile prevenire e contrastare i processi di istituzionalizzazione, anche dove sembra non esistere un’alternativa concreta al cosiddetto “soggiorno obbligato” (penso anche semplicemente a conversazioni/racconti di vita quotidiana, in cui figli o nipoti non riescono a prendersi cura di familiari, non più autosufficienti, e quindi sono costretti ad optare per strutture sociosanitarie)?
«Prima di tutto chiariamo sinteticamente l’espressione soggiorno obbligato: con la formula mi riferisco a tutti quei casi in cui la persona è collocata in una particolare sistemazione abitativa contro la propria volontà e/o non avendo avuto a disposizione una valida e concreta alternativa. Siamo, cioè, in quell’area di fenomeni tutelati dal noto articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità e, soprattutto, dal meno richiamato articolo 14 che – ricordo – , al comma 1, lettera b), chiede che si garantisca che le persone con disabilità “non siano private della loro libertà illegalmente o arbitrariamente, che qualsiasi privazione della libertà sia conforme alla legge e che l’esistenza di una disabilità non giustifichi in nessun caso una privazione della libertà”. Parliamo, dunque, di casi in cui sono compresse le due libertà – quella personale e quella di scelta – che compongono i pilastri su cui si regge la Convenzione stessa.
L’Italia, nel corso degli anni, ha accumulato molteplici saperi e ha elaborato moltissime pratiche in grado di prevenire e contrastare, con estrema efficacia, le forme di collocamento involontario delle persone anziane e/o con disabilità. Molti strumenti, quali la progettazione personalizzata capacitante e gli elementi connessi, quali il budget di progetto, vengono sperimentati ormai da un quarto di secolo. Non a caso la Legge Delega 227/21 in materia di disabilità li ha posti come perno di un nuovo sistema di welfare. E ricordo che la Legge Delega è l’attuazione della Riforma 1.1 del PNRR (Missione 5 – Componente 2) che prevedeva appunto l’adozione di una Legge quadro per le disabilità “nell’ottica della deistituzionalizzazione e della promozione dell’autonomia delle persone con disabilità”. Il problema, semmai, è l’inverso: che cosa, nel 2025, giustifica ancora eticamente e scientificamente l’istituzionalizzazione involontaria delle persone con disabilità?»

Nel volume una parte è dedicata a storie di istituzionalizzazione che potremmo definire assolutamente ordinarie, in nulla riconducibili al “caso limite”: c’è un elemento in comune in tutte queste storie? E cosa possiamo imparare?
«Nel corso della ricerca sono state raccolte molteplici traiettorie esistenziali, poi ne sono state estratte alcune paradigmatiche, per comprendere quelli che possiamo definire i “determinanti sociali dell’istituzionalizzazione”. Direi che tutte le storie, per quanto estremamente diverse, hanno in comune il verificarsi di uno o più punti di frattura: quelli che, materializzando una formula di Ernesto De Martino, abbiamo chiamato “crisi della presenza”. Si tratta, esattamente, di quei momenti a cui faceva cenno lei prima in cui il sistema di cura familiare – se disponibile – entra in crisi per le più diverse ragioni che nel volume proviamo a ricostruire.
Ora il problema è che il sistema di welfare, nel suo assetto ordinario, raramente interviene per evitare o alleviare questi momenti poiché prima scarica il carico assistenziale su famiglie e caregivere poi, dopo averli spremuti fino all’estremo – spesso chiedendo di annullare le proprie esistenze –, sancisce con l’istituzionalizzazione l’insostenibilità della situazione.
Anche nelle situazioni più complesse, di norma, c’è invece molto tempo per intervenire e molte soluzioni prospettabili, volendolo. Tra l’alternativa secca fra una domiciliarità forzata e l’istituzionalizzazione coatta, esistono molte forme di abitare possibile, più o meno assistito, se solo si vuole lavorare nel rispetto di diritti, bisogni e desiderata di tutti. Davvero nel 2025 non siamo in grado di prospettare forme di assistenza di qualità nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali?»

Come i servizi – e penso ai centri diurni ad esempio – possono e devono essere uno strumento veramente a disposizione delle persone con disabilità per l’elaborazione e la realizzazione del loro progetto di vita e uscire dalla logica dell’assistenzialismo e dell’imposizione dall’alto dell’educatore?
«Vedo due questioni principali. In primo luogo, bisogna liberarsi dalla tirannia dell’offerta. In molti territori è l’offerta disponibile di servizi che chiede alle persone di adattarsi, non è invece – come dovrebbe essere nella logica normale delle cose – la domanda che produce un’apposita gamma di servizi. Questo è un problema antico e strutturale di un welfare obsoleto, alquanto standardizzato e ancora poco flessibile rispetto alla personalizzazione dei servizi. Il caso del centro diurno, che lei cita, è significativo: in molti casi, esistendo storicamente un centro diurno sul territorio, la persona con disabilità viene indirizzata a frequentarlo come un automatismo, senza nessuna riflessione in merito a bisogni, aspettative e desideri della persona. Il centro diventa, così, non un luogo funzionale alla persona, ma, se va bene, un “defaticatore” familiare e, molto spesso, un luogo di mera riproposizione della logica dell’intrattenimento che speravamo archiviata da almeno un trentennio».

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito l’incostituzionalità della disciplina del trattamento sanitario obbligatorio (TSO) nella parte in cui non garantisce a chi vi è sottoposto il diritto ad un’adeguata informazione e al contraddittorio. Un’altra ordinanza della Corte di Cassazione circoscrive i poteri del Giudice Tutelare nella nomina dell’amministrazione di sostegno. Stiamo andando nella “direzione giusta”, ma cosa manca affinché sia effettivo il cambiamento culturale e non solo legislativo?
«I cambiamenti legislativi sono efficaci e duraturi solo se fondati su cambiamenti culturali. In questo momento, in merito alle limitazioni di libertà, la disciplina del TSO è quella ancora oggi più formalizzata e che fornisce maggiori garanzie. Il punto, in merito alle persone anziane e/o con disabilità, è un altro: è che, molto spesso, sono soggette a privazioni e limitazioni della libertà improprie e surrettizie, cioè non conformi ai meccanismi di garanzia previsti dalle normative.
Come l’esperienza del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ci ha insegnato in questi anni, si tratta spesso di internamenti o di privazioni di fatto e non di diritto della libertà personale. Questo significa che c’è un profondo problema culturale in merito allo statuto di cittadinanza delle persone anziane e/o con disabilità: nei loro confronti viene reputato normale adottare comportamenti lesivi della dignità e della libertà che sarebbero impensabili per il resto della cittadinanza.
Ancora più drammatico è quando i servizi e le istituzioni neanche si accorgono di star comprimendo la dignità e la libertà di una persona. Sempre l’esperienza di questi anni indica come ormai improcrastinabili alcune riforme: in primo luogo, anche in ottemperanza alle ripetute richieste del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – che vigila sull’applicazione della Convenzione omonima –, la soppressione degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. In secondo luogo, ed estremamente necessaria, la delicata riforma dell’amministrazione di sostegno, in modo che siano scongiurati i pericoli che l’assistenza si tramuti in sostituzione della volontà della persona con disabilità».

Lei scrive che il volume è stato scritto «in un momento di fermento legislativo»: i Decreti Legislativi attuativi della Legge Delega 227/21 e in generale le recenti soluzioni normative adottate dal Legislatore hanno tenuto conto di questi studi raccolti?
«La ricerca è stata promossa dalla Presidenza del Consiglio (Ufficio per le Politiche in Favore delle Persone con Disabilità, oggi Dipartimento) in un momento in cui il Covid aveva messo in luce l’estrema fragilità del sistema di welfare italiano e prima ancora che prendesse piede l’ipotesi della Legge Delega 227/21. Non a caso, nello stesso periodo e a partire dallo stesso presupposto, la Federazione FISH aveva promosso il progetto Welfare 4.0. La ricerca si è poi materialmente svolta in un periodo in parte convergente con quello della redazione dei Decreti Legislativi di attuazione della Legge Delega. E alcuni degli estensori del rapporto di ricerca sono stati coinvolti nei lavori della Commissione di studio redigente gli schemi di Decreti Attuativi (chi scrive, Cecilia Marchisio e Daniele Piccione in funzione di coordinatore della Commissione). Oggi che il procedimento legislativo è sostanzialmente chiuso, i lettori e le lettrici potranno giudicare se e quanto le soluzioni adottate dal Legislatore siano o meno convergenti con quelle prospettate nel volume.
Se proprio dovessi riassumere una materia che è molto complessa e articolata, direi che, a fronte di una sostanziale convergenza della ricerca con l’impianto della Legge Delega 227/21, le distanze maggiori si rinvengono in alcuni punti di ambiguità che il Decreto Legislativo 62/24 lascia proprio in tema di libertà personale e di prevenzione e contrasto dell’istituzionalizzazione. Ma questo è un argomento che meriterebbe un apposito approfondimento e un dibattito, soprattutto con i movimenti di tutela dei diritti delle persone con disabilità. Il problema è che non mi pare che il mondo dell’associazionismo – nel suo complesso e con le dovute eccezioni – in questo momento dimostri una specifica sensibilità per queste tematiche. Mi sembra, piuttosto, che siamo in un momento in cui il tema viene silenziosamente rimosso dall’agenda politica, senza la forza e il coraggio di esplicitare le ragioni di questo accantonamento subdolo».

Se confrontiamo il quadro italiano con quello europeo come ne usciamo?
«Il quadro europeo e internazionale che ruota intorno all’applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità è molto solido. Si pensi, a puro titolo di esempio, alle Linee Guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza rilasciate dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel 2022, proprio mentre la nostra ricerca era in corso. Oppure al lavoro del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti  del Consiglio d’Europa, oppure al recentissimo Commento Generale n.1 all’articolo 4 del Protocollo Opzionale (Posti di privazione della libertà) del Sottocomitato ONU sulla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT). Mi sembra, piuttosto, che sia l’Italia – con la sua tradizione di emancipazione – a dover decidere se dignità e libertà delle persone con disabilità siano o meno questioni meritevoli di confronto e impegno o temi da mettere in sordina».

Il libro Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, di libero accesso nel web, come sopra già ricordato (a questo link), è diviso in cinque parti (Geometrie esistenziali e crisi della presenzaCartometrie e cartografie della residenzialità in ItaliaCodici culturali e quadri normativiDispositivi di incapacitazioneStrategie di emancipazione) e contiene contributi di Matteo Schianchi, Massimiliano Verga, Natascia Curto, Cecilia Maria Marchisio, Virginia De Silva, Lavinia D’Errico, Giovanni Pizza, Ciro Pizzo, Nicola Vanacore, Daniele Piccione, Emilio Santoro, Orsetta Giolo, Daniele Amoroso, Benedetto Saraceno, Christian Loda, Maria Giulia Bernardini, Diana Genovese, Paolo Addis, Fabrizio Magani, Giovanni Merlo, Luca Fazzi, Ranieri Zuttion, Fabrizio Starace, Alceste Santuari, Filippo Venturi, Gilda Losito e Vincenzo Falabella, curatore, quest’ultimo, della postfazione.

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Istruzioni operative sul nuovo iter di accertamento della disabilità

Superando -

Con il suo messaggio n. 4465/2024, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha provveduto a una descrizione puntuale delle principali novità in relazione alla procedura di accertamento della condizione di disabilità, stabilita dal decreto legislativo 62/2024, andando quindi a fornire delle istruzioni operative utili per l’attuazione della sperimentazione, partita il 1° gennaio 2025, nelle Province di Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste.

In tale documento, l’INPS chiarisce dettagliatamente il contenuto del certificato medico introduttivo, elencando i medici che lo possono rilasciare.

Inoltre, specifica che la responsabilità di inviare il suddetto certificato all’INPS, secondo le modalità previste sul sito dell’Istituto, è del medico che lo ha rilasciato e che, sempre quest’ultimo, deve far firmare all’interessato la ricevuta di trasmissione del certificato e conservarla.

Ancora, il messaggio precisa che la convocazione a visita arriverà all’interessato tramite lettera raccomandata, della quale specifica il contenuto.

La parte più importante della nota INPS in esame è la descrizione dell’accertamento sanitario e della composizione delle nuove Unità di Valutazione di Base (UVB), che, secondo il nuovo iter, saranno quelle competenti alla sua realizzazione.

Infine, il messaggio n. 4465, oltre a chiarire che il “certificato che attesta la condizione di disabilità” rilasciato dall’UVB sarà visibile dall’interessato sul “Portale della Disabilità”, va a indicare le modalità per la trasmissione dei dati socioeconomici.

 

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Selezione e formazione rigorosa per l’insegnamento di sostegno

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«Abilitazioni discutibili, comportamenti inaccettabili e, in alcuni casi, violenti, non sono più tollerabili. Chiediamo misure concrete per garantire che tutti i docenti di sostegno siano selezionati e formati in modo rigoroso e continuativo, con particolare attenzione alle competenze specialistiche necessarie per supportare in maniera efficace e rispettosa gli studenti e le studentesse con disabilità»: lo dicono dalla Federazione FISH, commentando l’arresto di un’insegnante di sostegno in Campania, sulla base di «accuse gravissime, se confermate»

«Servono controlli seri, continui, formazione iniziale e in servizio e verifiche rigorose sulla qualità e sull’etica dei docenti, e non solo dei docenti, per garantire un’istruzione di qualità. Occorre costruire un sistema trasparente e responsabile, in grado di rispondere alle esigenze dei nostri studenti e studentesse. Non possiamo più accettare un sistema che tratta gli alunni e le alunne come numeri, che finge inclusione, ma poi abbandona gli studenti le famiglie al loro destino. I nostri figli non sono un banco di prova per chi cerca un lavoro facile. I nostri alunni e alunne, studenti e studentesse, le nostre famiglie meritano più rispetto»: è questa la presa di posizione espressa da Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), commentando la notizia dell’arresto di un’insegnante di sostegno in Campania, accusata di avere tenuto comportamenti di natura sessuale con alcuni alunni della scuola media dove svolgeva il proprio ruolo. «Accuse gravissime – sottolineano dalla Federazione -, qualora dovessero essere confermate».

«Esprimiamo profonda preoccupazione per questi fatti – si legge poi nella nota diffusa dalla FISH – e per la condizione attuale del sistema scolastico italiano, in particolare per quanto concerne il reclutamento e la formazione dei docenti di sostegno. Troppe volte, infatti, ci troviamo di fronte a situazioni in cui l’insegnamento di sostegno viene percepito come una via di ripiego per entrare nel mondo della scuola, senza che i docenti siano dotati delle competenze, della vocazione e della preparazione adeguata. Questo non solo compromette la qualità dell’insegnamento, ma soprattutto limita il diritto all’inclusione e all’educazione di qualità per gli studenti e le studentesse con disabilità, privandoli del necessario supporto di cui hanno urgente bisogno».

«Abilitazioni discutibili, comportamenti inaccettabili e, in alcuni casi, violenti, non sono più tollerabili – prosegue la nota -. Per questo chiediamo con forza che vengano adottate misure concrete per garantire che tutti i docenti di sostegno siano selezionati e formati in modo rigoroso e continuativo, con particolare attenzione alle competenze specialistiche necessarie per supportare in maniera efficace e rispettosa gli studenti e le studentesse con disabilità. A tal proposito invitiamo le Istituzioni a intervenire con urgenza per risolvere queste problematiche, rivedendo le modalità di abilitazione, formazione e reclutamento, al fine di tutelare il diritto all’inclusione e alla qualità dell’educazione per tutti».

«È inaccettabile – concludono dalla FISH – che il sistema scolastico sembri talvolta un “ammortizzatore sociale” per diplomati e laureati in cerca di un’occupazione. Il ruolo educativo, soprattutto per gli studenti e le studentesse con disabilità, richiede una preparazione seria, un’etica rigorosa e un profondo rispetto per la dignità umana. Ribadiamo pertanto la necessità di adottare con immediatezza strumenti normativi concreti per garantire trasparenza e qualità nell’insegnamento. È necessario, ad esempio, applicare pienamente il cosiddetto Freedom of Information Act (Decreto Legislativo 97/16*), permettendo a cittadini, genitori e istituzioni di vigilare sull’operato della scuola. Dirigenti scolastici, genitori e ispettori ministeriali devono essere messi nelle condizioni di verificare con serietà la preparazione e l’etica dei docenti». (S.B.)

*La normativa cosiddetta “FOIA”, ossia “Freedom Of Information Act”, introdotta con il Decreto Legislativo 97/16 (recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) è parte integrante del processo di riforma della Pubblica Amministrazione, definito dalla Legge 124/15.

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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