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“La nostra Divina Commedy”: nuovi orizzonti di senso per esistenze recuperate

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Nato dal progetto pilota In.di.c.a. (Interventi DIretti alle Cerebrolesioni Acquisite), promosso dalla Cooperativa toscana Nomos insieme ad ATRACTO (Associazione Traumi Cranici Toscani), lo spettacolo teatrale La nostra Divina Commedy – Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto, che andrà in scena il 18 dicembre a Roma, nella Sala Monumentale di Palazzo Chigi, è interpretato da attori con cerebrolesioni e non, caratterizzandosi come la storia di un viaggio di amicizia, recupero e rinascita Una delle persone coinvolte nel progetto pilota “In.di.c.a.” (Interventi DIretti alle Cerebrolesioni Acquisite), culminato nello spettacolo teatrale “La nostra Divina Commedy – Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto”

La Divina Commedia interpretata da attori con cerebrolesioni e non, che diventa la storia di un viaggio di amicizia, recupero e rinascita: è questo lo spettacolo teatrale La nostra Divina Commedy – Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto, scritto e diretto da Silvano Alpini, che andrà in scena nel pomeriggio del 18 dicembre a Roma, nella Sala Monumentale di Palazzo Chigi (ore 16), potendo contare, tra il pubblico, anche sulla presenza della ministra per le Disabilità Locatelli e di alcuni Sottosegretari del Governo.

Lo spettacolo nasce dal progetto pilota In.di.c.a. (Interventi DIretti alle Cerebrolesioni Acquisite), promosso dalla Cooperativa toscana Nomos insieme ad ATRACTO (Associazione Traumi Cranici Toscani), con il sostegno della Fondazione CR Firenze, il tutto segnatamente con l’obiettivo di promuovere e tutelare i diritti delle persone con disabilità derivanti da grave danno cerebrale. In tal senso, prendendo spunto dal metodo usato da Nomos per gli Atelier Alzheimer, sono stati creati due Atelier di Terapie Occupazionali, uno a Grosseto e l’altro a San Giovanni Valdarno (Arezzo), che hanno dato vita a un’esperienza di integrazione e recupero, attraverso lo strumento del teatro, arrivando a questo spettacolo, messo a punto in collaborazione con l’Associazione Culturale Masaccio.

«Il teatro – sottolinea Gaia Guidotti, vicepresidente di Nomos -, potente strumento di espressione e inclusione, è stato il luogo dove si è dato vita a un processo di creatività e amicizia capace di ridare un nuovo significato all’esistenza e una nuova direzione a chi ha visto la propria esistenza interrotta da una grave evento traumatico, ma che ora sta ricostruendo la propria vita attraverso il recupero del movimento, della parola e della relazione. La nostra Divina Commedy non è solo una performance artistica, ma un segno concreto di inclusione sociale, costruzione di nuovi orizzonti di senso di esistenze interrotte e poi recuperate».

In conclusione, una doverosa citazione per tutti coloro che il 18 ottobre saliranno sul palco, ossia Stefania D’Amico, Alessia Centi, Leonardo Crulli, Lorenzo Giusti, Daniele Giuliani, Daniela Gori, Stefano Grazi, Laura Gullo, Laura Meucci, Simona Rotundo, Barbara Massini, Giulia Mazzuoli, Selene Cannelli, Catia Pacifici, Maicol Mazzi Tonini, Lucia Guazzi e Sara Goiorani. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: nomos@gallitorrini.com.

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Protocollo nr: 1911 – del 16/12/2024 – AOODGPOC – Direzione generale per la progettazione organizzativa, l’innovazione dei processi amministrativi, la comunicazione e i contratti “Orientarsi” – La nuova sezione sulla Piattaforma UNICA dedicata all’Orie

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Ministero dell’Istruzione Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria – Direzione Generale Ufficio V – Ambito Territoriale di Cosenza Via Romualdo Montagna, 13 – 87100 Cosenza e-mail: usp.cs@istruzione.it – Posta ...

La FISH trent’anni dopo: un nuovo nome per un impegno rinnovato

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In questo 2024 la Federazione FISH ha celebrato i suoi primi trent’anni, coincidenti con il ventennale di Superando, di cui la stessa FISH è l’editrice, e tali traguardi sono stati celebrati in una tre giorni di eventi, culminata in un incontro alla Camera dei Deputati con rappresentanti del Governo e delle principali forze politiche. Ma non solo: per l’occasione, infatti, è stato annunciato anche che la FISH resta naturalmente FISH, ma da Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap diventa ufficialmente Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie Un’immagine dell’incontro alla Camera dei Deputati che ha avuto per protagonista la Federazione FISH

«All’inizio di luglio 1994 è stata formalmente costituita la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), nuova realtà che aggrega una trentina di Associazioni a livello nazionale e regionale, che a fine agosto ha iniziato a far sentire il peso delle proprie proposte nel periodo più caldo della Legge Finanziaria per il 1995. La nuova Federazione si è presentata all’opinione pubblica e alle forze politiche con un atteggiamento soprattutto propositivo, come ben testimoniato dalla mozione generale approvata dall’Assemblea Costituente, ove si scrive che la FISH agirà per l’approvazione di leggi che: “Diano ulteriore impulso alla ricerca scientifica e sviluppino una più efficace prevenzione delle malattie, degli incidenti e degli infortuni; introducano nuovi criteri per l’accertamento dell’invalidità civile, fondati sulle potenzialità e capacità e non più sulle percentuali di invalidità; colmino le carenze della legge-quadro sull’handicap per garantire una migliore qualità dell’integrazione scolastica a tutti i livelli; perseguano il collocamento obbligatorio su progetti che tengano espressamente conto della capacità e delle potenzialità dei disabili; affrontino concretamente il problema della vita nel proprio ambiente delle persone non autosufficienti e pluriminorate per quando verranno meno i familiari, al fine di evitare l’abbandono in istituti; riformino i princìpi dell’assistenza e dei servizi sociali”».
Questo scrivevamo trent’anni fa in «DM», testata della UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), al sorgere della nuova Federazione FISH. Questo 2024, quindi, ha coinciso con un importante anniversario, il trentennale appunto, corrispondendo casualmente, come abbiamo ampiamente riferito nei giorni scorsi, anche con il ventennale di Superando di cui la FISH è l’editrice.

Questi traguardi sono stati celebrati in una tre giorni di eventi (di quello riguardante il nostro giornale avremo modo di scrivere in altra parte del giornale), culminata in un incontro alla Camera dei Deputati con rappresentanti del Governo e delle principali forze politiche.
Per l’occasione, gli esponenti della FISH hanno tracciato un bilancio del cammino percorso, sottolineando l’importanza del dialogo istituzionale e della cooperazione tra associazioni, cittadini e politica per costruire una società maggiormente inclusiva. Dal canto loro, le forze politiche presenti hanno riconosciuto il ruolo essenziale di FISH nel promuovere l’attuazione delle normative e nel sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della disabilità.

Ma non solo: al tempo stesso, infatti, è stato annunciato anche che la FISH resta naturalmente FISH, ma da Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap diventa ufficialmente, sin da oggi, Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie. «Un cambiamento – è stato sottolineato – che riflette l’evoluzione della nostra organizzazione e la centralità del legame con le famiglie delle persone con disabilità, testimoniando un impegno sempre più ampio e articolato per il riconoscimento di diritti per tutti e tutte».

«Questo anniversario – commenta Vincenzo Falabella, presidente della Federazione – non è solo un punto di arrivo, ma un punto di ripartenza. Abbiamo la responsabilità di continuare a lottare per una società che non lasci nessuno indietro, rinnovando il nostro impegno a fianco delle persone con disabilità e delle loro famiglie». (Stefano Borgato)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Il cammino che ci ha indicato Franco Bomprezzi

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«Uno scatto d’orgoglio, di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo»: era il 18 novembre 2014 e a chiederlo in Superando fu Franco Bomprezzi, nostro direttore responsabile, uno dei primi giornalisti con disabilità del nostro Paese, figura fondamentale per la diffusione di una nuova cultura sulla disabilità, che avremmo perso esattamente un mese dopo il 18 dicembre. Dieci anni dopo, ossia domani, 18 dicembre, la Federazione LEDHA e la UILDM ricorderanno Bomprezzi con un incontro che costituirà un approfondito momento di riflessione e di analisi Franco Bomprezzi (1952-2014)

«Mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, prepolitico, semplicemente di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo»: era il 18 novembre 2014 e a scriverlo fu il nostro direttore responsabile Franco Bomprezzi, uno dei primi giornalisti con disabilità del nostro Paese, figura fondamentale per la diffusione di una nuova cultura sulla disabilità, ma anche un caro amico personale di chi scrive, che avremmo perso esattamente un mese dopo il 18 dicembre.
Quel testo, intitolato Uno scatto d’orgoglio, per riprendere il cammino, lo riprendiamo integralmente in calce, lasciando che siano i Lettori e le Lettrici a giudicare se i contenuti di esso possano ancora ritenersi attuali.

Noi non possiamo fare altro che ringraziare una volta ancora Franco, per avere incrociato le nostre vite, e ringraziare anche la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), per avere voluto organizzare un incontro per il pomeriggio del 18 dicembre a Milano, presso la Casa dei Diritti del Comune (Via De Amicis, 10), a dieci anni esatti dalla morte di Franco, un incontro per ricordarlo degnamente, attraverso un momento di riflessione e analisi.
«Con questo evento – dicono i promotori dell’iniziativa – vogliamo celebrare la vita e il pensiero di Franco Bomprezzi, Maestro per tante persone che oggi sono impegnate per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, ma non solo. Un evento che vuole soprattutto essere un’occasione per una profonda rielaborazione del pensiero e della visione di Franco Bomprezzi che, a dieci anni dalla sua scomparsa, sono ancora attuali in un contesto sociale in cui i diritti delle persone con disabilità sono ancora troppo spesso calpestati».

Durante l’incontro, dunque, verranno presentati tre progetti, finanziati dalla Fondazione Cariplo, che sono stati pensati e realizzati con l’obiettivo di conservare e tramandare il pensiero e il lavoro di Franco Bomprezzi come giornalista e come leader associativo impegnato per la tutela dei diritti delle persone con disabilità.
La serie podcast Il Cavaliere a rotelle, scritta da Ilaria Sesana e prodotta da Intrecci Media, ripercorrerà quindi in tre puntate la vita personale e professionale di Bomprezzi, mentre il video Frammenti imperfetti, realizzato dal regista Enzo Berardi e dallo storico Matteo Schianchi, documenta un incontro avvenuto nel 2012 tra Franco e un gruppo di giovani sui temi della comunicazione della disabilità.
E ancora, il progetto Archivio Bomprezzi, che raccoglie buona parte della sua produzione giornalistica, dagli esordi come cronista a Padova, fino alla sua morte, e permette di creare quelle “piste narrative” che ancora oggi vengono utilizzare per descrivere e raccontare la disabilità.
Da segnalare, infine, che nei mesi scorsi la LEDHA ha presentato richiesta al Comune di Milano di dedicare una via o una piazza a Franco Bomprezzi, il cui nome è stato inserito nell’elenco delle personalità meritevoli di un’intitolazione di tipo toponomastico.

Prima dunque di concludere riprendendo quel testo del 2014 di Franco, come detto inizialmente, torniamo a ringraziare la LEDHA e la UILDM per l’iniziativa e anche per l’esauriente nota biografica, cui pure diamo spazio, ricordando infine che l’incontro del 18 dicembre (a questo link il programma completo), per il quale è prevista la sottotitolazione, potrà essere seguito in streaming nel canale YouTube di «Persone con disabilità.it». (Stefano Borgato)

Franco Bomprezzi (1952-2014)
Giornalista e scrittore, classe 1952. Franco Bomprezzi, affetto da osteogenesi imperfetta, ha vissuto e lavorato in sedia a rotelle. Ha collaborato con «Il Resto del Carlino», è stato caporedattore presso «il mattino di Padova» e presso l’Agenzia AGR di Milano.
Nel 1983 ha assunto la direzione di «DM», la rivista della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Associazione di cui è stato presidente tra il 1998 e il 2001.
All’inizio degli Anni Duemila ha fondato e diretto prima il sito d’informazione SuperAbile e poi è stato direttore responsabile della testata «Superando», edita dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
È stato portavoce e presidente (dal 2013) della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH) e per anni anche responsabile della comunicazione sociale per il Comitato Telethon.
Nel 2005 gli venne assegnato l’Ambrogino d’Oro, massimo riconoscimento del Comune di Milano e nel 2007 l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo nominò Cavaliere della Repubblica.

Uno scatto d’orgoglio per riprendere il cammino
di Franco Bomprezzi (Superando, 18 novembre 2014)
In qualche modo bisogna reagire. Non riesco, in queste settimane di maggiore presenza a casa, nella mia lunga e non semplice convalescenza, ad accettare il livello sistematicamente distruttivo di qualsiasi programma televisivo che cerchi di raccontare e affrontare i tanti guai del nostro Paese.
I disastri ambientali, le periferie urlanti, le tensioni in piazza, le sceneggiate nelle aule parlamentari, tutto un minestrone indistinto che contribuisce ad alimentare un disagio, una nausea, un rifiuto del presente e del futuro, in una parola, l’eclissi della speranza.
Raramente vedo analogo impegno mediatico a cercare chi possa raccontare soluzioni praticabili, anche tecnicamente, per affrontare correttamente uno qualsiasi di questi problemi. Eppure le competenze esistono, dalle università alla rete delle associazioni, dai tecnici onesti (che pure ci sono) ai divulgatori non faziosi. Anche all’interno della politica è evidente che vengono interpellate quasi sempre le persone più aduse alla polemica, all’invettiva, allo sfascio. Il quadro che ne esce è desolante e sicuramente contribuisce a quel degrado della coesione sociale che è un pericolo tremendo per chiunque, da sempre, si batte riformisticamente e banalmente nel tentativo di fare la propria parte per risolvere un pezzetto alla volta.
Penso a Milano, squassata dalle acque di Seveso e Lambro, penso a quanto contemporaneamente si stia cercando di fare per migliorare complessivamente l’accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità o degli anziani. E mi rendo conto che le ripetute esondazioni, con i danni alle linee della metropolitana, con i disagi improvvisi e pesanti, diano la sensazione che tutto sia inutile, che non ci sia niente da fare.
Ci scopriamo tutti ignoranti rispetto alle scelte di intervento idrogeologico che dovrebbero essere fatte, rispetto ai tempi, ai finanziamenti, alle soluzioni a breve termine. Eppure non possiamo permetterci il lusso di buttare tutto via, assieme all’acqua sporca.
Mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, prepolitico, semplicemente di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo.
Non è possibile, ragionevolmente, che questo Paese sia completamente a pezzi e soprattutto che la catastrofe stia avvenendo qui e adesso, negli ultimi mesi. Una mancanza siderale di memoria, un ripetuto e cinico tentativo di buttare tutto “in caciara”, sperando che alla fine crolli questo sistema, ma non sapendo minimamente chi e come potrebbe davvero ricostruire un futuro civile e democratico.
Per certi versi sento crescere il desiderio di maniere forti, di scelte autoritarie, di plebisciti che facciano piazza pulita di tutto e di tutti. Come persone impegnate nella comunicazione, nell’informazione di servizio, nel racconto del welfare che cambia, non possiamo chiamarci fuori e lasciare che questo scempio continui indisturbato.
A 62 anni voglio continuare a sperare, a vivere, a lottare per fare meglio. E sono certo di non essere il solo.

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In materia di disabilità gli esperti e le esperte sono le stesse persone con disabilità

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Affrontare il tema dell’auto-rappresentanza delle persone con disabilità, significa arrivare a concludere che anche se avessimo dieci lauree e un curriculum da far paura, una persona con disabilità sa di se stessa ciò che nessun’altra fonte potrà mai raccontarci, e se non glielo chiediamo direttamente, non saremmo mai in grado di dire come vuole vivere la sua vita e cosa è importante per lei Adolf D. Ratzka (1943-2024), figura di particolare importanza del movimento per la Vita Indipendente delle persone con disabilità in Europa

Tra i principali riferimenti normativi e applicativi in materia di partecipazione e di auto-rappresentanza delle persone con disabilità c’è l’articolo 4 (Obblighi generali) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Il comma 3 di esso recita: «Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
Vi è poi l’articolo 33 (Applicazione a livello nazionale e monitoraggio) che al comma 3 prevede che le persone con disabilità siano coinvolte anche nel processo di monitoraggio della Convenzione stessa.
Infine c’è il Commento Generale n. 7, testo elaborato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel 2018, che è specificamente centrato sul tema della partecipazione delle persone con disabilità. È bene specificare che i Commenti Generali non sono norme, ma servono ad applicare correttamente le disposizioni normative a cui si riferiscono fornendo, a tale scopo, precise indicazioni operative.

La Convenzione ONU riconosce la partecipazione delle persone con disabilità simultaneamente come obbligo generale e questione trasversale, e presta attenzione anche all’adeguato coinvolgimento dei minori e delle donne. Il motto Niente di Noi senza di Noi sintetizza efficacemente la filosofia e la storia del movimento per i diritti delle persone con disabilità, che si basa proprio sul principio della loro significativa partecipazione. Il concetto di partecipazione è strettamente legato ad altri due concetti: quello di autorevolezza, che consiste nel riconoscere il valore e l’affidabilità dei pensieri elaborati ed espressi dalle persone con disabilità in merito alla loro condizione, e quello, già citato, di auto-rappresentanza, ossia il riconoscere alle persone con disabilità la capacità di rappresentare sé stesse e le proprie istanze nei diversi contesti.

La questione dell’auto-rappresentanza delle persone con disabilità iniziò ad essere affrontata negli Stati Uniti d’America, all’Università di Berkeley, in California, già negli Anni Sessanta, con la nascita del movimento per la Vita Indipendente delle persone con disabilità.
In Europa la diffusione di questa filosofia si deve all’intraprendenza di Adolf D. Ratzka (1943-2024), medico e fondatore dell’Istituto per la Vita Indipendente di Stoccolma (Svezia), scomparso lo scorso luglio. In un celebre intervento in cui propone una definizione del concetto di Vita Indipendente, Ratzka prende le distanze dal modello medico di disabilità che considera la stessa disabilità un problema dell’individuo e «usa etichette diagnostiche che tendono a dividere le persone disabili in molti diversi gruppi». Dunque si chiede: «Come possiamo migliorare la nostra situazione?» Questi sono alcuni passaggi della sua articolata risposta: «Dobbiamo spezzare il monopolio dei professionisti non disabili che parlano a nome nostro, definire i nostri problemi e suggerire le soluzioni per le nostre necessità. Dobbiamo costruire organizzazioni efficaci che rappresentino il punto di vista delle stesse persone disabili. I governi debbono riconoscere le nostre organizzazioni come partner nella definizione delle politiche sulla disabilità. […] Ma una cosa deve essere molto chiara: siamo noi gli esperti. […] Nella lotta per i nostri diritti possiamo essere più efficaci quando ci aiutiamo a vicenda a cambiare i nostri atteggiamenti verso noi stessi. Vedere te stesso come una persona profondamente normale [profoundly ordinary person, N.d.R.] è difficile quando ti è sempre stato detto che sei diverso, che non puoi fare questo e non puoi fare quello. In questa lotta abbiamo bisogno di parlare con qualcuno con cui possiamo identificarci, con persone che si trovano in una situazione simile. Lo chiamiamo supporto tra pari. Supporto tra pari significa condividere i frutti della propria esperienza». (Adolf D. Ratzka, La Vita indipendente e le nostre organizzazioni: una definizione, intervento esposto alla conferenza Our Common World, organizzata da Disability Rights Advocates Hungary a Siofok, Ungheria, il 9-11 maggio 1997, testo pubblicato sul sito dell’Independent Living Institute).

Il problema che si pone è quello di riconoscere l’autorevolezza delle persone con disabilità, un tema che, come abbiamo visto, riguarda le stesse persone con disabilità, ma anche tutte le altre persone.
Più o meno tutte le persone con disabilità si scontrano con la difficoltà di non vedere riconosciuta la propria autorevolezza, ma quelle con disabilità psicosociale la sperimentano in misura molto maggiore a causa degli stereotipi e dei pregiudizi riguardo a questo specifico tipo di disabilità. Stereotipi e pregiudizi che spesso sono condivisi anche dalle altre persone con disabilità.
Ratzka parlava, giustamente, del monopolio dei professionisti, e chi opera nell’àmbito della cosiddetta “salute mentale” sa benissimo quanto questo monopolio sia ancora granitico, ma la questione è che davanti a una persona con disabilità psicosociale può accadere (e accade di frequente) che non solo i professionisti, ma chiunque possa arrivare a ritenersi più autorevole e competente della persona stessa, e prendersi l’arbitrio di sostituirsi e decidere per lei anche sulle scelte che riguardano la sua vita (ad esempio, sulla scelta relativa a dove, come e con chi vivere). Ciò può accadere nei rapporti con le istituzioni, nei servizi sanitari/sociali, in àmbito giuridico (anche, ma non solo, attraverso gli istituti di tutela giuridica), nelle stesse Associazioni/Organizzazioni di persone con disabilità, in famiglia o in altri contesti.

I principali riferimenti normativi e applicativi in materia di partecipazione/auto-rappresentanza delle persone con disabilità, che ho citato inizialmente, sono molto importanti ed è essenziale conoscerli. Ma è fondamentale comprendere anche che essi non hanno il potere di incidere in modo profondo sulle condotte individuali, perché in realtà ciò che orienta le nostre condotte sono le nostre convinzioni. Questo vuol dire che se siamo intimamente convinti che le persone con disabilità non siano sufficientemente autorevoli per prendere decisioni, tenderemmo a sostituirci a loro qualunque cosa dica la legge. E mentre lo facciamo ci racconteremmo che lo facciamo per il loro bene, che le persone disabili quelle decisioni non sarebbero comunque in grado di prenderle, che sarebbe tempo sprecato provare a coinvolgerle. Davanti a queste argomentazioni non possiamo nemmeno confidare sull’argine degli scrupoli di coscienza, perché chi pensa queste cose è mosso/a dalla convinzione di essere nel giusto, dunque non ritiene di doversi censurare. Ma la verità è che se l’oggetto della scelta sono le prerogative di vita di una persona con disabilità – e intendo disabilità di qualunque tipo e gravità –, il soggetto più autorevole è la stessa persona disabile e non noi. Ci vuole una grande onestà intellettuale e una giusta dose di umiltà per ammetterlo. Ritengo infatti che, se anche applicassimo alla lettera le norme giuridiche, ma non cambiassimo le nostre più intime convinzioni sull’autorevolezza delle persone con disabilità, non potremmo dire di aver costruito una società inclusiva. In una società inclusiva lo stile relazionale è la cooperazione, il “fare con”, mentre le nostre società si basano sulla competizione, e la competizione produce gerarchie tra esseri umani che si concretizzano nel “fare per” qualcuno/a. Se non prestiamo attenzione agli stili relazionali non riusciremo a modificare questi aspetti. È la stessa Convenzione ONU a dirci che la disabilità ha una matrice relazionale. La disabilità è relazione. Le cifre di una società inclusiva sono il riconoscimento e la solidarietà reciproca tra esseri umani che, pur svolgendo ruoli diversi, si pongono sullo stesso piano. Ciò equivale a dire: io ti riconosco e ti rispetto, non perché lo dice la legge (o, almeno, non solo per questo), non per farti un favore, e neppure perché sono buono/a, ma perché intimamente sento che sei un essere umano esattamente come me, e che abbiamo gli stessi diritti e la stessa dignità.

Lavorare per la diffusione di una cultura giuridica è fondamentale, ma non dobbiamo cadere nell’inganno che sia questo il solo piano su cui agire. Infatti chiunque può aderire a una legge solo su un piano formale, limitandosi a fare lo stretto necessario per non incorrere in sanzioni. Pertanto, se vogliamo essere davvero efficaci, è necessario lavorare anche ad altri livelli, su piani in qualche modo più “personali”, interrogandoci sugli stili relazionali, illuminando e divenendo consapevoli delle nostre più intime convinzioni riguardo alla disabilità, e abbandonando quelle infondate.
Questo lavoro ci deve portare a concludere che anche se avessimo dieci lauree e un curriculum da far paura, una persona con disabilità sa di se stessa ciò che nessun’altra fonte potrà mai raccontarci, e se non glielo chiediamo direttamente non saremo mai in grado di dire come vuole vivere la sua vita e cosa è importante per lei. Queste considerazioni non sono finalizzate a disconoscere il valore delle competenze professionali, mirano piuttosto di circoscriverne l’àmbito e le modalità di applicazione, perché, come purtroppo ancora accade, non possano più tradursi in arbitrio e tirannia sulle vite altrui.
È fondamentale che questi concetti siano recepiti a partire dal livello individuale perché solo così saremmo anche in grado di dare la giusta impronta alle relazioni professionali di chi lavora nei servizi che riguardano le persone con disabilità, alle nostre relazioni familiari e amicali, alle nostre Associazioni/Organizzazioni e alle rivendicazioni politiche che portiamo avanti attraverso esse, agli atti giuridici, amministrativi o d’altro tipo che, si spera, recepiranno tali istanze.
Non possiamo chiedere alla società e alle Istituzioni ciò che noi per primi/e non siamo disponibili a fare: riconoscere l’autorevolezza delle persone con qualsiasi tipo di disabilità e promuoverne l’auto-rappresentanza. Parafrasando Ratzka, deve essere inequivocabilmente chiaro che in materia di disabilità gli esperti e le esperte sono le stesse persone con disabilità.

*Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). Il presente testo, già apparso nel sito di Informare un’h e qui ripreso con minimi riadattamenti al diverso contenitore per gentile concessione, coincide con quello dell’intervento pronunciato in occasione del settimo congresso annuale dell’Associazione Diritti alla Follia, Milano 14-15 dicembre 2024.

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Le persone con disabilità e l’uguale riconoscimento davanti alla legge

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Per il pieno rispetto dell’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che prescrive l’uguale riconoscimento davanti alla legge, si deve effettivamente creare un sistema in cui la persona con disabilità sia realmente libera di autodeterminarsi. Nel presente approfondimento vediamo perché e soprattutto come si dovrebbe agire

L’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità riafferma il diritto delle persone con disabilità all’uguale riconoscimento davanti alla legge, ciò che era già stato espresso da precedenti strumenti internazionali in àmbito di diritti umani, ai quali la Convenzione non deroga, ma semplicemente esplicita le azioni specifiche che gli Stati devono mettere in atto per garantire alle persone con disabilità questo diritto umano.

Il diritto all’uguale riconoscimento davanti alla legge è inerente alla dignità di ogni essere umano ed è collegato al principio di non discriminazione. Questo diritto non accetta restrizioni sulla base della disabilità, neppure in situazioni di emergenza. Esso si sostanzia nel fatto di essere titolari di diritti e doveri (“capacità giuridica” o Legal Standing) e nel potere di istituire, modificare e sciogliere rapporti giuridici, ovvero nella possibilità di agire concretamente, con azioni legalmente valide, in relazione ai propri desideri e alle proprie volontà.
Il riconoscimento di tale diritto e l’effettiva possibilità di esercitarlo sono strettamente interconnessi con il godimento reale degli altri diritti umani. Ad esempio, il diritto alla Legal Capacity è essenziale per il diritto alla vita indipendente, quello di far parte, in modo attivo, della società in cui si vive, il diritto alla famiglia, quello di esprimere il consenso ai trattamenti medici, e il diritto di voto. Nessuno di questi diritti è garantito se non lo è quello di essere riconosciuti come soggetto giuridico con capacità d’agire. Senza tale riconoscimento, infatti, una persona non può sposarsi, non può comprare una casa, non può determinarsi e dare vita a rapporti giuridici né difendere i propri interessi in tribunale.

Come notato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel suo primo Commento Generale, molti degli Stati Parte della Convenzione, basandosi sulla valutazione delle capacità nella presa delle decisioni o Mental Capacity, concetto discriminatorio e controverso, non riconoscono alle persone con disabilità, soprattutto nel caso in cui sia presente una compromissione intellettiva o cognitiva, la capacità d’agire, mettendo in atto meccanismi di sostituzione nella presa delle decisioni che impediscono alla persona stessa di esprimere ed attuare i propri desideri.
Anche l’EDF, il Forum Europeo della Disabilità, nel suo recente rapporto Legal Capacity: Personal choice and control, ha evidenziato come nessuno dei 27 Paesi dell’Unione Europea abbia provveduto a realizzare quanto richiesto dalla Convenzione ONU, mantenendo ancora in essere istituti giuridici per i quali le persone con disabilità non possono decidere per se stesse, ma sono sostituite nella presa delle decisioni sulla loro vita da rappresentanti che agiscono secondo il principio del «miglior interesse della persona rappresentata». La reale attuazione del diritto delle persone con disabilità all’uguale riconoscimento davanti alla legge impone invece agli Stati Membri di assicurare loro l’utilizzo di meccanismi di supporto nella presa delle loro decisioni, decisioni a cui deve essere riconosciuto effettivo valore legale.
Il succitato articolo 12 della Convenzione, così come chiarito dal già menzionato Comitato ONU, stabilisce che tali supporti e sostegni nella formulazione delle decisioni debbano essere strutturati in modo tale da garantire il rispetto delle volontà e dei desideri della persona che ne usufruisce. Ulteriormente, prevede che i sostegni forniti siano di vario tipo: possono essere costituiti, per esempio, dal supporto di una o più persone fidate della persona con disabilità, dal supporto alla pari o assistenza alla comunicazione, dalla possibilità di pianificare le proprie decisioni, in vista di un futuro in cui non le si potrà più esprimere, potendo anche stabilire quando tale piano debba entrare in vigore.

Secondo quanto espresso dalla Convenzione ONU, quindi, è necessario un cambio completo di paradigma che si basi sulla capacità d’agire universale, riconoscendo la non correttezza della distinzione tra persone “incapaci” e capaci di effettuare scelte riguardo a se stesse e ai propri interessi, perché ciascun essere umano ha diritto alle proprie scelte. Gli Stati devono di conseguenza realizzare un sistema che permetta alla persona di autodeterminarsi, ricevendo un livello di supporto adatto per le sue volontà e necessità, e che allo stesso tempo la tuteli e la protegga da abusi, discriminazioni e indebite influenze. In questo senso, è necessario che, nelle circostanze in cui non sia possibile determinare la volontà della persona con disabilità, il principio guida del «migliore interesse della persona» sia sostituito dal «principio della migliore interpretazione della volontà e delle preferenze dell’individuo supportato». Sempre a scopo di tutela, la Convenzione richiede che sia previsto un meccanismo di controllo imparziale sul rispetto effettivo della volontà della persona con disabilità da parte di colui che l’assiste nella presa delle decisioni, e che la persona beneficiaria possa decidere in qualunque momento, e in autonomia, di interrompere il sostegno.

Per attuare il diritto all’uguale riconoscimento dinanzi alla legge è necessario, per di più, che l’accesso agli strumenti di supporto alle decisioni sia volontario, che il godimento di esso non costi nulla alla persona che ne beneficia, che non sia negato per ragioni economiche, e che sia stabilito per legge che l’uso di sostegno nella presa delle decisioni non sia fonte di limiti nell’esercizio di altri diritti e delle libertà fondamentali.

In Italia, abbiamo tre istituti di protezione giuridica indirizzati, secondo le norme, a coloro che si trovano in una situazione di “infermità mentale”, “incapacità attenuata” o “impossibilità di provvedere ai propri interessi”. Ognuno di questi tre meccanismi giuridici, ovvero: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno, si sostituisce, a gradi differenti, alla persona che ne è destinataria nella presa delle decisioni. Anche l’amministratore di sostegno, sebbene introdotto nel 2004 [Legge 6/04, N.d.R.] con la ratio di creare uno strumento di sostegno alle decisioni in àmbiti indicati caso per caso dal giudice, rivolto a persone “impossibilitate a curare i propri interessi”, ma considerate capaci di intendere e di volere, da un punto di vista giuridico si è tradotto molto spesso in una reale sostituzione della persona nella formulazione delle scelte sulla sua vita. Ciò è dovuto a una mancata formazione dei professionisti del mondo giuridico sulle modalità comunicative accessibili, e anche a un vuoto normativo riguardante i modi in cui la persona destinataria dell’amministrazione di sostegno possa comunicare all’amministratore le proprie volontà. Inoltre, così come succede anche nella maggior parte dei Paesi europei, anche nel nostro ordinamento è previsto che il rappresentante della persona segua il “principio del migliore interesse” e non quello che richiede di rispettare il più possibile le volontà del rappresentato. Va infine sottolineato che frequentemente i costi dell’amministrazione e della verifica specializzata di tali attività d’amministrazione sono posti a carico della persona beneficiaria dell’istituto di protezione giuridica.

Si deve quindi modificare il sistema attuale, modifica raccomandata, tra l’altro, al nostro Paese dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Si dovrebbe cioè creare un sistema in cui la persona con disabilità sia libera di autodeterminarsi, potendo mettere per iscritto e “in anticipo” le proprie volontà, desideri e preferenze, e in cui i professionisti e coloro che assumono l’incarico non si sostituiscano alla persona, ma la sostengano e la aiutino nelle sue scelte. Questi dovrebbero essere adeguatamente formati e vincolati nelle proprie funzioni di supporto dal principio della migliore interpretazione delle volontà e delle preferenze della persona. Solo così si potrà realmente implementare il modello della disabilità espresso nella Convenzione che, a differenza di quello medico, riconosce alla persona con disabilità diritti e doveri su un piano di uguaglianza con gli altri e vede la disabilità come condizione derivante da un ambiente pieno di barriere culturali, fisiche, sensoriali e comunicative.

Una persona senza la possibilità di autodeterminarsi davanti e per la legge non avrà mai il controllo sulla propria vita e non potrà mai essere un componente attivo della propria comunità. In aggiunta, proprio perché i diritti umani sono collegati tra di loro a doppio filo e la violazione di uno di essi è fonte del diniego degli altri, si devono garantire tutte le altre previsioni della Convenzione ONU, assicurando, per esempio, che gli istituti e le procedure finanziarie siano accessibili, che le informazioni siano disponibili in vari formati, tali da renderle usufruibili e comprensibili da parte di tutti.

*Ufficio Legislativo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Testo dell’intervento pronunciato in occasione del settimo congresso annuale dell’Associazione Diritti alla Follia, Milano 14-15 dicembre 2024.

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Una bella iniziativa, per garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità

Superando -

È giunto a conclusione il Progetto Libellula, iniziativa promossa in Toscana dal Distretto 2071 del Rotary che grazie a una raccolta di oltre 42.000 euro, ha consentito di acquistare 26 lettini ginecologici elettrici, regolabili in altezza e in inclinazione, adeguati alle necessità delle donne con disabilità. I lettini sono stati donati agli ambulatori ginecologici ospedalieri e ai consultori del territorio, nonché agli ambulatori del Codice Rosa, il percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato alle vittime di violenza Anton Zapotochny (Dovzhenko), “Libellula colorata” (©José Art Gallery)

Nel luglio dello scorso anno, con piacere, abbiamo dato notizia, su queste stesse pagine, di un importante progetto promosso, in Toscana, dal Distretto 2071 del Rotary, per garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità, un àmbito nel quale sono particolarmente discriminate.
Nello specifico, il Progetto Libellula, questo il nome dell’iniziativa, ha promosso all’interno dei 70 Club Rotary della Toscana una raccolta fondi finalizzata ad acquistare lettini ginecologici elettrici, regolabili in altezza e in inclinazione, adeguati alle necessità delle donne con disabilità, al fine di donarli prioritariamente agli ambulatori ginecologici ospedalieri e ai consultori del territorio, quindi agli ambulatori del Codice Rosa (il percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato alle vittime di violenza).

Ebbene, con altrettanto piacere, apprendiamo dall’ideatrice e promotrice del progetto, Margherita Magi Damiani, dirigente medica di Primo Livello presso l’INAIL, nonché moglie di Fernando Damiani, governatore del Distretto 2071 del Rotary, gli esiti dell’iniziativa. «La somma raccolta grazie alle donazioni dei Rotary Club della Toscana, e di pochi generosi privati, è stata complessivamente di 42.680 euro e ci ha permesso di acquistare 26 lettini ginecologici elettrici. La destinazione è stata decisa dai Direttori Sanitari in base alle esigenze del territorio», riferisce Magi Damiani. Questo risultato è stato conseguito anche grazie all’impegno e all’interessamento di una socia del Rotary Monte Argentario, la dottoressa Manola Pisani, che ha curato i rapporti con le ASL e con la ditta produttrice, aggiunge la stessa Damiani.

I lettini, dunque, sono stati già consegnati alle sedi stabilite per l’ASL Toscana Centro e l’ASL Sud-Est, mentre per l’ASL Nord-Ovest sarà necessario aspettare la Delibera di acquisizione dell’Azienda Sanitaria, ed è probabile che si vada all’anno nuovo, dopo le festività. A questo link è presente l’elenco dei presìdi sanitari a cui sono stati donati i lettini ginecologici.
Ci preme però ringraziare qui anche le altre figure con percorsi e competenze importanti in àmbito sanitario che Magi Damiani ha coinvolto nel percorso progettuale. Le indichiamo di seguito, limitandoci a segnalare solo qualcuno dei loro molteplici incarichi e qualifiche: Simona Dei, direttrice sanitaria aziendale da dodici anni, prima della ASL di Pisa, poi di Siena, dall’ottobre 2023 dell’ASL Toscana Centro; la dottoressa Vittoria Doretti, ideatrice a livello nazionale e responsabile della rete regionale Codice Rosa, ovvero, come accennato, dello speciale percorso di accesso al Pronto Soccorso dedicato alle vittime di violenze e abusi, in particolare donne e bambini, ma anche vittime di crimini d’odio, progetto nato nel 2010 nell’ASL di Grosseto e diventato regionale nel 2011; la già menzionata dottoressa Manola Pisani, già responsabile dell’Unità Funzionale Cure Primarie Distretto Colline Metallifere-Amiata-Grossetana.
Del gruppo di lavoro ha fatto parte anche chi scrive, Simona Lancioni, sociologa e documentalista, responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), da 25 anni impegnata nella promozione dei diritti delle donne con disabilità, e curatrice di una specifica sezione documentaria dedicata a questi temi.
Alla fase di promozione, infine, ha collaborato anche l’Associazione DisabilmenteMamme, che ha messo a disposizione le testimonianze di Antonella Tarantino, Margherita Rastiello e Carla Marinelli.

Insomma tante donne, con e senza disabilità, si sono messe insieme per contribuire a garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità, e dunque a garantire loro un ulteriore pezzetto di libertà. Il progetto ha sensibilizzato i donatori e le donatrici su questi temi fondamentali.
Nell’esprimere ancora una volta il nostro sentito ringraziamento a tutte le persone e agli enti che hanno contribuito, possiamo solo augurarci che l’iniziativa venga replicata anche in altri contesti. (Simona Lancioni) 

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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