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Una trasformazione interiore che va ben oltre la tecnologia

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Nata con l’obiettivo di abbattere le barriere digitali per le persone con disabilità motorie gravi, attraverso l’uso delle tecnologie, l’Associazione TecnologicaMente inSuperAbili ha quali soci fondatori Gabriele D’Imporzano e Nicolò Sparesato che dicono: «L’entusiasmo e il senso di realizzazione che vediamo nei nostri soci ci ispirano profondamente. Siamo testimoni di una trasformazione interiore che va ben oltre la tecnologia: è il risveglio della fiducia in se stessi e nelle proprie capacità» Gabriele D’Imporzano

L’Associazione TecnologicaMente inSuperAbili è nata con l’obiettivo di abbattere le barriere digitali per le persone con disabilità motorie gravi, promuovendo l’indipendenza e l’autonomia attraverso l’uso delle tecnologie. In questa intervista, Gabriele D’Imporzano e Nicolò Sparesato, soci fondatori, raccontano la genesi, le sfide e i progetti di questa realtà innovativa.

Qual è la missione principale di TecnologicaMente inSuperAbili e quali sono gli obiettivi a breve e lungo termine?
«La nostra missione è sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni sui temi delle disabilità motorie gravi, nonché organizzare spazi fisici e virtuali per valorizzare le persone con queste disabilità. Vogliamo migliorare l’autonomia, l’indipendenza e la qualità della vita attraverso soluzioni tecnologiche personalizzate. Ogni volta che vediamo una persona riuscire a compiere azioni quotidiane in autonomia, che prima sembravano irraggiungibili, ci sentiamo travolti da una gioia immensa e da una profonda commozione.

L’indipendenza, per chi vive una condizione di fragilità, è una conquista straordinaria, che riaccende speranza e dignità. A volte bastano piccoli passi – come accendere una luce con un comando vocale o inviare un messaggio senza aiuto – per fare emergere un sorriso e la consapevolezza di avere il controllo della propria vita. Questa trasformazione ci emoziona e ci spinge a fare sempre di più.
Nel breve termine, puntiamo a consolidare e ad ampliare le nostre attività, coinvolgendo nuovi membri e portando sempre più persone a scoprire il potenziale delle tecnologie. Nel lungo termine, il nostro obiettivo è trasformare l’Associazione in una realtà lavorativa, creando opportunità concrete che restituiscano a tutti il diritto di essere protagonisti della propria vita e del proprio futuro».

Nicolò Sparesato

Quali sono le principali iniziative in corso e come scegliete i progetti su cui lavorare?
«Attualmente assistiamo i soci nell’uso delle tecnologie per massimizzare le loro capacità residue. Creare un mondo più accessibile ci dà una profonda gratificazione e ci fa sentire parte di un cambiamento positivo. Ogni volta che aiutiamo qualcuno a scoprire che può essere indipendente, sentiamo il calore di un legame umano che supera le barriere fisiche e sociali.
Ad esempio, la nostra iniziativa legata alla domotica permette alle persone di scegliere e utilizzare sistemi personalizzati per le proprie esigenze, agevolando una vita più autonoma e libera. L’entusiasmo e il senso di realizzazione che vediamo nei nostri soci ci ispirano profondamente. Siamo testimoni di una trasformazione interiore che va ben oltre la tecnologia: è il risveglio della fiducia in se stessi e nelle proprie capacità».

Fonte: Fondazione ASPHI.

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Incontri di formazione sulla Legge Delega in materia di disabilità

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La Legge Delega 227/21 in materia di disabilità rappresenta uno snodo cruciale per il futuro delle persone con disabilità. La Federazione FISH propone un ciclo di incontri da remoto per approfondire il Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge Delega, e l’applicazione dello stesso in riferimento alla sperimentazione prevista nelle nove Province individuate per questo 2025

La Legge Delega in materia di disabilità (Legge 227/21) rappresenta uno snodo cruciale per il futuro delle persone con disabilità. Quest’anno parte anche la sperimentazione, prevista nelle nove Province a suo tempo individuate (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste), della valutazione di base e del nuovo modello di valutazione multidimensionale, nonché dell’elaborazione del progetto individuale di vita, con connesso budget di progetto.

La FISH (Federazione italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) propone un ciclo di incontri per approfondire le specificità del Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge 227/21, e l’applicazione di esso in riferimento alla sperimentazione prevista nelle citate nove Province, grazie ad esperti del settore che metteranno a disposizione competenze e strumenti utili per affrontare le sfide della riforma.

La formazione è aperta anche a terzi e mira a fornire un quadro chiaro e operativo per Associazioni, Enti del Terzo Settore e altre figure coinvolte. Per parteciparvi è necessario iscriversi tramite l’apposito modulo (a questo link).
Il primo incontro si svolgerà nel pomeriggio del 17 gennaio (ore 16-17) e tutti si terranno da remoto su piattaforma Zoom.

Calendario degli incontri
17 gennaio, ore 16-17 – Analisi normativa pre e post riforma – Alessia Maria Gatto
20 gennaio, ore 16-17 – Progetto di vita e budget di progetto: enti del terzo settore e coordinamento degli interventi – Paolo Bandiera
24 gennaio, ore 17-18 – Progetto di vita – Francesca Palmas
27 gennaio, ore 17-18 – Valutazione di base – Angelo Cerracchio
31 gennaio, ore 16-17 – Valutazione multidimensionale – Corinne Ceraolo
10 febbraio, ore 16-17 – Sintesi della riforma – Giuliana Anatrella
(C.C.)

Maggiori informazioni su temi e docenti sono presenti nel sito della FISH a questo link.

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Sergio Prelato: un uomo dall’anima “accessibile”

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«L’inclusione è come un cerchio, da allargare sempre più»: così Sergio Prelato, persona con disabilità visiva, consigliere nazionale dell’UICI, esperto di barriere architettoniche e mobilità, conclude la sua chiacchierata con Laura Bonanni, che presentiamo oggi sulle nostre pagine Sergio Prelato

Siamo qui al telefono un sabato mattina, io e Sergio Prelato, consigliere nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), esperto di barriere architettoniche e mobilità. Una telefonata come tante delle nostre. Con Sergio ci conosciamo da circa quattro anni, grazie a un’amica comune, e abbiamo condiviso tante opinioni, affrontato molti argomenti da seri a faceti, passando da un discorso all’altro con libertà e fluidità, con ironia e serietà, ed è proprio questo il bello del nostro rapporto, direi veramente il bello di parlare con una persona come lui, in grado di sdrammatizzare anche cose molto impegnative, di prenderle con sereno e ironico distacco, senza venire meno al proprio senso di responsabilità, consapevole delle difficoltà, mai banalizzando o svalutando.
Accetta di buon grado di farsi intervistare, consapevole che la condivisione rappresenta il tassello fondamentale per costruire relazioni e quindi accessibilità nel senso più ampio del termine.
Caro Sergio, dunque, eccoci qui per questa intervista e grazie per il prezioso tempo che mi stai dedicando, è per una buona causa (sorridiamo entrambi). «Cara Laura, hai carta bianca».

Chi è Sergio Prelato?
«Bisognerebbe chiederlo a chi vive con me, ma visto che lo stai chiedendo a me, cercherò di essere il più oggettivo possibile. Ho appena compiuto 59 anni e fin da piccolo, avendo problemi di vista, ho fatto vita istituzionale. Fino al 1970 c’erano gli istituti per non vedenti e io ho vissuto e studiato in questo tipo di strutture (fra scuole medie e istituti professionali). Ho lavorato per trentadue anni in banca e contemporaneamente mi sono occupato di associazionismo e negli ultimi venti anni ho focalizzato la mia attenzione sull’accessibilità dell’ambiente fisico, diciamo stazioni, metropolitane, semafori sonori e quant’altro, perché ho scoperto che è la mia passione».

Raccontaci qualcosa della tua vita privata.
«Sono sposato, ho una figlia di 16 anni. Sono in pensione dalla banca. ma continuo a prestare la mia opera per l’UICI e la mia vita privata è all’insegna delle cose che mi sono piaciute da sempre e che ho un po’ scoperto per caso. La prima cosa fondamentale e molto importante è legata al palato: mi piace il gelato al limone (risatine di entrambi)!
Da piccolo ero appassionato di fantascienza quindi leggevo fantascienza mattina, pomeriggio e sera. Poi ho scoperto di essere appassionato di scacchi e quindi ho avuto la mia parentesi scacchistica nei circoli e anche lì ho affrontato i problemi legati all’ipovisione (scacchiera regolamentare, chiedere modifiche su alcune regole posizionali ecc.). Diciamo che in tutto quello che ho fatto ho abbracciato i problemi della diversità. Ho anche scoperto per caso di essere appassionato di canottaggio e ho fatto diverse gare sia in Italia che in Europa. Poi in questa fase della mia vita mi piace molto approfondire la storia, la politica, la geopolitica, sono un curioso, un po’ poliedrico, diciamo così.
Sono anche coautore di alcuni libri sul tema della cecità affrontato in modo ironico e scanzonato, scritti a sei mani: Pianeta Ciecagna (che riunisce due libri, Cronache dalla Ciecagna e Colpo di stato a Ciecagna) e Pregiudizio universale a Ciecagna, tutti della And Edizioni.
All’età di dieci anni mi venne diagnosticata la retinite pigmentosa e ora sono nell’ultima fase, cioè vedo luce, ma non riesco più a leggere, uso il bastone bianco da almeno cinque anni e la sintesi vocale: io il computer più che vederlo, lo ascolto! Nella sfortuna della malattia sono stato comunque fortunato, poiché son planato lentamente nella cecità, nell’ipovisione grave, stadio in cui mi trovo adesso e quindi ho avuto la possibilità di adattarmi ad ogni discesa nel mio planare…
Pur nella tristezza di perdere i colori, la capacità di leggere ecc., ho però sempre avuto la possibilità interiore di venire a patti con questi peggioramenti, per cui non ho mai sofferto di depressione. Certamente ho sperimentato malinconia e tristezza per la perdita, la retinite è stata severa, mantenendo la parola («tu hai il problema genetico, fijo mio, per cui paghi pegno»), ma è stata gentile, portandomi gradualmente verso questo stato attuale che vivo».

Questa tua condizione visiva ha rappresentato un problema nelle relazioni interpersonali?
«Quando ero giovane, sì. Quando andavo alle feste e c’era scarsità di luce o penombra, io soffrivo di emeralopia, cioè non riuscivo a vedere bene l’ambiente, parlavo male con le persone perché non mi accorgevo di ciò che avevo intorno, ero quello “un po’ strano”. Comunque questo non mi ha impedito di costruire relazioni, avere amicizie, simpatie, perché poi alla fine quel che succede è che l’ambiente visivo è soggettivo, cioè io ad un certo punto mi son fatto furbo, stavo alla larga dalle situazioni in cui potevo sperimentare grande difficoltà, come ad esempio discoteche, bar e quindi ho cominciato a sperimentare che ero più normale di quello che potevo pensare».

Quanto ha influito la tua condizione di vista in merito alla sensibilità che hai sviluppato e che poi hai messo a servizio, concretamente, nell’àmbito dell’UICI?
«Inizialmente è stata molto controproducente perché partivo dal presupposto che se tu vedi poco o vedi male, devi trovare una soluzione, devi combattere i limiti e, diciamo così. “non ce n’è per nessuno”. Quindi ero molto aggressivo, da questo punto di vista. Invece poi, a mano a mano che peggioravo con la vista e che qualcuno con più esperienza mi faceva riflettere, ho capito che il mio atteggiamento doveva essere molto più sfumato, cioè io posso rendere accessibile una stazione con un bastone bianco, con un residuo visivo o avere un’agevolazione per poter usufruire di questa stazione in maniera autonoma, ma se tu non te la senti, magari in quel momento sei depresso, hai paura di andare in giro da solo, hai diritto ad avere l’assistenza della Sala Blu. Per cui ho iniziato a stare più zitto, ad ascoltare di più le persone che mi chiedevano una mano sull’accessibilità, a dir loro che non dovevano spaventarsi per l’accessibilità e che io ero lì per fornire strumenti quando si sarebbero sentite pronte per volerne usufruire, facendo un corso di orientamento e mobilità e se tutto ciò non fa per te, perché tu hai sempre bisogno di qualcuno che ti accompagni, stai tranquillo: non sei sbagliato! Ecco, io tutto ciò ho impiegato molti anni a capirlo e ho dovuto mettermi molto in discussione, l’ho capito col tempo».

Ma cos’è esattamente una Sala Blu, Sergio?
«In ogni stazione, media o grande, la Rete Ferrovie Italiane mette a disposizione una Sala Blu in cui tu prenoti un’assistenza. Arrivando in bus o con il taxi in stazione, concordi il tuo prelievo con un addetto personale che ti porta sul treno, al tuo posto e avverte il capotreno che a bordo c’è una persona  con disabilità.
Poi per gli aeroporti c’è la Sala Amica, prevista dall’ENAC, da una Carta Europea. Fra l’altro, noi in Italia siamo i migliori perché abbiamo creato una struttura professionale, l’accompagnamento, non solo per i ciechi, è una professione vera e propria».

Arriviamo ad oggi e al progetto del libro La città del presente. Come è nato?
«Siccome tutti noi abbiamo avuto dei maestri, io ho molti amici architetti, ingegneri che mi hanno insegnato molte cose sull’ambiente costruito e io ho imparato molto da loro. Poi, però, cosa ho fatto? Ho preso tutte queste informazioni e per anni inconsapevolmente le ho elaborate in me. Così ad un certo punto ho sentito l’esigenza di scrivere un libro sull’accessibilità, le soluzioni che si possono applicare per l’accessibilità per persone con disabilità visiva, ma anche per altre disabilità, come quella uditiva. L’ho fatto assieme al Gruppo di Lavoro sull’Accessibilità dell’UICI di cui faccio parte, (sono rappresentante con Delega per l’Accessibilità), partendo dal basso, cioè noi che abbiamo la disabilità abbiamo preso dai tecnici, dal loro sapere e poi abbiamo elaborato attraverso il filtro dell’esperienza. Ne è nato il libro La città del presente, appunto, che è in distribuzione in tutti i Comuni italiani. Prima della fine del 2025 vorremmo completare il giro di tutte le Regioni italiane».

Cosa ti è rimasto di questa esperienza del libro?
«È un libro aperto che non potrà mai avere fine, nel senso che adesso stiamo già lavorando a un aggiornamento e sarà dedicato totalmente ai trasporti, ai bus, all’autista che conduce il mezzo e all’autobus come tram/bus su gomma. E poi andremo avanti, io o chi per me, prenderà per mano questo libro e farà dei futuri capitoli di aggiornamento».

Dalla tua esperienza pensi che viviamo in una società dove c’è sensibilità per le persone con disabilità visiva?
«Sì, a mio parere esiste. Questo perché l’associazionismo, per gli ipovedenti e non vedenti in particolare (almeno come l’UICI, che ha 100 anni di storia, ma anche altre Associazioni “sorelle” che in questo àmbito operano da tempo), ha dato una grossa mano in questo. Poi vedere persone che hanno dei limiti ma si muovono e non rinunciano ai propri interessi, alle proprie aspirazioni, alla propria autonomia, sensibilizza l’opinione pubblica. E non dimentichiamo la televisione. Alcuni programmi, alcuni personaggi noti che parlano e/o vivono la disabilità, alcuni progetti, come anche questo del libro, potremmo dire che rendono attivo un circolo virtuoso».

Avere saputo all’età di 10 anni che avevi un serio problema visivo, ti ha fatto sentire inferiore agli altri e ha mosso un po’ in te un bisogno di rivincita?
«Senso di inferiorità sì. Spesso e volentieri in adolescenza, soprattutto, mi sono sentito molto inferiore, però mai una voglia di rivalsa. Nel senso che se vedevo che in certi ambienti marcava male, mi ritiravo. Amavo i libri e mi rifugiavo in un mondo che mi ritagliavo su misura. Però la lettura, lo studio, non bastano, bisogna uscire fuori e il lavoro mi ha aiutato tantissimo, sono stato costretto ad interagire. Ad un certo punto ho visto che al mio capo non interessava niente che fossi ipovedente. Lui da me voleva puntualità, professionalità, efficienza, presenza. Quindi non mi sono più sentito inferiore, ma una persona all’interno di un meccanismo lavorativo e che si pretendeva da me una certa performance. Tutto ciò mi ha tolto da un certo senso di inferiorità.
È bello vincere e stare su un palco, io però ho imparato che comunque ho lavorato, ho giocato tornei, ero in barca, e quindi da questo punto di vista sono stato un vincente, perché non mi sono tirato indietro, mi sono messo in gioco e quindi ho vinto una battaglia e cioè stare nella società. Una lacrimuccia, una parolaccia e poi ci si rialza e si riparte».

Come vorresti concludere questa nostra chiacchierata?
«Esponendo brevemente il mio concetto di inclusione che ho già espresso in una bella intervista che mi ha fatto Marco Farina poco tempo fa. L’inclusione come un cerchio. Il mio desiderio è quello di vedere questo simbolico cerchio allargarsi sempre di più, cioè che io sia già incluso automaticamente nel mondo alla nascita, a prescindere da qualunque tipo di disabilità io abbia. Quindi non debbo aspettarmi di essere incluso, perché ciò significherebbe che io son fuori e devo bussare per entrare nel cerchio. Il cerchio deve essere realisticamente, nei limiti del possibile, largo. Questo è il mio sogno: allargare il cerchio».
Molto chiaro il concetto e condivido. Grazie di cuore Sergio, alla prossima chiacchierata magari in cerchio anche con Marco (Farina) e Angela (Trevisan), amici comuni.

*Psicologa, psicoterapeuta, specialista in analisi transazionale.

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Un ciclo di webinar formativi sulla vita indipendente

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Sei incontri online, dal 16 gennaio al 19 giugno, rivolti in particolare agli operatori sociali impegnati nei servizi del welfare sociale per la disabilità, ma anche ai leader delle Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari: è il ciclo di webinar formativi sulla vita indipendente e l’inclusione sociale delle persone con disabilità, promosso dall’Ambito Territoriale di Saronno (Varese), in collaborazione con la Federazione LEDHA, nel quadro del progetto Anche tu puoi!

«Gli operatori che lavorano nei servizi del welfare sociale sono chiamati a orientare in modo differente rispetto al recente passato i propri sguardi sulla disabilità e quindi le proprie azioni in favore dei diritti delle persone con disabilità. Un cambiamento in atto da diverso tempo che, ora, anche per via delle novità legislative, chiede di essere compiuto, lasciando alle spalle vecchie abitudini e anche nuove resistenze»: viene presentato così il ciclo di incontri online formativi dedicati alla vita indipendente e all’inclusione sociale delle persone con disabilità, iniziativa promossa in Lombardia dall’Ambito Territoriale di Saronno (Varese), in collaborazione con la LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), nell’àmbito del progetto Anche tu puoi!.

Sei gli incontri previsti, a cadenza mensile, dal 16 gennaio al 19 giugno e sempre in mattinata, dalle 9 alle 11, rivolgendosi in particolare agli operatori sociali (assistenti sociali e educatori professionali) impegnati nei servizi del welfare sociale per la disabilità, ma anche ai leader delle Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari.
Nel dettaglio del programma:
° Giovedì 16 gennaio: Desideri e preferenze (docente Monica Pozzi, responsabile dell’Agenzia per la Vita Indipendente Nord Milano).
° Giovedì 13 febbraio: La valutazione multidimensionale (docente Marco Zanisi, presidente della Cooperativa Serena).
° Giovedì 13 marzo: Il consulente alla pari (docente Marco Rasconi, responsabile dell’Agenzia per la Vita Indipendente di LEDHA Milano).
° Giovedì 8 maggio: Protezione giuridica e progettazione individualizzata (docente Laura Abet, responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA).
° Giovedì 5 giugno: Persone con disabilità, l’abitare e il lavoro (docente Enrico Mantegazza, presidente della LEDHA Milano Città Metropolitana).
° Giovedì 19 giugno: Budget di progetto: aspetti economici e patrimoniali, per la vita indipendente (docente Marco Bollani, direttore della Cooperativa Sociale Come NOI). (S.B.)

Per partecipare agli incontri è necessario registrarsi compilando il form presente nel sito della LEDHA a questo link oppure scrivendo a info@ledha.it. Per ulteriori informazioni: Giovanni Merlo (giovanni.merlo@ledha.it).

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Primi sintomi di disturbo dello spettro autistico: un appello ai genitori per il progetto “FIRRST”

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Il progetto “FIRRST” rappresenta un intervento innovativo per lattanti che mostrino i primi sintomi di disturbo dello spettro autistico: a portarlo avanti l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa), che in questi giorni ha rivolto un appello ai genitori affinché possano aderire. Lo studio è aperto si bambini dai 9 ai 15 mesi che mostrino appunto i primi sintomi di disturbo dello spettro autistico

Un appello rivolto a tutti i genitori con bambini e bambine di età compresa tra 9 e 15 mesi, che mostrano i primi sintomi di disturbo dello spettro autistico: a lanciarlo è l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone, in provincia di Pisa, che ha avviato lo studio europeo FIRRST (Fostering Infant Responsivity and Reciprocity – Support to Thrive, ossia, letteralmente, “Promuovere la reattività e la reciprocità del bambino – Sostegno alla crescita“), dedicato appunto ai bambini di età compresa tra 9 e 15 mesi con segnali iniziali di disturbo dello spettro autistico.
Grazie ai finanziamenti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), del Ministero della Salute e al supporto dell’Unione Europea, questo progetto rappresenta una svolta nella ricerca sull’intervento precoce per l’autismo, come viene sottolineato in una nota diffusa dall’Istituto Scientifico per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Lo studio, condotto dalla Stella Maris con la partecipazione di esperti quali Andrea Guzzetta, Sara Calderoni e Costanza Colombi, parte dalla premessa che intervenire tempestivamente, durante il primo anno di vita, possa influire positivamente sullo sviluppo del bambino. L’approccio proposto da FIRRST si basa su strategie semplici ma efficaci, studiate per integrarsi nella routine quotidiana delle famiglie, con l’obiettivo di migliorare le capacità sociali e comunicative del bambino.
I genitori partecipanti verranno coinvolti in sessioni settimanali per un periodo di sei mesi, durante le quali riceveranno supporto da un team di esperti. Parallelamente, verranno utilizzate tecnologie avanzate per una misurazione neurofisiologica innovativa, in grado di monitorare i progressi del bambino e offrire una valutazione oggettiva dei risultati.

«Il progetto – viene spiegato dai promotori – punta ad offrire ai genitori strumenti pratici per sostenere lo sviluppo del proprio figlio, senza trasformarli in terapisti. FIRRST si propone pertanto di rendere le famiglie parte attiva del percorso, in un contesto di accompagnamento e supporto continuo. Se i dati preliminari saranno confermati, questo studio potrebbe rappresentare un cambiamento radicale nell’approccio clinico all’autismo, introducendo interventi preventivi già a partire dai primi segnali di rischio». (C.C.)

I genitori interessati possono contattare il team di ricerca per maggiori informazioni o per valutare la possibilità di partecipare, tramite Roberta Rezoalli (r.rezoalli@gmail.com).

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2025: un anno denso di sfide e di opportunità

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«Il 2025 – scrive il presidente della Federazione FISH Falabella – sarà un anno cruciale in cui saremmo chiamati ad affrontare questioni fondamentali sulle quali cui tutti noi dovremo essere protagonisti, unendo le forze per costruire un sistema Italia che sappia essere all’altezza delle aspirazioni e dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie che rappresentiamo. Un sistema che viviamo e che dobbiamo vivere con dignità»

Il 2024 si è concluso nel migliore dei modi, rappresentando un momento di straordinario valore per la nostra Federazione FISH e per il movimento che con orgoglio rappresentiamo. Ora, con il 2025 si apre un nuovo capitolo della nostra storia, carico di sfide e di opportunità. Un anno che ci invita a riflettere sul cammino percorso e a proseguire con determinazione nel nostro impegno collettivo.

Abbiamo celebrato il trentesimo anniversario della nostra Federazione, un traguardo che testimonia tre decenni di impegno instancabile e di lotte per i diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. In parallelo, i vent’anni della presente testata «Superando», di cui la FISH è editrice, hanno evidenziato la capacità della nostra comunità di essere un punto di riferimento culturale e informativo di eccellenza.Gli Stati Generali, svoltisi in diverse Regioni italiane, hanno reso evidente il grande valore politico e culturale dei nostri territori, consolidando un confronto attivo e proficuo che indirizzerà la Federazione verso politiche sempre più mirate e incisive.

Il 2024 ha visto anche un importante ampliamento della nostra base associativa: nuove realtà si sono unite alla Federazione, riconoscendola come un punto di riferimento imprescindibile. Questo ci rende consapevoli della crescente responsabilità che portiamo e ci sprona a rafforzare il nostro senso di appartenenza e la nostra coesione.
È in quest’ottica che abbiamo ritenuto necessario e opportuno implementare e ampliare i servizi che la Federazione offre a tutti i cittadini e le cittadine, consolidando il nostro ruolo come interlocutore privilegiato e concreto per chiunque necessiti del nostro supporto.

Degno di nota è stato anche il cambio del nostro nome, che da Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap è diventato Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie. Questo passaggio rappresenta non solo una scelta formale, ma anche un rinnovato impegno verso una visione inclusiva e orientata ai diritti e alle pari opportunità.
Continueremo dunque a impegnarci con la forza dei fatti e con la solidità, la lealtà e la trasparenza del nostro lavoro. Ogni azione intrapresa e ogni risultato ottenuto dimostrano che il nostro impegno non si piega di fronte alle difficoltà, ma anzi si rafforza grazie al contributo di tutta la nostra rete associativa.

Guardando al 2025, si apre per noi un anno denso di sfide e di opportunità. Per affrontarle, ogni organo sociale della nostra Federazione dovrà dare il proprio contributo con partecipazione attiva: dal Consiglio alla Giunta e ai Gruppi di Lavoro, tutti dovranno diventare luoghi privilegiati per accrescere la democrazia partecipativa all’interno della Federazione stessa. Come ha saggiamente ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno, «la speranza non è attesa inoperosa, siamo noi. Il nostro impegno, la nostra libertà». Parole, queste, che risuonano come un monito e un invito a mettere in comune le nostre esperienze, le nostre competenze, il nostro sapere e il nostro entusiasmo per il bene della Federazione e, soprattutto, delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

Il 2025 sarà un anno cruciale. Siamo chiamati ad affrontare questioni fondamentali come la sperimentazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, la norma sui caregiver familiari, il Codice Unico sulla Disabilità, l’abrogazione dell’istituto dell’interdizione. Questi saranno i campi su cui tutti noi dovremo essere protagonisti, unendo le forze per costruire un sistema Italia che sappia essere all’altezza delle aspirazioni e dei diritti di chi rappresentiamo. Un sistema che viviamo e che dobbiamo vivere con dignità.

*Presidente nazionale della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie.

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Legge di Bilancio, politiche sociali e disabilità

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Segnaliamo gli approfondimenti sulla Legge di Bilancio per il 2025 proposti da Cantiere Terzo Settore e dal Centro Studi Giuridici HandyLex, guardando in particolare alle politiche sociali, al Terzo Settore e alla disabilità. Riportiamo inoltre anche il giudizio sulla manovra espresso dal Forum Nazionale del Terzo Settore

Una buona analisi dei vari provvedimenti concernenti le politiche sociali e il Terzo Settore, contenuti nella Legge di Bilancio per il 2025 (Legge 207/24) si può trovare nel portale Cantiere Terzo Settore (a questo link), mentre per le parti della medesima Legge di Bilancio riguardanti soprattutto le famiglie e le persone con disabilità, rimandiamo all’approfondimento pubblicato dal Centro Studi Giuridici HandyLex (a questo link).

Tra i giudizi espressi sulla norma, registriamo qui quello proveniente dal Forum Nazionale del Terzo Settore, secondo la cui portavoce Vanessa Pallucchi, «quasi nessuna delle nostre proposte è stata accolta e a pagarne le conseguenze saranno non solo i soggetti della solidarietà, penalizzati anche dalla nuova norma che impone un tetto agli investimenti sociali, ma anche i più fragili, già colpiti dalle emergenze sociali. In un momento così difficile, con la crescita di povertà e disuguaglianze, ci saremmo aspettati maggiore attenzione al welfare e vere politiche di sostegno per quelle realtà, quali sono gli Enti di Terzo Settore, che combattono il disagio, costruiscono coesione sociale e realizzano un’economia sana».
Tra le note positive, secondo Pallucchi, «l’aumento dei fondi per il Servizio Civile Universale e la costituzione di alcuni nuovi fondi per il sociale, come quello per la disabilità, per il contrasto al reclutamento illegale della manodopera straniera e per il sostegno alle attività educative formali e non formali. Si tratta però di iniziative frammentate che mancano di una visione e di un investimento di medio-lungo periodo sull’intero sistema di welfare».
«Tiriamo infine un sospiro di sollievo – conclude la portavoce del Forum – per quanto riguarda la questione dell’IVA al Terzo Settore: infatti, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del “Decreto Milleproroghe”, è diventata effettiva la tanto attesa proroga dell’attuale regime di esclusione. Confidiamo così di poter giungere a una soluzione definitiva e soddisfacente nei prossimi mesi».

«Una buona notizia per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro» viene infine sottolineata da Emilio Deandri, presidente dell’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del lavoro), in riferimento all’incremento stabilito dalla Legge di Bilancio per il relativo Fondo di sostegno, istituito presso il Ministero del Lavoro, come già richiesto in diverse occasioni dall’ANMIL stessa. (S.B.)

Ricordiamo ancora i link (questo e questo) ai quali sono disponibili gli approfondimenti sulla Legge di Bilancio per il 2025 proposti rispettivamente dal Cantiere Terzo Settore e dal Centro Studi Giuridici HandyLex. A questo e a questo link, invece, sono disponibili i testi integrali dei comunicati stampa diffusi dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dall’ANMIL.

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Come costruire città accessibili a tutti e a tutte?

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Andare oltre la logica del singolo intervento di miglioramento dell’accessibilità ed avviare processi integrati in grado di eliminare barriere fisiche, percettive, sensoriali, intellettive, sociali, economiche e culturali che limitano l’accesso delle persone al funzionamento urbano. È il filo rosso delle ultime iniziative del progetto Città accessibili a tutti dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica)

Andare oltre la logica del singolo intervento di miglioramento dell’accessibilità per riuscire ad avviare processi integrati in grado di eliminare barriere fisiche, percettive, sensoriali, intellettive, sociali, economiche e culturali che limitano l’accesso delle persone al funzionamento urbano.
È questo il filo rosso delle ultime iniziative del progetto Città accessibili a tutti dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), a partire dalla cerimonia all’interno della manifestazione Urbanpromo del novembre scorso, per l’assegnazione di diversi premi (per tesi di laurea triennali e magistrali e per ricerche-studi) promossi da INU-URBIT, con il supporto di Mirabilia Network e la Camera di Commercio di Genova, oltreché con la collaborazione del Ministero per le Disabilità, del Ministero della Cultura, del CNR, di CERPA Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità) e di Urbanistica Informazioni.
«Dobbiamo impegnarci per garantire un accesso equo alla conoscenza come bene comune ma anche come motore di benessere, capace di influenzare e accrescere la qualità della vita di ognuno e contribuire alla riduzione delle disuguaglianze. I costi e i dispositivi della diffusione della conoscenza, in particolare quelli tecnologicamente evoluti, non ne consentono l’universalità, incidendo sulla presenza di ingiustizia sociale», ha sottolineato per l’occasione Carolina Giaimo, direttrice di Urbanistica Informazioni.

Nel corso dell’evento dello scorso novembre, Daniela Orlandi, esperta del Ministero per le Disabilità, ha passato in rassegna alcune iniziative del Ministero stesso, volte a promuovere e garantire l’applicazione dei principi dell’Universal Design (“Progettazione Universale”), come i  tavoli tecnici per l’accessibilità ai Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026, per l’analisi di Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA), per migliorare l’accessibilità e la fruibilità degli eventi e spettacoli dal vivo da parte delle persone con disabilità, e infine sulla mobilità e accessibilità del sistema dei trasporti.

I luoghi della cultura, in particolare archivi, biblioteche, musei, monumenti aree e parchi archeologici, come agenti del cambiamento sociale ed economico sono stati al centro dell’intervento di Gabriella Cetorelli del Segretariato generale – Servizio II Ufficio UNESCO Ministero della Cultura. La cura dell’abitante e dell’abitare «ha cognizione della differenza dei corpi, della loro vulnerabilità e dell’interdipendenza sociale e ambientale, presuppone progetti che si originano dalla partecipazione e si orientano verso l’interdipendenza, valorizzando la relazione e la condivisione e superando la divisione fra privato e pubblico», ha ricordato poi Piera Nobili, presidente di CERPA Italia.

E ancora, Alessandro Bruni, co-cordinatore Community INU Città accessibili a tutti e presidente dell’INU Umbria, ha raccontato il lavoro della Community negli ultimi cinque anni. Dopo la proposta di Linee Guida per politiche integrate multiscalari per il governo delle frammentazioni urbane e territoriali, ci sono state molte adesioni tra Enti, Università, Regioni, Comuni, formalizzate mediante protocolli di intesa; la pubblicazione della piattaforma raccoglie attualmente oltre 200 esperienze italiane.
Riguardo poi al bando del premio annuale Città accessibili a tutti” per tesi di laurea e ricerche-studi, esso è stato istituito da INU-Urbit nel 2020, mentre l’anno successio è stata avviata la sperimentazione Patto per l’urbanistica città accessibili a tutti con il coinvolgimento di otto città (Ancona, Catania, Genova, Livorno, Mantova, Reggio Emilia, Spello e Udine), la cui prima fase si è conclusa nel 2022, dando conto delle strategie e delle politiche adottate dalle città aderenti. La seconda fase della sperimentazione è in corso di definizione.

Tra le tesi premiate in novembre a Urbanpromo: Casa di comunità in Milano Gallaratese district; MARE Musei per l’Alzheimer Reggio Emilia; Walking Through. Valorizzazione dei percorsi e percorsi di valorizzazione a Campagna (SA); Faenza: dall’alluvione all’abitare sostenibile; Accessibilità fisica e accessibilità virtuale, il caso di studio Monte Sant’Angelo (FG).
Tra gli studi premiati, invece, da segnalare Ricerca per la redazione del Piano per l’accessibilità di Lecce“. (Carmela Cioffi)

A questo link è disponibile un’ampia scheda con la sintesi dei vari interventi proposti durante l’incontro del novembre scorso a Urbanpromo, curato da Iginio Rossi, coordinatore della Community INU Città accessibili a tutti. Per ulteriori informazioni: Iginio Rossi (iginio.rossi49@gmail.com).

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La mia vita, la mia scelta!

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ULOBA, la più grande Associazione per la Vita Indipendente delle persone con disabilità della Norvegia, ha pubblicato un rapporto di ricerca con gli esiti di un progetto volto ad elaborare un “modello di supporto alle decisioni” che consenta ai cittadini e alle cittadine con disabilità che hanno questo tipo di esigenza di avere un servizio adeguato alle loro necessità. Lo scopo è anche quello di promuovere nel proprio Paese l’elaborazione e l’approvazione di una legge specifica sulla materia La persona con disabilità raffigurata nella copertina del rapporto di ricerca pubblicato dall’Associazione norvegese ULOBA

ULOBA è la più grande Associazione per la Vita Indipendente delle persone con disabilità della Norvegia, che si popone come facilitatrice dell’assistenza personale gestita dagli stessi cittadini e cittadine con disabilità. «Siamo una forza trainante per garantire a noi persone con disabilità la vita quotidiana che desideriamo», spiegano sul proprio sito.

L’ULOBA ha recentemente pubblicato La mia vita, la mia scelta! Empowerment attraverso un processo decisionale assistito (la cui versione in inglese è disponibile a questo link, mentre quella in italiano, prodotta in modo automatico con Deepl, e dunque non verificata, è disponibile a quest’altro link). Si tratta di un rapporto di ricerca che documenta gli esiti di un progetto finalizzato ad elaborare un modello di supporto alle decisioni (o modello decisionale supportato) che consenta ai cittadini e alle cittadine con disabilità norvegesi con questo tipo di esigenza di avere un servizio adeguato alle loro necessità.
Questo modello, che è ancora in fase di definizione, prevede che chi presta supporto non si sostituisca alla persona con disabilità, ma la aiuti a comprendere gli aspetti della propria vita su cui deve decidere e promuova il suo diritto all’autodeterminazione.

La Norvegia ha ratificato il 3 giugno 2013 la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e la predisposizione di un servizio di supporto alle decisioni è una disposizione contenuta nella stessa Convenzione (all’articolo 12, in tema di Uguale riconoscimento dinanzi alla legge).
Per elaborare il modello di cui si parla, il Paese scandinavo ha fatto riferimento al modello canadese applicato nella Columbia Britannica e lo ha testato coinvolgendo dieci persone con disabilità, per capire se e in che modo potesse essere adattato al contesto norvegese.
Al progetto hanno partecipato sia minori sia adulti di tutta la Norvegia, alcuni sottoposti a istituti di tutela giuridica (simili all’interdizione italiana), altri no. Le persone con disabilità che hanno partecipato sono state affiancate da un gruppo di altri soggetti denominato “consiglio”, che in genere ha coinvolto più di due persone, in molti casi cinque, non necessariamente familiari (poteva trattarsi anche di amici o assistenti). Ai/alle componenti del “consiglio” era richiesto di conoscere bene la persona con disabilità ed avere con lei un rapporto di fiducia. Essi ed esse, inoltre, dovevano conoscere la persona con disabilità abbastanza bene da capire ciò che diceva, indipendentemente dal metodo scelto per comunicare (sia che, ad esempio, usasse la Lingua dei Segni, o la Comunicazione Aumentativa Alternativa–CAA). Questi soggetti hanno svolto la funzione di supporto gratuitamente e con il vincolo della riservatezza.
L’esperienza ha dimostrato che è auspicabile intraprendere questo percorso già da bambini, perché se la persona con disabilità non è abituata a prendere decisioni da sola, potrebbe avere più difficoltà a farlo al compimento della maggiore età.

ULOBA vorrebbe che più persone con disabilità avessero l’opportunità di sperimentare il modello, ma attualmente in Norvegia non c’è ancora una legge che preveda questo. Dunque il progetto si configura anche come una tappa per promuovere l’elaborazione e l’approvazione di una legge specifica su questa materia. E ancora, l’Associazione auspica che vengano sviluppati più modelli di supporto, in modo che le persone che ne hanno bisogno possono scegliere quello più adatto a loro. In ogni caso, spiegano da ULOBA, si tratta di modelli che non devono essere imposti alle persone, come accade attualmente con la tutela. Alle persone dovrebbe essere garantita la libertà di scelta, compresa la libertà di scegliere quale forma di supporto decisionale formalizzato si desidera, se lo si desidera.

Se consideriamo che l’Italia, pur avendo anch’essa ratificato sin dal 2009 la Convenzione ONU, è stata tra le altre cose richiamata nel 2016 dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, proprio per non avere abolito i sistemi decisionali sostitutivi, constatare che invece altri Paesi stanno lavorando in tal senso, offre certamente interessanti spunti di confronto e riflessione. (Simona Lancioni)

Ringraziamo l’AVI Toscana (Associazione per la Vita Indipendente della Toscana) per la segnalazione.

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Quella norma del nuovo Codice della Strada che discrimina

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«Il recente testo di modifica dell’articolo 187 del Codice della Strada – scrive Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), rivolgendosi direttamente al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e ai Parlamentari componenti le Commissioni di Senato e Camera competenti per i trasporti e la salute – determina un grave impatto su quanti, come le persone con epilessia o altra patologia, assumono a scopo e in dosi terapeutiche sostanze stupefacenti e psicotrope, pur essendo riconosciuti o riconoscibili idonei alla guida dei veicoli a motore con patenti, appunto con limitazioni, per la loro condizione patologica»

Al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e ai Parlamentari componenti le Commissioni di Senato e Camera competenti per i trasporti e la salute: nella piena condivisione di determinare la massima tutela dell’intera Comunità verso quanti usano ed abusano per scopi “ludici” di sostanze stupefacenti e psicotrope, conducendo veicoli a motore sotto gli effetti di dette sostanze, la nostra Associazione [AICE-Associazione Italiana Contro l’Epilessia] intende evidenziare come il testo di modifica dell’articolo 187 del Codice della Strada [Legge 177/24, “Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”, N.d.R.] determini un grave impatto su quanti, come le persone con epilessia o altra patologia, assumano a scopo e in dosi terapeutiche tali sostanze, pur essendo riconosciuti o riconoscibili idonei alla guida dei veicoli a motore con patenti, appunto con limitazioni, per la loro condizione patologica.

Decine di migliaia di persone con epilessia e ancor di più con altre patologie – pronti ad essere smentiti se per errata lettura del testo di legge -, non possono più pertanto condurre veicoli a motore per cui erano stati autorizzati, pur con limiti per detta condizione, sulla base di precise certificazioni di specialisti del Servizio Sanitario Nazionale e grazie, proprio alle terapie loro prescritte (Decreto Legislativo 59/11). A quanti in simile condizione patologica e terapeutica verrà dunque d’ora in poi impedito il possibile certificato d’idoneità alla guida con ricadute devastanti per il singolo, la sua famiglia e la stessa Comunità. È questa una discriminazione per la stessa terapia che li rendeva idonei alla guida e senza alcuna rilevanza statistica di essere soggetti causa d’incidenti fuori dalle frequenze medie o “di moda”.

Qualora si condividesse il nostro rilievo e se ne verificasse il reale discrimine, con lo spirito propositivo che da sempre caratterizza la nostra e tutte le Associazioni aderenti alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), si crede , nella piena condivisione dello spirito che ha determinato la modifica dell’articolo di cui si tratta, che si possa rimuovere l’imprevisto riflesso discriminante per quanti assumano le suddette sostanze a scopo terapeutico, per altro “sì da renderli idonei alla guida stessa dei veicoli a motore”, adottando l’inserimento, laddove verrà rietnuto opportuno, del seguente emendamento: «…fatte salve le persone che assumano dette sostanze per scopo terapeutico a fronte di precisa prescrizione medica e nei dosaggi previsti dalla stessa».
Al momento, la nostra Associazione ha dato indicazione alle persone con epilessia, idonee alla guida e in terapia con dette sostanze (per altro non curative, ma sedanti solo i sintomi della patologia), di condurre il veicolo sempre in possesso di copia della certificazione medico specialistica.

Grati dunque per l’attenzione, cogliamo l’occasione per rinnovare richiesta di sostegno, facendo sì che in questa Legislatura venga approvata la Legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia, in trattazione sul Disegno di Legge n. 898 e collegati in Senato.

*Presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), assaice@gmail.com.

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Personale ATA – Avviso concernente le operazioni di individuazione ai fini del conferimento di supplenze a.s. 2024/2025 – profilo Collaboratore Scolastico – Convocazione n. 9 per il 13.01.2025

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Con due dita della mano sinistra

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«Il mio Natale 2024 – scrive Stefania Delendati – e tutto ciò che lo ha preceduto dall’inizio di novembre, è stato il mio spartiacque. Mi muovo in punta di due dita cercando di trarre qualcosa di utile. Se poi questa utilità porterà qualcosa di buono, se saprà insegnarmi qualcosa per affrontare l’avvenire con ritrovata serenità, ben venga. È l’augurio che faccio anche a chi mi legge» Particolare della “Creazione di Adamo”, affresco di Michelangelo Buonarroti, facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma

Indice e medio della mano sinistra. Queste due dita riassumono il mio inaspettato Natale 2024, tra poco capirete meglio.
Quando si parla di questo particolare periodo dell’anno è facile cadere nella retorica buonista, in quelle considerazioni scontate che ci fanno sentire meglio, mettono in pace la coscienza, fanno tacere gli interrogativi.
Se torno indietro con la memoria, ricordo il Natale della mia infanzia, a casa dei nonni, la famiglia riunita, la stufa a legna accesa, il presepe, gli gnocchi di patate della vigilia e la frutta secca. I regali no, perché da noi arrivavano a Santa Lucia, il 13 dicembre, e più avanti alla Befana con qualche golosità, compreso il carbone dolce per la bimba che era stata un po’ birichina.

Il tempo è passato, è venuto a mancare il nonno, ma la nonna ha mantenuto la tradizione di volerci tutti a casa sua. Poi se n’è andata anche lei e come spesso succede nelle famiglie, la persona più anziana che faceva da collante ha portato via con sé l’abitudine di sedersi intorno a un tavolo, di sentirsi parte di un tutto.
Si dirà che era un Natale scontato, proprio quello che volevo evitare in questo articolo, ma nella sua semplice collaudata consuetudine, era vero e sentito. Da allora si è fatto più “solitario”, i miei genitori e io, occasionalmente i parenti che abitano nel paese vicino, qualche visita degli amici.
A volte penso che se non avessi una disabilità, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Non potersi muovere come si vorrebbe limita i rapporti sociali, non tutti hanno la pazienza e la voglia di andare incontro a determinate situazioni, c’è sempre qualcosa che viene prima nella classifica delle priorità. Per me, come immagino anche per chi mi legge, piano piano con alcune persone i contatti si sono ridotti a un messaggio, magari inviato in serie, non personalizzato, tanto è il pensiero che conta.
Non sto giudicando nessuno, alla fine l’ho fatto anch’io. Le festività sono trascorse così, sempre uguali con poche varianti, fino a quest’anno.

Quest’anno è arrivata la variante che non t’aspetti, quella che non avresti mai immaginato per la durezza delle sue conseguenze, per l’incertezza dell’esito e per il modo in cui si è abbattuta su una vita, la mia, costruita anno dopo anno intorno ad equilibri tenuti insieme da un filo sottile e fragile che ha saputo intrecciare nuove trame man mano che la malattia genetica che mi accompagna dalla nascita ha tolto al mio corpo forza e movimenti, un filo che in un istante è stato tagliato da una forbice malefica.
Mi hanno sempre detto che sono “forte e coraggiosa”, invece non sono né l’una né l’altra cosa, ho sempre dovuto adeguarmi, con fatica, tanta, fare di necessità virtù. In maniera moderna si parla di resilienza, la realtà si chiama adattamento perché altra scelta non esiste.
Soltanto chi affronta situazioni simili alla mia può capire fino in fondo ciò di cui sto parlando, lo possono capire coloro che stanno vicino a queste persone, oppure può comprendere chi è dotato di particolare empatia, dote sempre più rara in un mondo che va troppo in fretta per soffermarsi ad ascoltare davvero l’altro, a mettersi nei suoi panni.
In questo Natale che mi ha portato tante incognite e fatto crollare non poche certezze, mi sono rimaste fedeli quelle due dita della mano sinistra, l’indice e il medio, che se prima erano tra le poche appendici dei miei arti superiori ancora funzionanti, adesso sono tutto ciò che mi rimane per stare aggrappata alla vita e al mondo che mi circonda.

Beata tecnologia, la usiamo male quando spendiamo gli auguri in serie, quando le lasciamo prendere il sopravvento, ma senza di lei oggi non sarei qui a scrivere. Con l’indice e il medio sinistri muovo il joystick della mia carrozzina elettronica, schiaccio il tasto lì accanto per selezionare i comandi. Mica facile come sembra, bisogna imparare il meccanismo, farlo proprio dopo tanti errori che stancano la mano quanto la mente. E bisogna dosare le forze, non esagerare e non pretendere troppo, perché l’indice e il medio non reggono gli sforzi, hanno bisogno di riposo. Nello stesso tempo, non possono riposare troppo, l’immobilità li condannerebbe.

Ritorna il discorso degli equilibri, l’adattamento che sta nel ripensarli alla luce di una vita scombussolata. Sto imparando il valore della pazienza, ma anche il valore di alcune rarissime persone come il tecnico della suddetta carrozzina che, appena saputo del mio “infortunio”, si è precipitato a casa mia per aiutarmi a trovare il metodo più adatto per continuare a fare il mio lavoro. Con più lentezza, più stanchezza, tanta rabbia anche, non lo nego, è umano. Un caro amico, uno di quelli che mi capisce davvero, mi ha detto che ci sono eventi nella vita che segnano uno spartiacque, un prima e un dopo che non si somigliano per niente.
Ecco, questo Natale 2024 e tutto ciò che lo ha preceduto dall’inizio di novembre, è stato il mio spartiacque. Altri lo hanno preceduto, mai però mi hanno tolto così tanto per un tempo così lungo, lasciandomi tanta paura e incertezza per il futuro.
«Comunque vada, sarà un successo», si dice, e si dice anche che «i limiti sono fatti per essere superati». Non so se finirà con un successo, me lo auguro, ce la metto tutta. L’indice e il medio alzati, dopotutto, sono segno di vittoria, chissà che non sia un segnale del destino… Di certo, molto più pragmaticamente, so che alla fine di questa esperienza non sarò più la stessa, cambiata per forza di cose e non è detto in meglio.

La docente e ricercatrice Antonia Chiara Scardicchio afferma che «il limite non si “vince”: altrimenti è un gioco di forza. Non è la forza, ma il senso a farsi cura. Il limite non si “supera”: la differenza la fa il passaggio dalla sua sterilità alla sua possibile fertilità. Ed è un passaggio che non è una gara».
Un senso non l’ho ancora trovato, non sono così saggia, e stento a credere a quanti affermano che ogni prova ci è data perché, anche se non lo sappiamo, ne abbiamo bisogno. Beati coloro che in questa considerazione riescono a trovare conforto, anche in questo caso la saggezza non mi è accanto.
Non ho obiettivi a lungo termine, il mio orizzonte è domani. Mi muovo in punta di due dita cercando di trarre qualcosa di utile. Se poi questa utilità, o fertilità per dirla come Antonia Chiara Scardicchio, porterà qualcosa di buono, se saprà insegnarmi qualcosa per affrontare l’avvenire con ritrovata serenità, ben venga. È l’augurio che faccio anche a tutti Voi.

*Direttrice responsabile di «Superando». Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Il mio Natale in punta di (due) dita”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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L’inclusione e il rispetto non sono opzioni, ma valori imprescindibili

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“No scontrino, no bagno!”: si può sintetizzare così quanto accaduto nel pieno delle festività natalizie in un bar storico del centro di Matera, dove a un giovane con sindrome di Down è stato negato l’utilizzo dei servizi igienici. «Vorremmo un’attenzione maggiore da parte degli esercizi commerciali – commenta il presidente dell’AIPD Salbini – verso le persone con disabilità, anziane e, in generale, verso tutti coloro che abbiano necessità particolari. E assicurare l’uso dei servizi deve essere la prima di queste attenzioni»

A denunciare la mancanza di empatia e di comprensione da parte del gestore di un bar storico al centro di Matera, nel pieno delle festività natalizie, è stata Silvia Nigro, madre di una persona con sindrome di Down e a commentare la vicenda è stato Gianfranco Salbini, presidente nazionale dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), che ha dichiarato di «voler esprimere tutta la mia indignazione per quanto accaduto, ricordando che, pur non essendo in linea di principio i bagni dei locali privati accessibili a chi non sia cliente, negare l’utilizzo dei servizi igienici a un giovane con sindrome di Down, nonostante le chiare spiegazioni della madre sulle sue necessità, è segno di disattenzione e mancanza di empatia che non può essere giustificato in alcun modo, un comportamento che evidenzia un grave deficit di sensibilità e inclusione e che non dovrebbe trovare spazio nella nostra società, ancor meno in una città come Matera, simbolo di cultura e accoglienza».

«Gli esercizi commerciali – ha aggiunto Salbini – dovrebbero essere consapevoli e orgogliosi della propria funzione di presidio sociale nei confronti di chiunque abbia una difficoltà. Purtroppo spesso non è così. Per questo invito tutti i gestori di bar, locali e ristoranti a mostrare una maggiore sensibilità e attenzione nei confronti delle persone con disabilità e delle loro esigenze specifiche. Allo stesso tempo, sottolineo la necessità di un impegno concreto da parte delle Amministrazioni Comunali per garantire un’adeguata presenza di bagni pubblici, così da evitare situazioni come questa, che ledono la dignità delle persone e generano conflitti inutili».

«L’inclusione e il rispetto – ha concluso il Presidente dell’AIPD – non sono opzioni, ma valori imprescindibili per una società che si definisce civile». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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“Finalmente da Soli!”: l’AIPD e il Gruppo FS compagni di viaggio

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Avviato nel periodo delle festività fino al 12 gennaio, ma ripreso anche nel periodo pasquale dal 15 al 23 aprile prossimi, il progetto Finalmente da Soli! vede il Gruppo FS (Ferrovie dello Stato) a fianco dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), per favorire una sempre maggiore autonomia delle persone con sindrome di Down

«Per conquistare l’autonomia, servono innanzitutto buoni compagni di viaggio. Siamo quindi sicuri che questo viaggio insieme a FS ci porterà lontano, avvicinandoci alla destinazione che da sempre la nostra Associazione ha scelto: la conquista di un’autonomia possibile per tutte le persone con sindrome di Down e una piena partecipazione sociale»: lo ha dichiarato Daniele Castignani, che per l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) ha presentato e coordinato il progetto di sinergia con il Gruppo FS (Ferrovie dello Stato), denominato Finalmente da Soli! e avviato nel periodo delle festività fino al 12 gennaio prossimo, ma che verrà ripreso anche nel periodo pasquale dal 15 al 23 aprile.
In tal senso, grazie all’impegno di 180 volontari dell’AIPD, alcuni dei quali persone con sindrome di Down, e delle Società del Gruppo FS, si potrà aderire alla campagna a bordo dei principali treni Alta Velocità e Intercity di Trenitalia, nonché presso le biglietterie self-service della stessa Trenitalia, nei Freccia Lounge e Freccia Club delle principali stazioni italiane e sulla pagina online dedicata dall’AIPD al progetto. I fondi raccolti supporteranno il progetto Casa AIPD, a sostegno dell’autonomia delle persone con sindrome di Down, e contribuiranno ai lavori di ristrutturazione e all’acquisto di attrezzature per la nuova sede polifunzionale dell’AIPD Nazionale, presso la Stazione di Roma Trastevere. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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LEA: il “balletto” del “Decreto Tariffe”

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Il 30 dicembre scorso il TAR del Lazio aveva accolto il ricorso di numerosi laboratori, sospendendo in via cautelativa il cosiddetto “Decreto Tariffe”, contenente i tariffari per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e la protesica. Lo stesso TAR del Lazio, tuttavia, il giorno dopo ha accolto un’Istanza di revoca del Decreto di sospensione, presentata dall’Avvocatura dello Stato, nella quale si evidenziava come lo stop al “Decreto Tariffe” avrebbe comportato un danno alla salute dei/delle pazienti. Le questioni sollevate dal TAR saranno discusse collegialmente alla Camera di Consiglio fissata per il 28 gennaio prossimo

Dopo anni di una gestazione a dir poco travagliata, nello scorso mese di novembre la Conferenza Stato-Regioni aveva dato il via libera al cosiddetto Decreto Tariffe, approvando finalmente i due tariffari per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e la protesica, e dunque aggiornando i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) (se ne legga anche sulle nostre pagine).
La versione del testo normativo approvato aveva accolto la richiesta delle Regioni di posticipare l’entrata in vigore del Decreto al 30 dicembre 2024, sennonché, proprio il giorno in cui la norma sarebbe dovuta entrare in vigore, il TAR del Lazio (Tribunale Amministrativo Regionale) ha accolto il ricorso di numerosi laboratori, sospendendo in via cautelativa lo stesso “Decreto Tariffe”, ritenendo che questo, essendo stato «adottato dopo oltre 20 anni dai precedenti Nomenclatori», delinea «l’insussistenza dell’urgenza».
Nello stesso provvedimento il TAR ha stabilito la trattazione collegiale della quesitone alla Camera di Consiglio fissata per il 28 gennaio 2025 (a questo link la notizia divulgata dalla testata «Quotidiano Sanità» il 30 dicembre 2024, a quest’altro link il Decreto di sospensione del TAR del Lazio).

A quel punto lo stop imposto dal TAR del Lazio ha rischiato di mandare in tilt le Regioni che, avendo appena adeguato Nomenclatori con i nuovi codici delle prestazioni, difficilmente sarebbero riuscite a ripristinare i sistemi con le vecchie tariffe, nonché a sospendere le prestazioni che nei vecchi Nomenclatori non erano presenti. «Per far capire l’entità del problema, solo oggi sono state fatte circa 200.000 prenotazioni per visite ed esami», aveva osservato Giovanni Rodriquez sul «Quotidiano Sanità».

In questa situazione di caos, l’Avvocatura dello Stato ha presentato al TAR del Lazio un’Istanza di revoca del Decreto di sospensione, argomentando l’estrema difficoltà «di attivare il sistema tariffario del giugno 2023, con i relativi nomenclatori e cataloghi regionali, il che presuppone una necessaria pianificazione e valutazione di impatti organizzativi, tecnologici ed economici, con il coinvolgimento di tutti i fornitori di applicativi» che determinerebbe «un blocco del sistema di prescrizione, prenotazione ed erogazione, con conseguente disservizio all’utenza e ritardi nell’erogazione delle prestazioni e, in ultima analisi, con un impatto sulla salute dei pazienti» (in grassetto e sottolineato nel testo originale).
Proprio prendendo atto della «dichiarata gravità delle conseguenze» della sospensione del “Decreto Tariffe”, il 31 dicembre il TAR del Lazio ha deliberato di accogliere l’Istanza di revoca dell’Avvocatura dello Stato, e ha confermato la fissazione alla Camera di Consiglio del 28 gennaio prossimo (a questo link il Decreto di accoglimento del TAR del Lazio, a quest’altro link la news di aggiornamento sulla testata «Quotidiano Sanità»).

Per il momento, dunque, il pericolo di blocco del sistema è stato scongiurato, ma sarà necessario attendere il 28 gennaio per conoscere se, ed eventualmente, quali modifiche verranno apportate ai nuovi tariffari. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Luca sempre qui, sempre lì

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Domani, 8 gennaio, saranno 27 anni dalla morte di Luca De Nigris nel cui nome è nata a Bologna, per iniziativa dei genitori Maria Vaccari e Fulvio De Nigris, la Casa dei Risvegli a lui stesso dedicata, il centro pubblico innovativo dell’Azienda USL di Bologna rivolto a persone con esiti di coma e alle loro famiglie. Per l’occasione cediamo la parola proprio a Fulvio De Nigris Particolare di un disegno dedicato a Fulvio e Luca De Nigris

Domani, 8 gennaio, saranno passati 27 anni dalla morte di Luca De Nigris nel cui nome è nata a Bologna, per iniziativa dei genitori Maria Vaccari e Fulvio De Nigris, la Casa dei Risvegli a lui stesso dedicata, il centro pubblico innovativo dell’Azienda USL di Bologna rivolto a persone con esiti di coma e alle loro famiglie.
Ricordando che nel pomeriggio di domani, 8 gennaio (ore 18.30), monsignor Rino Magnani celebrerà una messa in ricordo di Luca nella basilica bolognese di Santa Maria Maggiore (Via Galliera, 10), diamo spazio qui di seguito alle parole di Fulvio De Nigris.

8 gennaio. È questo il periodo in cui tutto riaffiora. Il mare che sembrava si fosse calmato, cominciò a risalire con onde sempre più grandi. Ed eccolo là, Luca. Sempre lì. Sempre qui. In quel tempo di ventisette anni fa, quando non si svegliò. E il silenzio che lasciò non era un vuoto, ma un insegnamento. Ci insegnò che l’assenza ha una sua presenza. Una lingua muta che parla ovunque a chiunque aspetti un risveglio che a volte arriva, a volte no.
Il mondo ha una logica crudele che non si capisce, si vive e basta. Da allora, molte cose sono state fatte in suo nome. E tante ancora si fanno e si faranno. E come un fuoco che arde e lo tiene vivo più che mai. Ma ci sono giorni, come l’8 gennaio, in cui quel fuoco si affievolisce, e resta una luce tremolante, un’immagine che riaffiora. Luca, adolescente. Quindici anni. Una risata piena, occhi accesi. Una vita spalancata davanti, pronta a essere vissuta. I progetti, i sogni, il futuro che sembrava già lì come un dono impacchettato con cura. Ma quel futuro non si è mai aperto. Luca non è diventato grande. Non ha realizzato i suoi sogni.
E noi? Noi genitori, io, Maria, gli amici di Luca abbiamo vissuto anche per lui. Come tanti che hanno perso qualcuno a loro molto caro, ci siamo fatti carico anche di lui: vivere per chi non può più farlo. È qualcosa che consola ma non guarisce.
Le ferite restano, ma la Casa dei Risvegli dedicata a Luca è un fatto, è un sollievo. Ci sono speranze, oggi come allora, che intrecciano la sua storia con quella di tante altre anime fragili come lui. È una trama delicata, ma tiene insieme i pezzi.
Il tempo è passato, sì, ma con lui e senza di lui e va riempito con il nostro messaggio oggi ancora più forte e da sostenere: quello rivolto alle persone come Luca che ogni anno vanno in coma e aspettano con le loro famiglie che qualcosa accada.
È il tempo dell’attesa. Ed è in quel tempo che, in qualche modo, lo ritrovo ancora.
Sempre qui. Sempre lì.

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