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L’accessibilità non è un lusso: decostruire l’abilismo nei nostri spazi

Una denuncia lucida e impietosa di come l’abilismo sia inscritto nella progettazione degli spazi e delle strutture sociali, il tutto lontano da un’idea rassicurante che l’accessibilità sia solo una questione tecnica: il libro di Ilaria Crippi “Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo” smaschera le giustificazioni che rendono l’esclusione delle persone con disabilità un fatto accettabile e normalizzato

Una denuncia lucida e impietosa di come l’abilismo sia inscritto nella progettazione degli spazi e delle strutture sociali. Lontano da un’idea rassicurante che l’accessibilità sia solo una questione tecnica, Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo (Tamu Edizioni, 2024) di Ilaria Crippi è uno di quei libri capaci di smascherare le giustificazioni che rendono l’esclusione delle persone con disabilità un fatto accettabile e normalizzato [se ne legga già anche sulle nostre pagine, a questo e a questo link, N.d.R.]. Crippi ci costringe a interrogarci su chi abbia il diritto di attraversare liberamente gli spazi e su chi invece venga sistematicamente escluso, mettendo in discussione le priorità e i compromessi che la nostra società accetta senza troppi scandali.

Nata a Ferrara, classe 1988, Ilaria Crippi è un’attivista con disabilità che da anni e con grande energia si occupa di accessibilità, diritti delle persone con disabilità e giustizia sociale. Con una formazione come disability manager e progettista sociale, ha approfondito i Disability Studies e la ricerca emancipatoria, intrecciando prospettive sociologiche e giuridiche. Attraverso il suo lavoro, integra le tematiche legate alla disabilità con quelle del genere e dell’orientamento sessuale, offrendo una visione intersezionale che arricchisce il dibattito sull’inclusione. Questo suo bel saggio rappresenta una riflessione acuta sulla natura culturale e politica dell’accessibilità, sfidando l’idea comune che essa riguardi solo l’eliminazione di barriere fisiche o architettoniche e non piuttosto una più ampia struttura culturale che privilegia i corpi considerati “abili”. Gli spazi infatti, secondo l’autrice, non sono neutri: sono costruiti per corpi normativi, escludendo e marginalizzando chi si discosta da questa norma. La sua analisi si sofferma sulle radici culturali dell’abilismo, mostrando come la progettazione degli spazi, delle relazioni sociali e delle pratiche quotidiane perpetui discriminazioni sottili ma pervasive.
Le chiedo quali siano a suo avviso le barriere culturali più difficili da superare quando si parla di accessibilità. «Il problema di fondo – mi risponde – è che l’esclusione delle persone con disabilità è normalizzata. Significa che non genera scandalo pensare che esse abbiano un accesso limitato all’ambiente: la consideriamo una naturale conseguenza dell’avere un corpo-mente lontano dagli standard di normalità. E invece in molti casi l’esclusione deriva da barriere nell’ambiente che potrebbero essere rimosse».
«Quando si segnala un problema di accessibilità – prosegue – la risposta immediata non è una ricerca di soluzioni, ma piuttosto una giustificazione dell’esistente: la barriera c’è perché è troppo costoso rimuoverla, perché quel palazzo è antico, perché non ci sono abbastanza persone con disabilità da giustificare il cambiamento. Questi discorsi ci ingannano, fanno apparire l’esclusione come inevitabile e razionale, nascondendo quanto invece derivi da precise scelte e priorità che diamo per scontate. Ad esempio diamo per scontato che i costi legati all’accessibilità siano un di più da sostenere se e quando è possibile; non li vediamo come una parte del costo standard, ineliminabile e da prevedere quando si decide di utilizzare un certo edificio o di realizzare un evento».

Domando poi a Crippi quali responsabilità, a suo avviso, dovrebbero assumersi le Istituzioni e i professionisti della progettazione per garantire un reale cambiamento. «Il punto centrale – mi risponde subito – è smettere di vedere l’inaccessibilità come qualcosa di tollerabile. Ad oggi, l’accessibilità sembra sempre sacrificabile… ed è, infatti, sacrificata in caso di conflitti con altre priorità, siano esse tecniche, estetiche, politiche. Di conseguenza, oggi un progettista che non tiene conto dell’accessibilità non viene visto come uno che ha fatto qualcosa di estremamente grave, di inaccettabile per la sua professione. Dobbiamo iniziare a pensare che creare barriere è come progettare un ponte che poi crolla, e mettere a punto tutti i passaggi della filiera, per impedire o almeno limitare al massimo la possibilità di errori: formazione obbligatoria dei progettisti, presenza di esperti di accessibilità in ogni comune e raccordo costante con le associazioni, organismi di controllo e sanzioni applicate su chi progetta ed esegue lavori in modo errato».

«Un’altra questione chiave – sottolinea ancora – è mettersi d’accordo su cosa intendiamo per accessibilità. La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità chiarisce che l’accesso deve essere garantito «su base di eguaglianza con gli altri»: questo è un cambio di approccio rispetto alle norme sull’accessibilità abitualmente tenute come riferimento dai progettisti. Il punto non è offrire alle persone con disabilità un angolino dove possono arrivare, possibilmente senza disturbare troppo, ma garantire loro un’esperienza di pari qualità: senza complicazioni aggiuntive per ottenere un posto a un concerto, senza attese sotto la pioggia finché non si trova la rampa mobile, senza dover chiedere aiuto ad altri per comprare un biglietto del treno, perché la app non è accessibile. Accessibilità non è “farci arrivare lì in qualche modo purché sia”, ma farci avere un’esperienza altrettanto facile, snella e piacevole di quella degli altri, almeno per ciò che dipende dalle caratteristiche ambientali».

Provando per un istante a immaginare una società pienamente accessibile, chiedo a Crippi quali cambiamenti concreti auspicherebbe. «In una società pienamente inclusiva – dice -, l’accessibilità non sarebbe un’aggiunta facoltativa, ma un principio di base della progettazione di spazi e servizi. Non sarebbe accettabile svolgere un’attività aperta al pubblico in un posto non accessibile, così come non sarebbe accettabile aprire un ristorante o un museo in un edificio senza il tetto o l’elettricità. Studiare l’accessibilità sarebbe obbligatorio per architetti e ingegneri, ma anche per web-designer, programmatori, organizzatori di eventi, personale sanitario eccetera. E soprattutto, le persone con disabilità non verrebbero più viste come “eccezioni” da gestire tramite soluzioni speciali, ma come soggetti che potrebbero attraversare uno spazio al pari di chiunque altro. Come persone saremmo, insomma, previste».

Ilaria Crippi, tuttavia, ci invita a ripensare non solo le strutture fisiche, ma anche i modelli culturali che definiscono chi è incluso e chi no. Un aspetto cruciale del libro, infatti, è l’approccio intersezionale, con cui esplora come la discriminazione per disabilità si intrecci con altre forme di oppressione, come quelle basate sul genere e sull’orientamento sessuale. L’Autrice analizza come questi intrecci possano amplificare le difficoltà, ma anche offrire una prospettiva unica e creativa per immaginare spazi più inclusivi e pratiche più giuste. Si tratta di un approccio che rende il libro non solo una denuncia delle disuguaglianze esistenti, ma anche una proposta di trasformazione culturale profonda.
Il saggio si rivolge a un pubblico ampio: professionisti come architetti, designer e progettisti, ma anche attivisti, persone con disabilità e chiunque sia impegnato nel campo della giustizia sociale. Crippi vi utilizza un linguaggio diretto e coinvolgente, capace di alternare analisi teoriche a esempi concreti, rendendo il testo accessibile e stimolante anche per chi si avvicina a questi temi per la prima volta. La sua narrazione non si limita soltanto a denunciare l’abilismo, ma propone strumenti critici per riconoscerlo e superarlo, invitando a immaginare un mondo in cui gli spazi siano pensati per tutti, senza gerarchie implicite tra i corpi.
Lo spazio non è neutro è quindi un’opera importante che spinge a riconsiderare le fondamenta culturali della nostra società, evidenziando quanto sia necessario un cambiamento radicale per costruire una realtà veramente inclusiva.

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La Fondazione Telethon in prima linea per lo sviluppo di nuove cure

Solo per il 5% delle oltre 7.000 Malattie Rare oggi conosciute è disponibile una terapia. Oltre 10 i progetti terapeutici che compongono la linea di sviluppo della Fondazione Telethon che, in occasione della recente Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio, ha voluto ricordare il proprio impegno nel cercare di trovare nuove cure grazie alla ricerca “More than you can imagine”, ovvero “Più di quanto tu possa immaginare”: è stato questo il messaggio lanciato a livello internazionale, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare 2025

Trovare nuove cure per le malattie genetiche rare grazie alla ricerca scientifica è l’impegno quotidiano della Fondazione Telethon, che in occasione della recente Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio (Rare Disease Day) ha fatto il punto sui suoi principali progetti terapeutici portati avanti.
Come sottolinea UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare, ad oggi esiste una terapia solo per il 5% delle oltre 7.000 patologie rare conosciute e la ricerca scientifica rappresenta lo strumento principale per far aumentare le opportunità di cura. «Il nostro impegno è da sempre rivolto a trasformare la ricerca, realizzata grazie alle donazioni, in soluzioni effettivamente disponibili ai pazienti. Oggi il nostro contributo all’obiettivo comune di allargare l’accesso alla cura per questa comunità è concreto; una filiera che dalla ricerca di base arriva sino alla produzione e distribuzione di terapie»: lo ha dichiarato Ilaria Villa, direttore generale della Fondazione Telethon.

La stessa Fondazione Telethon è infatti da molti anni impegnata a trasformare in terapie fruibili i risultati della ricerca, in particolare quella condotta nei propri centri: l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-TIGET) di Milano e l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli.
«Ne è un esempio concreto – viene sottolineato – la prima terapia genica ex vivo approvata al mondo, quella per la rara immunodeficienza genetica ADA-SCID, frutto della ricerca dell’SR-TIGET di Milano. Di questa terapia, dal 2023, la nostra Fondazione è anche responsabile per la produzione e la distribuzione, posizionandosi come la prima charity al mondo ad essersi assunta l’impegno di garantire concretamente l’accesso ai pazienti. La stessa determinazione caratterizza il percorso anche di un’altra rara malattia genetica del sistema immunitario, la sindrome di Wiskott-Aldrich, per la quale l’SR-TIGET ha messo a punto una terapia genica: in questo caso ci siamo fatti carico anche del percorso regolatorio per portare il farmaco all’approvazione, sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti».
Sono questi due esempi che fanno parte della visione più ampia della Fondazione: sviluppare cioè una linea (pipeline) di prodotti, includendo diverse strategie terapeutiche, dalla terapia genica all’editing genetico, fino al riposizionamento di farmaci già disponibili per indicazioni attualmente orfane.
Quella pipeline comprende terapie già approvate e disponibili, come quella già citata per l’ADA-SCID e quella per la leucodistrofia metacromatica, gravissima malattia metabolica che colpisce il sistema nervoso già nell’infanzia: in questo caso, grazie a una partnership tra la Fondazione e l’Ospedale San Raffaele con un’azienda farmaceutica, questa terapia è arrivata sul mercato sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti. Ma poiché essa è efficace se somministrata prima dell’esordio della malattia, è fondamentale che quanto prima venga esteso a tutti i neonati lo screening neonatale, che al momento attuale, in Italia, è disponibile soltanto in Toscana e in Lombardia grazie a due studi pilota.

Sempre grazie all’alleanza con partner esterni, è anche in corso la sperimentazione di due terapie geniche messe a punto dai ricercatori del TIGEM e dell’SR-TIGET, rispettivamente per una rara forma di cecità associata a sordità, la sindrome di Usher 1B, e la mucopolisaccaridosi di tipo 1H, grave malattia metabolica che colpisce diversi organi.
La Fondazione, infine, è in procinto di avviare studi clinici per valutare nei pazienti nuove strategie terapeutiche messe a punto dai ricercatori dei propri istituti, tra cui una terapia genica per una rara forma di osteopetrosi e un approccio terapeutico basato sull’editing genetico per una rara immunodeficienza, la sindrome da iper IgM. (C.C.)

Per maggiori informazioni: Chiara Longhi (chiara.longhi@havaspr.com).

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L’accessibilità, l’inclusione e il futuro del turismo nel Veneto

Avrà un focus su accessibilità, inclusione e sviluppo sostenibile l’evento dedicato al futuro del turismo veneto, in programma il prossimo 11 marzo, a Bibione (Venezia), promosso da Village for all (V4A®) la rete specializzata in ospitalità accessibile Uno scorcio del litorale di Bibione

Avrà un focus su accessibilità, inclusione e sviluppo sostenibile l’evento dedicato al futuro del turismo veneto, in programma il prossimo 11 marzo, alle 10, a Bibione (Venezia), presso la Sala Convegni della Delegazione Comunale (Via Maja, 84). Ricordiamo che la nota località balneare veneta ha già aderito al progetto di Village for all (V4A®), la rete specializzata in ospitalità accessibile, realizza ogni anno per illustrare tutta l’offerta e le esperienze della località.
Accessibilità, Inclusione e Demografia: 3 anni di innovazione per il turismo veneto è il titolo dell’evento dedicato a professionisti, imprese, amministratori e cittadini, per illustrare i dati dell’indagine economica svolta su oltre 100 aziende dell’ospitalità della costa veneta e riflettere insieme sui risultati di tre anni di progetti.
«Un’occasione importante per capire come rispondere ai nuovi trend di sviluppo turistico e sociale, assicurando un futuro inclusivo e competitivo a tutto il territorio e dando vita alla costa italiana accessibile più lunga e inclusiva d’Europa», affermano gli organizzatori. (C.C.)

Incontro aperto al pubblico con ingresso libero. Qui la locandina. Per ulteriori informazioni: Village4All (stampa@villageforall.net).

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Special Olympics: ancora pochi giorni al grande evento italiano di sport e inclusione

Dall’8 al 15 marzo il Piemonte accoglierà 1.500 atleti e atlete con e senza disabilità intellettive, per i Giochi Mondiali Invernali di Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato appunto da persone con disabilità intellettive. Su questo grande evento di sport e inclusione, ma anche su altri temi, proponiamo un’intervista con Alessandro Palazzotti, fondatore e vicepresidente vicario di Special Olympics Italia

Ultimi giorni di vigilia per i Giochi Mondiali Invernali di Special Olympics, il movimento internazionale dello sport praticato da persone con disabilità intellettive, in programma dall’8 al 15 marzo a Torino, che vedranno il nostro Paese accogliere 1.500 atleti/atlete con e senza disabilità intellettive, in rappresentanza di 101 delegazioni provenienti da 100 Paesi di tutti i continenti e pronti a gareggiare in quattro località piemontesi e in otto discipline (sci alpino, sci nordico, danza sportiva, pattinaggio artistico, floorball, snowboard, racchette da neve e short track). Più di 1.000, inoltre, saranno i coach e i delegati, 2.000 i volontari, 2.000 i membri dell’Area Famiglie, 1.300 gli ospiti d’onore, 100 i Giovani Leader, oltre 500 media accreditati e migliaia di spettatori attesi sugli spalti e negli impianti di gioco.
Su questo grande evento di sport e inclusione, l’Ufficio Comunicazione di Special Olympics Italia ci propone un’intervista con Alessandro Palazzotti, fondatore e vicepresidente vicario della stessa Special Olympics Italia, cui ben volentieri diamo spazio qui di seguito.

«Eravamo in un bar di Bardonecchia con i sindaci impegnati nell’organizzazione dei Giochi Nazionali di Special Olympics del 2019 – ricorda Alessandro Palazzotti – e presi dall’entusiasmo della Cerimonia di Apertura appena conclusa, si cominciò a parlare della possibilità di portare sulla neve piemontese un grande evento internazionale. Dietro la battuta c’era una grande speranza e la consapevolezza di potercela fare, unendo le forze».
La voce del “papà di Special Olympics Italia” è piena di soddisfazione, perché in queste ore tutte le strade dell’inclusione portano ai Giochi Mondiali Invernali Special Olympics di Torino 2025. Delegazioni di cento Paesi di tutto il mondo stanno raggiungendo il Piemonte per vivere l’evento sportivo inclusivo più importante dell’anno. Ma se tutto questo si sta per concretizzare, è grazie alla capacità di dare forma a quello che inizialmente poteva sembrare solo un sogno.
«Sapendo quanto sia difficile e complessa l’organizzazione di una manifestazione mondiale – sottolinea Palazzotti – inizialmente ero scettico sull’effettiva possibilità che l’Italia si imbarcasse in questa avventura. Ma quegli amministratori facevano sul serio. Mi hanno incoraggiato. Volevano provarci. Il CONI con Giovanni Malagò, il Comune di Torino con l’allora sindaco Chiara Appendino, la Regione con Alberto Cirio, hanno creato i presupposti per la nostra candidatura, una proposta che puntava forte su due fattori: i giovani e l’ambiente. Special Olympics International ha subito visto con favore il nostro progetto. Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto i conti con tre cadute di governi e con lo sforzo di dover ricominciare a portarlo all’attenzione dei vertici dello Stato. L’arrivo del ministro dello Sport e i Giovani Andrea Abodi, già membro del Consiglio di Special Olympics Italia, ci ha permesso di sensibilizzare ancor più il Governo a sostenere l’impegno nel creare le condizioni per organizzare Torino 2025, anche grazie alla sensibilità della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli»

Alessandro Palazzotti, per chi conosce Special Olympics, è semplicemente “il Prof”. Ed è nel mondo della scuola che affondano le radici del cambiamento…
«Quando ero un insegnante di educazione fisica, gli studenti con disabilità erano esonerati obbligatoriamente dalle lezioni. Si pensava che l’attività sportiva non fosse adatta a loro. Oggi viene riconosciuta come un diritto di tutti dall’articolo 33 della Costituzione, che ne afferma in un nuovo comma il valore educativo, sociale e di promozione del benessere.
Ho accompagnato con tutto il mio impegno questo cambiamento, anche con la creazione della FISHa, Federazione Italiana Sport Handicappati, poi Federdisabili, attualmente CIP (Comitato Italiano Paralimpico). Organizzare i Giochi Mondiali rappresenta un’enorme opportunità per l’Italia, per continuare a ispirare questo cambio di prospettiva, affinché la legge si trasformi in azioni concrete, opportunità di espressione e di crescita per tutti. E questo può e deve coinvolgere persone di buona volontà in tutto il mondo».

Alessandro Palazzotti, il “papà di Special Olympics Italia”

L’attenzione per tutti è una delle vocazioni di Special Olympics e Torino 2025 ne sarà testimone.
«È vero, Special Olympics dedica un programma sportivo pensato per atleti con disabilità intellettive gravi e con elevati bisogni di supporto. È uno degli appuntamenti a cui tengo di più ai Giochi [dimostrazione di “Adapted Skiing” il 10 marzo a Bardonecchia ed evento dimostrativo al Pala Asti di Torino l’11 marzo, N.d.R.] perché dà il senso vero dell’attività svolta dal nostro movimento. Ognuno vive lo sport come una sfida con se stesso e il compagno o l’avversario sono un sostegno per puntare a una crescita personale.
Altro tema di rilievo è che il floorball e la danza sportiva si svolgeranno in modalità unificata per atleti con e senza disabilità intellettive. Così come la quasi totalità degli sport di squadra estivi».

L’eredità principale dei Giochi, quindi, sarà la condivisione di un forte messaggio inclusivo?
«La Community Run che in tutte le Regioni ha celebrato l’accensione della Fiamma che illuminerà il tripode nel corso della Cerimonia di Apertura ce l’ha insegnato. Bisogna vivere il messaggio rivoluzionario dei Giochi Mondiali in ogni territorio, anche laddove non ci sono ancora Atleti coinvolti. L’Italia ha partecipato in ogni sua Regione alla festa dell’arrivo della torcia olimpica. Accoglierla significa vivere i princìpi che animano Special Olympics, per offrire maggiori opportunità ovunque, a tutti e tutte. Si tratta di un messaggio semplice da diffondere, ma ci troviamo di fronte ancora a tanti pregiudizi, figli della paura e della non conoscenza. Siamo portati a vedere ancora lo sport quasi esclusivamente come espressione agonistica, ma se ci limitiamo a cercare solo il più forte, ci perdiamo i valori più sani, che sono un diritto di tutti».

Anche il mondo della politica potrebbe e dovrebbe prendere spunto dagli Atleti Special Olympics?
«La fretta o gli interessi particolari spesso possono distogliere l’attenzione dalle cose che contano. Se il mondo della politica mi chiedesse come poter accelerare il cambiamento della nostra società perché sia più attenta ai diritti delle persone con disabilità intellettive, proporrei di parlare direttamente con i nostri Atleti, che con la loro semplicità indicherebbero le priorità, i bisogni, la loro voglia di felicità che passa attraverso le opportunità».

Per ulteriori informazioni: Ufficio Comunicazione Special Olympics Italia (Giampiero Casale), stampa@specialolympics.it.

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Lorenzo e Nicolas, vittime civili della guerra

Lorenzo Bernard, che ha inaugurato il medagliere italiano alle Paralimpiadi di Parigi dello scorso anno, e l’amico Nicolas Marzolino, recentemente insignito dal Presidente della Repubblica del titolo di Cavaliere, sono due vittime civili della seconda guerra mondiale e questa è la loro storia Lorenzo Bernard (a sinistra) e Nicolas Marzolino alle Paralimpiadi di Parigi 2024

«Quando penso alla guerra provo rabbia, per tutte le persone che perdono la vista. Vengono mutilate. Muoiono»: a dirlo è il canottiere e paraciclista piemontese Lorenzo Bernard, classe 1997, che nell’estate dello scorso anno a Parigi ha aperto il medagliere paralimpico italiano con la medaglia di bronzo nell’inseguimento individuale 4.000 metri. La medaglia numero 600 per l’Italia, da quando, nel 1960, andarono in scena a Roma i primi Giochi Paralimpici. Un bronzo prezioso, che però non può non portare alla mente altri metalli, altre schegge. Come quelle che vengono usate per rendere granate e bombe ancora più letali. Lorenzo Bernard, infatti, non è nato cieco né lo è diventato a causa di una malattia. Ma è una vittima civile della seconda guerra mondiale che – seppur finita ottant’anni fa – continua a reclamare il suo tributo in termini di vite e sangue.
«Era un sabato pomeriggio del marzo 2013 – racconta – e, assieme a due amici, stavamo preparando un campo vicino a casa, in Val di Susa, per piantare le patate». Bernard, allora quindicenne, era con gli amici Nicolas Marzolino e Stefano, suoi coetanei. Marzolino dice: «Volevamo mettere in pratica le conoscenze apprese all’Istituto Agrario per poi rivendere le patate alla fiera del paese. L’idea era di usare il ricavato per comprare il motorino». A un certo punto, la zappa ha cozzato contro qualcosa di rosso. «Ho preso in mano lo strano oggetto per capire cosa fosse e in pochi secondi quello è esploso, accecandomi e portandomi via una mano». Bernard, che gli era accanto, ha perso la vista. Stefano, che si trovava più indietro, ha riportato ferite superficiali. Solo più tardi, i tre adolescenti avrebbero capito che si trattava di un ordigno risalente alla seconda guerra mondiale.
«I mesi successivi – continua Bernard – furono difficili. Dentro e fuori dagli ospedali, con tante operazioni da affrontare. Io e Nicolas, però, eravamo sempre insieme. Ci facevamo forza a vicenda e potevamo contare sulle nostre famiglie e su un gruppo di amici che ci hanno sempre trattato con normalità, aiutandoci a credere che si potesse andare avanti anche così».
Il padre di Marzolino propone di tornare a fare sport. «Ci ha messi sugli sci, facendoci scoprire il mondo dello sport paralimpico. Vedere la felicità di quegli atleti ci ha dato una grande carica».

Negli anni, Bernard ha praticato diverse discipline, lo sci alpino, l’atletica leggera, con il lancio del disco, del peso e i 100 metri. E poi il canottaggio. Lì, capisce di avere i numeri per partecipare alle Paralimpiadi e – dando tutto se stesso – ci riesce.
Nel 2019, partecipa alla Quattro con mix (due ragazze, due ragazzi con timoniere) ai Mondiali in Austria e si qualifica per le Paralimpiadi di Tokyo. Poi arriva il Covid. «Parlando con altri atleti, possiamo dire di aver vissuto quella Paralimpiade in Giappone in bianco e nero. La pandemia e la conseguente necessità di stare chiusi dentro il villaggio, di non poter contare sul calore del pubblico hanno sbiadito lo spirito olimpico». Torna a casa con un quinto posto e l’obiettivo di andare a medaglia in occasione dei successivi giochi a cinque cerchi.
Nel frattempo, si appassiona al ciclismo e intraprende una nuova avventura in tandem, con la guida Davide Plebani. «Ci siamo conosciuti a un ritiro nazionale e abbiamo instaurato in un tempo breve un rapporto quasi fraterno». Ed ecco che, insieme, nel marzo 2024, arrivano le prime medaglie mondiali e la convocazione a Parigi.
«Questa volta lo spirito olimpico si percepiva eccome e, sugli spalti, c’era tutta la mia famiglia e anche il mio amico Nicolas a sostenermi. Aprire il medagliere per l’Italia con la 4.000 di inseguimento su pista è stata per me e Davide una grande emozione. E, una volta tornato in Val di Susa, ho trovato ad aspettarmi davanti a casa tutto il paese, che aveva organizzato una festa a sorpresa».

Ora, il campione punta a Los Angeles 2028 e, nel frattempo, si allena per gli imminenti Mondiali su Pista, in questo mese di marzo, e per quelli su strada nel prossimo mese di settembre. Senza trascurare l’impegno con l’ANVCG (Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra), di cui sia lui che Marzolino sono parte attiva. Quest’ultimo – che nel frattempo ha intrapreso una carriera nella massofisioterapia e si sta specializzando in osteopatia – ricopre la carica di consigliere e presidente della Sezione Valle d’Aosta e Piemonte dell’Associazione e proprio nei giorni scorsi è stato insignito dal presidente ella Repubblica Mattarella del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica”, per il suo impegno di sensibilizzazione con l’ANVCG stessa.
«Il nostro incidente – spiegano i due – sembra assurdo. E invece non è un caso isolato. Solo l’anno scorso, in Italia, cinque persone sono morte e otto sono rimaste ferite a causa di ordigni risalenti al primo o al secondo conflitto mondiale».
I due portano spesso la loro testimonianza nelle scuole e invitano i giovani a far propri i valori della pace e dello sport, come la cooperazione, il concetto dell’aiutare e del farsi aiutare e il rispetto reciproco. «Noi – concludono – abbiamo vissuto parte della guerra sulla nostra pelle. Eppure, nella tragedia, siamo stati fortunati. Abbiamo potuto essere curati, ci siamo ricostruiti una vita. Ma cosa sarebbe successo se dopo l’incidente fossimo stati operati senza anestesia? E, una volta dimessi, non avessimo più avuto una casa o una famiglia a cui tornare, perché entrambe erano state distrutte da un bombardamento, come succede ai tanti civili vittime dei conflitti oggi aperti nel mondo?».

*Il presente contributo è già apparso nella testata «Oltre gli Ostacoli” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Autonomia delle persone con disabilità: se ne parlerà a Oderzo

“Autonomia delle persone con disabilità”: questo il titolo di un incontro in programma per il 7 marzo a Oderzo (Treviso), allo scopo, come viene spiegato, di «accendere un faro su un tema che interessa moltissime famiglie e volontari, nonché gli operatori del servizio sanitario sia pubblico che privato, perché la disabilità non ha età ed è indispensabile quindi parlarne in maniera trasversale affinché ogni aspetto abbia la giusta importanza»

Autonomia delle persone con disabilità: questo il titolo dell’incontro in programma per la serata del 7 marzo a Oderzo, in provincia di Treviso (Palazzo Foscolo, Via Garibaldi, 65, ore 20.15), voluto dalla deputata Marina Marchetto Aliprandi, che lo introdurrà e lo modererà, allo scopo, come viene spiegato, di «accendere un faro su un tema che interessa moltissime famiglie e volontari, nonché gli operatori del servizio sanitario sia pubblico che privato, perché la disabilità non ha età ed è indispensabile quindi parlarne in maniera trasversale affinché ogni aspetto abbia la giusta importanza. Riportare la “persona” al centro del dibattito sociale e politico passa infatti anche attraverso contesti come questo, ampliando la platea di interlocutori e creando le migliori condizioni di discussione per un più ampio e importante lavoro di sensibilizzazione di cui ognuno di noi, istituzioni, politici, membri della società civile, del terzo settore, deve farsi promotore».

Parteciperanno all’incontro Francesco Benazzi, direttore generale dell’ULSS 2 Marca Trevigiana, cui saranno affidate le conclusioni; Rodolfo Dalla Mora, presidente della SIDIMA (Società Italiana Disability Manager) e dell’AIDIMA (Associazione Italiana Disability Manager), che presenterà tra l’altro il proprio libro Equazione delle 4 A – Autonomia; Mauro Vettorello, presidente dell’Associazione Oltre l’indifferenza (Vivere insieme, crescere autonomi); Mara Ovelli, presidente dell’Associazione I Bambini della Casa del Sorriso (Autonomia nell’età evolutiva del bambino); Daniele Furlan, presidente dell’associazione Il Melograno (Disabilità e parità di condizione); Barbara Turcolin, presidente dell’Associazione Culturale Zona Franca (La valorizzazione dell’unicità della persona); Alan Semenzin, tecnico titolare della Judo Opitergium (Inclusione sportiva: un valore per tutti, una necessità per alcuni). (S.B.)

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Un ambulatorio ginecologico rivolto a donne con disabilità al Gemelli di Roma

È stato inaugurato il 3 marzo scorso, in corrispondenza non casuale con il sedicesimo anniversario della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, un ambulatorio ginecologico rivolto a donne con disabilità, presso il Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma, con l’obiettivo di «garantire a tutte le donne il diritto alla prevenzione, eliminando qualsiasi forma di discriminazione» I partecipanti all’incontro inaugurale dell’ambulatorio ginecologico

È stato inaugurato il 3 marzo scorso, in corrispondenza non casuale con il sedicesimo anniversario della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge 18/09), un ambulatorio ginecologico rivolto a donne con disabilità, presso il Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma (esattamente al nono piano, ala O della struttura).

A introdurre l’incontro promosso per l’occasione è stato Daniele Franco, presidente della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS, cui è seguito l’intervento del direttore generale della Fondazione stessa Marco Elefanti. «In questa giornata il primo pensiero va al compianto professor Giovanni Scambia, scomparso il 20 febbraio scorso, che anche oggi ricordiamo e ringraziamo e che ha fatto crescere la Ginecologia e Ostetricia del Gemelli, rendendola un’eccellenza internazionale. Il nostro ospedale è un classico tipo di Women Hospital che ha molto investito nella medicina di genere in tutti i settori e non solo in quello ginecologico, dall’assistenza specialistica avanzata alla ricerca; anche grazie alla lungimiranza del professor Scambia e del professor Eugenio Mercuri abbiamo realizzato questo nuovo servizio che va incontro ai bisogni di cura delle donne con disabilità e alle loro famiglie».
«L’iniziativa di oggi – ha sottolineato dal canto suo la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, presente all’incontro – non è semplicemente l’inaugurazione di uno spazio per la prevenzione e la salute delle donne con disabilità, ma il segno di un’attenzione che insieme dobbiamo promuovere con sempre più coraggio a tutti i livelli. Ringrazio davvero di cuore il Gemelli e tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile questo nuovo servizio».
L’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, monsignor Claudio Giuliodori, ha quindi affermato che «un ospedale come il nostro che nasce al servizio di tutti i malati non poteva non maturare questa sensibilità che costituisce un rafforzamento con la realtà sociale. Al Gemelli operano quaranta Associazioni che sono l’anima dei reparti, perché la relazione umana è parte integrante della cura».
«L’ambulatorio ginecologico per donne con disabilità – ha sottolineato Eugenio Mercuri, direttore del Dipartimento Scienze della Salute della Donna, del Bambino e di Sanità Pubblica della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS, nonché ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università Cattolica del Sacro Cuore – è concepito per garantire a tutte le donne il diritto alla prevenzione, eliminando qualsiasi forma di discriminazione. Il servizio risponde alle specifiche esigenze delle persone che convivono con patologie complesse grazie ad un approccio multidisciplinare, a un servizio personalizzato e inclusivo a beneficio di centinaia di donne che convivono con una patologia complessa».
«Nella vita di una donna – ha dichiarato infine Antonia Testa, direttrice della Ginecologia Ambulatoriale e Preventiva al Gemelli, associata di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica – è importante avere un luogo in cui poter confidare, affrontare, gestire quella parte più raccolta, intima e personale che è quella ginecologica. Un luogo dove si possano offrire servizi su misura, adatti alle necessità delle donne con disabilità. Un luogo che, da oggi, è una realtà tangibile all’interno del nostro Policlinico».

All’incontro, moderato dalla giornalista e conduttrice RAI Benedetta Rinaldi, hanno portato la loro testimonianza anche Sonia Del Vecchio, giovane donna con la SMA (atrofia muscolare spinale) e Silvia Cutrera, coordinatrice del Gruppo Donne della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), alla presenza anche di specialisti, realtà associative e aziende impegnate nel campo della salute della donna e delle patologie complesse. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ginecologiaambulatoriale@policlinicogemelli.it.

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Positivo incontro tra la FISH Sardegna e CTM, che gestisce il trasporto pubblico a Cagliari e dintorni

Nel corso di un positivo incontro tra la Federazione FISH Sardegna e la Società CTM, che gestisce il trasporto pubblico operante a Cagliari e nei paesi limitrofi, si sono affrontati numerosi temi che influenzano l’esperienza di viaggio vissuta principalmente dalle persone in situazione di svantaggio per la propria mobilità, ridotta per ragioni motorie, sensoriali e/o psichiche Il servizio “Amicobus” di Cagliari

Si è tenuto nei giorni scorsi un incontro tra la FISH Sardegna (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e la Società CTM, che gestisce il trasporto pubblico operante a Cagliari e nei paesi limitrofi, attraverso un servizio di linea dedicato a tutti e uno porta a porta, destinato a quella fascia di popolazione che può beneficiare dell’Amicobus.
All’incontro hanno partecipato i vertici della Società, con i quali la FISH Sardegna ha affrontato svariati temi che influenzano l’esperienza di viaggio vissuta principalmente dalle persone in situazione di svantaggio per la propria mobilità, ridotta per ragioni motorie, sensoriali e/o psichiche.

Si è trattato di un momento di confronto che ha consentito di apprezzare come CTM operi con attenzione e rispetto sui temi cari alla FISH, mettendo in evidenza come il proprio operato sia pianificato e condizionato anche dalle informazioni raccolte attraverso le testimonianze dirette dall’utenza, cercando di progredire verso un modello di eccellenza che adotti le soluzioni ideali per colmare ogni aspetto suscettibile di miglioramento.
L’appuntamento, va detto, è stato voluto per cercare di dare un riscontro alle molteplici richieste arrivate dagli iscritti alle Associazioni federate alla FISH sarda, che hanno prodotto una serie di osservazioni rispetto alle singole esperienze vissute nell’utilizzo dei mezzi di trasporto di CTM.
Su alcune segnalazioni presentate, la Società ha informato di avervi già posto rimedio, attraverso un’attività svolta autonomamente con gli altri Enti coinvolti, adottando una soluzione che permetterà di usufruire in maniere più capillare ed efficiente dell’Amicobus, e di rispondere alla crescente richiesta degli utenti che a tale servizio fanno affidamento per le proprie esigenze di mobilità.
Quest’ultimo, va ricordato, è nato quasi vent’anni fa per rispondere appunto alle particolari esigenze di trasporto delle persone con disabilità e si è consolidato nel tempo come una soluzione alla quale molte persone non possono rinunciare, che ha visto crescere il numero di chi vi ricorre perché in grado di rispondere a molte delle necessità richieste dalle varie forme di disabilità.

Su altre segnalazioni, invece, riferite ad aspetti generali, CTM ha sottolineato di esserne già a conoscenza di lavorare per porvi rimedio, con la consapevolezza di come alcune situazioni producano uno svantaggio ulteriore alle persone con disabilità.
Sulle segnalazioni residue, infine, i rappresentanti della Società ne hanno preso atto, manifestando chiaramente come ci sia la volontà e l’attitudine a integrare il servizio con tecnologie all’avanguardia, in grado di rispondere efficacemente e rapidamente a dei bisogni particolari.

A conclusione dell’incontro, Giuseppe Martini, membro del Consiglio Direttivo Regionale della FISH Sardegna e presidente dell’Associazione RP Sardegna, delegato a partecipare da Pierangelo Cappai, presidente della Federazione sarda, ha dichiarato: «L’incontro è andato oltre le mie aspettative. Ho trovato persone attente e pronte su temi che a volte risultano essere distanti da chi non li vive in prima persona, ma capisco come una realtà importante quale CTM, che svolge un servizio rivolto a chiunque, abbia sviluppato capacità notevoli per garantire che i propri utenti possano fare affidamento ad uno standard elevato. Dal confronto ho trovato la massima disponibilità e apertura ad ascoltare il nostro punto di vista e ci siamo lasciati con la volontà di organizzare un incontro pratico che ci permetterà di segnalare aspetti che solo attraverso l’esperienza diretta possono essere colti. Ringrazio vivamente CTM per questo incontro e restiamo a disposizione per ogni necessità che possa richiedere un nostro supporto».
Dal canto suo, Pierangelo Cappai ha affermato: «Conosco CTM e conosco le persone che lo compongono. Con l’Associazione Diversamente, da me presieduta, ho avuto modo di provare con mano come abbiano a cuore i temi che ci riguardano, e come Federazione che si occupa di disabilità, ci tengo a ringraziarli per questa ennesima riprova di come sappiano sedersi a un tavolo di confronto con altre realtà. Non è la prima volta che dialoghiamo con importanti realtà che gestiscono servizi pubblici, e anche in questo caso il riscontrato è stato più che positivo, perché avvenuto in un clima collaborativo, aperto e di particolare rispetto sui temi affrontati. CTM non è estraneo a queste attenzioni e Amicobus è il fiore all’occhiello di una Società inclusiva, che manifesta una concreta attenzione ai riguardi delle persone che vivono uno svantaggio legato alla propria disabilità». (R.O. e S.B.)

Per ulteriori informazioni: posta@fishsardegna.org.

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Autismo: puntare sul valore di ogni persona

A margine del convegno “Autismo: il valore di ogni persona”, organizzato dal Ministero per le Disabilità a Treviso, la ministra Locatelli è tornata a parlare anche della Riforma della disabilità e ha dichiarato: “Va avanti e non si ferma”

Al convegno di Treviso Autismo: il valore di ogni persona, promosso nei giorni scorsi dal Ministero per le Disabilità (se ne legga anche la nostra presentazione), sono intervenute le principali organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti delle persone con disturbo dello spettro autistico.
«Abbiamo parlato di autismo, di Progetto di vita, di caregiver e di Riforma della disabilità. È indispensabile ribaltare il paradigma, non solo mettendo al centro la persona, ma investendo sulle potenzialità e non osservando i limiti, valorizzando i talenti e le competenze di ogni persona», ha affermato la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli a margine del convegno.
«Il Decreto Legislativo 62/24 – ha aggiunto – e in particolare il Progetto di vita, è l’occasione che abbiamo adesso per attuare questo cambiamento profondo, nella consapevolezza che insieme possiamo fare di più e che da soli non andiamo lontano. Siamo tutti coinvolti in questo percorso che è un salto di qualità per le nostre comunità e per tutto il Paese. Si tratta di una riforma che va avanti e non si ferma e che entrerà in vigore in modo progressivo, per evitare il fallimento e per accompagnare al cambiamento radicale di approccio tutti coloro che si occupano della presa in carico della persona con disabilità».

All’evento hanno portato i saluti istituzionali Marcello Gemmato, sottosegretario di Stato alla Salute, Manuela Lanzarin, assessora alla Sanità, ai Servizi Sociali e alla Programmazione Socio-Sanitaria del Veneto e Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente del’ANCI Veneto (Associazione Nazionale Comuni Italiani).
Sono poi seguiti gli interventi di Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie); Nazaro Pagano, presidente della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità; Stefania Ruggiero dell’ANGSA Treviso (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo); Graziella Lazzari Peroni dell’ANFFAS Veneto (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo); Ruggero Mason, presidente di Gruppo Asperger.

Sono intervenuti quindi: Paolo Bandiera, esperto nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle persone con disabilità sul Progetto di vita; Roberto Keller, responsabile del Centro Regionale Piemonte Disturbo Spettro Autistico in Età Adulta, Dipartimento Salute Mentale ASL Città di Torino (Abilitare in ambienti naturali: dal cammino alla vela); Leonardo Zoccante, direttore dell’Unità Operativa Complessa Infanzia, Adolescenza, Famiglia e Consultori (Distretto 1-2, Azienda ULSS 9 Scaligera), su Autismo ed arte connettiva; Massimo Molteni, direttore sanitario centrale dell’Associazione La Nostra Famiglia-IRCCS Medea (La neurodiversità); Paolo Moderato, docente emerito di Psicologia, presidente di IESCUM, Italian Chapter ABA International (Autismo: oltre gli interventi precoci); Pierangelo Spano, responsabile della Direzione Servizi Sociali della Regione Veneto (Disturbi dello spettro autistico e disabilità intellettive scenari della programmazione integrata e ruolo della Regione dopo l’approvazione del d.lgs. n. 62/24); Michela Gatta, che dirige l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedale-Università di Padova (Oltre quello che è visibile. Esperienze in Neuropsichiatria Infantile ospedaliera).

E ancora, hanno portato la loro testimonianza Francesco Maria Chiodaroli e Diego Blanchetti per la Fondazione Danelli; Mario Paganessi, presidente della Fondazione Oltre il Labirinto; Cristina Franzin per Sport Life Montebelluna; Monica Rigotti, presidente della Cooperativa Sociale MIND the KIDS; Chiara Cesaro, psicologa, supervisore ABA; Eleonora Bedin, direttrice del Centro Autismo per l’Infanzia e di Villa Berta di Padova per l’Associazione Viviautismo; Marco Caverzan e Luciano Morello per l’Associazione Oltre. (C.C.)

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Ernst, Picasso e Legér per “Doppio Senso”, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

Max Ernst, Pablo Picasso e Fernand Léger saranno gli artisti al centro dei prossimi appuntamenti del programma di accessibilità “Doppio Senso: percorsi tattili alla Collezione Peggy Guggenheim”, con il quale il noto museo di Palazzo Venier dei Leoni a Venezia ha aperto ormai da anni il proprio patrimonio artistico anche al pubblico con disabilità visive Max Ernst, “Giovane donna a forma di fiore”, 1944 (fusione del 1957), Venezia, Collezione Peggy Guggenheim

Max Ernst, Pablo Picasso e Fernand Léger saranno gli artisti al centro dei prossimi appuntamenti del programma di accessibilità Doppio Senso: percorsi tattili alla Collezione Peggy Guggenheim, con il quale il noto museo di Palazzo Venier dei Leoni a Venezia ha aperto ormai da anni il proprio patrimonio artistico – come abbiamo raccontato in diverse occasioni sulle nostre pagine – anche al pubblico con disabilità visive, iniziando un processo di sensibilizzazione alla conoscenza dell’arte attraverso il tatto, grazie a una serie di visite guidate e laboratori per non vedenti, ipovedenti e vedenti.

L’8 marzo, dunque, il focus sarà sull’opera Giovane donna a forma di fiore di Max Ernst, scultura in cui l’artista fonde elementi del mondo umano con altri del mondo vegetale, esposta nel giardino delle sculture della Collezione Peggy Guggenheim.
Il 5 aprile, invece, la giornata sarà dedicata al Busto di uomo in maglie a righe, dipinto realizzato da Pablo Picasso nel 1939, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Il 17 maggio, infine, sarà dedicato a Uomini in città di Fernand Léger, opera in cui vengono rappresentati corpi meccanicizzati totalmente spersonalizzati che sembrano robot.

Ognuno degli appuntamenti sarà condotto da Valeria Bottalico, ideatrice e curatrice del programma Doppio Senso, e corredato da laboratori con Felice Tagliaferri, scultore con disabilità visiva. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Maria Rita Cerilli (mrcerilli@guggenheim-venice.it).

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Intelligenza artificiale e disabilità: né rifiuto ideologico né esaltazione passiva

Sono ancora pochi gli esempi di utilizzo concreto dell’intelligenza artificiale come ausilio informatico. Persona con disabilità, pedagogista e già presidente di cooperativa sociale, Maurizio Cocchi, riporta in questo approfondimento la sua esperienza di affiancamento a due giovani con disabilità, ove sta sperimentando la possibilità di utilizzare appunto l’intelligenza artificiale per migliorare le performance di scrittura e creative delle persone con disabilità

Disabilità e computer
Tutto quello che viene fatto di speciale in materia di computer e di mondo digitale, in favore delle persone con disabilità, è teso a favorire l’accessibilità ad un set di comandi pensato e strutturato per un presunto mondo di “normodotati”: tastiere alternative, screen readers, barre Braille, agli albori dell’informatica di massa quando il computer capiva solo il testo. Poi arriva la grafica, un’opportunità in più e un mare di guai per molte persone con disabilità, soprattutto con disabilità visiva. Lo schermo diventa una finestra bellissima, entro la quale ci può stare di tutto, ma la sua forma è piatta e non è intelligibile al tatto. Fa poi capolino il riconoscimento vocale, in mezzo a mille errori e confusioni, per individuare in quei puntini colorati un barlume di lettera e un insieme di parole con un senso. Il mouse, se è un oggetto incomprensibile per i non vedenti, dà del filo da torcere anche a chi non ha una perfetta manualità.
Tutto questo si aggrava, se mai ce ne fosse stato bisogno, con l’arrivo del web, con tutte quelle schede e finestre, parti delle pagine che vanno su e giù e altre che stanno ferme: che confusione per chi ha problemi, soprattutto per le persone con disabilità visiva!
A tutto questo si è cercato di porre rimedio con vari accorgimenti hardware e software, che hanno reso effettivamente più accessibili le procedure informatiche e la possibilità di lavorare in maniera simile ai “normodotati”. Infatti, la scena a cui abbiamo assistito e che tuttora non è più di tanto cambiata, è quella che vede me disabile di fronte al computer cercare di fare quello che fanno gli altri, con uno strumento non pensato per me, ma appena appena adattato. In altre parole, sempre un po’ tontolone, spesso con scarsa istruzione, mi devo sforzare come un matto per adattarmi ad uno strumento che non è fatto per me e che, per molti aspetti, mi è ostile.

Un uragano di nome intelligenza artificiale
Ora abbiamo questo salto di paradigma, l’introduzione delle intelligenze artificiali. Sono su Office 365 e il mio Copilot mi dice che l’intelligenza artificiale (d’ora in poi spesso indicata come IA), in materia di accessibilità e ausilio per le persone con disabilità, offre le seguenti opportunità:
° Assistenti virtuali: strumenti come Siri, Google Assistant e Alexa che rispondono ai comandi vocali e possono eseguire una vasta gamma di compiti.
° Riconoscimento immagini e OCR: tecnologia che permette di trasformare il contenuto visivo in testo leggibile, utile per chi ha problemi di vista.
° Software di traduzione in tempo reale: programmi che possono tradurre la Lingua dei Segni in testo o parlato e viceversa.
° Elaborazione del linguaggio naturale (NLP): IA che comprendono e generano linguaggio naturale, rendendo le interazioni con i computer più intuitive e naturali.
° Protesi intelligenti e dispositivi di controllo neurale: strumenti avanzati che permettono alle persone con disabilità motorie di controllare il computer attraverso il pensiero o dispositivi indossabili.
Beh, se proprio devo essere sincero, potendo scegliere un copilota preferirei Chewbecca, secondo pilota del Millennium Falcon e amico fraterno di Jan Solo (Harrison Ford) in Guerre Stellari, anche se con tutto quel pelo dovrebbe puzzare un bel po’: onesto, sincero, di poche parole e affidabile molto più delle attuali intelligenze artificiali.
Tutti i prodotti, testi e immagini che per il momento ho fatto fare all’intelligenza artificiale, mi hanno dato un senso di nausea. Attualmente, infatti, quei prodotti sono qualcosa di rifatto, che non ti appartiene, con un vago sapore di stantio per quelle parole fritte e rifritte, con quei disegni dai colori sempre e per forza intonati, visti e stravisti in tutti i fumetti e in tutte le riviste.
Eppure… Eppure, è innegabile la potenza produttiva e facilitatrice di questo strumento, capace di fare molto lavoro al posto tuo, di suggerire possibilità, di proporti conoscenze a cui non avevi mai neanche pensato, di scrivere, disegnare, comporre musica, realizzare algoritmi.
Possiamo forse rifiutarci di usarlo, perché ferisce il nostro orgoglio e strapazza il nostro amor proprio, sino a mettere in discussione la nostra stessa personalità? Ma soprattutto possiamo permettercelo? Possiamo nasconderci dietro a un dito e dire che è tutta una roba che non ci riguarda, che è tutto un pallone pieno di elio, che presto scoppierà?

Mario e il giocatore di hockey in carrozzella
Mario (si tratta di un nome di fantasia) è un giovane con disabilità inserito nel Centro Socio-Occupazionale (CSO) della Cooperativa Virtual Coop di Bologna, con l’obiettivo di valutarne le capacità lavorative nell’àmbito delle attività di ufficio. Concordo dunque con il personale educativo e tecnico di proporgli l’apprendimento delle principali funzioni di base di word.
Lui è un ragazzo con una disabilità motoria, che pure gli consente di camminare col suo carrello anche se in modo abbastanza precario, e inoltre presenta un lieve deficit intellettivo, che se gli permette di essere allegro e gioviale, gli rende più difficile memorizzare, avere un pensiero rapido e fluido. tale da poter svolgere attività minimamente complesse e poter agire in maniera autonoma nell’ambito di normali attività di ufficio.
Con un’ora di lezione al martedì e una al giovedì in pochi mesi riesco a fare tutto word di base fino ai grafici. Tuttavia, poiché vedo che fra un incontro e l’altro tende a dimenticare i comandi e soprattutto sembra far fatica a riprendere il filo del ragionamento che comporta ogni comando, gli dico che deve esercitarsi molto, fintanto che word non diventi per lui come una seconda pelle.
In occasione di una lunga pausa estiva gli chiedo di scrivere un racconto di fantasia. Finite le ferie mi presenta un testo di una paginetta con una storia un po’ sempliciotta, come per altro è nel suo stile. Il racconto si articola abbastanza bene, con qualche inciampo, qualche zona oscura e varie imprecisioni.
Preso da furore innovativo, decido di far correggere il testo da Chat GPT, ossia dall’intelligenza artificiale. Il software si attiva con un tono misurato e fondamentalmente rispettoso dell’elaborato originale, quasi fosse una maestrina, un po’ petulante, che oltre a fare la correzione ortografica e grammaticale, interviene sullo stile del racconto, facendone un testo da «Sorrisi e Canzoni TV» (per capire meglio si legga l’allegato a questo link).
Non ho più avuto occasione di fargli vedere la trasposizione che Chat GPT ha fatto del suo racconto e non so se Mario sarebbe stato contento del risultato o se magari sarebbe inorridito dall’invasione di campo che ha fatto una macchina nei suoi pensieri. Credo comunque che avrebbe avuto un atteggiamento abbastanza indifferente, con molto meno problemi di quelli che mi metto io.
Sì, perché io di problemi me ne metto. Forse esagero, ma in qualche modo mi sembra di fargli una qualche forma di violenza, trasformando il suo racconto originale in una bella copia, scritta bene con tutta la punteggiatura al suo posto e il discorso che scorre come un libro stampato.
Insomma, ho preso qualcosa fatto da lui e che come tale gli apparteneva, l’ho messo in una macchina, che l’ha triturato per normalizzarlo come un qualsiasi testo da rivista patinata.
Ma non è forse la nostra principale aspirazione di persone con disabilità: quella di fare ed essere considerati come persone normali?…

I libretti di Enrico
Anche Enrico (altro nome di fantasia) è inserito nel CSO di Virtual Coop e presenta una paralisi spastica, derivante da qualche casino genetico, che gli blocca l’apparato oro-faringeo e gli impedisce di parlare, anche se mangia come un ludro. Cammina a stento, traballando attaccato al carrello, usa una sola mano e un solo dito per digitare sulla tastiera e sul cellulare. Comunica indicando le lettere su un fogliaccio di carta tutto stropicciato, dove indica le lettere. Tuttavia, riesce ad usare una normale tastiera da computer e usa le funzioni touch screen del suo smartphone; come puntatore usa un joystick.
Il suo compito al CSO è quello di rilanciare sui social gli articoli pubblicati sul magazine della Cooperativa, con una presenza in sede di una mattina alla settimana, il resto dovrebbe farlo da remoto.
L’attività gli fa veramente schifo. Un po’ fa fatica a scrivere, sia pure quei testi brevi, ma soprattutto non gliene frega niente del giornale online, degli argomenti che tratta e un po’ di tutto quello che circola al Centro. Il personale mi chiede di portarlo verso le attività che vengono svolte e fare qualcosa che lo induca a socializzare di più con il gruppo ed evitare che passi tutte le giornate sui videogiochi. Vengo presentato come esperto in intelligenza artificiale (sic!), incarico che io accetto nella più totale ignoranza e arroganza. Per fortuna accetta il mio affiancamento come scrittore o quanto meno come uno che sa scrivere, e non come esperto in IA.
È difficile capire cosa frulli per la testa di Enrico, se sia uno stupido credulone, che cerca strategie per raggiungere facili obiettivi, senza fare troppa fatica e senza impegnarsi più di tanto, come sembrano credere quelli che hanno cercato di fargli fare qualcosa, oppure se siamo di fronte a un giovane disabile disorientato, con una formazione approssimativa, dovuta all’handicap e agli ambienti formativi frequentati, che cerca con grande difficoltà e un po’ di confusione mentale una propria strada verso l’autonomia e la vita.
Subito mi rendo conto che non è molto importante quello che è lui, a un disabile grave sui vent’anni bisogna concedere un po’ di disorientamento e dargli il tempo di recuperare, ma quello che veramente importa è cosa voglio fare io con lui.
Lavoriamo esclusivamente in videoconferenza, e questo è molto apprezzato da lui, perché si sente libero e capace di esprimersi al meglio. Siamo una coppia perfetta: lui con il suo dito scrive sulla tastiera, io detto con Dragon NaturallySpeaking e tutti e due i testi finiscono in chat. Fra una comunicazione e l’altra, passa un po’ di tempo, ma chi se ne frega, nessuno dei due ha mediazioni e necessità di confrontarsi con altri per comunicare.
Mi dice subito che ha un progetto: vuole fare dei libretti di istruzione tecnica su vari argomenti, da vendere su Amazon. Per farmi capire mi manda un link, dove un altro giovanotto, un imbonitore da strapazzo, spiega come si individua un argomento che fa vendere più libri su Amazon; è possibile fare libretti di quel tipo, metterli sugli scaffali virtuali e aspettare che i pirla abbocchino.
Anche trascurando il fatto che questo “sparare nel mucchio”, per un motivo puramente statistico, può dare effettivamente dei risultati, accetto di lavorare con Enrico, perché comunque l’elaborazione dei libretti porta sicuramente ad imparare un sacco di cose e ad utilizzare l’intelligenza artificiale per uno scopo preciso.
La prima cosa che chiede a Chat GPT è quali siano gli argomenti dei libri che vendono di più sul grande store on-line. L’IA fra un breve elenco delle categorie librarie e lui sceglie Riparazioni e upcycling. Poi chiede di dargli cinque titoli, con relativi sottotitoli per possibili pubblicazioni. La macchina risponde:
1. Titolo:
“L’Arte di Riparare: Trasforma i Tuoi Oggetti in Tesori”
Scopri come aggiustare e reinventare vecchi oggetti con tecniche di riparazione creative e sostenibili.
2. Titolo:
“Upcycling per Principianti Da Rifiuti a Capolavori”
Guida pratica per trasformare materiali comuni in progetti innovativi e originali.
3. Titolo:
“Fai da Te Sostenibile: Riparazioni e Upcycling Facili”
Trucchi e idee per ridare vita agli oggetti inutilizzati, risparmiando e rispettando l’ambiente.
4. Titolo:
“Riciclare con Stile: Progetti di Upcycling per la Casa”
Ispirazioni uniche per decorare e organizzare casa con oggetti riciclati e personalizzati.
5. Titolo:
“Riparare è Meglio che Buttare: Manuale per un Mondo Zero Sprechi”
Una guida per allungare la Vita dei tuoi oggetti.

Enrico sceglie il Titolo 5 e subito chiede di proporre i titoli dei capitoli, eccoli qua di seguito:
1. Introduzione al Mondo Zero Sprechi
2. La Cultura del Riuso: Perché Riparare è un Atto Rivoluzionario
3. Strumenti e Materiali Essenziali per le Riparazioni Domestiche
4. Come Riparare Elettrodomestici e Gadget Tecnologici
5. Vestiti e Tessuti: Dare Nuova Vita al Tuo Guardaroba
6. Mobili e Arredamento: Soluzioni Creative per Piccoli e Grandi Problemi
7. Giocattoli e Oggetti dei Bambini: Un Tesoro da Recuperare
8. Automobili, Biciclette e Trasporto Sostenibile
9. La Magia del Kintsugi: Riparare con Bellezza e Significato
10. Sostenibilità e Creatività: Upcycling e Nuove Idee dal Vecchio
11. Riparazioni di Emergenza: Come Gestire gli Imprevisti
12. Costruire una Comunità del Riparo: Condivisione di Abilità e Risorse
13. Il Risparmio Economico di Riparare: Calcolo dei Benefici sul Lungo Termine
14. Zero Sprechi per le Generazioni Future: Educare e Sensibilizzare
15. Conclusione: Riparare per Vivere Meglio

Lui vorrebbe chiudere la partita in un colpo solo, lanciare un prompt per sviluppare il contenuto di tutti i capitoli in un colpo solo. Su mio suggerimento, chiede a Chat GPT di buttare giù un testo per ogni capitolo, per far sì che l’algoritmo possa lavorare con più precisione e avere una maggiore possibilità di controllo. Ma anche in questo caso, in men che non si dica, ottiene la bellezza di 47 pagine scritte in un italiano fluido e ben orchestrato, più che sufficienti per una “pubblicazione spazzatura”.
Rileggendo il malloppo ci accorgiamo che cita attrezzi e materiali, che per un principiante del fai-da-te possono risultare di difficile comprensione e così decidiamo di illustrare il testo con immagini che rappresentino gli strumenti citati, come indispensabile per affrontare le attività descritte.
Ed è qui che scatta il colpo di genio, l’intervento umano non previsto dall’IA, ma capace di dare un senso compiuto e originale all’opera in via di costruzione. L’individuazione, la ricerca, la creazione e l’inserimento delle immagini nel testo rappresentano tutti elementi di forte personalizzazione del testo prodotto semi-automaticamente.
A ciò occorre aggiungere la minuziosa correzione dello scritto, la verifica che non siano stati utilizzati brani di opere fatte da altri autori, il confezionamento del libretto (impaginazione, creazione della copertina ecc.), le scelte relative alle modalità di vendita e di sviluppo del marketing, ovvero tutte personalizzazioni e interventi che richiedono conoscenze approfondite e brillantezza di idee da parte dell’autore, che vanno molto oltre l’accettazione passiva del testo commissionato a Chat GPT.
Quanto tempo ci avrebbe messo il nostro amico a scrivere un testo di quella lunghezza? Un’infinità. E quanto questo tempo avrebbe influito sulla sua autostima e sulla sua possibilità di fornire una performance sufficiente per realizzare un prodotto di quel tipo?
Ricordo di un amico, un caro amico, ora non più fra noi, che utilizzava per scrivere al computer un unico tasto che doveva premere al momento giusto per scegliere una lettera, mentre l’alfabeto scorreva in una striscia grafica. Un editore compiacente gli diede il testo di un libro da correggere, non so quanti mesi impiegò per quelle 2-3 ore che riusciva a lavorare al giorno, né ho mai saputo quanti errori gli fossero sfuggiti, vista la difficoltà di usare quel particolare strumento di input. Di sicuro so che in seguito non gli furono più proposti lavori simili.

Cavalcare le tecnologie
L’intelligenza artificiale può lavorare per noi persone con disabilità, ma noi dobbiamo insegnarle a lavorare e soprattutto a fare quello che vogliamo e abbiamo in mente.
Ci sono due atteggiamenti sbagliati che possiamo avere di fronte a questa potente tecnologia che non ci aiutano per niente: il rifiuto ideologico e la sua esaltazione passiva. Francesco Guccini cantava: «Bisogna saper scegliere il tempo, non arrivarci per contrarietà». Questo non significa seguire stupidamente ogni moda che passa, significa guardare, capire, discernere e fare nostro quello che ci aiuta a perseguire i nostri obiettivi.
Certo, la tentazione è forte: ho qualcuno che scrive per me, lasciamolo scrivere. Proviamo a guardarci attorno, quante parole inutili ci circondano e ci stanno soffocando in un mare di niente. Un mondo scriteriato nella produzione di testi e di altri ammennicoli (immagini, musica, sensazioni ecc.) non può che soffocarci e rendere inutile la comunicazione. Occorre bucare questa cortina di inutilità con pensieri originali, frutto di un lavoro, di esperienza elaborata in maniera caotica, fuori dall’ordinamento degli algoritmi, filtrata dalla storia, dall’etica, dal sentimento e dall’empatia.
Ma come facciamo a fare tutto questo? Tiriamo fuori dalla storia penna e calamaio, la vecchia lettera 36 o andiamo nelle grotte scavate nelle ere industriali armati di gessetto a scimmiottare le pitture rupestri? No, siamo fuori strada. Per disegnare il nostro futuro dobbiamo utilizzare quello che c’è e quello che c’è sono le intelligenze artificiali.
Quello che ci aspetta nei prossimi anni, se non addirittura nei prossimi mesi, è un grande lavoro, volto ad impossessarci di questi strumenti e, alla fine di tutte le fiere, poco importa come sono fatti, quello che veramente conta sono i risultati che danno e come noi impariamo ad usarli.
Il lavoro da fare è soprattutto educativo e formativo, solo una persona ben formata e con una personalità strutturata può affrontare i problemi che pone la personalizzazione di queste tecnologie.
I giovani con disabilità fisica e sensoriale hanno davanti a loro intere autostrade da percorrere, ma anche per le persone con disabilità intellettiva e psicologica si aprono nuove vie, sicuramente più strette ed impervie, ma che con l’aiuto di educatori e figure adulte è possibile percorrere.

Maurizio Cocchi è interessato ad aprire un dialogo permanente con tutti coloro che abbiano fatto o intendono fare esperienze di utilizzo di intelligenze artificiali a fini educativi e di empowerment con persone con disabilità, per creare una community capace di sperimentare un uso creativo di queste tecnologie. Gli si può scrivere direttamente a info@mauriziococchi.net.
Riteniamo importante anche segnalare, su linee analoghe a quelle tratteggiate da Maurizio Cocchi, il progetto denominato Empowered by AI, esposto dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, volto a rafforzare le capacità (empowerment) delle persone con disabilità. Se ne legga ampiamente a questo link e per informazioni, scrivere (in inglese) a: roberta.lulli@edf-feph.org.

Maurizio Cocchi
Nato a Sala Bolognese (Bologna) nel 1952, è da sempre una persona con disabilità motoria che si muove in carrozzina. Laureato in Pedagogia nel 1979, nello stesso anno ha fondato assieme ad altri la Spep Coop, una Cooperativa di servizi alla persona, divenendone il primo presidente. A cavallo tra gli Anni Ottanta e Novanta è stato vicepresidente del Quartiere San Vitale a Bologna. Nel 1991 ha curato la pubblicazione del libro collettivo Protagonisti dell’Handicap, edito da Il Pensiero Scientifico (Roma), con prefazione di Giovanni Berlinguer. Nel 1996 è stato tra i fondatori della Virtual Coop, divenendone il presidente, fino al pensionamento nel 2023. Attualmente, seguendo la propria passione per l’informatica, sta approfondendo le potenzialità dell’intelligenza artificiale, come strumento di accessibilità digitale e potente occasione di empowerment per le persone con disabilità.

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Quando un diritto rischia di essere cancellato da un tratto di penna

Grazie alla mobilitazione delle Associazioni di persone con disabilità e di tutta la società civile dell’Argentina, il governo guidato da Javier Milei ha ritirato la Delibera del 14 gennaio scorso, di cui avevamo dato ampia notizia anche sulle nostre pagine, ove, in riferimento alle persone con disabilità intellettiva, si utilizzavano termini come “idiota”, “imbecille” e “gravemente handicappato mentale”

Una buona notizia arriva dall’Argentina: grazie infatti alla mobilitazione delle Associazioni di persone con disabilità e di tutta la società civile argentina, il governo guidato dall’ultraliberista Javier Milei ha ritirato una Delibera pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 14 gennaio che, per riferirsi alle persone con disabilità intellettiva, utilizzava termini come “idiota”, “imbecille” e “gravemente handicappato mentale”[se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
La Delibera, secondo quanto riferiscono i quotidiani internazionali di lingua spagnola, ha come obiettivo quello di stabilire i criteri di valutazione in base ai quali le persone con disabilità possono accedere o continuare a percepire le pensioni di invalidità.
A seguito dunque delle proteste, il 28 febbraio l’ANDIS, l’Agenzia Nazionale che si occupa di disabilità, ha pubblicato una nota in cui ha dichiarato che l’uso di questi termini (contenuti in una nota allegata alla delibera) è stato un errore e ha negato che vi fosse un intento discriminatorio. «Si è trattato di un errore dovuto all’uso di concetti appartenenti a una terminologia obsoleta», ha fatto sapere l’Agenzia, annunciando che il testo verrà modificato «secondo gli attuali standard medici e normativi».

Questa notizia aveva trovato ampio spazio sui media di tutto il mondo, compresi quelli italiani. Come LEDHA vogliamo innanzitutto esprimere la nostra vicinanza e solidarietà alle Associazioni argentine per i diritti delle persone con disabilità, costrette a mobilitarsi per ottenere il rispetto di un principio fondamentale sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Argentina nel 2008.
Quanto avvenuto in Argentina nelle ultime settimane mette in evidenza come l’impegno quotidiano delle Associazioni di persone con disabilità e la loro mobilitazione di fronte a episodi specifici di discriminazione siano strumenti preziosi per la tutela e la promozione dei diritti.

Di questa vicenda si è parlato molto anche sui nostri media, perché parole così violente e così discriminatorie sono state riconosciute come tali da larga parte dell’opinione pubblica, anche tra i “non addetti ai lavori”. In quest’ottica, condividiamo l’analisi espressa su queste stesse pagine dal presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), Vincenzo Falabella, ossia che il lavoro svolto per decenni dalle Associazioni ha portato all’adozione di leggi che tutelano i diritti delle persone con disabilità (su tutte la ratifica della Convenzione ONU) e a una maggiore consapevolezza su questi temi.
Ma questo ci mette al sicuro da possibili derive? O dal ritorno a un passato in cui era perfettamente accettabile definire una persona con disabilità “ritardato” o “imbecille”? Assolutamente no. Tutti noi – dai singoli cittadini alle Associazioni – dobbiamo tenere alta la guardia perché i discorsi d’odio e contro l’inclusione stanno prendendo piede anche da noi, tanto nella vita reale quanto nel mondo digitale dietro lo schermo di uno smartphone.
Come sa bene chiunque sia impegnato all’interno di un’Associazione, la lotta per acquisire un diritto richiede anni di lavoro, di impegno, di dialogo e mobilitazione. Ma come dimostra quello che è successo in Argentina per cancellare un diritto può bastare un tratto di penna. Per questo continueremo a vigilare. Anche su quello che succede dall’altra parte del mondo.

*La LEDHA è la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Il Forum del Terzo Settore lancia “Terzo”, premio dedicato a Claudia Fiaschi

A disposizione 1.500 euro per la miglior tesi di laurea magistrale e 2.500 euro per la miglior tesi di dottorato di ricerca discusse nel 2024 sul valore e l’impatto del Terzo Settore: l’iniziativa del Forum del Terzo Settore in ricordo della sua ex portavoce Claudia Fiaschi, scomparsa lo scorso anno, personalità di assoluto rilievo nel mondo del sociale Claudia Fiaschi (1965-2024)

Un riconoscimento alle migliori tesi di laurea magistrale e di dottorato sui temi del Terzo Settore e dedicato a Claudia Fiaschi, scomparsa lo scorso anno: dal 10 febbraio è disponibile il bando di Terzo-Premio Claudia Fiaschi, che mette a disposizione 1.500 euro e 2.500 euro rispettivamente per la miglior tesi di laurea magistrale e la miglior tesi di dottorato di ricerca discusse nel corso del 2024, sul valore e l’impatto del Terzo Settore.

Il Forum Nazionale del Terzo Settore, dunque, in collaborazione con «Corriere Buone Notizie», rafforza e rinnova l’iniziativa di premiare i migliori lavori accademici di approfondimento e ricerca sul Terzo Settore. E lo fa onorando la memoria di Claudia Fiaschi,  cooperatrice sociale, ex portavoce del Forum stesso e personalità di assoluto rilievo nel mondo del Terzo Settore, scomparsa prematuramente lo scorso anno.

Le tematiche a cui si presterà maggiore attenzione, anche in ragione dell’impegno profuso nel corso della sua vita da Fiaschi, saranno, tra le altre: soluzioni di welfare di comunità; innovazione nei servizi educativi e nel contrasto alla povertà educativa; parità di genere e leadership femminile nello scenario dell’economia sociale; finanza e sostenibilità per l’ecosistema del Terzo Settore; comunicazione sociale; impiego dell’intelligenza artificiale per il bene comune.

Le domande verranno valutate da un Comitato Scientifico composto da Luca Gori, Stefano Granata, Vanessa Pallucchi, Elisabetta Soglio, Paolo Venturi e Stefano Zamagni. Il bando resterà aperto fino al 17 marzo e gli esiti verranno resi noti a partire dal 12 maggio sul sito del Forum Nazionale del Terzo Settore e in «Corriere Buone Notizie».

«Claudia Fiaschi – sottolinea Vanessa Pallucchi, attuale portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore – è stata, tra le altre cose, un’innovatrice nel mondo del Terzo Settore e una donna sempre attenta alle idee dei giovani e ai nuovi fenomeni sociali. L’idea di legare a lei l’iniziativa di un Premio per i lavori accademici di neo-laureati e neo-dottori di ricerca è stata naturale e immediata. Ci auguriamo così di contribuire a far crescere la circolazione e la condivisione e di idee e saperi su un comparto socio-economico sempre più importante per il nostro Paese». (C.C.)

La locandina del premio. Per maggiori informazioni: stampa@forumterzosettore.it.

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Fisioterapia nella malattia di Parkinson centrata sulla persona?

Sarà centrato sul tema “Fisioterapia nella malattia di Parkinson centrata sulla persona?” il nuovo incontro online del 6 marzo nell’àmbito di “Non siete soli”, ciclo di webinar a partecipazione gratuita e aperto a tutti, nato da un’idea della Confederazione Parkinson Italia e della Fondazione Fresco Parkinson Institute, rivolgendosi alle persone con la malattia di Parkinson, nonché ai loro familiari e ai caregiver Fisioterapia nella malattia di Parkinson

Fisioterapia nella malattia di Parkinson centrata sulla persona?: questo il tema del nuovo incontro del 6 marzo, previsto nell’àmbito di Non siete soli, ciclo di appuntamenti online a partecipazione gratuita e aperti a tutti, nato a suo tempo da un’idea della Confederazione Parkinson Italia e della Fondazione Fresco Parkinson Institute, rivolgendosi alle persone con la malattia di Parkinson, nonché ai loro familiari e ai caregiver, con l’obiettivo di informare e migliorare la loro qualità di vita, accrescendone le competenze legate alla gestione degli aspetti clinici, psicologici e sociali della malattia.
Giovedì 6 marzo, quindi, come sempre alle 17, si parlerà, come detto, di fisioterapia, con la moderazione del geriatra e fisiatra Daniele Volpe e l’intervento della fisioterapista Maria Cristina Paola Gualtieri. (S.B.)

Per iscriversi al webinar del 6 marzo e per ulteriori informazioni: segreteria@parkinson-italia.it; info@frescoparkinsoninstitute.it.

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A Sua Immagine: “Noi”, non “loro”

Organizzato dall’AVI Umbria insieme alla FISH e alla FISH Umbria, il convegno del 6 marzo all’Istituto Serafico di Assisi, denominato “A Sua Immagine. ‘Us’ not ‘Them’”, prenderà spunto dal libro “A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità”, traduzione di una nota pubblicazione del gesuita australiano Justin Glyn, presente all’incontro, che costituirà una preziosa occasione di riflessione sulla rappresentazione della disabilità e delle persone con disabilità nella Chiesa Cattolica e di riflesso nella Società Il gesuita australiano Justin Glyn, autore del libro “‘Us’ not ‘Them’. Disability and Catholic Theology and Social Teaching” (“‘Noi’, non ‘loro’. Disabilità, teologia e dottrina sociale cattolica”)

Organizzato dall’AVI Umbria (Associazione Vita Indipendente Umbria), insieme alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) e alla FISH Umbria, in collaborazione con la Commissione Pastorale Sociale della CEU (Conferenza Episcopale Umbra) e il Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), oltreché con la preziosa disponibilità dell’Istituto Serafico di Assisi, si terrà nella mattinata del 6 marzo, presso lo stesso Istituto Serafico di Assisi (Via Marconi, 6, ore 9-13), il convegno denominato A Sua Immagine. “Us” not “Them”, occasione di incontro e riflessione condivisa sulla rappresentazione della disabilità e delle persone con disabilità.

Inserito nell’àmbito del progetto Agency for Capacity Building: protagonisti attivi per la Vita indipendente e l’Inclusione, finanziato dalla Regione Umbria (se ne legga una scheda a questo link), l’incontro prenderà segnatamente spunto da una pubblicazione di cui ci siamo già in varie occasioni occupati, ossia A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità (La Vita Felice, 2022), curato da Alberto Fontana e Giovanni Merlo, volume basato sostanzialmente sulla traduzione di “Us” not “Them”. Disability and Catholic Theology and Social Teaching (“Noi”, non “loro”. Disabilità, teologia e dottrina sociale cattolica), di Justin Glyn SJ, pubblicato nel 2019 dalla Conferenza Episcopale Australiana e presentato, nel gennaio 2020, dalla «Civiltà Cattolica», storica rivista della Compagnia di Gesù.
Come scritto a suo tempo, si tratta di «una riflessione polifonica di voci autorevoli che, dal loro osservatorio privilegiato e al di là della loro esperienza religiosa, vogliono stimolare un dibattito quanto mai attuale». All’interno del libro, infatti, Vi si ospitano, tra gli altri, i contributi di padre Giuseppe Bettoni, don Virginio Colmegna, suor Veronica Donatello, Ilaria Morali, Salvatore Nocera, don Giacomo Panizza, Vittorio Scelzo, Matteo Schianchi e Roberto Speziale.
«Dialoghi e riflessioni dei partecipanti al convegno del 6 marzo ad Assisi – sottolineano i promotori – saranno dunque ispirati proprio dall’intervento di Justin Glyn, autore di un testo che evidenzia il dibatto tra disabilità e fede, accompagnando il lettore in un intenso percorso di riflessione, che pone al centro l’evoluzione stessa dei significati di disabilità, sui quali la Chiesa Cattolica ancora oggi si interroga».

Coordinato da don Fabrizio Bagnara (Pastorale Disabilità, Diocesi Terni, Narni, Amelia) e dopo i saluti di Marialuisa Meacci, presidente della FISH Umbria, l’incontro sarà quindi aperto dall’intervento di Justin Glyn e diviso successivamente in due parti, la prima delle quali sul tema Lo sguardo della Chiesa e l’impatto sulla vita delle Persone con disabilità, con la partecipazione di monsignor Francesco Antonio Soddu, vescovo della Diocesi di Terni, Narni e Amelia, Giovanni Merlo, direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH) e Ilaria Morali, docente di Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Dopo un intermezzo musicale con il flautista cieco Emanuele Amici, la seconda parte (Lo sguardo della Società e l’impatto sulle Politiche inclusive), potrà contare invece sugli interventi di suor Veronica Donatello, responsabile della Pastorale sulla Disabilità della CEI, Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi e Andrea Tonucci, presidente dell’AVI Umbria.
Le conclusioni saranno affidate a Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH e consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) e a Bianca Maria Tagliaferri, vicepresidente dell’Assemblea Regionale dell’Umbria.

«Sarà un’importante occasione di confronto – dichiara Andrea Tonucci – in direzione della domanda di uno dei progetti promossi in questa fase dalla FISH (“Pronti all’indipendenza?”), di cui anche l’AVI Umbria è partner. I vari interventi, sulla scorta del contributo di Justin Glyn, si concentreranno sulla rappresentazione della disabilità nella Chiesa e di riflesso nella Società. Confidiamo in sostanza che le riflessioni che emergeranno da questo incontro potranno contribuire a rafforzare volontà e capacità di contesti chiamati, oltre che a rispondere ai bisogni dei più “vulnerati”, anche a riconoscere che ogni  persona con disabilità ha gli stessi diritti di tutti». (S.B.)
A questo link è disponibile un ulteriore testo di approfondimento. Per altre informazioni: andrea.tonucci@aviumbria.org.

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“Familiar-mente, il valore della cura”, un progetto dell’AISLA Reggio Calabria

Promosso dall’AISLA Rggio Calabria (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), il progetto denominato “Familiar-mente, il valore della cura”, con il relativo corso di formazione per assistenti familiari, rappresenta un modello virtuoso di partecipazione tra settore pubblico e settore non profit, attuato secondo i princìpi del Codice del Terzo Settore. Il 5 marzo a Catanzaro è in programma la cerimonia di consegna dei diplomi del citato corso di formazione Persona con la SLA insieme a un’assistente familiare

Promosso dall’AISLA territoriale (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e finanziato dalla Regione Calabria, il progetto denominato Familiar-mente, il valore della cura, con il relativo corso di formazione per assistenti familiari, rappresenta un modello virtuoso di partecipazione tra settore pubblico e settore non profit, attuato secondo i princìpi del Codice del Terzo Settore (articolo 55). «Un’iniziativa – sottolineano i promotori – che ha incarnato la collaborazione tra Istituzioni e Terzo Settore per rispondere in modo efficace ai bisogni delle persone con la SLA e di coloro che vivono condizioni di non autosufficienza, garantendo loro un’assistenza qualificata e umanamente attenta».

Nella mattinata del 5 marzo a Catanzaro (Sale Blu e Turchese della Cittadella Regionale “Jole Santelli”, ore 11), è in programma dunque la cerimonia di consegna dei diplomi del citato corso di formazione.
Con la moderazione di Mario Gatto, funzionario della Regione Calabria, interverranno Caterina Capponi, assessora alle Politiche Sociali della stessa Regione Calabria; Francesca Genovese,  presidente dell’AISLA Reggio Calabria; Saveria Cristiano e Cosimo Cuomo, dirigenti ell’Unità Operativa Autonoma, Dipartimento Salute e Welfare della Regione Calabria; Daniela Nocera e Anna Mancuso del Dipartimento Lavoro, Formazione e Politiche Sociali della Regione Calabria; Amelia Conte, neurologa del Centro Clinico NeMO Roma (NeuroMuscular Omnicentre), Policlinico Gemelli; Stefania Bastianello, direttore tecnico dell’AISLA. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@aisla.it (Elisa Longo); info@aislarc.it.

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Edilizia residenziale pubblica e discriminazione indiretta: il caso della Toscana

La disciplina dell’edilizia residenziale pubblica della Toscana prevede che la persona con disabilità assegnataria di un’abitazione venga se dispone di un ISEE superiore ai 50.000 euro. Ma l’impatto che uno sfratto può avere su una persona con disabilità grave non è neanche lontanamente equiparabile a quello, già pesantissimo, che può avere sulle persone senza disabilità, e di fatto innesca un perverso meccanismo discriminatorio. Ne abbiamo parlato con Raffaello Belli

In Toscana la materia dell’edilizia residenziale pubblica (ERP) è disciplinata dalla Legge Regionale 2/19. In particolare, l’articolo 38 comma 3*, lettera n di questa norma prevede che la persona con disabilità assegnataria di un’abitazione debba essere sfrattata (anche se formalmente si parla di “decadenza dall’assegnazione”), qualora disponga di un valore ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) superiore ai 50.000 euro (il doppio di quanto previsto per lo sfratto delle persone senza disabilità).
Questa disposizione che, come vedremo, innesca un perverso meccanismo discriminatorio, è stata mantenuta inalterata anche nella Proposta di Legge n. 1 del 23 dicembre 2024, con la quale la Regione intende rimettere mano alla materia e apportare modifiche alla Legge Regionale 2/19.

Il meccanismo dell’ISEE, spiega Raffaello Belli, attivista per il diritto alla Vita Indipendente delle persone con disabilità, si rivela equo solo in apparenza, perché non tiene conto delle sproporzionate difficoltà che le persone con disabilità devono affrontare rispetto alle altre persone, e nei fatti è particolarmente penalizzante per le persone con disabilità grave che vivono da sole.
Qualche esempio può aiutare a capire. Supponiamo che una persona con grave disabilità viva con il/la partner e i propri figli, e che questo nucleo familiare sia composto di cinque persone. L’ISEE di questo nucleo familiare avrà un valore ponderato, tenendo conto della numerosità dei suoi componenti. Col tempo i figli crescono e lasciano la casa e anche il partner potrebbe morire o interrompere la relazione, dunque la persona con disabilità può ritrovarsi a vivere da sola. In tale situazione, questa persona, pur disponendo dello stesso patrimonio di quando viveva con gli altri familiari, avrebbe un valore ISEE notevolmente più alto, tanto da sforare facilmente il tetto dei 50.000 euro previsto per lo sfratto.
Questo meccanismo non suscita tale effetto solo nel caso dei nuclei familiari numerosi. Esso funziona nello stesso modo anche per i nuclei familiari di due persone, per cui, a parità di patrimonio, la persona con disabilità grave che si ritrova a vivere da sola ha un ISEE considerevolmente più alto di quando viveva assieme ad un’altra persona, anche se, in concreto, il fatto di vivere da sola la rende più svantaggiata. Infatti, una persona con disabilità che convive con qualcuno/a, anche se dispone di uno o più assistenti personali (sempre che possa permetterseli), può contare comunque sui supporti che la condivisione normalmente porta con sé. Ad esempio, quando si vive insieme a qualcuno, una volta la spesa può andare a farla la persona con disabilità, un’altra volta la persona con cui convive, e/o si può impostare l’organizzazione in modo che le mansioni, domestiche e non, siano distribuite tra i conviventi. Ma la persona con disabilità che per qualche motivo si ritrova a vivere da sola non può più contare su questa condivisione dei compiti, la qual cosa comporta una crescita delle spese per l’assistenza personale. Quindi la persona con disabilità sola si ritrova (a parità di patrimonio) con un ISEE maggiore (rispetto a chi non vive da solo) che la espone a sfratto e anche con maggiori spese per l’assistenza personale. Due aspetti enormemente penalizzanti legati alla sua condizione di persona con disabilità, giacché le persone senza disabilità non devono affrontare questi tipi di difficoltà. Difficoltà che, non essendo tenute in considerazione nel computo dell’ISEE, configurano una discriminazione indiretta sulla base della disabilità, come definita dalla Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni).
Recita infatti l’articolo 2, comma 2 di quest’ultima norma che «si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone».
«Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali», affermava, ormai tanti anni fa, il compianto don Lorenzo Milani, esprimendo con linguaggio comune un analogo concetto.

Il meccanismo dell’ISEE, prosegue l’argomentazione di Belli, è iniquo anche perché nei nuclei familiari in cui vi è una persona con disabilità, questa presenza viene computata con una maggiorazione di 0,5 punti, come se ci fosse un figlio in più, ma prestare assistenza ad una persona con disabilità grave richiede una spesa notevolmente maggiore rispetto a quella che comporta la cura di un figlio senza disabilità, e questa differenza non è ponderata in modo adeguato nel calcolo dell’ISEE.
A queste iniquità già rilevanti, se ne aggiungono molte altre. Vediamole.
In primo luogo possiamo osservare che se affrontare un trasloco è complicato per tutte le persone, per le persone con disabilità è molto più complesso e costoso perché per fare molte cose che gli altri fanno in autonomia (e dunque senza costi aggiuntivi), la persona con disabilità grave è obbligata a ricorrere ad un supporto esterno, e dunque a costi organizzativi ed economici aggiuntivi. I costi organizzativi fanno parte di quel “lavoro invisibile” che contribuisce a tenere le persone con disabilità in una situazione di svantaggio, ma che di solito non viene minimamente considerato – né compensato – nelle misure e nei servizi rivolti alle persone con disabilità.
A questa difficoltà si aggiunge quella dovuta al fatto che per vivere nelle proprie abitazioni le persone con disabilità grave fanno spesso degli adattamenti senza i quali non sarebbero in grado di fruire degli ambienti. Dunque la persona con disabilità che cambia casa deve affrontare ulteriori difficoltà e costi per ricreare nel nuovo ambiente gli accorgimenti di accessibilità che le consentono di fruire della propria abitazione.
Ma non solo, per una persona con disabilità adattarsi ad un nuovo ambiente è molto più complesso, perché ciascuna persona ha i propri appoggi, le proprie strategie, le proprie routine e i cambiamenti del contesto, che anche se di lieve entità, possono avere impatti significativi sull’autonomia della stessa nell’ambiente domestico. Non è un caso se sia la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001, sia la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09) mettono in evidenza proprio la natura interattiva della disabilità stessa (l’articolo 2 della Convenzione ONU, nel definire le persone con disabilità, parla infatti di «interazione con barriere di diversa natura»), esplicitando come essa sia una variabile sensibile e dipendente dai cambiamenti del contesto. A ciò si aggiunga che per spostare le modifiche ci vuole tempo, la qual cosa può comportare che la persona con disabilità sfrattata si ritrovi a dover vivere per un certo periodo – che potrebbe protrarsi anche per settimane o mesi – in un ambiente che, essendo inadeguato alle sue esigenze, ne pone a repentaglio la sicurezza. «Che succede se casca e si fa male? Magari in maniera irreparabile? O batte la testa e muore?», si domanda Belli. Anche questi sono tutti problemi che chi non ha una disabilità non deve affrontare.
Mettiamoci poi che una persona con disabilità che vive da tanto tempo in un determinato ambiente generalmente si è creata una rete informale di aiuti che le semplificano la vita, una rete che col trasloco andrebbe dispersa. Stiamo parlando, ad esempio, dell’alimentari all’angolo che se ti mancano due cose basta telefonargli e te le porta, del vicino di casa che è disponibile in caso di emergenza, dell’amico che abita giusto nel palazzo dietro l’abitazione della persona con disabilità e costituisce per lei un ulteriore aiuto in determinate attività. E il problema della dispersione degli aiuti non si pone solo in relazione alla rete informale, ma anche con l’assistente personale o gli assistenti personali, perché non è affatto scontato che questo/questi siano disponibili a continuare a lavorare per la persona con disabilità se questa dovesse trovare casa, ad esempio, a diversi chilometri di distanza dall’abitazione precedente. Il che porrebbe la persona con disabilità stessa nella condizione di dover trovare altri assistenti personali in fase di trasloco, e anche qui si pongono colossali problemi organizzativi, di tempi e di costi, perché gli assistenti vanno trovati (e in genere è un’impresa difficilissima, fra l’altro prima di individuare la persona adatta si rende necessario incontrarne diverse o parecchie), poi è necessario un periodo di prova, quindi è necessario un periodo di formazione… e nel frattempo la persona con disabilità come vive, visto che gli assistenti personali le servono per svolgere le attività quotidiane della vita (alzarsi, lavarsi, vestirsi, mangiare, andare al lavoro, ecc.)?
Dover trovare un/a nuovo/a assistente personale è comunque traumatico per una persona con disabilità grave, ma è ancora più terribile quando ciò coincide con il trauma del trasloco.

Possiamo poi osservare che una persona con disabilità ha più difficoltà a trovare casa rispetto alle altre persone perché questa deve essere accessibile o quanto meno adattabile, la qual cosa la porta a escludere quasi del tutto che possa andare ad abitare in case vecchie, e che debba orientarsi su case nuove, che però costano molto di più.
Ad esempio, nel mercato immobiliare di Firenze, le case nuove costano dai 300.000 euro in su, dunque sono decisamente fuori dalla portata di una persona (tanto più se vive da sola) con un ISEE da 50.000 euro. Se poi la persona con disabilità è avanti con l’età, non avrebbe alcuna possibilità di accedere a mutui o prestiti d’altro tipo. Rimarrebbe dunque la soluzione dell’affitto, ma qui si pone il problema che nelle case in affitto in genere non è consentito apportare modifiche per l’accessibilità e, oltretutto, molti proprietari di immobili non affittano alle persone con disabilità.

In realtà la disciplina dell’edilizia residenziale pubblica offre anche degli spunti interessanti. Ad esempio è previsto che la persona assegnataria che ha più di 70 anni non possa essere costretta alla mobilità, per cui, riconoscendo che per una persona di quell’età spostarsi dal suo ambiente avrebbe un effetto più destabilizzante rispetto alle persone di età inferiore, è previsto che costei possa permanere nella sua abitazione, anche se fosse possibile trovare una soluzione economicamente più vantaggiosa per l’ente pubblico. Ad esempio, la persona settantenne che prima viveva con altri familiari e aveva una casa con tante stanze, anche nel caso in cui dovesse ritrovarsi a vivere sola, non potrebbe essere obbligata a trasferirsi in una casa più piccola. Pertanto, possiamo affermare che rispetto a questa situazione la norma antepone le esigenze della persona all’interesse economico.
Dunque, tenendo presente l’esempio appena descritto, appare ancora più paradossale che, nel caso delle persone con disabilità, per le quali gli spostamenti sono fonte di disagi ben maggiori, l’interesse economico di liberare l’abitazione assegnata alla persona con disabilità venga anteposto alla tutela della stessa persona (con disabilità).
Ma non basta, perché nel caso della mobilità è compito dell’ente pubblico individuare e assegnare una nuova abitazione idonea alla persona senza disabilità, mentre, nel caso di sfratto della persona con grave disabilità, il ben più difficile compito di trovare una nuova casa idonea e i conseguenti ben maggiori oneri personali, organizzativi ed economici sono interamente scaricati sulla stessa persona con disabilità.

Il Codice Civile stabilisce il principio per cui nell’adempiere a un’obbligazione i privati debbano adottare la diligenza del buon padre di famiglia, osserva infine Belli. Accade infatti che soprattutto i genitori delle classi meno abbienti lavorino tutta la vita per cercare di tutelare in qualche modo i propri figli e figlie con gravi disabilità, cercando di dare loro un po’ di sicurezza materiale, ben sapendo che nei loro percorsi di vita questi ultimi incontreranno più difficoltà rispetto alle altre persone. E ora, proprio questa premura legittima, doverosa e sacrosanta di genitori “eroici”, a causa della Legge Regionale 2/19 della Toscana è motivo di sfratto. «La Regione Toscana pensa davvero di poter risolvere qualcosa di significativo per l’enorme Problema Casa, sfrattando alcuni disabili gravi?», si chiede Belli.
Supportare una persona con disabilità nel tempo, quando può ancora contare su una serie di supporti che le derivano dalla famiglia e dalla rete informale di aiuti, e poi stabilire un meccanismo che prevede lo sfratto senza soppesare in alcun modo le reali difficoltà che questa persona incontrerà nell’affrontarlo, è ben distante da quella diligenza del buon padre di famiglia che lo Stato chiede ai comuni cittadini e cittadine, ma che, al momento, egli stesso non sta adottando.

All’inizio di gennaio, la Giunta Regionale della Toscana ha presentato in Consiglio la Proposta di Legge 294/25** di riforma della Legge Regionale sull’Edilizia Residenziale Pubblica. È gravissimo che in questa Proposta di Legge sia mantenuto in modo del tutto inalterato lo sfratto anche delle persone con disabilità grave aventi un ISEE superiore a 50.000 euro. E questo sebbene l’assessora regionale alle Politiche Abitative Serena Spinelli fosse stata informata per iscritto, almeno dal Comune di Firenze, dell’esistenza del problema e avesse detto verbalmente a Belli che avrebbe cambiato la norma. Pertanto Belli invita caldamente e pubblicamente la Regione Toscana a considerare gli elementi di giustizia sociale, di civiltà e di legalità, evidenziati nel presente testo, nella definizione della Proposta di Legge Regionale in questione. In particolare chiede che all’articolo 38, comma 3, lettera n, dopo le parole «[…] continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione» e prima delle parole «Tale limite è soggetto […]», vengano aggiunte le parole «e salvo l’esonero dal procedimento di decadenza qualora questa persona viva da sola». «Fermo restando – aggiunge Belli – che un minimo di decenza impone di esonerare dalla decadenza qualsiasi nucleo familiare in cui vi sia un disabile grave. E salvo precisare che, ai fini della disabilità, a nulla vale la facoltà del Comune di sospendere lo sfratto-decadenza, prevista poco dopo nello stesso articolo. A nulla vale sia perché è una facoltà del Comune, mentre qui stiamo trattando di un diritto. E sia perché la sospensione è un atto temporaneo, mentre qui stiamo trattando di disabilità permanenti».

Anche Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) – di cui chi cura il presente approfondimento è la responsabile –, concordando sul fatto che le difficoltà delle persone con disabilità che “decadono dall’assegnazione” siano oggettivamente incomparabili a quelle, pur onerose, delle persone senza disabilità, sostiene questo appello.
Se mantenute inalterate, infatti, quelle disposizioni prospettano per la persona con disabilità grave sfrattata un futuro di istituzionalizzazione, che ne lederebbe i diritti umani sanciti dalla citata Convenzione ONU e avrebbe notevoli costi per lo Stato, e dunque per la comunità.
Alla fine la giustizia sociale, che concretizza al meglio l’uguaglianza sostanziale (principio fondamentale enunciato nell’articolo 3, comma 2 della nostra Costituzione), si rivela tra l’altro conveniente anche sotto il profilo economico.

*Il comma 3 dell’articolo 38 (“Accertamento della situazione del nucleo familiare e decadenza dall’assegnazione”) della Legge Regionale Toscana 2/19 recita: «Il Comune, entro sessanta giorni dall’acquisizione dei risultati degli accertamenti di cui ai commi 1 e 2, avvia obbligatoriamente il procedimento di decadenza dall’assegnazione del nucleo familiare assegnatario, qualora lo stesso […] disponga di un valore della situazione economica equivalente (ISEE) superiore al limite della prima fascia del valore ISEE stabilita dalla Regione per i diversi livelli di partecipazione finanziaria degli utenti dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali, salvo che all’interno del nucleo familiare con ISEE uguale o inferiore ai 50 mila euro, sia presente un soggetto con invalidità riconosciuta al cento per cento».
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A questo link è disponibile l’atto del 23 dicembre 2024 con cui la Giunta Regionale Toscana ha approvato la Proposta di Legge avente ad oggetto “Modifiche alla legge regionale 2 gennaio 2019, n. 2 – Disposizioni in materia di edilizia residenziale pubblica (ERP)” e i relativi allegati.

°Simona Lancioni è responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa); Raffaello Belli è attivista per il diritto alla Vita Indipendente delle persone con disabilità. Il presente approfondimento è già apparso nel sito di Informare un’h e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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“Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo”: si riparte dall’Emilia Romagna

Dopo i vari incontri del 2024, riprenderanno il 5 marzo dall’Emilia Romagna, ed esattamente da Bologna (ma anche online), gli appuntamenti con gli “Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo” dell’ANFFAS, allo scopo, ancora una volta, di generare un confronto e un dialogo con le istituzioni, le amministrazioni, le rappresentanze sindacali e quelle del Terzo Settore della Regione, sui temi riguardanti appunto le disabilità intellettive e i disturbi del neurosviluppo

Dopo i vari incontri dello scorso anno, seguiti Regione per Regione anche sulle nostre pagine, riprenderanno il 5 marzo dall’Emilia Romagna gli appuntamenti con gli Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo), con l’organizzazione dell’ANFFAS Emilia Romagna, in collaborazione con l’ANFFAS Nazionale, allo scopo, ancora una volta, di generare un proficuo confronto e un dialogo con le istituzioni, le amministrazioni, le rappresentanze sindacali e quelle del Terzo Settore della Regione, sulle tematiche concernenti appunto le disabilità intellettive e i disturbi del neurosviluppo, realizzando alcuni focus sulle specificità del territorio in termini di criticità e buone prassi, ma sempre con il diretto protagonismo delle persone con disabilità intellettive e delle loro famiglie.

Patrocinato dalla Regione Emilia Romagna, dal Comune di Bologna, oltreché dalle componenti regionali di ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), Forum del Terzo Settore e FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), l’evento si terrà a Bologna (Sala 20 maggio, Viale della Fiera, 8, ore 9-18), ma potrà essere seguito anche online (piattaforma Zoom). Particolarmente ricco il programma previsto (disponibile a questo link), comprendente sin dal principio l’ormai tradizionale intervento degli Autorappresentanti che anche in questa occasione consentirà di avere una chiara percezione della reale esigibilità dei loro diritti, rispetto alla specifica situazione della Regione Emilia-Romagna, e la partecipazione in video della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli.
Moderati da Emanuela Bertini, direttrice dell’ANFFAS Nazionale, i lavori saranno aperti da Roberto Speziale, presidente nazionale dell’Associazione e da Barbara Bentivogli, presidente dell’ANFFAS Emilia Romagna. Seguirà la prima sessione, sul tema I diritti delle persone con disabilita intellettive e disturbi del neurosviluppo, con le relazioni di Alessia Maria Gatto e Corinne Ceraolo Spurio, legali componenti del Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale e dell’altra avvocata Francesca Montalti, presidente dell’ANFFAS Cesena.
Quali interventi istituzionali sono quindi previsti quelli di Isabella Conti, assessora al Welfare, al Terzo Settore, alle Politiche per l’Infanzia e alla Scuola della Regione Emilia Romagna; Manuela Rontini, sottosegretaria alla Presidenza della Regione Emilia-Romagna; Maurizio Fabbri, presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna;  Filippo Diaco, presidente della Commissione Consiliare del Comune di Bologna su  Volontariato, Sport e Disabilità, delegato del sindaco Matteo Lepore e in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale di Bologna; Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH; Giuliana Gaspari, presidente della FISH Emilia-Romagna.

Nella seconda parte della giornata vi saranno le tavole rotonde dedicate a Oltre le parole: la concreta esigibilità dei diritti delle persone con disabilità nei territori dell’Emilia-Romagna e Attuazione della Riforma della Disabilità: strategie e sfide degli ambiti territoriali, coordinate rispettivamente da Barbara Bentivogli la prima, da Alessia Maria Gatto e Corinne Ceraolo Spurio la seconda, con la partecipazione di numerosi rappresentanti istituzionali del territorio.
Infine, le conclusioni dell’evento saranno affidate a Roberto Speziale, a Barbara Bentivogli e agli Autorappresentanti della Regione.

«Riprendiamo con entusiasmo ed energia i nostri appuntamenti territoriali – sottolinea Roberto Speziale – con l’obiettivo di continuare a tessere la trama che ci porterà, alla fine di questo 2025, agli Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo Nazionali. Stiamo costruendo qualcosa che siamo certi lascerà un segno a tutti i livelli».
«Diamo il nostro contributo – aggiunge Barbara Bentivogli – con la certezza che anche la nostra esperienza rappresenta un altro passo in avanti per la realizzazione della società che da sempre desideriamo e per la quale da sempre operiamo: inclusiva, di pari diritti e opportunità».

Per ogni informazione (anche sul link per il collegamento Zoom all’evento: info@anffas-er.org; nazionale@anffas.net.

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A 16 anni dalla ratifica della Convenzione ONU non ci si può accontentare di un’inclusione formale

Il 3 marzo 2009, ossia esattamente 16 anni fa, veniva approvata la Legge 18/09, con la quale la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità diventava una Legge dello Stato Italiano. «La Convenzione – sottolineano dalla Federazione FISH – è un documento che ha tracciato la strada e a distanza di anni molti traguardi sono stati raggiunti. E tuttavia sono ancora diverse le criticità e gli ostacoli che impediscono alle persone con disabilità di vivere una vita piena e inclusiva» Un’immagine della 18^ Conferenza degli Stati Parte della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (New York, giugno 2024)

Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità: questo il titolo della Legge 18/09, approvata il 3 marzo 2009, ovvero esattamente sedici anni fa, con la quale la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità diventava una Legge dello Stato Italiano. «La Convenzione ONU – si legge a tal proposito in una nota della FISH (già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, oggi Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie) – è un documento che ha tracciato la strada per garantire pari opportunità e piena partecipazione nella società alle persone con disabilità. A distanza di anni molti traguardi sono stati raggiunti, ma sono ancora diverse le criticità e gli ostacoli che impediscono alle persone con disabilità di vivere una vita piena e inclusiva».

«Secondo i dati ISTAT – sottolineano ad esempio dalla Federazione -, il tasso di occupazione delle persone con disabilità è fermo al 34,5%, a fronte di una media del 58,1% per il resto della popolazione e di contro, anche il tasso di disoccupazione è ancora molto alto rispetto all’intera popolazione. Un quadro, questo, che evidenzia una chiara difficoltà di accesso al mercato del lavoro. Per quanto poi riguarda il mondo della scuola e dell’università, nonostante i progressi normativi, restano gravi problemi di accessibilità e supporto, cosicché l’inclusione scolastica è spesso compromessa da carenze di insegnanti specializzati, barriere nei percorsi di studio e una diffusa mancanza di cultura inclusiva».

«Alla luce di quanto detto – concludono dalla FISH – è necessario ribadire ancora una volta che le persone con disabilità devono poter partecipare pienamente alla vita sociale, culturale, politica del Paese. Non basta infatti garantire l’accesso fisico a luoghi pubblici e ad eventi culturali: serve un cambiamento culturale profondo che porti a una vera valorizzazione della diversità e delle potenzialità di ciascuno. Chiediamo quindi un impegno concreto da parte delle istituzioni, delle imprese e della società civile, per tradurre in azioni tangibili i princìpi sanciti dalla Convenzione ONU».

«Non possiamo accontentarci di un’inclusione formale – sottolinea dal canto suo il presidente della FISH Vincenzo Falabella -: servono interventi strutturali per abbattere le barriere, garantire l’accesso al lavoro, rendere la scuola davvero inclusiva e promuovere una cultura davvero inclusiva. A distanza di anni, infatti, il principio di pari opportunità resta ancora un obiettivo più che una realtà e le persone con disabilità sono ancora troppo spesso escluse dalle decisioni che le riguardano, con le politiche pubbliche che non sono sufficientemente incisive per garantire un cambiamento reale». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Continua la discriminazione nei colloqui di selezione al lavoro

Recenti studi e sondaggi internazionali condotti su diverse migliaia di lavoratori e lavoratrici intervistati/e mostrano come la disabilità, oltre alla genitorialità e all’età, siano ancora fattori di esclusione. Smart working e luoghi di lavoro senza barriere architettoniche non sono sufficienti ad arginare le condotte scorrette: un esperimento sociologico ha infatti rilevato tassi decisamente sconfortanti, per i candidati e le candidate al lavoro con disabilità

Non tutti i colloqui di lavoro sono uguali: una persona su 2 dichiara infatti di avere subito discriminazione durante la selezione o sul posto di lavoro. L’allarme emerge da un sondaggio condotto su 4.000 lavoratori e lavoratrici recentemente pubblicato nel Regno Unito. Ad essere colpite soprattutto le donne che hanno il doppio delle probabilità di denunciare discriminazioni rispetto agli uomini. Ulteriori studi realizzati in Europa e negli Stati Uniti evidenziano poi le difficoltà delle persone con disabilità, perché smart working (“lavoro agile”) e luoghi di lavoro senza barriere architettoniche non sono sufficienti ad arginare le condotte scorrette: un esperimento sociologico ha infatti rilevato tassi di recall (“richiamo al lavoro”) inferiori del 15% rispetto a candidati e candidate senza disabilità.

In tal senso, un sondaggio americano pubblicato da HrBrew.com e condotto intervistando oltre 2.000 lavoratori e lavoratrici ha rivelato come il 25% delle persone intervistate con disabilità abbia affermato come questa rappresenti una sfida nell’àmbito dei processi di selezione. Il 37%, inoltre, ha affermato di avere difficoltà a capire dalle job description (“descrizione delle caratteristiche del tipo di lavoro”) se i ruoli per i quali si candidano potranno essere adatti alla loro condizione. Circa il 33% ha inoltre affermato di non sentirsi a proprio agio nel rivelare la propria disabilità nel processo di ricerca di un impiego.

Riattraversando l’Atlantico le cose non sembrano andare molto meglio. LUniversità di Cardiff, quella di Liverpool e la Thames Water hanno infatti condotto di recente uno studio sociologico su larga scala in cinque città britanniche, presentando domande fittizie per oltre 4.000 posti di lavoro vacanti, identificandosi una parte come aspiranti lavoratori su sedia a rotelle e una parte come candidati privi di disabilità. Le candidature riguardavano principalmente e volutamente due categorie professionali, quella della contabilità e dell’assistenza finanziaria, che non ponevano ostacoli di natura fisica. Il risultato? È stata riscontrata una discriminazione significativa nei confronti dei candidati con disabilità, con un tasso di recall(“richiamo al lavoro”) inferiore del 15% rispetto ai candidati senza disabilità. La discriminazione è stata più forte per il ruolo, meno qualificato, di assistente finanziario, dove il divario era addirittura del 21%. E persino per i posti di lavoro da remoto non sono stati registrati divari minori, sollevando interrogativi sulla capacità dello smart working di contrastare la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità.

«La discriminazione nei colloqui di selezione è un problema radicato e che, dal nostro punto di vista, limita il potenziale delle aziende – commenta Cristina Danelatos, membro del Consiglio di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi HR e Payroll –. Non si tratta “solo” di una questione etica, che pure è rilevante, ma di pratiche che impediscono, in virtù di pregiudizi sovente di natura culturale, anche l’inclusione di talenti preziosi che possono contribuire alla diversità e all’innovazione».
«Se si vuole realmente puntare alla diversità in azienda – conclude – occorre utilizzare canali e strumenti nuovi di ricerca, altrimenti non si otterrà un risultato diverso da quello ottenuto fino ad oggi. Professionisti e professioniste con esperienza sono in grado di affiancare la funzione HR [Risorse umane] nella ricerca e nell’identificazione dei talenti, utilizzando canali ed approcci specifici». (Carmela Cioffi)

Per maggiori informazioni: Cristiano Puglisi (c.puglisi@espressocommunication.it).

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