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Sette note di inclusione: un maestro di musica nello spettro dell’autismo

Il maestro Alberto Chiavoni insegna batteria e i suoi corsi sono attualmente frequentati da 23 allievi che desiderano imparare questo strumento soltanto in apparenza facile, ma in realtà uno dei più difficili perché richiede coordinazione e senso del ritmo. Cosa c’è di “speciale” fin qui? Il maestro Chiavoni è un uomo di 37 anni con autismo cosiddetto “ad alto funzionamento”, i suoi allievi sono anch’essi autistici, insieme fanno della musica un mezzo inclusivo e di aggregazione. E non si tratta di musicoterapia, ma di vere e proprie lezioni “cucite” sulla persona e le sue peculiarità Alberto Chiavoni

Il maestro Alberto Chiavoni insegna batteria e i suoi corsi sono attualmente frequentati da 23 allievi che, bacchette alla mano, desiderano imparare questo strumento soltanto in apparenza facile, in realtà, dicono gli esperti, uno dei più difficili perché richiede coordinazione e senso del ritmo.
Cosa c’è di “speciale” fin qui? Il maestro Chiavoni è un uomo di 37 anni con autismo cosiddetto “ad alto funzionamento”, i suoi allievi sono anch’essi autistici, insieme fanno della musica un mezzo inclusivo e di aggregazione. Non si tratta di musicoterapia, queste sono vere e proprie lezioni “cucite” sulla persona e le sue peculiarità.
Alberto si confronta con i genitori e gli educatori per conoscere di ogni allievo tempi e caratteristiche, per far sentire ciascuno accolto e valorizzato; le sue lezioni si rivolgono a bambini, ragazzi e adulti con disabilità, non soltanto autistici, difatti il suo ventiquattresimo allievo ha la disprassia, una condizione caratterizzata dalla difficoltà nel coordinare i movimenti necessari per compiere un’azione volontaria.

Il maestro, vicepresidente del Gruppo Asperger Lazio e referente per i Castelli Romani di Rete Italiana Disabili, collabora con le realtà musicali della Capitale in diversi progetti. BattAut! è attivo ogni venerdì presso la Clivis APS (Accademia Musicale di Roma), un’Associazione accreditata dal Ministero dell’Istruzione e riconosciuta dalla Regione Lazio. Senza far venir meno la professionalità di BattAut!, si passa al contesto stimolante e divertente del corso più innovativo, BattAbility, nella Scuola di Musica Ponte Linari, destinato a bambini e ragazzi che, come tutti gli altri corsi, viene pensato per integrarsi con gli impegni terapeutici degli allievi.
Ormai storica è la collaborazione con l’Associazione Consonanze nella cui sede, in Via Laurentina a Roma, ogni lunedì la musica diventa un linguaggio universale che si adatta ai bisogni comunicativi di tutti.
Infine PiuEmme (Positive Music School), iniziativa dove il maestro mette in pratica la sua esperienza nell’ambito dello spettro autistico e nell’insegnamento della musica alle persone con elevato bisogno di supporto.

Si tratta di progetti relativamente nuovi, Alberto Chiavoni li racconta in rete e si allarga il gruppo che lo supporta in questa attività di promozione. Cresce l’interesse intorno ai corsi e, parallelamente, si conosce la sua storia personale che ha ripercorso nell’autobiografia Alberto. Passato e presente di una persona autistica, pubblicata nel 2023 (editore Porto Seguro).
La prima diagnosi arriva presto, a due anni e mezzo: ritardo cognitivo. Nei manuali diagnostici non si parla ancora di autismo, altri tempi. Alberto bambino che dondola il corpo in continuazione, parla ad alta voce, evita il contatto visivo, viene “catalogato” inizialmente in questo modo. Questa la fredda cartella clinica che nella vita di tutti i giorni si tramuta in discriminazione.
I bambini sanno essere “crudeli” nella loro spontaneità, Alberto viene emarginato nei giochi, bullizzato, diventa vittima di scherzi e sberleffi, lo chiamano “pendolo” per il suo continuo dondolio. Le difficoltà relazionali e l’isolamento aumentano con il passare degli anni, anche il rapporto con le ragazze è fonte di sofferenza e rabbia, alcune lo avvicinano per poi ridere di lui con le amiche.
Se oggi Alberto Chiavoni è l’uomo dal viso aperto e sorridente, l’animo appassionato e pieno di interessi che vediamo raccontarsi nelle interviste (a questo link il suo intervento a Cusano Italia TV), lo si deve alla musica che ha rappresentato la svolta decisiva. Ha 12 anni, quando un giorno, alle medie, un insegnante fa partire una canzone e gli mette in mano un tamburello per tenere il tempo. Alberto non sbaglia un colpo, una dote innata, un segno del destino, anche perché, quand’era piccolo, sbatteva per casa i cucchiaini che con il senno di poi si possono definire le sue prime bacchette da batterista.
Quell’insegnante parla con i genitori che lo mandano a lezione di musica. All’inizio non è facile, comincia con cose semplici, con dedizione arriva a suonare l’hard rock e il metal che diventano tra i suoi generi musicali prediletti, entra in diverse band. Si riavvicina alla fede, dopo essersene allontanato da bambino perché veniva emarginato durante il catechismo. Si unisce al gruppo della parrocchia, si relaziona per la prima volta con gli altri alla pari, è l’inizio della socialità. Accarezza perfino l’idea di fare il sacerdote, gli dicono però che le sue condizioni non lo permettono. Lui non si arrende, studia teologia e si laurea in Scienze Religiose. Parte per l’Africa come missionario, un’esperienza che gli insegna a non concentrarsi sui suoi problemi, ma a guardarsi intorno, a vedere chi vive altre situazioni di disagio. Al ritorno è un altro, più maturo, se ne accorgono gli amici; è un cambiamento anche fisico, è meno irruento, diminuiscono i dondolii. Alberto ha raggiunto traguardi straordinari, ha imparato a lavorare su se stesso, si è accettato senza fare la “vittima”.

Nel giugno 2024 ha portato all’altare Giulia Scataggia, anche lei con autismo “ad alto funzionamento” e socia del Gruppo Asperger Lazio, insieme gestiscono un’edicola. Un lavoro impegnativo a partire dal mattino presto, nella loro condizione con la difficoltà aggiuntiva di dover gestire più situazioni contemporaneamente, ad esempio dare il resto ad un cliente mentre un altro domanda una rivista.

Il maestro Alberto Chiavoni ha dato a se stesso e alla sua vita la forma che voleva, indubbio il contributo della musica in questa crescita personale. E non a caso il cambiamento è passato attraverso il suono ritmico della batteria, uno strumento che come Alberto si è evoluto nel tempo, partendo da pochi elementi per arrivare all’attuale assemblaggio. Uno strumento che non conosce confini, aperto agli altri, nel quale i componenti traggono origine da culture differenti, dalle percussioni e dagli ottoni suonati nella seconda metà dell’Ottocento a New Orleans, ai tamburi cinesi che danno origine al timpano, passando per piatti più leggeri, realizzati dai turchi abili artigiani nella lavorazione dei metalli, e le marce militari svizzere con i loro rullanti.
Una commistione di elementi che ha accompagnato il progresso culturale della società e che oggi con i corsi di Alberto perpetua questo ruolo, orientandolo verso l’inclusione delle persone con disabilità. Parlando di musica, lui afferma convinto: «L’arte non ha confini, è una forma di espressione che si adatta a tutti i vocabolari e rappresenta un grande strumento di comunicazione».

*Direttrice responsabile di Superando. Il presente contributo è già apparso in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it» e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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“Il Consiglio d’Europa indebolisce in modo inaccettabile i diritti dei passeggeri con disabilità”

Secondo il Forum Europeo sulla Disabilità, la decisione degli Stati Membri dell’Unione Europea di eliminare anche i pochi miglioramenti proposti dalla Commissione Europea, per le persone con disabilità che viaggiano in aereo, rischia di perpetuare l’esperienza di vivere un “incubo a occhi aperti”

«Siamo estremamente delusi dalla posizione negoziale avanzata dai Paesi dell’Unione Europea, che annacqua completamente le proposte della Commissione su un miglioramento dei diritti dei passeggeri con disabilità durante i viaggi aerei e nel trasporto multimodale», fanno sapere dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, in merito alle più recenti notizie trapelate su una cancellazione dei miglioramenti proposti dalla Commissione Europea.

Secondo l’EDF, che aveva per altro già manifestato il proprio scetticismo sulla stessa proposta della Commissione, volare per una persona con disabilità continuerà ad essere «un’esperienza orribile», se è vero che la decisione degli Stati Membri dell’Unione Euorpea di eliminare anche i pochi miglioramenti esistenti per le persone con disabilità perpetuerà l’esperienza di vivere un vero e proprio «incubo a occhi aperti» quando si viaggia in aereo.
In particolare, il Consiglio Europeo vuole:
° eliminare la disposizione della Commissione che impone alle compagnie aeree di consentire al caregiver di viaggiare gratuitamente;
° cancellare completamente gli obblighi dei vettori e degli operatori di riferire in modo trasparente sui reclami ricevuti e sull’assistenza fornita ai passeggeri con mobilità ridotta e disabilità;
° cancellare completamente le disposizioni della Commissione che consentirebbero agli organismi nazionali di monitorare  il rispetto da parte dei vettori e dei gestori dei terminal delle disposizioni sui diritti dei passeggeri.

L’EDF chiede dunque agli Stati Membri di invertire la rotta il prima possibile e di adottare un approccio in seno al Consiglio che rispetti la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Gunta Anca, vicepresidente dell’EDF, ha dichiarato: «È inaccettabile che il Consiglio intenda respingere anche i miglioramenti minimi della proposta. Se i governi nazionali sapessero quanto è difficile viaggiare per le persone con disabilità come me, farebbero a gara per migliorare la proposta della Commissione, non per indebolirla». (C.C.)

Per ulteriori informazioni: André Félix andre.felix@edf-feph.org

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Il Rapporto “Osservasalute 2024”

Verrà presentato il 19 dicembre a Roma il Rapporto Osservasalute 2024 sullo stato di salute e la qualità dell’assistenza nelle Regioni italiane, con la trasformazione dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane in Osservatorio Nazionale per la Salute come Bene Comune, presieduto da monsignor Vincenzo Paglia

Nella mattinata del 19 dicembre a Roma (Centro Studi Americani, Via Michelangelo Caetani, 32, ore 9.30) verrà presentato il Rapporto Osservasalute 2024 sullo stato di salute e la qualità dell’assistenza nelle Regioni italiane, con la trasformazione dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane in Osservatorio Nazionale per la Salute come Bene Comune, presieduto da monsignor Vincenzo Paglia.
Il Rapporto è il frutto del lavoro di oltre 230 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università, Agenzie Regionali e Provinciali di sanità, Assessorati Regionali e Provinciali, Aziende Ospedaliere e Sanitarie, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, il Ministero della Salute, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’ISTAT.
L’evento del 19 dicembre sarà anche l’occasione per presentare le attività del Think tank Osservasalute, promosso dal nuovo Osservatorio Nazionale sulla Salute come Bene Comune, in partnership con la Società Edra, un’Associazione indipendente, apartitica e internazionale, «nata con l’obiettivo – come viene spiegato – di promuovere il confronto e il dibattito sulla salute e il benessere intesi come bene comune, concentrandosi sui problemi e sulle sfide più attuali di politica, economia e cultura e promuovendo valori, conoscenze e interessi comuni attraverso partnership pubbliche e private, accademiche e sociali». (S.B.)

A questo link è disponibile il programma completo dell’incontro del 19 dicembre. Per ulteriori informazioni: Eleonora Demurtas (e.demurtas@lswr.it).

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Quelle Sentenze del Consiglio di Stato sul Progetto Individuale per l’Inclusione Sociale

Il Progetto Individuale per l’Inclusione Sociale è un diritto inalienabile delle persone con disabilità, non è soggetto a “sconti” e non sostituisce altri interventi. A ribadirlo conc hiarezza è stato il Consiglio di Stato in alcuni recenti pronunciamenti

Il progetto individuale è un diritto delle persone con disabilità, che deve accompagnare la persona lungo tutto l’arco della vita, che non è soggetto ad uno “sconto” in base al proprio Isee e non sostituisce altri interventi già previsti, come spesso purtroppo accade. A ribadirlo il Consiglio di Stato in alcune recenti sentenze.

Il Consiglio di Stato, in una serie di pronunce (Sentenza 3181/21; Ordinanza 2785/23; Sentenza 1690/24; Sentenza 4157/24), ha fatto chiarezza sull’obbligo delle Amministrazioni di predisporre un Progetto Individuale per l’Inclusione Sociale per le persone con disabilità, come da articolo 14 della Legge 328/00 (denominato in Campania PTRI, ossia “Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzato” con Budget di Salute).
Al centro della vicenda un ragazzo con disturbo dello spettro autistico per il quale la famiglia aveva richiesto l’attivazione di un PTRI con Budget di Salute, strumento fondamentale per garantirne il diritto all’inclusione sociale. Il Consiglio di Stato ha accolto le ragioni della famiglia, condannando le Amministrazioni per i loro comportamenti omissivi e rimettendo gli atti alla Procura della Corte dei Conti per il danno erariale.

La Suprema Corte Amministrativa ha sottolineato che il Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzato con Budget di Salute è complementare e non sostitutivo del progetto riabilitativo sanitario. Questo significa che le due progettualità devono coesistere e integrarsi, per garantire alla persona con disabilità il massimo livello di autonomia e benessere.
Un aspetto innovativo contenuto nella Sentenza 2129/22 (già oggetto di commento sulle nostre pagine) riguarda l’onere finanziario del PTRI con Budget di Salute. Il Consiglio di Stato, infatti, ha stabilito che «nel caso di prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria», il costo grava interamente a carico dell’ASL e del Servizio Sanitario Nazionale. Questo rappresenta un importante passo avanti per contrastare l’utilizzo distorto della normativa ISEE da parte di alcuni Comuni, che spesso tendono a ridurre il proprio contributo finanziario basandosi su criteri ISEE troppo rigidi.

In questa battaglia legale, la famiglia coinvolta e l’Associazione ANGSA di Eboli (Salerno) sono state affiancate dallo Studio Legale Associato Fiorillo di Salerno, che ha fornito un supporto prezioso nella stesura del ricorso e nella difesa dei loro diritti.
Il Presidente dell’ANGSA ebolitana (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) Paolo Sarra, sottolinea come «queste Sentenze del Consiglio di Stato rappresentano un precedente fondamentale per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, stabilendo un principio chiaro e inequivocabile: il progetto individuale, e nello specifico anche il PTRI con Budget di Salute, è un diritto inalienabile delle persone con disabilità e le Amministrazioni hanno l’obbligo di predisporlo e finanziarlo adeguatamente».
«La vittoria ottenuta – aggiunge – rappresenta un faro di speranza per tante altre persone con disabilità che lottano per veder riconosciuti i propri diritti ed è un monito per le Pubbliche Amministrazioni ad adempiere ai propri doveri con celerità, garantendo a tutti i cittadini la possibilità di vivere una vita dignitosa e autonoma». (C.C.)

Per ulteriori informazioni: eboli@angsa.it

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Un prototipo di Progetto di Vita Individuale

Si è tenuto recentemente a Bologna, all’interno del 16° Forum della Non Autosufficienza e dell’Autonomia Possibile, un incontro dedicato al Progetto di Vita Individuale, Personalizzato e Partecipato, iniziativa innovativa del Comune di Bologna rivolta alle persone adulte con disabilità. L’evento ha rappresentato un’occasione per illustrare i primi risultati della sperimentazione di un prototipo che pone al centro i diritti e i bisogni delle persone con disabilità e dei loro caregiver Una realizzazione grafica dedicata al Progetto Individuale di Vita per persone con autismo

Si è tenuto all’inizio di dicembre a Bologna, all’interno del 16° Forum della Non Autosufficienza e dell’Autonomia Possibile [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.], un workshop dedicato al Progetto di Vita Individuale, Personalizzato e Partecipato, iniziativa innovativa del Comune di Bologna rivolta alle persone adulte con disabilità. L’evento ha rappresentato un’occasione per illustrare i primi risultati della sperimentazione di un prototipo che pone al centro i diritti e i bisogni delle persone con disabilità e dei loro caregiver.

Il Progetto di Vita ha le proprie radici normative nell’articolo 14 della Legge 328/00, ripreso successivamente dalla Legge 112/16 (“Dopo di Noi”) e dalla Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, fino al recente Decreto Legislativo 62/24, che ha introdotto ulteriori sviluppi per la progettazione individualizzata. Questo percorso normativo sarà ulteriormente sostenuto da un programma di formazione ministeriale e dall’avvio di una sperimentazione nazionale nel 2025.
Nel frattempo, il Comune di Bologna, attraverso il Dipartimento Welfare e Benessere di Comunità (Servizio Sociale per la Disabilità), ha sviluppato e avviato un Prototipo di Progetto di Vita Individuale, mettendo in pratica un approccio innovativo che coinvolge attivamente cittadini, operatori e associazioni.

Il workshop del Forum ha visto la partecipazione di esperti e protagonisti: Francesco Crisafulli del Comune di Bologna ha offerto un punto di osservazione sul tema, ribadendo che «questo progetto è un potenziale di cambiamento nella vita delle persone. Sta a noi crederci e investire in questo strumento per migliorare la qualità di vita di chi ne ha bisogno».
Chi scrive [Valentina Tomirotti], giornalista e attivista, con una testimonianza personale sull’importanza di un approccio partecipato, raccontando «come la disparità di intenti da Regione a Regione crei discriminazioni e progetti che possono anche non nascere mai».
Gabriella Mazza, Rosario Pullano e Luca Marchi, sottoscrittori di Progetti di Vita a Bologna, che hanno condiviso le loro esperienze dirette: «Ascolto, condivisione, monitoraggio e partecipazione sono i pilastri per costruire progetti di vita realmente significativi».
Riflettendo poi sull’empatia come base del lavoro, Pullano ha dichiarato: «Attraverso un ascolto attivo, raccogliamo le esigenze e i desideri delle persone, dando forma a percorsi su misura», mentre Marchi ha evidenziato l’efficacia del Progetto di Vita come strumento operativo: «Il Progetto di Vita rappresenta una sintesi efficace per fissare i punti essenziali che guidano i progetti di vita delle persone». Mazza, infine, ha sottolineato il valore della partecipazione per una piena realizzazione dei diritti delle persone con disabilità.

L’intervento della Consulta per il Superamento dell’Handicap di Bologna, rappresentata da Danilo Rasia e Gaspare Vesco, ha arricchito il dibattito con la prospettiva delle Associazioni. Rasia, concentrandosi sull’importanza del sostegno alle famiglie, ha sottolineato: «Accogliere, ascoltare e sostenere le famiglie è fondamentale per aiutarle a progettare il futuro dei propri cari». Vesco ha poi chiuso l’evento ricordando il ruolo cruciale del coinvolgimento attivo: «Empatia, progetto e capacitazione sono le chiavi per una vera partecipazione delle persone al proprio percorso di vita».

Il Progetto di Vita Individuale si basa sul principio dell’accomodamento ragionevole, garantendo interventi equi e sostenibili, in linea con i diritti sanciti dalle normative e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Tra gli altri temi approfonditi durante l’incontro, il processo di progettazione condivisa tra servizi, persone con disabilità e familiari, e la necessità di modelli personalizzati che tengano conto delle specificità di ciascun individuo.

Il Comune di Bologna si conferma dunque come un punto di riferimento nazionale, anticipando i tempi della sperimentazione prevista dalla riforma e offrendo un modello replicabile in altri contesti. Il Progetto di Vita Individuale, Personalizzato e Partecipato rappresenta una sfida ambiziosa, ma necessaria, per superare modelli assistenziali standardizzati e creare percorsi che riconoscano l’unicità di ogni individuo. L’evento di cui si parla ha ribadito l’urgenza di adottare nuovi strumenti capaci di promuovere il benessere, la dignità e l’autodeterminazione delle persone con disabilità, trasformando i princìpi di ascolto ed empatia in azioni concrete.

*Giornalista e attivista (press@valentinatomirotti.it).

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I “diritti sospesi” delle persone con una malattia cronica e rara e dei loro familiari

Presentato nei giorni scorsi, il XXII Rapporto sulle Politiche della Cronicità di Cittadinanzattiva, intitolato Diritti sospesi, evidenzia come i “diritti sospesi” siano quelli di chi soffre di una patologia cronica e rara e dei suoi familiari. Infatti, dall’indagine annuale emergono criticità a trecentosessanta gradi, a partire dalla diagnosi che in più di un caso su quattro si riceve dopo oltre i 10 anni

È stato presentato nei giorni scorsi a Roma Diritti sospesi, il XXII Rapporto sulle Politiche della Cronicità di Cittadinanzattiva. Il volume (integralmente scaricabile a questo link, mentre l’abstract è pubblicato a quest’altro link) mostra come i “diritti sospesi” siano quelli di chi soffre di una patologia cronica e rara e dei suoi familiari. Infatti, dall’indagine annuale emergono criticità a trecentosessanta gradi, a partire dalla diagnosi che in più di un caso su quattro si riceve dopo oltre i 10 anni.
Oltre alle tempistiche necessarie per dare un nome alla patologia, pazienti e caregiver devono affrontare anche le difficoltà che derivano dalle difformità territoriali nell’erogazione delle prestazioni sanitarie: ad esempio, 4 intervistati su 5 affermano che il supporto psicologico non è garantito ovunque allo stesso modo; in percentuale simile, si riscontrano disuguaglianze che riguardano la presenza sia di percorsi specifici che di centri specializzati o di una rete di presidi dedicati.

Fra le criticità particolarmente avvertite, anche quella dei costi: quasi 2 su 3 li sostengono per le visite specialistiche private, 1 su 2 per gli esami diagnostici o per acquistare farmaci necessari che il Servizio Sanitario Nazionale non rimborsa. Emerge così, fortemente legato ai costi, anche il fenomeno della rinuncia alle cure, segnalato dal 30% degli intervistati: per 1 su 10 di loro l’abbandono per questi motivi avviene di frequente.

Il XXII Rapporto sulle politiche della cronicità è il risultato di un’indagine effettuata su tutto il territorio nazionale che ha interessato 102 Presidenti delle Associazioni dei malati cronici e rari, nonché 3.500 persone affette da patologia cronica e rara e i loro familiari. (Simona Lancioni)

Leggi il comunicato stampa. Scarica l’abstract e il Rapporto integrale. Scarica le infografiche. Per ulteriori informazioni: Aurora Avenoso (a.avenoso@cittadinanzattiva.it).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Addestramento alla riabilitazione tramite alcuni ostacoli presenti nelle città

È stato inaugurato presso l’Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione Gervasutta di Udine un innovativo percorso di addestramento, pensato per favorire la riabilitazione dei pazienti della struttura, frutto della collaborazione tra i terapisti occupazionali del Gervasutta e il CRIBA FVG (Centro Regionale d’Informazione su Barriere Architettoniche e Accessibilità), dando vita a uno spazio in cui vengono riproposti alcuni ostacoli che caratterizzano le città Lo spazio inaugurato presso il Gervasutta di Udine

Come informano dal CRIBA FVG, il Centro Regionale d’Informazione su Barriere Architettoniche e Accessibilità del Friuli Venezia Giulia, è stato inaugurato nei giorni scorsi, presso l’area verde esterna dell’Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione (IMFR) Gervasutta di Udine, un innovativo percorso di addestramento, pensato per favorire la riabilitazione dei pazienti della struttura, frutto della collaborazione tra i terapisti occupazionali del Gervasutta e il CRIBA FVG stesso, attraverso numerosi momenti di confronto in cui ognuno ha apportato le proprie competenze. «Il tutto – spiegano dal CRIBA FVG – ha portato alla progettazione di uno spazio in cui fossero riproposti alcuni ostacoli che caratterizzano le nostre città. Gli utilizzatori del percorso, infatti, possono testare le proprie capacità di gestione della sedia a ruote o esercitare le proprie competenze nel cammino, superando buche, ostacoli e gradini di varia altezza, percorrendo rampe con tre diverse inclinazioni, tratti di percorso con pendenza trasversale, nonché affrontando diverse tipologie di terreno (sabbia, gomma, ghiaia, cubetti di porfido, lastre di pietra, acciottolato)».

«La multidisciplinarietà che ha caratterizzato la collaborazione – viene sottolineato ancora – emerge dal fatto che il percorso è stato progettato con i parametri di riferimento di test di valutazione in àmbito riabilitativo validati per l’uso della carrozzina (ad esempio Wheelchair Skills Test) e per la deambulazione (ad esempio Walking Index for Spinal Cord Injury), ma anche tenendo in considerazione i riferimenti tecnico-dimensionali stabiliti dalla normativa italiana in tema di eliminazione delle barriere architettoniche e le criticità più diffuse presenti nell’ambiente urbano, ricorrenti nelle analisi del nostro Centro».

La realizzazione è stata presa in carico da parte dei servizi tecnici dell’ASUFC (Azienda Sanitria Universitaria Friuli Centrale) e sviluppata dallo Studio Global Project – Architettura Inclusiva di Pordenone, che ha redatto il progetto esecutivo e ha seguito la direzione dei lavori, resi possibili grazie ad un finanziamento della Banca di Cividale (Gruppo Sparkasse) e da una donazione privata, della famiglia Marzona.
«L’utilizzo del percorso – concludono dal CRIBA FVG -, con l’affiancamento del professionista riabilitatore, garantirà una progressione graduale e programmata delle difficoltà da superare, migliorando endurance e abilità di performance nella locomozione, e permetterà di raggiungere uno degli obiettivi principali della riabilitazione ovvero favorire la piena partecipazione alla vita sociale, lavorativa e scolastica». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: criba@criba-fvg.it.

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Per comprendere appieno un’opera, bisogna vederla al buio e toccarla con le mani!

Tutta all’insegna della multisensorialità e di una piena accessibilità, è stata inaugurata nei giorni scorsi e sarà ora aperta al pubblico fino al mese di maggio del prossimo anno, presso il Museo Tattile Statale Omero di Ancona, la mostra L’ombra vede, centrata sulle sculture e i disegni inediti di Enzo Cucchi, che dichiara: «Per comprendere appieno un’opera, bisogna vederla solo al buio» Enzo Cucchi, “Senza titolo”

«Una grande occasione, soprattutto perché il Maestro ha partecipato attivamente alla realizzazione di questa esperienza intima e sensoriale». «Il percorso scenografico è stato studiato per offrire un’esperienza inclusiva, in linea con la filosofia del Museo Omero, permettendo al pubblico di entrare in contatto con l’arte attraverso il tatto»: lo hanno dichiarato Aldo Grassini e Andrea Socrati, rispettivamente il presidente del Museo Tattile Statale Omero di Ancona e l’ideatore dell’iniziativa, in sede di inaugurazione, all’Auditorium Orfeo Tamburi della Mole Vanvitelliana di Ancona, della mostra L’ombra vede, centrata sulle opere di Enzo Cucchi, presente al vernissage. La mostra stessa sarà ora aperta al pubblico fino al 18 maggio 2025, presso il Museo Omero.

Marcello Smarrelli, storico dell’arte, critico e curatore, ha delineato per l’occasione il profilo umano e artistico di Cucchi, definendolo «un artista straordinariamente fresco e rigoroso, capace di reinventare i simboli della tradizione. In questa mostra, il teschio, spesso associato alla morte, diventa per Cucchi un simbolo di vita. Il lavoro di Cucchi, inoltre, pur radicato nella tradizione, porta con sé una profonda contemporaneità, senza mai perdere di vista il rigore, che è la sua regola principale sia nella vita che nel lavoro».

A illustrare la multisensorialità dell’esposizione, enfatizzando l’importanza dell’accessibilità e della partecipazione sensoriale, è stato il citato Andrea Socrati, mentre è stato lo stesso Enzo Cucchi a sottolineare che «per comprendere appieno un’opera, bisogna vederla solo al buio, perché le cose si conservano all’ombra e al buio e per guardare il mondo si dovrebbe mettere la testa per terra, come le zucche, e le mani sulle cose».
Dal canto suo, Aldo Grassini ha sottolineato che «il piacere estetico è il piacere della scoperta» e che L’ombra vede rappresenta un’occasione unica per entrare in contatto con la vertigine del vuoto e dell’oscurità, per scoprire che in fondo il mondo viene apprezzato con tutti i sensi.

Nel dettaglio dell’esposizione, oltre a ricordare che essa trae ispirazione dal testo inedito di Giovanni Cucchi, padre dell’artista, intitolato Il grano, racconto che celebra la terra e le tradizioni delle Marche, va detto trattarsi di un percorso multisensoriale e scenografico che offre ai visitatori un’esperienza estetica unica e coinvolgente, fatta di 42 opere (4 disegni inediti e 38 sculture realizzate con materiali diversi: bronzo, marmo, ceramica, legno), dislocate in un ambiente suggestivo, con scenografie ispirate alla poetica dell’artista.
Una particolare grotta ospita tre sculture da scoprire al buio, unicamente attraverso le mani. L’aia di campagna diventa luogo di socialità, riflessione e conoscenza, L’atelier dell’artista trasporta nell’ambiente dove nasce la creatività di Cucchi. E infine, uno spazio è dedicato alla creatività del visitatore.
Il professor Marco Moreschi ha curato le scenografie e collaborato all’allestimento, il tutto, come detto, con un’attenzione particolare rivolta all’accessibilità: ogni scultura, infatti, è esplorabile tattilmente e i disegni dell’artista sono stati tradotti a rilievo dal Museo Omero. Il personale, infine, accoglierà sempre il pubblico per garantire un’introduzione all’esperienza e la migliore fruizione di essa. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: redazione@museoomero.it.

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Tra immersioni e turismo: la “Settimana Blu” dell’Associazione Disabili Visivi

Due tipologie di attività, una di immersioni subacquee, nelle acque del Mar Rosso, tra coralli e pesci di ogni tipo e colore, e una prevalentemente turistica, con attività acquatiche di gite ed escursioni marine e/o di terra: è stata questa la “Settimana Blu” di Sharm el-Sheik, tradizionale appuntamento promosso dall’ADV (Associazione Disabili Visivi) In immersione nelle acque del Mar Rosso

Si è conclusa con grande successo la tradizionale Settimana Blu dell’ADV (Associazione Disabili Visivi) dal 9 al 16 novembre scorsi.
Quest’anno il gruppo, costituito da 28 persone tra soci e accompagnatori, è partito con due voli distinti, uno da Roma Fiumicino e uno da Milano Malpensa, raggiungendo l’Egitto nella località di Naama Bay presso Sharm el-Sheik, nella penisola del Sinai.
Le attività previste erano fondamentalmente di due tipologie, una di immersioni subacquee, nelle acque del Mar Rosso, tra coralli e pesci di ogni tipo e colore, e una prevalentemente turistica, con attività acquatiche di gite ed escursioni marine e/o di terra.
Le immersioni sono state rese possibili grazie all’organizzazione dall’Italia di un gruppo di istruttori di subacquea che, coordinati da Salvatore D’Alessandro, titolare del Centro Diving degli Etruschi, hanno contattato un centro diving locale, che ha fornito a noleggio attrezzature, una barca per gli spostamenti e ulteriori guide specializzate per persone con disabilità visiva.

Va a questo punto ricordato che le immersioni per persone con disabilità seguono un regolamento internazionale che prevede la discesa in acqua in tre: una persona con disabilità, nel caso specifico disabilità visiva, un istruttore certificato per attività subacquee per persone con disabilità e un Buddy, ovvero un secondo istruttore a supporto, in caso di eventuali problematiche o necessità.
I sei soci prenotati per la subacquea, erano alcuni brevettati per immersioni di livello Open fino a 18 metri di profondità e alcuni con brevetto Advanced , fino a 30 metri, e hanno effettuato ogni giorno due immersioni di alto livello, impegnative e soddisfacenti, con il privilegio di toccare, laddove possibile, coralli e pesci tropicali e, per alcune persone ipovedenti, la fortuna di intravedere pesci di notevole dimensione da distanza ravvicinata; in una delle immersioni hanno perfino esplorato dei relitti.

Foto di gruppo per alcuni partecipanti alla “Settimana Blu” dell’ADV

E tuttavia l’altra metà del gruppo non si è certo annoiata! A parte infatti il beneficio di stare sdraiati al sole e vivere in spiaggia nel mese di novembre, ci si è organizzati con gite, nuotate, escursioni in barca per snorkeling, circumnavigando la Penisola del Sinai, persino facendo attività di parasailing, ovvero sorvolare il mare con paracadute, in massima sicurezza con imbracatura collegata ad un motoscafo, e l’ultimo giorno tutti nel deserto con i quad!

Le escursioni sono state rese possibili dal prezioso contributo di Alessandro Savi e Cristina Sestito, amici dell’ADV arrivati dall’Italia, che hanno preso tutti i contatti con gli organizzatori locali delle escursioni stesse e grazie al grande supporto e alla disponibilità del personale del Resort Promenade, sia di spiaggia, che dei servizi interni. E ovviamente, all’ottima riuscita ha contribuito la voglia di divertirsi e di stare bene, il bel mare caldo, il clima mite, il buon cibo e le possibilità di passeggiate serali, anche fuori del resort, dato che Naama Bay è una zona ricca di attrazioni turistiche internazionali, con possibilità di intrattenimenti, shopping e divertimento, anche serale e notturno.
Certo, se si pensa che a poche ore di automobile vi è in atto una guerra terribile, passano tutti gli entusiasmi, ma Sharm è così.

Grazie, in conclusione, al lavoro di organizzazione dei mesi precedenti a cura della Segreteria dell’ADV, del direttore Laura Nardone, grazie all’entusiasmo dei soci, alla bravura e all’organizzazione e alla pazienza e preparazione degli istruttori di subacquea, Salvatore D’Alessandro, i suoi collaboratori e la socia Martina Saccomani, biologa marina, nonché del Centro Diving degli Etruschi. E un grazie caloroso a Cristina Sestito e Alessandro Savi che hanno curato nei minimi dettagli le esigenze del gruppo tra logistica e attività turistiche!

*Presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

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Un Calcio Balilla Special donato all’Unità Spinale di Niguarda

La Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla (FPICB) ha donato all’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda di Milano un Calcio Balilla Special, tipologia di biliardino adatta anche a chi si muove in carrozzina, utile anche in fase di riabilitazione, oltreché, naturalmente, da un punto di vista ludico Foto di gruppo per la donazione della Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla (FPICB) all’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda di Milano

È stato un bel dono di Natale quello consegnato dalla Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla (FPICB) all’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda di Milano, diretta da Michele Spinelli. Si tratta infatti di un Calcio Balilla Special, tipologia di biliardino adatta anche a chi si muove in carrozzina, «un dono – sottolineano dalla FPICB – destinato a rendere la degenza dei pazienti più leggera e serena, un gesto che acquisisce ancora più significato se pensiamo alle feste ormai alle porte, periodo in cui la socialità e la compagnia arrivano a ricoprire un ruolo quasi terapeutico».
«Ma questo modello di biliardino – ricorda Francesco Mondini, presidente dell’Associazione AUSportiva, che da tempo collabora con l’Unità Spinale del Niguarda – non avrà solo una finalità ludica, aspetto già di per sé fondamentale a livello psicologico. Si tratta infatti di un supporto importante anche in fase di riabilitazione, se è vero che il calcio balilla rappresenta una pratica sportiva che può avere effetti benèfici dal punto di vista fisico, ed è quindi particolarmente adatta ai pazienti di questo reparto, essendo in grado di migliorare il coordinamento dei movimenti oculari e delle mani, senza contare lo sviluppo dei riflessi».

«Lo sport paralimpico è salute – commenta Francesco Bonanno, presidente della FPICB – e divulgare questa sana abitudine partendo proprio dai centri di riabilitazione è il fulcro della nostra mission. Non a caso collaboriamo da anni con le Unità Spinali, crediamo sia questo il giusto modo di mettersi in gioco».

Da ricordare, in conclusione, che la donazione è stata il frutto di una proficua rete di sostenitori e sponsor che l’hanno reso possibile, vale a dire Studio 3 A, Handitech, Roberto Sport, Mobility Care e Off Carr Autonomy. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fpicb.it.

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“La nostra Divina Commedy”: nuovi orizzonti di senso per esistenze recuperate

Nato dal progetto pilota In.di.c.a. (Interventi DIretti alle Cerebrolesioni Acquisite), promosso dalla Cooperativa toscana Nomos insieme ad ATRACTO (Associazione Traumi Cranici Toscani), lo spettacolo teatrale La nostra Divina Commedy – Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto, che andrà in scena il 18 dicembre a Roma, nella Sala Monumentale di Palazzo Chigi, è interpretato da attori con cerebrolesioni e non, caratterizzandosi come la storia di un viaggio di amicizia, recupero e rinascita Una delle persone coinvolte nel progetto pilota “In.di.c.a.” (Interventi DIretti alle Cerebrolesioni Acquisite), culminato nello spettacolo teatrale “La nostra Divina Commedy – Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto”

La Divina Commedia interpretata da attori con cerebrolesioni e non, che diventa la storia di un viaggio di amicizia, recupero e rinascita: è questo lo spettacolo teatrale La nostra Divina Commedy – Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto, scritto e diretto da Silvano Alpini, che andrà in scena nel pomeriggio del 18 dicembre a Roma, nella Sala Monumentale di Palazzo Chigi (ore 16), potendo contare, tra il pubblico, anche sulla presenza della ministra per le Disabilità Locatelli e di alcuni Sottosegretari del Governo.

Lo spettacolo nasce dal progetto pilota In.di.c.a. (Interventi DIretti alle Cerebrolesioni Acquisite), promosso dalla Cooperativa toscana Nomos insieme ad ATRACTO (Associazione Traumi Cranici Toscani), con il sostegno della Fondazione CR Firenze, il tutto segnatamente con l’obiettivo di promuovere e tutelare i diritti delle persone con disabilità derivanti da grave danno cerebrale. In tal senso, prendendo spunto dal metodo usato da Nomos per gli Atelier Alzheimer, sono stati creati due Atelier di Terapie Occupazionali, uno a Grosseto e l’altro a San Giovanni Valdarno (Arezzo), che hanno dato vita a un’esperienza di integrazione e recupero, attraverso lo strumento del teatro, arrivando a questo spettacolo, messo a punto in collaborazione con l’Associazione Culturale Masaccio.

«Il teatro – sottolinea Gaia Guidotti, vicepresidente di Nomos -, potente strumento di espressione e inclusione, è stato il luogo dove si è dato vita a un processo di creatività e amicizia capace di ridare un nuovo significato all’esistenza e una nuova direzione a chi ha visto la propria esistenza interrotta da una grave evento traumatico, ma che ora sta ricostruendo la propria vita attraverso il recupero del movimento, della parola e della relazione. La nostra Divina Commedy non è solo una performance artistica, ma un segno concreto di inclusione sociale, costruzione di nuovi orizzonti di senso di esistenze interrotte e poi recuperate».

In conclusione, una doverosa citazione per tutti coloro che il 18 ottobre saliranno sul palco, ossia Stefania D’Amico, Alessia Centi, Leonardo Crulli, Lorenzo Giusti, Daniele Giuliani, Daniela Gori, Stefano Grazi, Laura Gullo, Laura Meucci, Simona Rotundo, Barbara Massini, Giulia Mazzuoli, Selene Cannelli, Catia Pacifici, Maicol Mazzi Tonini, Lucia Guazzi e Sara Goiorani. (S.B.)

Per ulteriori informazioni: nomos@gallitorrini.com.

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La FISH trent’anni dopo: un nuovo nome per un impegno rinnovato

In questo 2024 la Federazione FISH ha celebrato i suoi primi trent’anni, coincidenti con il ventennale di Superando, di cui la stessa FISH è l’editrice, e tali traguardi sono stati celebrati in una tre giorni di eventi, culminata in un incontro alla Camera dei Deputati con rappresentanti del Governo e delle principali forze politiche. Ma non solo: per l’occasione, infatti, è stato annunciato anche che la FISH resta naturalmente FISH, ma da Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap diventa ufficialmente Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie Un’immagine dell’incontro alla Camera dei Deputati che ha avuto per protagonista la Federazione FISH

«All’inizio di luglio 1994 è stata formalmente costituita la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), nuova realtà che aggrega una trentina di Associazioni a livello nazionale e regionale, che a fine agosto ha iniziato a far sentire il peso delle proprie proposte nel periodo più caldo della Legge Finanziaria per il 1995. La nuova Federazione si è presentata all’opinione pubblica e alle forze politiche con un atteggiamento soprattutto propositivo, come ben testimoniato dalla mozione generale approvata dall’Assemblea Costituente, ove si scrive che la FISH agirà per l’approvazione di leggi che: “Diano ulteriore impulso alla ricerca scientifica e sviluppino una più efficace prevenzione delle malattie, degli incidenti e degli infortuni; introducano nuovi criteri per l’accertamento dell’invalidità civile, fondati sulle potenzialità e capacità e non più sulle percentuali di invalidità; colmino le carenze della legge-quadro sull’handicap per garantire una migliore qualità dell’integrazione scolastica a tutti i livelli; perseguano il collocamento obbligatorio su progetti che tengano espressamente conto della capacità e delle potenzialità dei disabili; affrontino concretamente il problema della vita nel proprio ambiente delle persone non autosufficienti e pluriminorate per quando verranno meno i familiari, al fine di evitare l’abbandono in istituti; riformino i princìpi dell’assistenza e dei servizi sociali”».
Questo scrivevamo trent’anni fa in «DM», testata della UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), al sorgere della nuova Federazione FISH. Questo 2024, quindi, ha coinciso con un importante anniversario, il trentennale appunto, corrispondendo casualmente, come abbiamo ampiamente riferito nei giorni scorsi, anche con il ventennale di Superando di cui la FISH è l’editrice.

Questi traguardi sono stati celebrati in una tre giorni di eventi (di quello riguardante il nostro giornale avremo modo di scrivere in altra parte del giornale), culminata in un incontro alla Camera dei Deputati con rappresentanti del Governo e delle principali forze politiche.
Per l’occasione, gli esponenti della FISH hanno tracciato un bilancio del cammino percorso, sottolineando l’importanza del dialogo istituzionale e della cooperazione tra associazioni, cittadini e politica per costruire una società maggiormente inclusiva. Dal canto loro, le forze politiche presenti hanno riconosciuto il ruolo essenziale di FISH nel promuovere l’attuazione delle normative e nel sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della disabilità.

Ma non solo: al tempo stesso, infatti, è stato annunciato anche che la FISH resta naturalmente FISH, ma da Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap diventa ufficialmente, sin da oggi, Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie. «Un cambiamento – è stato sottolineato – che riflette l’evoluzione della nostra organizzazione e la centralità del legame con le famiglie delle persone con disabilità, testimoniando un impegno sempre più ampio e articolato per il riconoscimento di diritti per tutti e tutte».

«Questo anniversario – commenta Vincenzo Falabella, presidente della Federazione – non è solo un punto di arrivo, ma un punto di ripartenza. Abbiamo la responsabilità di continuare a lottare per una società che non lasci nessuno indietro, rinnovando il nostro impegno a fianco delle persone con disabilità e delle loro famiglie». (Stefano Borgato)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@fishonlus.it.

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Il cammino che ci ha indicato Franco Bomprezzi

«Uno scatto d’orgoglio, di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo»: era il 18 novembre 2014 e a chiederlo in Superando fu Franco Bomprezzi, nostro direttore responsabile, uno dei primi giornalisti con disabilità del nostro Paese, figura fondamentale per la diffusione di una nuova cultura sulla disabilità, che avremmo perso esattamente un mese dopo il 18 dicembre. Dieci anni dopo, ossia domani, 18 dicembre, la Federazione LEDHA e la UILDM ricorderanno Bomprezzi con un incontro che costituirà un approfondito momento di riflessione e di analisi Franco Bomprezzi (1952-2014)

«Mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, prepolitico, semplicemente di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo»: era il 18 novembre 2014 e a scriverlo fu il nostro direttore responsabile Franco Bomprezzi, uno dei primi giornalisti con disabilità del nostro Paese, figura fondamentale per la diffusione di una nuova cultura sulla disabilità, ma anche un caro amico personale di chi scrive, che avremmo perso esattamente un mese dopo il 18 dicembre.
Quel testo, intitolato Uno scatto d’orgoglio, per riprendere il cammino, lo riprendiamo integralmente in calce, lasciando che siano i Lettori e le Lettrici a giudicare se i contenuti di esso possano ancora ritenersi attuali.

Noi non possiamo fare altro che ringraziare una volta ancora Franco, per avere incrociato le nostre vite, e ringraziare anche la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), per avere voluto organizzare un incontro per il pomeriggio del 18 dicembre a Milano, presso la Casa dei Diritti del Comune (Via De Amicis, 10), a dieci anni esatti dalla morte di Franco, un incontro per ricordarlo degnamente, attraverso un momento di riflessione e analisi.
«Con questo evento – dicono i promotori dell’iniziativa – vogliamo celebrare la vita e il pensiero di Franco Bomprezzi, Maestro per tante persone che oggi sono impegnate per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, ma non solo. Un evento che vuole soprattutto essere un’occasione per una profonda rielaborazione del pensiero e della visione di Franco Bomprezzi che, a dieci anni dalla sua scomparsa, sono ancora attuali in un contesto sociale in cui i diritti delle persone con disabilità sono ancora troppo spesso calpestati».

Durante l’incontro, dunque, verranno presentati tre progetti, finanziati dalla Fondazione Cariplo, che sono stati pensati e realizzati con l’obiettivo di conservare e tramandare il pensiero e il lavoro di Franco Bomprezzi come giornalista e come leader associativo impegnato per la tutela dei diritti delle persone con disabilità.
La serie podcast Il Cavaliere a rotelle, scritta da Ilaria Sesana e prodotta da Intrecci Media, ripercorrerà quindi in tre puntate la vita personale e professionale di Bomprezzi, mentre il video Frammenti imperfetti, realizzato dal regista Enzo Berardi e dallo storico Matteo Schianchi, documenta un incontro avvenuto nel 2012 tra Franco e un gruppo di giovani sui temi della comunicazione della disabilità.
E ancora, il progetto Archivio Bomprezzi, che raccoglie buona parte della sua produzione giornalistica, dagli esordi come cronista a Padova, fino alla sua morte, e permette di creare quelle “piste narrative” che ancora oggi vengono utilizzare per descrivere e raccontare la disabilità.
Da segnalare, infine, che nei mesi scorsi la LEDHA ha presentato richiesta al Comune di Milano di dedicare una via o una piazza a Franco Bomprezzi, il cui nome è stato inserito nell’elenco delle personalità meritevoli di un’intitolazione di tipo toponomastico.

Prima dunque di concludere riprendendo quel testo del 2014 di Franco, come detto inizialmente, torniamo a ringraziare la LEDHA e la UILDM per l’iniziativa e anche per l’esauriente nota biografica, cui pure diamo spazio, ricordando infine che l’incontro del 18 dicembre (a questo link il programma completo), per il quale è prevista la sottotitolazione, potrà essere seguito in streaming nel canale YouTube di «Persone con disabilità.it». (Stefano Borgato)

Franco Bomprezzi (1952-2014)
Giornalista e scrittore, classe 1952. Franco Bomprezzi, affetto da osteogenesi imperfetta, ha vissuto e lavorato in sedia a rotelle. Ha collaborato con «Il Resto del Carlino», è stato caporedattore presso «il mattino di Padova» e presso l’Agenzia AGR di Milano.
Nel 1983 ha assunto la direzione di «DM», la rivista della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Associazione di cui è stato presidente tra il 1998 e il 2001.
All’inizio degli Anni Duemila ha fondato e diretto prima il sito d’informazione SuperAbile e poi è stato direttore responsabile della testata «Superando», edita dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
È stato portavoce e presidente (dal 2013) della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH) e per anni anche responsabile della comunicazione sociale per il Comitato Telethon.
Nel 2005 gli venne assegnato l’Ambrogino d’Oro, massimo riconoscimento del Comune di Milano e nel 2007 l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo nominò Cavaliere della Repubblica.

Uno scatto d’orgoglio per riprendere il cammino
di Franco Bomprezzi (Superando, 18 novembre 2014)
In qualche modo bisogna reagire. Non riesco, in queste settimane di maggiore presenza a casa, nella mia lunga e non semplice convalescenza, ad accettare il livello sistematicamente distruttivo di qualsiasi programma televisivo che cerchi di raccontare e affrontare i tanti guai del nostro Paese.
I disastri ambientali, le periferie urlanti, le tensioni in piazza, le sceneggiate nelle aule parlamentari, tutto un minestrone indistinto che contribuisce ad alimentare un disagio, una nausea, un rifiuto del presente e del futuro, in una parola, l’eclissi della speranza.
Raramente vedo analogo impegno mediatico a cercare chi possa raccontare soluzioni praticabili, anche tecnicamente, per affrontare correttamente uno qualsiasi di questi problemi. Eppure le competenze esistono, dalle università alla rete delle associazioni, dai tecnici onesti (che pure ci sono) ai divulgatori non faziosi. Anche all’interno della politica è evidente che vengono interpellate quasi sempre le persone più aduse alla polemica, all’invettiva, allo sfascio. Il quadro che ne esce è desolante e sicuramente contribuisce a quel degrado della coesione sociale che è un pericolo tremendo per chiunque, da sempre, si batte riformisticamente e banalmente nel tentativo di fare la propria parte per risolvere un pezzetto alla volta.
Penso a Milano, squassata dalle acque di Seveso e Lambro, penso a quanto contemporaneamente si stia cercando di fare per migliorare complessivamente l’accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità o degli anziani. E mi rendo conto che le ripetute esondazioni, con i danni alle linee della metropolitana, con i disagi improvvisi e pesanti, diano la sensazione che tutto sia inutile, che non ci sia niente da fare.
Ci scopriamo tutti ignoranti rispetto alle scelte di intervento idrogeologico che dovrebbero essere fatte, rispetto ai tempi, ai finanziamenti, alle soluzioni a breve termine. Eppure non possiamo permetterci il lusso di buttare tutto via, assieme all’acqua sporca.
Mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, prepolitico, semplicemente di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo.
Non è possibile, ragionevolmente, che questo Paese sia completamente a pezzi e soprattutto che la catastrofe stia avvenendo qui e adesso, negli ultimi mesi. Una mancanza siderale di memoria, un ripetuto e cinico tentativo di buttare tutto “in caciara”, sperando che alla fine crolli questo sistema, ma non sapendo minimamente chi e come potrebbe davvero ricostruire un futuro civile e democratico.
Per certi versi sento crescere il desiderio di maniere forti, di scelte autoritarie, di plebisciti che facciano piazza pulita di tutto e di tutti. Come persone impegnate nella comunicazione, nell’informazione di servizio, nel racconto del welfare che cambia, non possiamo chiamarci fuori e lasciare che questo scempio continui indisturbato.
A 62 anni voglio continuare a sperare, a vivere, a lottare per fare meglio. E sono certo di non essere il solo.

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In materia di disabilità gli esperti e le esperte sono le stesse persone con disabilità

Affrontare il tema dell’auto-rappresentanza delle persone con disabilità, significa arrivare a concludere che anche se avessimo dieci lauree e un curriculum da far paura, una persona con disabilità sa di se stessa ciò che nessun’altra fonte potrà mai raccontarci, e se non glielo chiediamo direttamente, non saremmo mai in grado di dire come vuole vivere la sua vita e cosa è importante per lei Adolf D. Ratzka (1943-2024), figura di particolare importanza del movimento per la Vita Indipendente delle persone con disabilità in Europa

Tra i principali riferimenti normativi e applicativi in materia di partecipazione e di auto-rappresentanza delle persone con disabilità c’è l’articolo 4 (Obblighi generali) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Il comma 3 di esso recita: «Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative».
Vi è poi l’articolo 33 (Applicazione a livello nazionale e monitoraggio) che al comma 3 prevede che le persone con disabilità siano coinvolte anche nel processo di monitoraggio della Convenzione stessa.
Infine c’è il Commento Generale n. 7, testo elaborato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel 2018, che è specificamente centrato sul tema della partecipazione delle persone con disabilità. È bene specificare che i Commenti Generali non sono norme, ma servono ad applicare correttamente le disposizioni normative a cui si riferiscono fornendo, a tale scopo, precise indicazioni operative.

La Convenzione ONU riconosce la partecipazione delle persone con disabilità simultaneamente come obbligo generale e questione trasversale, e presta attenzione anche all’adeguato coinvolgimento dei minori e delle donne. Il motto Niente di Noi senza di Noi sintetizza efficacemente la filosofia e la storia del movimento per i diritti delle persone con disabilità, che si basa proprio sul principio della loro significativa partecipazione. Il concetto di partecipazione è strettamente legato ad altri due concetti: quello di autorevolezza, che consiste nel riconoscere il valore e l’affidabilità dei pensieri elaborati ed espressi dalle persone con disabilità in merito alla loro condizione, e quello, già citato, di auto-rappresentanza, ossia il riconoscere alle persone con disabilità la capacità di rappresentare sé stesse e le proprie istanze nei diversi contesti.

La questione dell’auto-rappresentanza delle persone con disabilità iniziò ad essere affrontata negli Stati Uniti d’America, all’Università di Berkeley, in California, già negli Anni Sessanta, con la nascita del movimento per la Vita Indipendente delle persone con disabilità.
In Europa la diffusione di questa filosofia si deve all’intraprendenza di Adolf D. Ratzka (1943-2024), medico e fondatore dell’Istituto per la Vita Indipendente di Stoccolma (Svezia), scomparso lo scorso luglio. In un celebre intervento in cui propone una definizione del concetto di Vita Indipendente, Ratzka prende le distanze dal modello medico di disabilità che considera la stessa disabilità un problema dell’individuo e «usa etichette diagnostiche che tendono a dividere le persone disabili in molti diversi gruppi». Dunque si chiede: «Come possiamo migliorare la nostra situazione?» Questi sono alcuni passaggi della sua articolata risposta: «Dobbiamo spezzare il monopolio dei professionisti non disabili che parlano a nome nostro, definire i nostri problemi e suggerire le soluzioni per le nostre necessità. Dobbiamo costruire organizzazioni efficaci che rappresentino il punto di vista delle stesse persone disabili. I governi debbono riconoscere le nostre organizzazioni come partner nella definizione delle politiche sulla disabilità. […] Ma una cosa deve essere molto chiara: siamo noi gli esperti. […] Nella lotta per i nostri diritti possiamo essere più efficaci quando ci aiutiamo a vicenda a cambiare i nostri atteggiamenti verso noi stessi. Vedere te stesso come una persona profondamente normale [profoundly ordinary person, N.d.R.] è difficile quando ti è sempre stato detto che sei diverso, che non puoi fare questo e non puoi fare quello. In questa lotta abbiamo bisogno di parlare con qualcuno con cui possiamo identificarci, con persone che si trovano in una situazione simile. Lo chiamiamo supporto tra pari. Supporto tra pari significa condividere i frutti della propria esperienza». (Adolf D. Ratzka, La Vita indipendente e le nostre organizzazioni: una definizione, intervento esposto alla conferenza Our Common World, organizzata da Disability Rights Advocates Hungary a Siofok, Ungheria, il 9-11 maggio 1997, testo pubblicato sul sito dell’Independent Living Institute).

Il problema che si pone è quello di riconoscere l’autorevolezza delle persone con disabilità, un tema che, come abbiamo visto, riguarda le stesse persone con disabilità, ma anche tutte le altre persone.
Più o meno tutte le persone con disabilità si scontrano con la difficoltà di non vedere riconosciuta la propria autorevolezza, ma quelle con disabilità psicosociale la sperimentano in misura molto maggiore a causa degli stereotipi e dei pregiudizi riguardo a questo specifico tipo di disabilità. Stereotipi e pregiudizi che spesso sono condivisi anche dalle altre persone con disabilità.
Ratzka parlava, giustamente, del monopolio dei professionisti, e chi opera nell’àmbito della cosiddetta “salute mentale” sa benissimo quanto questo monopolio sia ancora granitico, ma la questione è che davanti a una persona con disabilità psicosociale può accadere (e accade di frequente) che non solo i professionisti, ma chiunque possa arrivare a ritenersi più autorevole e competente della persona stessa, e prendersi l’arbitrio di sostituirsi e decidere per lei anche sulle scelte che riguardano la sua vita (ad esempio, sulla scelta relativa a dove, come e con chi vivere). Ciò può accadere nei rapporti con le istituzioni, nei servizi sanitari/sociali, in àmbito giuridico (anche, ma non solo, attraverso gli istituti di tutela giuridica), nelle stesse Associazioni/Organizzazioni di persone con disabilità, in famiglia o in altri contesti.

I principali riferimenti normativi e applicativi in materia di partecipazione/auto-rappresentanza delle persone con disabilità, che ho citato inizialmente, sono molto importanti ed è essenziale conoscerli. Ma è fondamentale comprendere anche che essi non hanno il potere di incidere in modo profondo sulle condotte individuali, perché in realtà ciò che orienta le nostre condotte sono le nostre convinzioni. Questo vuol dire che se siamo intimamente convinti che le persone con disabilità non siano sufficientemente autorevoli per prendere decisioni, tenderemmo a sostituirci a loro qualunque cosa dica la legge. E mentre lo facciamo ci racconteremmo che lo facciamo per il loro bene, che le persone disabili quelle decisioni non sarebbero comunque in grado di prenderle, che sarebbe tempo sprecato provare a coinvolgerle. Davanti a queste argomentazioni non possiamo nemmeno confidare sull’argine degli scrupoli di coscienza, perché chi pensa queste cose è mosso/a dalla convinzione di essere nel giusto, dunque non ritiene di doversi censurare. Ma la verità è che se l’oggetto della scelta sono le prerogative di vita di una persona con disabilità – e intendo disabilità di qualunque tipo e gravità –, il soggetto più autorevole è la stessa persona disabile e non noi. Ci vuole una grande onestà intellettuale e una giusta dose di umiltà per ammetterlo. Ritengo infatti che, se anche applicassimo alla lettera le norme giuridiche, ma non cambiassimo le nostre più intime convinzioni sull’autorevolezza delle persone con disabilità, non potremmo dire di aver costruito una società inclusiva. In una società inclusiva lo stile relazionale è la cooperazione, il “fare con”, mentre le nostre società si basano sulla competizione, e la competizione produce gerarchie tra esseri umani che si concretizzano nel “fare per” qualcuno/a. Se non prestiamo attenzione agli stili relazionali non riusciremo a modificare questi aspetti. È la stessa Convenzione ONU a dirci che la disabilità ha una matrice relazionale. La disabilità è relazione. Le cifre di una società inclusiva sono il riconoscimento e la solidarietà reciproca tra esseri umani che, pur svolgendo ruoli diversi, si pongono sullo stesso piano. Ciò equivale a dire: io ti riconosco e ti rispetto, non perché lo dice la legge (o, almeno, non solo per questo), non per farti un favore, e neppure perché sono buono/a, ma perché intimamente sento che sei un essere umano esattamente come me, e che abbiamo gli stessi diritti e la stessa dignità.

Lavorare per la diffusione di una cultura giuridica è fondamentale, ma non dobbiamo cadere nell’inganno che sia questo il solo piano su cui agire. Infatti chiunque può aderire a una legge solo su un piano formale, limitandosi a fare lo stretto necessario per non incorrere in sanzioni. Pertanto, se vogliamo essere davvero efficaci, è necessario lavorare anche ad altri livelli, su piani in qualche modo più “personali”, interrogandoci sugli stili relazionali, illuminando e divenendo consapevoli delle nostre più intime convinzioni riguardo alla disabilità, e abbandonando quelle infondate.
Questo lavoro ci deve portare a concludere che anche se avessimo dieci lauree e un curriculum da far paura, una persona con disabilità sa di se stessa ciò che nessun’altra fonte potrà mai raccontarci, e se non glielo chiediamo direttamente non saremo mai in grado di dire come vuole vivere la sua vita e cosa è importante per lei. Queste considerazioni non sono finalizzate a disconoscere il valore delle competenze professionali, mirano piuttosto di circoscriverne l’àmbito e le modalità di applicazione, perché, come purtroppo ancora accade, non possano più tradursi in arbitrio e tirannia sulle vite altrui.
È fondamentale che questi concetti siano recepiti a partire dal livello individuale perché solo così saremmo anche in grado di dare la giusta impronta alle relazioni professionali di chi lavora nei servizi che riguardano le persone con disabilità, alle nostre relazioni familiari e amicali, alle nostre Associazioni/Organizzazioni e alle rivendicazioni politiche che portiamo avanti attraverso esse, agli atti giuridici, amministrativi o d’altro tipo che, si spera, recepiranno tali istanze.
Non possiamo chiedere alla società e alle Istituzioni ciò che noi per primi/e non siamo disponibili a fare: riconoscere l’autorevolezza delle persone con qualsiasi tipo di disabilità e promuoverne l’auto-rappresentanza. Parafrasando Ratzka, deve essere inequivocabilmente chiaro che in materia di disabilità gli esperti e le esperte sono le stesse persone con disabilità.

*Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). Il presente testo, già apparso nel sito di Informare un’h e qui ripreso con minimi riadattamenti al diverso contenitore per gentile concessione, coincide con quello dell’intervento pronunciato in occasione del settimo congresso annuale dell’Associazione Diritti alla Follia, Milano 14-15 dicembre 2024.

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Le persone con disabilità e l’uguale riconoscimento davanti alla legge

Per il pieno rispetto dell’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che prescrive l’uguale riconoscimento davanti alla legge, si deve effettivamente creare un sistema in cui la persona con disabilità sia realmente libera di autodeterminarsi. Nel presente approfondimento vediamo perché e soprattutto come si dovrebbe agire

L’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità riafferma il diritto delle persone con disabilità all’uguale riconoscimento davanti alla legge, ciò che era già stato espresso da precedenti strumenti internazionali in àmbito di diritti umani, ai quali la Convenzione non deroga, ma semplicemente esplicita le azioni specifiche che gli Stati devono mettere in atto per garantire alle persone con disabilità questo diritto umano.

Il diritto all’uguale riconoscimento davanti alla legge è inerente alla dignità di ogni essere umano ed è collegato al principio di non discriminazione. Questo diritto non accetta restrizioni sulla base della disabilità, neppure in situazioni di emergenza. Esso si sostanzia nel fatto di essere titolari di diritti e doveri (“capacità giuridica” o Legal Standing) e nel potere di istituire, modificare e sciogliere rapporti giuridici, ovvero nella possibilità di agire concretamente, con azioni legalmente valide, in relazione ai propri desideri e alle proprie volontà.
Il riconoscimento di tale diritto e l’effettiva possibilità di esercitarlo sono strettamente interconnessi con il godimento reale degli altri diritti umani. Ad esempio, il diritto alla Legal Capacity è essenziale per il diritto alla vita indipendente, quello di far parte, in modo attivo, della società in cui si vive, il diritto alla famiglia, quello di esprimere il consenso ai trattamenti medici, e il diritto di voto. Nessuno di questi diritti è garantito se non lo è quello di essere riconosciuti come soggetto giuridico con capacità d’agire. Senza tale riconoscimento, infatti, una persona non può sposarsi, non può comprare una casa, non può determinarsi e dare vita a rapporti giuridici né difendere i propri interessi in tribunale.

Come notato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nel suo primo Commento Generale, molti degli Stati Parte della Convenzione, basandosi sulla valutazione delle capacità nella presa delle decisioni o Mental Capacity, concetto discriminatorio e controverso, non riconoscono alle persone con disabilità, soprattutto nel caso in cui sia presente una compromissione intellettiva o cognitiva, la capacità d’agire, mettendo in atto meccanismi di sostituzione nella presa delle decisioni che impediscono alla persona stessa di esprimere ed attuare i propri desideri.
Anche l’EDF, il Forum Europeo della Disabilità, nel suo recente rapporto Legal Capacity: Personal choice and control, ha evidenziato come nessuno dei 27 Paesi dell’Unione Europea abbia provveduto a realizzare quanto richiesto dalla Convenzione ONU, mantenendo ancora in essere istituti giuridici per i quali le persone con disabilità non possono decidere per se stesse, ma sono sostituite nella presa delle decisioni sulla loro vita da rappresentanti che agiscono secondo il principio del «miglior interesse della persona rappresentata». La reale attuazione del diritto delle persone con disabilità all’uguale riconoscimento davanti alla legge impone invece agli Stati Membri di assicurare loro l’utilizzo di meccanismi di supporto nella presa delle loro decisioni, decisioni a cui deve essere riconosciuto effettivo valore legale.
Il succitato articolo 12 della Convenzione, così come chiarito dal già menzionato Comitato ONU, stabilisce che tali supporti e sostegni nella formulazione delle decisioni debbano essere strutturati in modo tale da garantire il rispetto delle volontà e dei desideri della persona che ne usufruisce. Ulteriormente, prevede che i sostegni forniti siano di vario tipo: possono essere costituiti, per esempio, dal supporto di una o più persone fidate della persona con disabilità, dal supporto alla pari o assistenza alla comunicazione, dalla possibilità di pianificare le proprie decisioni, in vista di un futuro in cui non le si potrà più esprimere, potendo anche stabilire quando tale piano debba entrare in vigore.

Secondo quanto espresso dalla Convenzione ONU, quindi, è necessario un cambio completo di paradigma che si basi sulla capacità d’agire universale, riconoscendo la non correttezza della distinzione tra persone “incapaci” e capaci di effettuare scelte riguardo a se stesse e ai propri interessi, perché ciascun essere umano ha diritto alle proprie scelte. Gli Stati devono di conseguenza realizzare un sistema che permetta alla persona di autodeterminarsi, ricevendo un livello di supporto adatto per le sue volontà e necessità, e che allo stesso tempo la tuteli e la protegga da abusi, discriminazioni e indebite influenze. In questo senso, è necessario che, nelle circostanze in cui non sia possibile determinare la volontà della persona con disabilità, il principio guida del «migliore interesse della persona» sia sostituito dal «principio della migliore interpretazione della volontà e delle preferenze dell’individuo supportato». Sempre a scopo di tutela, la Convenzione richiede che sia previsto un meccanismo di controllo imparziale sul rispetto effettivo della volontà della persona con disabilità da parte di colui che l’assiste nella presa delle decisioni, e che la persona beneficiaria possa decidere in qualunque momento, e in autonomia, di interrompere il sostegno.

Per attuare il diritto all’uguale riconoscimento dinanzi alla legge è necessario, per di più, che l’accesso agli strumenti di supporto alle decisioni sia volontario, che il godimento di esso non costi nulla alla persona che ne beneficia, che non sia negato per ragioni economiche, e che sia stabilito per legge che l’uso di sostegno nella presa delle decisioni non sia fonte di limiti nell’esercizio di altri diritti e delle libertà fondamentali.

In Italia, abbiamo tre istituti di protezione giuridica indirizzati, secondo le norme, a coloro che si trovano in una situazione di “infermità mentale”, “incapacità attenuata” o “impossibilità di provvedere ai propri interessi”. Ognuno di questi tre meccanismi giuridici, ovvero: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno, si sostituisce, a gradi differenti, alla persona che ne è destinataria nella presa delle decisioni. Anche l’amministratore di sostegno, sebbene introdotto nel 2004 [Legge 6/04, N.d.R.] con la ratio di creare uno strumento di sostegno alle decisioni in àmbiti indicati caso per caso dal giudice, rivolto a persone “impossibilitate a curare i propri interessi”, ma considerate capaci di intendere e di volere, da un punto di vista giuridico si è tradotto molto spesso in una reale sostituzione della persona nella formulazione delle scelte sulla sua vita. Ciò è dovuto a una mancata formazione dei professionisti del mondo giuridico sulle modalità comunicative accessibili, e anche a un vuoto normativo riguardante i modi in cui la persona destinataria dell’amministrazione di sostegno possa comunicare all’amministratore le proprie volontà. Inoltre, così come succede anche nella maggior parte dei Paesi europei, anche nel nostro ordinamento è previsto che il rappresentante della persona segua il “principio del migliore interesse” e non quello che richiede di rispettare il più possibile le volontà del rappresentato. Va infine sottolineato che frequentemente i costi dell’amministrazione e della verifica specializzata di tali attività d’amministrazione sono posti a carico della persona beneficiaria dell’istituto di protezione giuridica.

Si deve quindi modificare il sistema attuale, modifica raccomandata, tra l’altro, al nostro Paese dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Si dovrebbe cioè creare un sistema in cui la persona con disabilità sia libera di autodeterminarsi, potendo mettere per iscritto e “in anticipo” le proprie volontà, desideri e preferenze, e in cui i professionisti e coloro che assumono l’incarico non si sostituiscano alla persona, ma la sostengano e la aiutino nelle sue scelte. Questi dovrebbero essere adeguatamente formati e vincolati nelle proprie funzioni di supporto dal principio della migliore interpretazione delle volontà e delle preferenze della persona. Solo così si potrà realmente implementare il modello della disabilità espresso nella Convenzione che, a differenza di quello medico, riconosce alla persona con disabilità diritti e doveri su un piano di uguaglianza con gli altri e vede la disabilità come condizione derivante da un ambiente pieno di barriere culturali, fisiche, sensoriali e comunicative.

Una persona senza la possibilità di autodeterminarsi davanti e per la legge non avrà mai il controllo sulla propria vita e non potrà mai essere un componente attivo della propria comunità. In aggiunta, proprio perché i diritti umani sono collegati tra di loro a doppio filo e la violazione di uno di essi è fonte del diniego degli altri, si devono garantire tutte le altre previsioni della Convenzione ONU, assicurando, per esempio, che gli istituti e le procedure finanziarie siano accessibili, che le informazioni siano disponibili in vari formati, tali da renderle usufruibili e comprensibili da parte di tutti.

*Ufficio Legislativo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Testo dell’intervento pronunciato in occasione del settimo congresso annuale dell’Associazione Diritti alla Follia, Milano 14-15 dicembre 2024.

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Una bella iniziativa, per garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità

È giunto a conclusione il Progetto Libellula, iniziativa promossa in Toscana dal Distretto 2071 del Rotary che grazie a una raccolta di oltre 42.000 euro, ha consentito di acquistare 26 lettini ginecologici elettrici, regolabili in altezza e in inclinazione, adeguati alle necessità delle donne con disabilità. I lettini sono stati donati agli ambulatori ginecologici ospedalieri e ai consultori del territorio, nonché agli ambulatori del Codice Rosa, il percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato alle vittime di violenza Anton Zapotochny (Dovzhenko), “Libellula colorata” (©José Art Gallery)

Nel luglio dello scorso anno, con piacere, abbiamo dato notizia, su queste stesse pagine, di un importante progetto promosso, in Toscana, dal Distretto 2071 del Rotary, per garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità, un àmbito nel quale sono particolarmente discriminate.
Nello specifico, il Progetto Libellula, questo il nome dell’iniziativa, ha promosso all’interno dei 70 Club Rotary della Toscana una raccolta fondi finalizzata ad acquistare lettini ginecologici elettrici, regolabili in altezza e in inclinazione, adeguati alle necessità delle donne con disabilità, al fine di donarli prioritariamente agli ambulatori ginecologici ospedalieri e ai consultori del territorio, quindi agli ambulatori del Codice Rosa (il percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato alle vittime di violenza).

Ebbene, con altrettanto piacere, apprendiamo dall’ideatrice e promotrice del progetto, Margherita Magi Damiani, dirigente medica di Primo Livello presso l’INAIL, nonché moglie di Fernando Damiani, governatore del Distretto 2071 del Rotary, gli esiti dell’iniziativa. «La somma raccolta grazie alle donazioni dei Rotary Club della Toscana, e di pochi generosi privati, è stata complessivamente di 42.680 euro e ci ha permesso di acquistare 26 lettini ginecologici elettrici. La destinazione è stata decisa dai Direttori Sanitari in base alle esigenze del territorio», riferisce Magi Damiani. Questo risultato è stato conseguito anche grazie all’impegno e all’interessamento di una socia del Rotary Monte Argentario, la dottoressa Manola Pisani, che ha curato i rapporti con le ASL e con la ditta produttrice, aggiunge la stessa Damiani.

I lettini, dunque, sono stati già consegnati alle sedi stabilite per l’ASL Toscana Centro e l’ASL Sud-Est, mentre per l’ASL Nord-Ovest sarà necessario aspettare la Delibera di acquisizione dell’Azienda Sanitaria, ed è probabile che si vada all’anno nuovo, dopo le festività. A questo link è presente l’elenco dei presìdi sanitari a cui sono stati donati i lettini ginecologici.
Ci preme però ringraziare qui anche le altre figure con percorsi e competenze importanti in àmbito sanitario che Magi Damiani ha coinvolto nel percorso progettuale. Le indichiamo di seguito, limitandoci a segnalare solo qualcuno dei loro molteplici incarichi e qualifiche: Simona Dei, direttrice sanitaria aziendale da dodici anni, prima della ASL di Pisa, poi di Siena, dall’ottobre 2023 dell’ASL Toscana Centro; la dottoressa Vittoria Doretti, ideatrice a livello nazionale e responsabile della rete regionale Codice Rosa, ovvero, come accennato, dello speciale percorso di accesso al Pronto Soccorso dedicato alle vittime di violenze e abusi, in particolare donne e bambini, ma anche vittime di crimini d’odio, progetto nato nel 2010 nell’ASL di Grosseto e diventato regionale nel 2011; la già menzionata dottoressa Manola Pisani, già responsabile dell’Unità Funzionale Cure Primarie Distretto Colline Metallifere-Amiata-Grossetana.
Del gruppo di lavoro ha fatto parte anche chi scrive, Simona Lancioni, sociologa e documentalista, responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), da 25 anni impegnata nella promozione dei diritti delle donne con disabilità, e curatrice di una specifica sezione documentaria dedicata a questi temi.
Alla fase di promozione, infine, ha collaborato anche l’Associazione DisabilmenteMamme, che ha messo a disposizione le testimonianze di Antonella Tarantino, Margherita Rastiello e Carla Marinelli.

Insomma tante donne, con e senza disabilità, si sono messe insieme per contribuire a garantire il diritto alla salute delle donne con disabilità, e dunque a garantire loro un ulteriore pezzetto di libertà. Il progetto ha sensibilizzato i donatori e le donatrici su questi temi fondamentali.
Nell’esprimere ancora una volta il nostro sentito ringraziamento a tutte le persone e agli enti che hanno contribuito, possiamo solo augurarci che l’iniziativa venga replicata anche in altri contesti. (Simona Lancioni) 

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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Una violenza che lascia esterrefatti e increduli

«È importante – scrive Laura Abet, responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della Federazione LEDHA, riferendosi alla violenza subita a Milano da un sedicenne con disabilità – che nel corso del procedimento giudiziario si attivi una rete di sostegno inclusiva e rispettosa del dramma subìto dal ragazzo, ascoltandolo e non sostituendosi a lui»

Non siamo soliti commentare le notizie di cronaca o le notizie che vengono pubblicate dai media di cui non abbiamo conoscenza diretta. Questa volta, però, pensiamo sia necessario fare un’eccezione.
A Milano un ragazzo di 16 anni, che dagli organi d’informazione viene presentato come una persona con disabilità fisica e cognitiva, è stato sequestrato da un ragazzo di 14 anni e di un uomo di 44 che avrebbero abusato di lui, anche sessualmente. Le violenze, inoltre, sarebbero state filmate.
Questa vicenda ci lascia esterrefatti e increduli.
Esprimiamo tutta la nostra vicinanza e solidarietà alla giovane vittima e alla sua famiglia. E ci mettiamo a disposizione per supportarli in tutti i modi per noi possibili.
Su questa vicenda devono essere completate le indagini da parte della polizia e si esprimerà un giudice, a tempo debito. Ed è importante che nel corso di questo procedimento si attivi una rete di sostegno inclusiva e rispettosa del dramma subìto, a tutela del ragazzo, per evitarne la vittimizzazione secondaria. In quest’ottica è necessario un lavoro sincrono e interdisciplinare, coinvolgendo le Associazioni di persone con disabilità e la rete dei servizi territoriali.
Ci auguriamo che il sedicenne venga ascoltato e che non ci si sostituisca a lui perché, come afferma la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, le persone con disabilità hanno la stessa capacità legale di tutte le persone.

*Responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH).

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I cortometraggi premiati a “INCinema”, il primo Festival tutto accessibile

Durante la tappa di Udine di INCinema, il primo Festival cinematografico in Italia fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali, oltre alla proiezione accessibile del nuovo film di Almodóvar La stanza accanto, vi sono state anche le premiazioni per il concorso INCorto, nel quale una delle due giurie era composta da persone con disabilità sensoriale Una scena di “Sharing is Caring”, premiato come “Miglior Cortometraggio” a Udine dalla giuria di persone con disabilità sensoriale

La seconda edizione di INCinema Film Festival, manifestazione ideata da Federico Spoletti e diretta da Angela Prudenzi, di cui Superando si onora di essere media partner sin dagli inizi, è un Festival, come abbiamo ampiamente riferito a suo tempo, che si svolge sia in presenza al cinema, sia da remoto su piattaforma MYmovies One e che soprattutto offre l’opportunità di vedere dei film in sala in modalità inclusiva anche a chi non può andare regolarmente al cinema. Si tratta infatti del primo festival in Italia fruibile anche dalle persone con disabilità sensoriali, che solitamente non possono partecipare ai festival cinematografici.
Nei giorni scorsi, INCinema, dopo l’apertura a Firenze, e le tappe di Lecce, Roma e Torino, ha vissuto la tappa di Udine, una tre giorni già da noi presentata, durante la quale sono state proposte varie proiezioni, e che grazie alla collaborazione con Warner Bros-Discovery, ha vissuto anche un evento speciale, ovvero in contemporanea con l’uscita nelle sale italiane, la presentazione accessibile a tutti e tutte del nuovo film di Pedro Almodóvar La stanza accanto (The Room Next Door), vincitore del Leone d’Oro all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e candidato a quattro European Film Awards.
Alla proiezione ha presenziato anche l’attore italiano Alvise Rigo, componente del cast, che per l’occasione ha ricordato la sua esperienza: «È stato significativo lavorare diretto da Almodóvar e al fianco di Julianne Moore con la quale ho condiviso una lunga sequenza, straordinari artisti che mi hanno fatto sentire a mio agio in ogni momento. Un’avventura professionale e umana rara oltre che un’occasione incredibile per me, giovane attore italiano che sta muovendo i primi passi nel mondo del cinema. Su quel set mi sono sentito in famiglia, come mi hanno detto nel confermarmi la parte: “Ahora eres un chico de Almodóvar”, il massimo che potessi sognare».

L’attore Alvise Rigo a Udine, al centro, tra Angela Prudenzi e Federico Spoletti, rispettivamente direttrice artistica e ideatore di “INCinema”

Sempre a Udine vi è stata anche la premiazione del concorso di cortometraggi INCorto, con alcuni riconoscimenti assegnati da due diverse giurie, una di persone con disabilità sensoriali e una di studenti della Laurea Magistrale in Cinema e del DAMS dell’Università di Udine.
La giuria delle persone con disabilità sensoriali è stata presieduta dall’attrice e regista Camilla Filippi,  che ha affermato: «Ho appena fatto un film documentario che si chiama Come quando eravamo piccoli che racconta la storia di quello che resta di una famiglia e delle scelte che ci definiscono. Essere presidente della giuria di questo Festival è per me una di quelle scelte che ci definiscono e fanno la differenza. Credo che ognuno di noi, nel proprio àmbito, possa lavorare affinché il mondo diventi un luogo accessibile ad ogni essere umano. In alcuni casi, come in questo, non era nemmeno complicato, serviva solamente uno sguardo diverso e fortunatamente gli organizzatori lo hanno avuto».

Ad aggiudicarsi dunque il premio di Miglior Cortometraggio, attribuito dalla giuria di persone con disabilità sensoriale, è stato Sharing is Caring di Vincenzo Mauro, «per la sua capacità di affrontare con profondità un tema di grande attualità, quale l’assoggettamento alle tecnologie che sfuggono al controllo umano. Il tema seppur drammatico è trattato con un’intelligente ironia volta a far riflettere lo spettatore. L’eccezionale interpretazione del protagonista, Vincenzo Nemolato, contribuisce in maniera decisiva alla compiutezza dell’opera. Con la sua espressività sia fisica che vocale, infatti, l’attore bene interpreta l’incalzare della narrazione e il repentino susseguirsi degli eventi».
Una Menzione Speciale è andata poi a La rabbia nostra di Lorenzo Giroffi, «per la capacità di dare voce a un tema sociale che anima le giovani generazioni». «Con uno stile incisivo e una narrazione cruda e autentica – si legge ancora nella motivazione -, il regista esplora le radici profonde di questo disagio, legandolo a questioni come le disuguaglianze sociali, l’incertezza sul futuro e il senso di isolamento in una società in rapida trasformazione. La giuria ha particolarmente apprezzato l’equilibrio tra un’analisi sociologica lucida e una preoccupazione per un tema sociale non sufficientemente trattato e spesso sottovalutato. Ciò rende il cortometraggio un’opera non solo informativa, ma anche espressiva di una violenza invisibile, ma reale su cui è necessario riflettere».

Per quanto riguarda invece il premio di Miglior Cortometraggio assegnato dalla giuria degli studenti della Laurea Magistrale in Cinema e del DAMS di Udine, esso è andato a Billi il cowboy di Fede Gianni, «per la capacità di raccontare una storia di inclusività e di accettazione, affrontando il tema dell’affermazione della propria identità». Il riconoscimento, inoltre, è andato anche «all’originalità della narrazione: Billi il cowboy riesce infatti ad affrontare queste tematiche utilizzando il formato western per esplorare tematiche che raramente trovano spazio in questo genere, offrendo una prospettiva fresca e innovativa. Un elogio speciale, infine, va alla fotografia, che ci immerge nel sogno di Billi e ci guida attraverso il contesto delle borgate romane, trasformate in uno scenario western».
Una Menzione Speciale della seconda giuria è andata poi al già citato (e premiato) Sharing is Caring di Vincenzo Mauro, ritenuto «una storia breve ma incisiva, che sorprende e intrattiene, lasciando un’impressione duratura».

INCinema, ricordiamo in conclusione, è prodotto e organizzato da SUB-TI ACCESS, in collaborazione con l’Associazione Libero Accesso, con il sostegno del Comune e della Banca di Udine, e anche in collaborazione con MYmovies, Alice nella Città, la Cineteca di Milano, la Fondazione Sistema Toscana, il Museo del Cinema di Torino, il Festival del Cinema Europeo di Lecce, Trieste Film Festival e l’Associazione +Cultura Accessibile.
Si avvale inoltre del patrocinio dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), della FIADDA (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone sorde e Famiglie), della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), dell’Associazione Aniridia Italiana e della Consulta Regionale delle Associazioni delle Persone con Disabilità e delle loro Famiglie del Friuli Venezia Giulia.
I partner tecnici sono Earcatch e EasyReading, i media partner, oltre a Superando, Fred Film Radio e Motto Podcast. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Cristina Scognamillo (criscognamillo@gmail.com).

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Undicesima e ultima tappa per il progetto “Sport senza confini 2024”

Articolato su undici tappe in sei diverse Regioni, si concluderà il 14 e il 15 dicembre a Milano “Sport senza confini”, l’iniziativa della FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali) che si propone di avviare allo sport bambini/bambine e ragazzi/ragazze con e senza disabilità tra i 5 e i 14 anni, attraverso un percorso propedeutico alla scelta di una disciplina paralimpica. E nel prossimo anno si replicherà, ampliando ulteriormente l’iniziativa

Sin dalla tappa di esordio in marzo a Modena, abbiamo seguito sulle nostre pagine l’iniziativa Sport senza confini, percorso ludico-motorio itinerante promosso dalla FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), con il patrocinio del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), e rivolto ad atleti con disabilità tra i 5 e i 14 anni, allo scopo di consolidare l’integrazione dei giovani all’interno di un gruppo di ragazzi e ragazze con e senza disabilità. Il progetto è sostenuto dalla Fondazione Conad e, da quest’anno, anche da Procter & Gamble Italia, che ha scelto di includere il progetto nella campagna Campioni Ogni Giorno, attraverso la quale realizzare azioni tangibili per promuovere l’accesso allo sport di ragazzi e ragazze con disabilità.
E dunque, dopo gli appuntamenti di Modena, Ascoli Piceno, Roma, Perugia, Bologna, Forlì, Lecce, Reggio Emilia, Bergamo e Palermo, l’undicesima e ultima tappa di Sport senza confini è in programma per il 14 e 15 dicembre presso il Centro Scolastico Gallaratese di Milano, chiudendo una prima stagione di grande successo, che ha coinvolto sei diverse Regioni italiane, per un totale di 187 partecipazioni, offrendo a tanti giovani la possibilità di vivere un’esperienza di inclusione e sport, sotto la guida di tecnici FISPES specializzati. Un percorso, per altro, che proseguirà anche nel 2025, con una nuova edizione di Sport senza confini.

«Con la tappa di Milano – afferma Sandrino Porru, presidente della FISPES – si chiude il progetto Sport senza confini della scuola itinerante 2024, ben undici tappe che ci hanno permesso di visitare numerose realtà del nostro Paese, presentando un’opportunità e soprattutto una speranza per tante famiglie che hanno potuto condividere con noi questo percorso. Un grande traguardo che diventa l’ennesimo punto di partenza verso un 2025 più ricco di opportunità, in quanto gli incontri saranno ancora più numerosi e frequenti, e dal quale verranno avviate le prime scuole stanziali che diventeranno il vero faro di riferimento per tante persone, partendo dai bimbi, per avvicinarsi allo sport paralimpico».
«Abbiamo dimostrato – aggiunge – che i limiti sono solo immaginari e nella testa delle persone e scoperto sul campo che tutti possiamo fare tutto, connotandolo con l’abilità e il talento di ciascuno, unico e irripetibile. Questo è stato possibile solo grazie ad un grande lavoro di squadra, composta da bambini, famiglie tecnici e i fantastici compagni di viaggio, Fondazione Conad e Procter & Gamble Italia, tutti facenti parte della grande Famiglia FISPES, che non smetterò mai di ringraziare, con profondo sentimento di riconoscenza e stima». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: Noemi Cervi (noemi.cervi@safecommunications.it).

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Un progetto innovativo per l’autonomia delle persone con disabilità visiva

Nel panorama del design e dell’innovazione tecnologica applicata, è stato lanciato iSee, progetto rivoluzionario consistente nei primi occhiali assistivi progettati per migliorare la mobilità delle persone con disabilità visiva, un prodotto completamente Made in Italy, che rappresenta un passo avanti significativo nell’inclusione sociale attraverso la tecnologia Gli occhiali “iSee”

Nel panorama del design e dell’innovazione tecnologica applicata, la Società iVision Tech ha lanciato un progetto rivoluzionario: iSee, i primi occhiali assistivi progettati per migliorare la mobilità delle persone con disabilità visiva, un prodotto completamente Made in Italy, che rappresenta un passo avanti significativo nell’inclusione sociale attraverso la tecnologia. Il lancio è avvenuto in un contesto in cui il mercato della tecnologia assistiva è in crescita, con un’attenzione sempre maggiore verso soluzioni che garantiscano una migliore qualità della vita per le persone con disabilità visive.

Tecnologia e miniaturizzazione
Il progetto iSee punta dunque a trasformare la quotidianità delle persone non vedenti. Gli occhiali, dotati di sensori avanzati, rilevano ostacoli fino a quattro metri di distanza e trasmettono all’utente segnali acustici intuitivi per una mappatura precisa dello spazio circostante. «Integrando tecnologie di ultima generazione – spiega la società -, il dispositivo sfrutta sensori avanzati e strumenti audio altamente sofisticati per rilevare ostacoli fino a una distanza di quattro metri».
La miniaturizzazione rappresenta un aspetto chiave del dispositivo: gli occhiali mantengono infatti l’estetica di un normale paio di montature, garantendo discrezione, leggerezza e durata della batteria.
Questo risultato è stato raggiunto grazie alla collaborazione con aziende leader nei settori della componentistica e alle competenze multidisciplinari in àmbiti come le telecomunicazioni e la tecnologia satellitare.

Valore sociale del progetto
Dietro iSee si cela una chiara missione sociale. Federico Fulchir, project manager di iVision Tech, sottolinea l’impatto che il progetto può avere: «Il nostro obiettivo è di coprire in un primo momento il mercato dell’Europa e del Nordamerica, in cui sono presenti 3,6 milioni di non vedenti e, successivamente, di allargarci su scala globale, dove si stimano circa 43 milioni di persone con cecità». La strategia prevede anche il riconoscimento degli occhiali come dispositivo medico, per renderli accessibili a un’utenza più ampia.
L’approccio inclusivo è emerso già nelle fasi iniziali di sviluppo, che hanno coinvolto attivamente persone cieche, permettendo di creare un prodotto realmente in grado di rispondere alle loro esigenze quotidiane.
Il lancio di iSee rappresenta dunque un passo concreto verso una maggiore autonomia e sicurezza per milioni di persone.

Made in Italy e innovazione tecnologica
iVision Tech si distingue nel settore per il proprio impegno nel coniugare tradizione artigianale e innovazione tecnologica. Con una sede produttiva all’avanguardia a Martignacco (Udine), l’azienda rappresenta un’eccellenza del Made in Italy nel settore dell’occhialeria. «Questo – afferma Stefano Fulchir, amministratore delegato della Società – è un progetto sociale che ci rende molto orgogliosi e che ha visto un lungo lavoro di progettazione per raggiungere un livello qualitativo molto elevato».
Il lancio di iSee si inserisce per altro in una strategia più ampia che ha visto acquisizioni strategiche nel settore delle lenti oftalmiche e dell’elettronica. Sinergie industriali che hanno permesso di sviluppare un prodotto altamente tecnologico, capace di rispondere a standard di eccellenza.

Visione futura: la tecnologia al servizio dell’inclusione
La commercializzazione di iSee ha avuto inizio in questo mese di dicembre, tramite e-commerce, mentre la presentazione ufficiale al pubblico avverrà al MIDO di Milano nel febbraio del nuovo anno. L’ambizione della società, come detto, è di espandere progressivamente il progetto a livello globale, mantenendo alta l’attenzione verso le esigenze specifiche delle persone cieche.
Nel contesto di un mondo sempre più interconnesso, il progetto iSee dimostra come la tecnologia possa non solo semplificare la vita quotidiana, ma anche rappresentare un ponte verso una maggiore inclusione. È un esempio tangibile di come l’innovazione possa avere un impatto positivo, dimostrando che il progresso tecnologico, quando guidato da una forte missione sociale, può trasformare il futuro per milioni di persone.

In conclusione
Il lancio di iSee apre a questo punto una riflessione più ampia sull’importanza di investire in tecnologia assistiva. I numeri relativi alla cecità globale sottolineano la necessità di soluzioni che possano migliorare concretamente la qualità della vita delle persone cieche e in tal senso il progetto di iVision Tech si distingue per la visione umanitaria che lo anima, unendo innovazione, inclusione e sostenibilità.
Si tratta quindi di un’iniziativa che rappresenta un modello da seguire per il settore tecnologico, evidenziando come il connubio tra design, ricerca e ascolto attivo delle esigenze degli utenti possa generare cambiamenti significativi.
In un mondo sempre più orientato alla digitalizzazione, progetti come iSee sono la dimostrazione tangibile di come la tecnologia possa, e debba, essere al servizio di tutti.

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