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Quell’emendamento è in contrasto con il diritto fondamentale alla salute

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«Quell’emendamento – scrivono tra l’altro dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale, commentando l’emendamento n. 13.0.400 al Disegno di Legge su “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria” interviene su prestazioni in cui la componente sanitaria e quella sociale sono da considerarsi tra loro inscindibili, e si pone in totale contrasto con il diritto fondamentale alla salute riconosciuto dalla Costituzione»

Diamo spazio qui di seguito a una sintesi ampia della nota di commento e approfondimento redatta dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale, riguardante l’emendamento n. 13.0.400 al Disegno di Legge su Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria, tema rispetto al quale abbiamo già pubblicato altri contributi di riflessione (a questo e a questo link). Il testo integrale dell’approfondimento curato dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS è disponibile a questo link.

Il primo comma dell’emendamento n. 13.0.400 al Disegno di Legge su Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria ha il palese obiettivo di circoscrivere nettamente il perimetro (e, quindi, il finanziamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale) delle “attività” sanitarie da tutto ciò che ha non una rilevanza prettamente sanitaria.
Tale previsione, oltre a non essere minimamente attuabile, intervenendo proprio su quelle prestazioni in cui la componente sanitaria e quella sociale sono da considerarsi tra loro inscindibili, e quindi, fino ad oggi, interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, si pone in totale contrasto con il diritto fondamentale alla salute riconosciuto dalla Costituzione, nonché garantito da norme primarie a cui si è saldamente ancorata anche la copiosa giurisprudenza intervenuta in materia.

Occorre inoltre porre la massima attenzione sul fatto che nel nostro Paese occorrerebbe compiere una seria, attenta, precisa e costante azione di verifica e monitoraggio circa l’effettiva attuazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), per esempio in relazione all’articolo 21 del relativo DPCM del 12 gennaio 2017 sui percorsi assistenziali integrati), sul Piano Nazionale per la Non Autosufficienza 2022-2024 (per esempio in relazione al LEPS-Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali di processo, sul percorso assistenziale integrato), sull’effettiva consistenza delle azioni che avrebbero dovuto essere poste in essere a seguito dell’entrata in vigore della Legge 33/23 (Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane), che nel Capo II dispone le azioni di sistema anche in materia di persone non autosufficienti.
Non solo, ma proprio in relazione alle politiche e alle programmazioni rivolte alla non autosufficienza, l’ANFFAS ha da sempre posto in evidenza la necessità di dotare tali politiche e programmi di risorse adeguate, oggi invece largamente distanti dalle effettive necessità di milioni di cittadini e cittadine.

Crediamo che si debba ancora evidenziare un elemento di politica sociale che da tempo denunciamo come non compreso e non affrontato da parte del nostro Paese. Si tratta della condizione di svantaggio socio-economico in cui le persone con disabilità, le persone non autosufficienti e i loro familiari, vivono in termini di aumento del rischio di impoverimento. Un rischio generato sia dalla permanente condizione di svantaggio e discriminazione di tante persone, rispetto all’accesso al lavoro (e quindi al reddito), dalla necessità dei familiari di destinare tempo, energie e risorse (anche economiche) ai bisogni di sostegno del proprio figlio/a o parente, dal fatto che tali necessità non sono ad oggi ancora adeguatamente coperte e sostenute dalle norme in materia di caregiver familiari, e infine, dal fatto che perdurano in tanti Comuni Italiani criteri di determinazione della compartecipazione al costo dei servizi che appaiono illegittimi rispetto alle norme vigenti (DPCM 159/13).

Riteniamo quindi che questi siano gli elementi cardine di un sistema di welfare che appare ancora distante e inadeguato rispetto alle necessità di sostegno di milioni di cittadini e cittadine. In tal senso il ruolo dei soggetti di Terzo Settore (inclusi i gestori di unità d’offerta sociali, sanitarie e sociosanitarie) assume rilevanza e anzi dovrebbe essere da tutti difeso e promosso in termini di coinvolgimento verso la costruzione di quel clima di amministrazione condivisa, sancito da tempo dal Codice del Terzo Settore (nonché dalla Sentenza 131/20 della Corte Costituzionale), ma di fatto, su questi aspetti, in buona parte ancora disatteso, evitando che su tali enti si scarichino direttamente o indirettamente gli aspetti distorsivi di un siffatto sistema potenzialmente dirompente anche sulla loro tenuta di equilibrio gestionale ed economico finanziario, laddove dovesse continuare a permanere l’attuale quadro di incertezza o addirittura acuirsi all’esito dei previsti provvedimenti.

Un ulteriore aspetto di criticità è dato dal fatto che, stante la difficile, e quasi impossibile, differenziazione di tali prestazioni, sono del tutto prevedibili possibili conflitti tra il sistema sociale e quello sanitario, con la logica conseguenza di insorgenza di nuovi contenziosi, mentre un altro elemento di fortissima preoccupazione da parte delle persone con disabilità, delle loro famiglie e delle loro Associazioni maggiormente rappresentative, è dato dal fatto che tale emendamento, che sembra nascere con riferimento alle cosiddette RSA per le persone non autosufficienti, per effetto del richiamo all’articolo 30 del DPCM del 12 gennaio 2017, potenzialmente sembra estendersi anche ad altre strutture e servizi di natura sociosanitaria, tra le quali quelle, appunto, per le persone con disabilità.

Si tratta in conclusione di un emendamento che ancora una volta, agendo in una modalità “spot” e senza alcuna visione complessiva, rischia di comprimere e, addirittura, annullare i diritti dei cittadini che fruiscono o fruiranno di prestazioni strumentali al godimento di diritti fondamentali come quelle sopra richiamate, sia in termini di qualità, causando la frammentazione di prestazioni inscindibili, sia in termini di effettiva garanzia del diritto.

*L’ANFFAS è l’Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo (nazionale@anffas.net).

Sul tema trattato nel presente contributo di riflessione, segnaliamo anche, sempre sulle nostre pagine, i testi Per una riforma organica e coerente del sistema sociosanitario (a questo link) e Emendamenti normativi e diritti delle persone non autosufficienti (a questo link) di ULCES.

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Le persone con la sindrome di Down hanno un obiettivo condiviso: l’autonomia e la vita indipendente

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Sono caratterizzati da un obiettivo condiviso, l’autonomia e la vita indipendente, i vari supporti richiesti e ritenuti necessari dalle persone dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), protagoniste della campagna di comunicazione lanciata da tale Associazione in occasione della Giornata Mondiale della Sindrome di Down di domani, 21 marzo Persone dell’AIPD di Venezia Mestre (©AIPD)

Emanuele ha 20 anni e vive in provincia di Latina: quello che più lo fa arrabbiare è che a scuola non ha un insegnante che lo segua con continuità ed è questo quindi il supporto che chiede di migliorare. Roberta ha 26 anni e vive in provincia di Campobasso: quello che la fa arrabbiare è non riuscire a spostarsi autonomamente con i trasporti pubblici ed è questo il supporto che chiede allo Stato. E ancora, Gianni vive a Brindisi e inizia ad avere qualche capello grigio: sarà per questo che non dice la sua età, ma chiede una Sanità più efficiente e che per una visita medica si debba aspettare meno tempo: è la richiesta per la quale sollecita maggiori supporti. Sergio, infine, vive a Napoli e ha 38 anni. È bravo a ballare, ma non ha ancora un lavoro. Allo Stato, quindi, chiede lavoro per tutti!
Sono solo alcuni dei protagonisti della campagna di comunicazione che l’AIPD, l’Associazione Italiana Persone Down aderente alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), ha lanciato in occasione della Giornata Mondiale della Sindrome di Down di domani, 21 marzo (World Down Syndrome Day), come abbiamo riferito nei giorni scorsi anche sulle nostre pagine, «una campagna – viene spiegato dall’Associazione – partita diversi giorni prima della ricorrenza, per dare la parola al maggior numero di persone, giovani e meno giovani, uomini e donne, da Nord a Sud Italia, passando per il Centro. Sono loro, le persone con sindrome di Down che frequentano le nostre Sezioni a prendere la parola, per declinare e tradurre in richieste concrete lo slogan della Giornata Mondiale, Improve Our Support Systems, ossia “Migliorare i nostri sistemi di supporto”, con i nostri social (Facebook) e (Instagram) già letteralmente invasi da una “pioggia” di testimonianze, brevi video in cui si indicano i problemi e i supporti necessari per risolverli, fino al video conclusivo, che sarà diffuso domani, 21 marzo».

«La nostra Associazione – sottolinea Gianfranco Salbini, presidente nazionale dell’AIPD – è da sempre convinta che il protagonismo delle persone con sindrome di Down sia necessario e fondamentale per costruire un mondo migliore per loro e per tutti, una convinzione che si è rafforzata quando, durante la nostra assemblea del 2023, proprio le persone con sindrome di Down di diverse Sezioni territoriali ci hanno presentato una mozione con le loro richieste. Ci è parso più che mai evidente quanto fosse forte e legittimo questo bisogno di prendere la parola. In questa occasione, quindi, in cui la comunità internazionale accende i riflettori sui supporti di cui le persone con sindrome di Down hanno bisogno, non potevamo non dare a loro la parola. Non è più tempo di parlare al posto loro e di fare progetti senza farci guidare dalle loro indicazioni: la partecipazione e il protagonismo devono essere princìpi irrinunciabili e denominatori comuni di ogni nostra azione e campagna. Dietro ogni richiesta, infatti c’è una persona, dietro ogni appello c’è una vita. Sono queste persone e le loro vite che abbiamo voluto raccontare, con i video della campagna di quest’anno».

Per quanto riguarda i vari supporti richiesti e ritenuti necessari, essi, come spiegano dall’Associazione, hanno un obiettivo condiviso, l’autonomia e la vita indipendente. «Certo – aggiunge Salbini – siamo consapevoli che non tutte le persone con sindrome di Down sono in grado di vivere da sole: per loro e per le loro famiglie sono necessari supporti che possano assicurare la migliore qualità della vita, oggi e domani. Al tempo stesso, però, siamo consapevoli che tante persone con sindrome di Down potrebbero conquistare la vita indipendente: devono tittavia essere accompagnate e incoraggiate. Ed è quello che cerchiamo di fare ogni giorno, con i nostri corsi, i seminari, le attività, le pubblicazioni dedicate a questo tema».
In occasione di questo 21 marzo, ad esempio, l’AIPD ha lanciato il corso online Ali – Vita indipendente, disponibile gratuitamente (previa registrazione) nel sito dell’EDSA (European Down Syndrome Association), iniziativa nata grazie alla collaborazione tra la stessa EDSA, l’AIPD Potenza, Down Syndrom Czech e Trisomie 21 Luxembourg, rivolta in particolare a familiari, professionisti e caregiver, articolandosi su cinque lezioni e i relativi test di verifica, per insegnare a creare percorsi educativi nei confronti di giovani e adulti con sindrome di Down, utilizzando i contenuti e le metodologie offerte.
Un altro strumento utile per supportare la conquista dell’autonomia, realizzato dall’AIPD è dato dai volumi della collana Laboratori per le autonomie di Erickson, dieci pubblicazioni che insegnano, con “linguaggio facile da leggere e da comprendere”, le abilità fondamentali per l’autonomia a ragazzi/e e adolescenti con disabilità intellettiva. grazie a materiali semplificati, esempi concreti ed esercitazioni. Alcuni di essi sono stati recentemente tradotti in diverse lingue e diffusi a livello internazionale.

Da ricordare, in conclusione, che la campagna promossa dall’AIPD è stata realizzata grazie alla collaborazione dell’AANT (Accademia Arti e Nuove Tecnologie), dei docenti Matteo Quarta di Halibut film, Chiara Catalani e Assunta Squitieri di Anema District e degli studenti delle classi di grafica e di videomaking. (S.B.)

A questo link vi è l’elenco degli eventi organizzati dall’AIPD a livello territoriale, per il 21 marzo di quest’anno. Per ogni ulteriore informazione: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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Una guida per i concerti inclusivi

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Rendere la musica dal vivo più accessibile e inclusiva: è online un kit gratuito e pronto all’uso che fornisce strumenti e consigli per migliorare la comunicazione e la realizzazione degli eventi di musica dal vivo, con un focus su accessibilità, inclusione sociale e rappresentazione

È online un nuovo kit gratuito e pronto all’uso per migliorare l’accessibilità dei concerti, alla cui realizzazione hanno contribuito anche la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), insieme a Equaly e il CSV Milano (Centro di Servizio per il Volontariato).
Tale documento di buone pratiche ha l’obiettivo di fornire strumenti e consigli per migliorare la comunicazione e la realizzazione degli eventi di musica dal vivo, con un focus sull’accessibilità, l’inclusione sociale e la rappresentazione.

Dopo un percorso di analisi dei pubblici della musica dal vivo, effettuato tramite la somministrazione di questionari, focus group, incontri di co-progettazione e workshop, la Società Cooperativa BAM! Strategie Culturali, che ha curato il vademecum, ha raccolto in un unico documento alcune idee e buone prassi che possono essere adattate e applicate nei festival.
L’indagine sui pubblici dei Live Club e dei Festival, realizzata nell’ambito del progetto Il Concerto Che Vorrei e condotta nel 2023, ha restituito la percezione delle persone rispetto agli eventi musicali dal vivo e ai loro specifici bisogni in termini di accessibilità, rappresentazione e inclusione. In particolare, a partire da alcune istanze emerse nell’àmbito della comunicazione e della mediazione, è risultato che la completezza e la chiarezza delle informazioni di un evento sono una guida di scelta fondamentale per il pubblico, troppe volte per niente o scarsamente preso in considerazione. (C.C.)

È possibile scaricare liberamente il kit di cui si parla nel presente contributo a questo link.

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Per un programma di educazione affettiva e sessuale nelle scuole

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«Riteniamo – scrivono dal Forum Permanente sulla Sessualità delle Persone con Disabilità o con Disagio Mentale – che la causa dell’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità o con disagio mentale che tende a negare loro il diritto ad una sessualità libera e consapevole risieda nell’assenza di un’educazione affettiva e sessuale nel nostro Paese. Per questo chiediamo di sottoscrivere questo nostro Appello di denuncia»

In quanto rappresentanti del Forum Permanente sulla Sessualità delle Persone con Disabilità o con Disagio Mentale, da tempo lottiamo contro l’evidente atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità o con disagio mentale che tende a negare loro il diritto ad una sessualità libera e consapevole. Riteniamo che la causa di questa situazione sia da imputare all’assenza di un’educazione affettiva e sessuale nel nostro Paese.
La Legge di Bilancio per il 2025 [Legge 207/24, N.d.R.], accogliendo un emendamento delle opposizioni, ha stanziato un fondo di 500.000 euro per promuovere, nei «piani triennali formativi scolastici, interventi educativi e corsi di educazione e di prevenzione sulle tematiche della salute sessuale e dell’educazione sessuale e affettiva» per gli studenti delle scuole medie di primo e secondo grado. Purtroppo tale fondo, con inammissibile forzatura, è stato invece destinato ad interventi di formazione sulla “prevenzione dell’infertilità”.
Quella dunque che già appariva come una minima apertura del Governo sul tema dell’educazione sessuale è stata di fatto annullata, stravolgendo completamente la volontà del Parlamento. Siamo convinti che sia necessario reagire e denunciare la “marcia indietro” del Governo rispetto al testo normativo approvato.

Non è più tollerabile che l’Italia sia uno dei pochi Paesi europei dove non è previsto un programma di educazione affettiva e sessuale nelle scuole.
Il nostro Forum, quindi, con le Associazioni aderenti, chiede a tutti i cittadini, enti e associazioni interessate di sottoscrivere il presente Appello di denuncia e di dichiarare la propria disponibilità a collaborare all’organizzazione di un’Assemblea pubblica che affronti il tema dell’educazione affettiva e sessuale nella scuola, coinvolgendo i principali soggetti interessati (studenti, professori, rappresentanti del mondo associativo impegnato nel sociale, forze politiche), per formulare una proposta che possa produrre, finalmente, un risultato concreto: l’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nella scuola.

*A questo link la pagina Facebook del Forum.

Le adesioni di realtà associative, ma anche individuali, all’appello contenuto nel presente contributo, vanno comunicate a: forum.sessualita21@gmail.com. A questo link è presente l’elenco di Enti, Associazioni, singoli cittadini o cittadine che hanno già aderito.

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Terza edizione del “Premio Paolo Osiride Ferrero” per promuovere nuovi modi di comunicare la disabilità

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È arrivato alla terza edizione il “Premio Giornalistico Paolo Osiride Ferrero”, pensato per incentivare il lavoro di coloro che nel mondo dell’informazione promuovono un giusto e innovativo approccio ai temi della disabilità. La scadenza per la consegna degli elaborati è fissata per il 15 settembre prossimo

È in corso la terza edizione del Premio Giornalistico Paolo Osiride Ferrero, iniziativa promossa dalla CPD di Torino (Consulta per le Persone in Difficoltà) e dedicata al proprio fondatore, voluta allo scopo di incentivare il lavoro di coloro che nel mondo dell’informazione promuovono un giusto e innovativo approccio ai temi della disabilità.

Due sono le principali novità che caratterizzeranno quest’edizione 2025:
Un Premio Speciale per l’Attivismo, ossia un riconoscimento dedicato a chi si impegna in prima linea per la difesa e la promozione dei diritti delle persone con disabilità.
La premiazione al DisFestival, nel mese di dicembre prossimo, all’interno appunto della seconda edizione del DisFestival, la manifestazione organizzata a Torino dalla CPD, con l’obiettivo di “disattivare i pregiudizi”.

È possibile partecipare in tre categorie:
Carta stampata (premio di 2.000 euro): per il miglior articolo, servizio giornalistico, inchiesta di approfondimento o reportage pubblicato su una testata giornalistica cartacea, locale o nazionale.
Radio e TV (premio di 2.000 euro): per il miglior servizio radiofonico o televisivo andato in onda su un’emittente radio o TV, locale o nazionale.
Web e social (premio di 2.000 euro): per il miglior contenuto digitale, testuale, visivo o audio, pubblicato online su siti web, blog, social network o altre piattaforme. Sono inclusi testi, immagini, audio, video e altri elementi multimediali.

«È fondamentale partire dalle parole giuste – dichiara Francesca Bisacco, presidente della CPD –. Ancora troppo spesso, infatti, si sentono termini inaccettabili, e attraverso i media è necessario diffondere una cultura dell’inclusione che passi attraverso l’empatia e non la pietà. La scrittura ha il potere di raggiungere tutto il territorio nazionale – penso ai giornali, al web e a tutte le categorie che verranno premiate – e può contribuire a diffondere un messaggio univoco e condiviso, capace, nel tempo, di generare un vero cambiamento sociale e culturale».

La scadenza per la consegna degli elaborati è fissata per il 15 settembre prossimo (ore 24). (C.C. e S.B.)

Il regolamento, il modulo di partecipazione e tutte le informazioni necessarie per concorrere sono disponibili nel sito della CPD di Torino a questo link. Per altre informazioni: Fabrizio Vespa (fabrizio.vespa@cpdconsulta.it).

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Centro Terapeutico dell’Antoniano: un percorso di educazione all’autonomia dall’infanzia all’adolescenza

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Garantire a bambini/bambine e ragazzi/ragazze con sindrome di Down ogni opportunità di inclusione è il primo passo per costruire una società più accogliente e consapevole ed è in questa direzione che si muove il Centro Terapeutico di Antoniano, come ben dimostra anche la storia del quattordicenne Amine. In vista dell’imminente Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo, i professionisti del Centro propongono cinque consigli a genitori ed educatori Amine al tavolo di gioco, nell’àmbito del progetto “Autonomie”, presso il Centro Terapeutico di Antoniano

Come promuovere l’autonomia e accettare la diversità sin dalla prima infanzia, con cinque consigli per genitori ed educatori: è la proposta dei professionisti del Centro Terapeutico dell’Antoniano di Bologna, in occasione dell’imminente Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo (World Down Syndrome Day), e i cinque consigli, in estrema sintesi, sono:
1. Fare della diversità un valore, anche in famiglia.
2. Sostenere l’autonomia, passo dopo passo.
3. Includere i bambini nelle attività quotidiane.
4. Incoraggiare la socializzazione attraverso le attività in gruppo.
5. Applicare un approccio terapeutico multidisciplinare e integrato.

Garantire dunque a bambini/bambine e ragazzi/ragazze con sindrome di Down ogni opportunità di inclusione è il primo passo per costruire una società più accogliente e consapevole ed è appunto in questa direzione che si muove il Centro Terapeutico di Antoniano, punto di riferimento per bambini e bambine con fragilità legate al neurosviluppo e per le loro famiglie, attivo da oltre quarant’anni e nato dal desiderio di Anna Bruno Rangoni di offrire uno spazio di supporto proprio ai nuclei familiari di bambini e bambine con Sindrome di Down che, grazie al sostegno delle socie di Antoniano Insieme, ancora oggi promuove iniziative di solidarietà a sostegno delle numerose attività organizzate nel corso dell’anno.
Solo nel 2024, il Centro ha erogato 12.836 ore, seguendo 979 bambini, di cui 21 con la sindrome di Down. L’équipe che vi opera è composta da 24 professionisti che lavorano in sinergia, offrendo percorsi di logopedia, musicoterapia, neuropsicomotricità, osteopatia, interventi psico-educativi, valutazioni e sostegno psicologico e consulenze neuropsichiatriche. Un approccio multidisciplinare, quindi, che accompagna bambini e bambine in un percorso di crescita dall’infanzia fino all’adolescenza, educandoli all’autonomia e permettendo loro di sviluppare al meglio le proprie capacità e competenze.

La storia di Amine, quattordicenne con la sindrome di Down, è un esempio concreto di quanto un supporto terapeutico strutturato, integrato e multidisciplinare possa fare la differenza.
Amine è un ragazzo socievole, affettuoso, sempre pronto a salutare tutti e a chiedere «Come stai?», come se ogni incontro fosse un’occasione speciale. La sua curiosità lo spinge a mettersi in gioco, ad affrontare nuove sfide e a imparare, che sia tra i banchi di scuola o nelle stanze del Centro Terapeutico di Antoniano, dove ogni giorno raggiunge piccoli grandi risultati. Il suo legame con il Centro quando era molto piccolo, ed è qui che, anno dopo anno, ha trovato lo spazio, ma soprattutto un’équipe di professioniste che, attraverso un approccio multidisciplinare, lo hanno accompagnato e supportato nella sua crescita.
L’agenda di Amine è molto fitta di impegni: ogni settimana, infatti, il lunedì è dedicato al gruppo del progetto Autonomie, il mercoledì alla musicoterapia e il giovedì alla logopedia. Un calendario fondamentale per aiutarlo a sviluppare competenze comunicative, sociali e pratiche, rafforzando la sua indipendenza. Il suo percorso terapeutico è, infatti, fatto di parole e suoni, di autonomia e relazioni. Da due anni, Julie lo accompagna nel percorso logopedico, aiutandolo a rafforzare il linguaggio e a sentirsi più sicuro nel comunicare, cosicché oggi Amine ha imparato a parlare più lentamente, a riformulare le frasi quando serve e ad usare meglio le parole per esprimere ciò che sente e vive quotidianamente.
Ma il ragazzo non si esprime solo con le parole: la musica, infatti, è un’altra parte fondamentale del suo percorso terapeutico in Antoniano ed è con la musicoterapia di gruppo che impara a relazionarsi con gli altri, a condividere le proprie emozioni e a scoprire il potere del ritmo e dei suoni.
Alcuni mesi fa, infine, Amine ha iniziato a partecipare ad Autonomie, progetto seguito dalla psicomotricista Cristina e dalla logopedista Julie, un passo importante per la sua crescita, dove insieme ad altri ragazzi coetanei, sta imparando a gestire e affrontare le piccole sfide quotidiane, come fare la spesa, orientarsi in città, organizzare il suo tempo e le sue attività.

«Sono tanti i traguardi raggiunti da Amine – sottolineano dal Centro Terapeutico di Antoniano – e se all’inizio le attività erano per lo più esercizi scritti, oggi egli affronta sfide più complesse, come giochi che stimolano l’attenzione, potenziando le sue competenze linguistiche e la capacità di gestire le emozioni. Uno dei suoi giochi preferiti è un’attività in cui deve individuare dettagli nascosti in un’immagine, un allenamento per il lessico, la concentrazione e il suo spirito di osservazione, ma anche un’occasione per divertirsi e capire che non sempre si vince e che perdere fa parte del gioco. Ogni parola pronunciata con più sicurezza, ogni attività portata a termine, ogni piccolo passo verso l’indipendenza è una grande conquista per lui e per i suoi genitori. E Amine, con il suo entusiasmo e la sua grande determinazione, ne sta collezionando tante». (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento sul Centro Terapeutico di Antoniano di Bologna. Per altre informazioni: Elisa Pagliaccio (elisa.pagliaccio@agenziapressplay.it).

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“GiochiAMO senza barriere”: sport e solidarietà si uniranno ad Ostuni

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La comunità di Ostuni (Brindisi) si prepara a vivere il 21 marzo una giornata di grande emozione e partecipazione, dove lo sport e la solidarietà si uniranno. “GiochiAMO senza barriere – La festa dell’inclusione” non sarà infatti una semplice manifestazione sportiva, ma «un grande momento di condivisione», come sottolinea il presidente della Federazione FISH Falabella

Unire la comunità di Ostuni, in provincia di Brindisi, e abbattere al tempo stesso le barriere sociali e fisiche: è l’obiettivo di GiochiAMO senza barriere – La festa dell’inclusione, che si terrà il 21 marzo presso il PalaCeste della località pugliese (ore 9.30).
Questo evento, organizzato dai Lions Club con il patrocinio del Comune di Ostuni, mira a promuovere attraverso lo sport i valori dell’inclusione, dell’integrazione e della solidarietà. Infatti «l’evento non si limiterà a essere una competizione, ma sarà un’opportunità per far vivere la bellezza della condivisione e dell’integrazione, in un ambiente che accoglie e valorizza ogni individuo, indipendentemente dalle sue capacità», sottolineano gli organizzatori.

Numerose le realtà associative che si uniranno per portare avanti un messaggio forte di solidarietà e inclusione. Tra i partecipanti all’evento, seppure a distanza, anche il presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), Vincenzo Falabella, che dichiara: «Sono orgoglioso di far parte della comunità ostunese, che affronta i temi della disabilità in modo propositivo, valorizzando attraverso lo sport la persona con disabilità. Questo evento rappresenta un momento di grande condivisione, grazie alla sinergia tra mondo associativo, terzo settore e l’amministrazione comunale, che ha sempre dimostrato attenzione e sensibilità nel sostenere manifestazioni di questo tipo».

GiochiAMO senza barriere non sarà quindi solo una manifestazione sportiva, ma un segno tangibile di quanto la solidarietà e la cooperazione tra le diverse realtà possano trasformare una comunità: «In un mondo che troppo spesso tende a separare anziché unire – viene detto -, iniziative come questa sono la testimonianza concreta del fatto che l’inclusione non è solo un diritto, ma una conquista che arricchisce tutta la società».

La comunità di Ostuni si prepara, dunque, a vivere una giornata di grande emozione e partecipazione, dove lo sport e la solidarietà si uniranno, per dimostrare che davvero, insieme, si può superare ogni barriera. (C.C.)

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Con il sorriso e la gentilezza, due schiaffi simbolici alla SLA al Centro NEMO di Milano

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Dopo il successo della prima edizione, tornerà il 23 marzo all’Ospedale Niguarda di Milano, “Due SLAvadent alla SLA!”, spettacolo dedicato al sostegno delle attività di cura e ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica del Centro Clinico NeMO (NeuroMuscular Omnicentre), ideato e diretto da Enrico Bertolino, con la partecipazione di Ale e Franz, Lunanzio, gli Jaga Pirates e tanti chef volontari e maestri panificatori

Dopo il successo della prima edizione, tornerà nella serata del 23 marzo (ore 19.30), presso la Galleria del Blocco Sud dell’Ospedale Niguarda di Milano, Due SLAvadent alla SLA!, spettacolo dedicato al sostegno delle attività di cura e ricerca sulla SLA (sclerosi laterale amiotrofica) del Centro Clinico NeMO di Milano (NeuroMuscular Omnicentre), ideato e diretto da Enrico Bertolino, con la partecipazione di Ale e Franz, Lunanzio e gli Jaga Pirates.
«I ricercatori – spiega Enrico Bertolino – stanno lavorando per sconfiggere la SLA, ma anche noi possiamo dare uno schiaffo simbolico a questa malattia, con il sorriso e la gentilezza. Possiamo scegliere di stare al fianco di chi vive questo percorso ogni giorno, senza paura, con attenzione e un pizzico di follia, gli stessi ingredienti delle persone che dedicano le loro vite alla cura e alla ricerca».

L’evento, promosso dai Centri Clinici NeMO, dall’Ospedale Niguarda e dall’Associazione SLAFOOD, con il patrocinio dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), è nato dall’amicizia tra Enrico Bertolino e Luca Leoni, persona con la SLA e presidente onorario dell’Inter Club InterNati.

Da segnalare infine che per l’occasione una vera e propria brigata di venti chef e maestri panificatori di fama nazionale, volontari di SLAFOOD, insieme all’APCI (Associazione Panificatori di Milano), Richemont Club Italia e Athletic Chef, aprirà la serata con un aperitivo di benvenuto e un risotto ideato per l’occasione. (S.B.)

A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: ufficio.stampa@centrocliniconemo.it (Stefania Pozzi).

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L’assistenza alle persone non autosufficienti, tra riforme, welfare e intelligenza artificiale

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Sono circa 10 milioni in Italia, tra persone anziane, con disabilità e caregiver, quelle direttamente coinvolte nella gestione quotidiana della non autosufficienza: un tema di primaria importanza in un Paese che invecchia e che fa i conti con le fragilità del sistema del welfare. A Bari oggi, 19 marzo, e domani, 20 marzo, si tiene il “Forum della Non Autosufficienza e dell’Autonomia Possibile”

Si apre oggi, 19 marzo, a Bari, con l’intervento del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, la seconda edizione del Forum della Non Autosufficienza e dell’Autonomia Possibile, in programma fino a domani, 20 marzo, all’Hotel Parco dei Principi del capoluogo pugliese.
L’evento, organizzato dal Gruppo Maggioli, azienda attiva in Italia nel settore delle soluzioni innovative per la Pubblica Amministrazione, in collaborazione con le principali Associazioni di categoria del territorio, chiama a raccolta operatori, studiosi ed esperti in ambito sanitario e socio-assistenziale sul tema dell’assistenza alle persone non autosufficienti.
Il convegno nasce come spin-off territoriale per il Sud del Forum N.A., che dal 2009 raduna a Bologna i principali attori del settore, per sviluppare, discutere e progettare le politiche per la non autosufficienza e gli interventi nella pratica quotidiana d’aiuto.

In programma per l’occasione vi sono oltre 30 workshop, 3 sessioni plenarie e più di 150 speaker coinvolti nelle due giornate dedicate alle politiche e alle pratiche a sostegno della non autosufficienza e dell’assistenza quotidiana a persone anziane e in situazione di fragilità. Estremamente ricco è in particolare il programma dei workshop che si succederanno nelle due giornate, offrendo una panoramica su temi chiave quali l’accesso alle cure e la personalizzazione delle stesse, grazie al supporto dell’intelligenza artificiale, ma anche l’analisi di modelli di successo come l’esperienza di welfare di prossimità sperimentata con Adriano SiCura, progetto di presa in carico precoce delle esigenze di salute e socialità per gli anziani del quartiere Adriano di Milano.
Si parlerà inoltre dell’importanza della parola e dello storytelling (“narrazione”) nella relazione di cura, di riqualificazione delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e della personalizzazione dei percorsi di assistenza, oltreché di sostegno alla domiciliarità, di differenti età e posizioni dei caregiver, di invecchiamento attivo, così come di disabilità e di diritto alla progettazione di vita individuale, con pratiche già messe a punto in alcuni territori, quale il Comune di Bologna.

La partecipazione ai workshop durante le due giornate consentirà di ottenere crediti formativi e deontologici per assistenti sociali, OSS (operatori socio sanitari), caregiver, logopedisti, infermieri, psicologi, psicoterapisti, geriatri, medici di famiglia, fisioterapisti ed educatori professionali.
«Il Forum di Bari – commenta Amalia Maggioli del Gruppo Maggioli – è parte di un unico progetto di respiro nazionale che consideriamo un vero e proprio hub di sviluppo di competenze e condivisione di buone pratiche a supporto di chi si prende cura delle persone fragili».
L’assistenza alle persone non autosufficienti rappresenta del resto una questione centrale nel sistema socio-sanitario nazionale: i dati ISTAT, ad esemopio, parlano di poco meno di 4 milioni di persone non autosufficienti, per lo più anziani e “grandi anziani”, e di quasi 10 milioni di cittadini e cittadine italiani in totale, tra familiari e caregiver, che quotidianamente affrontano il peso dell’assistenza; ad essi si aggiungono decine di migliaia tra operatori del pubblico, del privato e del Terzo Settore impegnati nella presa in carico e nella cura delle fragilità, con una spesa complessiva di almeno 30 miliardi di euro. (C.C.)

Il programma completo del Forum di Bari è consultabile a questo link. Per maggiori informazioni: Luciana Apicella (luciana.apicella@mec-partners.it).

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Bioetica e disabilità: l’imperfezione appartiene a tutti gli esseri umani

Superando -

La bioetica dovrebbe essere come un faro nella tutela dei diritti e della dignità delle persone con disabilità: durante l’emergenza Covid, ad esempio, il Comitato Sammarinese di Bioetica si oppose alla discriminazione nei confronti delle persone con disabilità nei criteri per l’accesso alle terapie intensive. Ma il Comitato stesso si interroga costantemente su tali tematiche. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Luisa Maria Borgia che quel Comitato presiede Luisa Borgia, presidente del Comitato Sammarinese di Bioetica

La bioetica dovrebbe essere come un faro nella tutela dei diritti e della dignità delle persone con disabilità, in particolare nei momenti di maggiore vulnerabilità. Ad esempio, durante l’emergenza da Covid, il Comitato Sammarinese di Bioetica fu il primo ad opporsi alle discriminazioni nei criteri di accesso alle terapie intensive. E l’impegno di tale organismo non si è fermato lì: il monitoraggio degli effetti indiretti della pandemia ha rivelato il suo impatto sui diritti umani in ambiti spesso trascurati.
Poi vi sono temi come l’editing genetico, le nuove tecnologie, che sollevano interrogativi fondamentali: come possiamo garantire che la diversità umana sia rispettata, senza cedere alla tentazione di rincorrere alla perfezione? Come evitare che la “qualità della vita” diventi un criterio di esclusione piuttosto che un principio di inclusione?
Parallelamente, le continue notizie di maltrattamenti in istituti per persone con disabilità o anziane richiamano l’attenzione su un’altra questione: qual è il ruolo delle famiglie, delle comunità e delle associazioni?
Proponiamo dunque un dialogo con Luisa Borgia, presidente del Comitato Sammarinese di Bioetica, che ci guida attraverso queste complesse sfide etiche, offrendoci spunti per costruire un’etica inclusiva.

Quale importanza ha la bioetica per le persone con disabilità?
«La bioetica è una materia interdisciplinare che si occupa degli aspetti etici connessi alla medicina, alle scienze della vita e alle tecnologie connesse, applicate all’essere umano, tenendo in considerazione le dimensioni sociali, giuridiche ed ambientali. Ha quindi come oggetto la vita in tutte le sue forme (il bios) e, in particolare, la persona umana affinché ne siano tutelati i diritti e la dignità. Pertanto, la persona con disabilità rappresenta, nella prospettiva bioetica, la persona a cui prestare particolare attenzione perché esposta a un maggiore rischio di violazione dei diritti umani nell’ambito della biomedicina.
Sempre più, infatti, in ambito biomedico sono emersi approcci discriminatori sulle persone con disabilità che hanno prodotto un grande impatto emotivo sull’opinione pubblica, trattandosi di decisioni sulla qualità della vita delle persone, sul loro diritto ad esistere (eutanasia, diritto alla vita) e sulla possibilità di determinare la forma e le caratteristiche degli esseri viventi (procreazione assistita, terapie genetiche, manipolazione genetica, clonazione).
Per la prima volta la scienza giunge alla soglia dei poteri che consentono alla natura di “creare” e “trasformare” la vita, ponendo come motivazione la prevenzione e il superamento delle malattie e delle infermità, il miglioramento della qualità della specie umana, il potenziamento delle capacità riproduttive ben al di là dei limiti di età e di scelta dei partner. Pertanto, le Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari manifestano una grande preoccupazione sul rischio concreto di utilizzare il “modello medico” della disabilità come approccio culturale di base della biomedicina, della nuova genetica. In particolare, preoccupa vivamente la possibile deriva verso l’eugenetica, qualora si cedesse alla tentazione di affermare l’idea, assente in natura, della perfezione dell’essere umano. In questo contesto la malattia, il dolore, le diversità, verrebbero lette come imperfezioni da eliminare, non già come elementi dell’esistenza con cui ciascun essere umano può rapportarsi nel corso della propria vita. In realtà l’imperfezione appartiene a tutti gli esseri umani, in forme differenti e la diversità funzionale è una di queste diversità (come afferma anche l’articolo 3 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità)».

L’anno scorso, come avevammo raccontato anche sulle nostre pagine, si è tenuto nella Repubblica di San Marino il Global Summit di bioetica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unesco. Come è stato scelto un piccolo Stato per organizzare un summit di portata mondiale? E che cosa è emerso rispetto all’attenzione ai diritti delle persone con disabilità?
«Il Global Summit dei Comitati Nazionali di Bioetica è un evento che si tiene ogni due anni in un continente differente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unesco identificano il Paese ospitante, tra quelli che inviano la propria candidatura, sulla base di una serie di parametri, tra cui l’attività svolta dal Comitato Nazionale di Biotica su tematiche di particolare interesse e caratterizzate da originalità. Mai, prima d’ora, era stato scelto un Piccolo Paese, ma al Comitato Sammarinese di Bioetica è stato riconosciuto il prezioso contributo scientifico svolto nella fase di emergenza pandemica a tutela delle persone più vulnerabili, e in primis proprio delle persone con disabilità. Inoltre, per la prima volta, il Global Summit ha dedicato un’intera sessione ai diritti delle persone con disabilità proprio sulla base di tutti i documenti emanati dal nostro Comitato su questo argomento, documenti che hanno rappresentato un esempio e un faro per la bioetica internazionale.
Devo dire, per altro, che in quell’occasione ci siamo resi conto di come nei differenti Paesi vi sia ancora poca conoscenza dell’argomento in una prospettiva bioetica e come ci sia ancora tanto lavoro da fare per inquadrare il problema nella corretta impostazione data dalla Convenzione ONU».

Il Comitato Sammarinese di Bioetica, durante i primi drammatici mesi dell’emergenza da Covid, è stato il primo Comitato a emanare uno specifico parere sulla gravissima violazione dei diritti delle persone con disabilità e degli anziani nel momento in cui venivano esclusi a priori dalle terapie intensive per mancanza di posti letto. Qualche anno dopo, con il sipario calato sulla pandemia, a luglio 2024, avete prodotto il documento La pandemia a distanza: effetti indiretti; perché avete sentito nuovamente questa urgenza? E ci sono altre “emergenze etiche” che emergono in questo momento nella ricerca scientifica sulle disabilità?
«Il Parere cui fa riferimento (Risposta alla richiesta di parere urgente su aspetti etici legati all’uso della ventilazione assistita in pazienti di ogni età con gravi disabilità in relazione alla pandemia di Covid-19 [disponibile a questo link, N.d.R.]) è stato emanato il 16 marzo 2020, ossia nella primissima fase emergenziale, quando capimmo che, a fronte di una patologia sconosciuta che richiedeva come unica speranza di salvezza la ventilazione assistita, la scarsità di posti letto costringeva i medici a effettuare una scelta drammatica sulle persone. La pubblicazione avvenuta una settimana prima (esattamente il 6 marzo 2020) da parte del SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) delle Raccomandazioni di Etica Clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili indicava alcuni parametri “a priori” per l’accesso a tali cure salvavita, tra cui l’età e la presenza di comorbilità, andando così a discriminare alcune categorie di persone rispetto ad altre. Ovviamente, le persone con disabilità, insieme alle persone più anziane, incarnavano perfettamente le categorie da escludere ex-ante. Ciò ci ha indotto a emanare immediatamente il nostro parere, breve ma efficacissimo, in cui affermavamo con grande determinazione che l’attribuzione della priorità dei trattamenti da effettuare e delle vittime da trattare non può non tenere conto dei princìpi etici fondamentali, che si concretizzano in una corretta applicazione del triage, con cui si cerca di ottimizzare l’allocazione delle risorse. Unico parametro di scelta, pertanto, dev’essere la corretta applicazione del triage, nel rispetto di ogni vita umana, sulla base dei criteri di appropriatezza clinica e proporzionalità delle cure. Ogni altro criterio di selezione, quali ad esempio l’età, il genere, l’appartenenza sociale o etnica, la disabilità, è eticamente inammissibile, in quanto attuerebbe una graduatoria tra vite solo in apparenza più o meno degne di essere vissute, costituendo un’inaccettabile violazione dei diritti umani.
Ebbene, quel piccolo parere emanato immediatamente nei momenti più drammatici, ha prodotto un inaspettato “effetto domino”, diventando strumento prezioso ad esempio per l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, che ha inviato una open letter a tutti i capi di governo dei Paesi europei, per segnalare la grave discriminazione silenziosa che stava avvenendo negli ospedali e richiamando il rispetto per ogni vita umana proprio con riferimento al nostro documento. Inoltre, un mese dopo, nell’aprile 2020, anche l’ONU ha emanato una Linea Guida per segnalare il grave rischio di violazione dei diritti umani verso le persone con disabilità durante la pandemia, indicando il nostro parere come “buona pratica” nel mondo.
Ma, come Lei ben ricordava, non ci siamo fermati ai primi momenti emergenziali, ma abbiamo continuato a monitorare la situazione durante e al termine della pandemia, riportando esempi di “deumanizzazione” delle cure sia nei reparti ospedalieri sia nelle RSA, con il documento Umanizzazione delle cure e accompagnamento alla morte in scenari pandemici del 12 maggio 2021 [disponibile a questo link, N.d.R.]) ed effettuando una “fotografia” di tutti quegli àmbiti su cui sono ricaduti gli effetti indiretti della pandemia, come ad esempio quelli riguardanti i minori, la scuola, le donne vittime di violenza, le persone con disabilità (nel documento La pandemia a distanza: effetti indiretti, del 18 luglio 2024 [disponibile a questo link, N.d.R.]). Ci siamo infatti resi conto che si era focalizzata l’attenzione solo sugli aspetti sanitari, mentre la pandemia aveva provocato una violazione dei diritti umani in tutti i settori della società, rimasta però sotto traccia. Evidenziare questo è stato un dovere per il nostro Comitato, per richiamare l’attenzione dei decisori a predisporre azioni preventive, “in tempo di pace”, proprio nei settori su cui un’emergenza sanitaria non impatta direttamente, ma lascia gravi ripercussioni per lungo tempo e di cui non ci si occupa.
In merito infine alle “emergenze etiche” presenti in questo momento nella ricerca, non posso non pensare alle nuove tecniche di ingegneria genetica (o editing genetico), che si stanno affinando sempre più e permettono di agire direttamente sul genoma umano per correggere o eliminare “difetti” genetici ritenuti incompatibili con la qualità della vita. Lascio a lei le considerazioni sul concetto di qualità della vita, su chi debba stabilire quale sia la qualità della vita ritenuta accettabile nella nostra società e su quali debbano essere le persone da “scartare” per ricercare una ipotetica perfezione…».

Pensando alle continue notizie di casi di maltrattamenti di persone con disabilità o anziane in istituti, quale deve essere il ruolo delle famiglie e delle comunità e anche delle associazioni, che tutelano i diritti delle persone con disabilità, nel supporto alle persone con disabilità? E come possiamo garantire che questa scelta rispetti la dignità e i diritti della persona coinvolta?
«Il ruolo delle famiglie e delle associazioni è fondamentale per supplire alle lacune istituzionali. Il problema è che su di loro grava il carico integrale, e spesso esclusivo, della cura e dell’assistenza in solitudine. Queste figure non possono essere lasciate sole e un possibile modo per sostenersi a vicenda potrebbe essere quello di essere inserite in una rete. Il rischio, altrimenti, è quello che le persone che necessitano di cure e assistenza vengano “abbandonate”, nei luoghi deputati ad accoglierli ma in balìa di possibili violazioni della loro dignità e del loro benessere psicofisico. Purtroppo, l’unico riscontro che possiamo avere è proprio dalla persona assistita, dal suo stato e dalle sue reazioni o comunicazioni di varia natura che riesce a inviarci o che riusciamo a cogliere con una vicinanza continua e l’affinamento della nostra sensibilità nei confronti dei nostri cari. Tutto il resto è demandato alle attività ispettive da parte di enti ed organismi».

In che modo, dunque, le tecnologie assistive – e penso anche a quelle basate sull’intelligenza artificiale – stanno cambiando la vita delle persone con disabilità e quali sono le considerazioni etiche legate al loro uso?
«L’utilizzo delle nuove tecnologie è, come sempre, legato ad un duplice aspetto: la valenza di avanzamento tecnologico a supporto di un’assistenza più avanzata che migliori la qualità di vita non solo della persona assistita ma anche della sua famiglia e dei suoi caregiver e la valenza legata all’abuso di tali tecnologie. Si tratta di una questione che si ripropone puntualmente ad ogni avanzamento tecnologico: l’atteggiamento nei confronti di esso deve essere equilibrato, senza “demonizzazioni” o “santificazioni”. E la bioetica può essere sicuramente d’aiuto nel processo valutativo, ponendo l’attenzione sui parametri di rischio e beneficio che accompagnano qualsiasi azione dell’uomo su un altro uomo o su un altro essere vivente. Priorità al beneficio e finalità della persona che non deve mai essere utilizzata come mezzo per raggiungere altri scopi, siano anche quelli scientifici, specialmente se non è in grado di esprimere un valido e consapevole consenso: queste sono le principali considerazioni bioetiche che ci devono guidare».

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Servono decisioni rapide ed efficaci per una reale inclusione scolastica: la FISH a confronto con il Ministero

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Negli ultimi giorni la FISH ha intensificato i propri confronti con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, allo scopo di affrontare le crescenti e molteplici difficoltà riguardanti l’inclusione scolastica in Italia. Secondo la Federazione, infatti, servono interventi urgenti e risolutivi, per far sì che tutti gli studenti e le studentesse con disabilità possano godere di un percorso educativo inclusivo e di qualità. E prima di tutto va convocato l’Osservatorio Ministeriale sull’Inclusione

La scorsa settimana è stata particolarmente intensa per la FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che ha intensificato i propri confronti con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in particolare negli ultimi due giorni, allo scopo di affrontare le crescenti difficoltà riguardanti l’inclusione scolastica in Italia. Le problematiche, purtroppo, sono molteplici e richiedono interventi urgenti e risolutivi, soprattutto per garantire che i diritti degli studenti e delle studentesse con disabilità siano rispettati e che tutti e tutte possano godere di un percorso educativo inclusivo e di qualità.

I corsi di abilitazione post lauream
Un tema cruciale sollevato dalla FISH riguarda i corsi di abilitazione post lauream da 60 Crediti Formativi Universitari (CFU), che dovrebbero formare i futuri docenti curricolari e di sostegno. Tali corsi, pur essendo organizzati teoricamente in presenza, vengono svolti quasi interamente online, con docenti che insegnano a distanza senza la possibilità di un’interazione diretta con gli studenti. Un modello, questo, che secondo la Federazione non è assolutamente adeguato a preparare gli insegnanti a una didattica inclusiva.
«Se dunque è questo il livello di formazione per le abilitazioni da 60 CFU – dicono dalla FISH -, c’è forte preoccupazione riguardo alla qualità dei futuri corsi di specializzazione dell’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa) da 30 CFU, che si prevede possano risentire degli stessi limiti».

I GLIR: una struttura inadeguata
Un altro problema evidenziato durante le interlocuzioni dei giorni scorsi tra la Federazione e il Ministero riguarda l’inadeguatezza e la scarsa conoscenza di organismi quali i GLIR (Gruppi di Lavoro Interistituzionali Regionali). Molte famiglie che si rivolgono agli uffici della FISH, ad esempio, non sanno nemmeno cosa siano e quelle che ne sono a conoscenza segnalano la mancata convocazione sistematica di gruppi che dovrebbero occuparsi della gestione dell’inclusione scolastica a livello regionale. «Questo – affermano dalla FISH – è un gap organizzativo che ha effetti devastanti, in particolare nelle aree a maggior rischio di emarginazione, dove la mancanza di un progetto organico regionale sta penalizzando pesantemente gli studenti e le studentesse con disabilità».

Il silenzio dell’Osservatorio e la mancata attuazione del Decreto 66/17
Vi è poi il grave problema, già evidenziato più volte anche su queste stesse pagine, rappresentato dal silenzio dell’Osservatorio Permanente del Ministero per l’Inclusione Scolastica, da ben due anni non è più attivo. Si tratta di una situazione resa ancora più grave dal fatto che in un momento tanto delicato, come quello di cui si parla, con gravi difficoltà nell’attuazione del Decreto Legislativo 66/17, tra cui la mancata istituzione dei GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale), proprio l’Osservatorio potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel monitorare la situazione e proporre soluzioni efficaci. «L’assenza dei GIT – viene infatti sottolineato dalla FISH -, ha impedito una supervisione adeguata e compromesso la qualità dei servizi, soprattutto nei territori del Nord Italia, dove, in passato, la collaborazione interistituzionale aveva assicurato un buon coordinamento».

Piani Educativi Individualizzati: un inaccettabile ritardo
Anche la situazione dei PEI (Piani Educativi Individualizzati), previsti dalla stessa Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità risulta problematica: sebbene infatti il Decreto Interministeriale 182/20 e il successivo Decreto Interministeriale 153/23 abbiano introdotto nuovi modelli di PEI, la piattaforma necessaria per attuarli non è ancora operativa. Secondo la FISH, quindi, «il ritardo nella formazione degli operatori scolastici e socio-sanitari sta compromettendo la possibilità di rendere effettivi i diritti degli studenti e delle studentesse con disabilità e di garantire un’inclusione adeguata».

Il Decreto Legislativo 62/24
A proposito infine del Decreto Legislativo 62/24, che disciplina la definizione della condizione di disabilità, la valutazione di base, l’accomodamento ragionevole e la valutazione multidimensionale per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, in attuazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, la FISH sottolinea che «pur avendo il governo deciso di posticiparne di un anno l’entrata in vigore, per permettere una sperimentazione più accurata, siamo pronti sin da subito a collaborare per il buon esito di tale sperimentazione, riconoscendo che nonostante i ritardi, tale norma può migliorare significativamente anche la situazione dell’inclusione scolastica. È tuttavia necessario che essa venga attuata correttamente e senza ulteriori indugi».

«Alla luce delle tante problematiche presenti – commenta in conclusione Vincenzo Falabella, presidente della FISH – chiediamo con urgenza la convocazione dell’Osservatorio sull’Inclusione in seduta congiunta con la Consulta delle Associazioni e il Comitato Tecnico-Scientifico. È essenziale, infatti, che il ministro Valditara presenti il piano di lavoro ministeriale e governativo, affinché le varie questioni che abbiamo sollevato vengano discusse e si possano trovare soluzioni concrete e tempestive. Dal canto nostro continueremo a monitorare attentamente la situazione, sperando in una rapida risposta per risolvere le problematiche che minacciano l’inclusione scolastica in Italia. La qualità dell’educazione per gli studenti e le studentesse con disabilità dipende infatti da decisioni rapide ed efficaci, affinché ognuno di loro possa crescere e imparare in un ambiente che ne rispetti i diritti». (S.B.)

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Migliorare i sistemi di supporto di cui hanno bisogno le persone con sindrome di Down e le loro famiglie

Superando -

Come sempre l’Associazione AIPD partecipa attivamente alla campagna promossa a livello internazionale, in occasione dell’imminente Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo, e dedicata quest’anno al tema “Improve Our Support Systems”, ossia “Migliorare i nostri sistemi di supporto” il cui obiettivo è segnatamente quello di accendere i riflettori sui sostegni di cui le persone con sindrome di Down e le loro famiglie hanno bisogno Una delle immagini diffuse a livello internazionale sul tema scelto quest’anno per la Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo (“Improve Our Support Systems”, ovvero “Migliorare i nostri sistemi di supporto”)

Quest’anno il tema a livello internazionale dell’imminente Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21 marzo (World Down Syndrome Day), di cui abbiamo già avuto occasione di occuparci in altre parti del giornale, è Improve Our Support Systems, ossia “Migliorare i nostri sistemi di supporto” il cui obiettivo è segnatamente quello di accendere i riflettori sui sostegni che non ci sono e di cui le persone con sindrome di Down e le loro famiglie hanno bisogno, senza tuttavia dimenticare, al tempo stesso, i supporti che invece, per fortuna, esistono e favoriscono ogni giorno la partecipazione alla vita sociale.

Come sempre anche l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) partecipa attivamente alla campagna, sin dal 10 marzo scorso, quando ha iniziato a proporre nei propri canali Facebook e Instagram, sia della sede nazionale che delle sezioni locali, brevi pillole video in cui sono le stesse persone con sindrome di Down a raccontarsi e a indicare ciò di cui sentono il bisogno.
Tale campagna è stata realizzata grazie alla collaborazione di Matteo Quarta di Halibut film, Chiara Catalani e Assunta Squitieri di Anema District e degli studenti dell’AANT (Accademia Arti e Nuove Tecnologie – Classi di grafica e Classi di videomaking).

Come ogni anno, inoltre, l’AIPD, in rappresentanza dell’Italia, ha aderito anche alla campagna dell’EDSA (European Down Syndrome Association), con un contributo pubblicato il 4 marzo scorso e dedicato alla scuola. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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